Alessandro Korol
Poesie
Introduzione
La disperazione è la coscienza dell’ignoto, frutto della riflessione e dei lunghi pensieri che
rendono l’uomo “disperato”.
Gli stolti oserebbero dire che ciò che Memoro possiede è in realtà quella felicità che tutti
vorrebbero avere; ma, visto che a loro giudizio il ragazzo non è meritevole di possederla, non si
spiegano, invidiandolo, come egli possa averla ottenuta.
In quanto individui privi di pensiero, nati solo per colmare la noia di Dio, non comprendono
che, nella realtà dei fatti, la felicità è data dal momento vissuto, che tortura, con il ricordo, la
mente di chi ancora riesce a pensare.
Memoro, nient’altro che uno di questi , cercava disperatamente una scappatoia dai labirinti del
proprio pensiero, preoccupandosi di quell’ignoto che non ammetteva risposta. La sua giornata
era offuscata da un dilemma che lo torturava. Avrebbe preferito stendersi nella sua vasca,
chiamare qualcuno a lui più caro, parlare dei pochi momenti felici passati, ed infine, riempiendo
il pavimento del suo sangue, andarsene senza risposte ma, almeno, con un falso sorriso.
Svegliandosi, però, in un giorno non diverso dal solito, riuscì a trovare quella salvezza che lo
avrebbe tenuto lontano per un paio di notti da quei pensieri. Una giovane era davanti a lui
poiché nel fato era inciso tale incontro. Naturalmente nessuno avrebbe potuto pensare che i
due si sarebbero mai incontrati, eccetto il destino. La ragazza, di nome Penelope, era talmente
bella che solo a guardarla le lacrime solcavano il volto della persona che la fissava, talmente
bella che sarebbe stato facile confonderla con una divinità incarnata. Chi mai dovesse cercare di
descrivere la sua bellezza finirebbe inevitabilmente per dimenticarsi qualcosa e finirebbe per
offendere la giovane. Memoro è un peccatore. Penelope avrebbe potuto guarirlo da quelle
ferite che, inconsciamente, si infliggeva da solo. Così, senza neppur accorgersene, arrivò la
prima notte. Questa fu il momento in cui i due fecero sbocciare quel sentimento che tanto
attendevano. Vollero dimenticare qualsiasi forma di sapere, qualsiasi momento vissuto fino a
quel momento, qualsiasi vuoto conosciuto. Quella notte, i corpi dei giovani si trovavano nel
nostro mondo, mentre la loro anima e la loro mente viaggiavano in uno spazio etereo a sé
stante. Riuscirono a penetrare quell’ostacolo invisibile che impedisce all’uomo di leggere la
mente altrui. La candela accesa, le finestre e le porte chiuse, il sudore dell’altro che cade sul
corpo dell’amante, Il respiro ansimante, le lacrime della donna e le unghie nella schiena del
ragazzo. Era quella sensazione, quell’atmosfera che rendeva tutto speciale. Ma ciò che riusciva
a rendere Memoro spensierato, e quindi felice, era proprio Penelope, la donna che lo
allontanava dall’abisso. Quella ragazza era l’unica che lo capiva, che lo supportava, e che tanto
lo consolava. Era perfetta. Quella era la letizia che avrebbe colmato l’abisso dentro di lui con
qualcosa di concreto, e non con altro vuoto. Finita la prima notte, arrivò,la seconda. Quella
passione era diventata così forte che i due avevano perso ogni contatto con il mondo e con il
tempo, ma già la ripetitività stava ostruendo il cuore del ragazzo. Finita anche quella serata, i
due tornarono alla loro quotidianità, nella speranza che, prima o poi, essi, rincontrandosi,
avrebbero potuto rivivere quelle stesse emozioni. Memoro, così, non esitò a chiamare i propri
fratelli di pensiero, uguali a lui per l’inevitabile sorte, uguali a lui per l’inevitabile destino.
D’altronde tutti i simili, per regola del fato, amano incontrarsi. Così gli altri espressero la loro
opinione. Quei compagni, comprendendo l’accaduto, furono contenti per lui. D’altro canto uno
di loro, il quale conosceva l’agonia che si poteva provare in quella situazione, era in pensiero
per l’amico. Non che gli altri non comprendessero quell’emozione, solo che il loro giudizio era
troppo annebbiato dalla felicità che il loro amico stava mostrando. Passata un’altra notte, il
ragazzo iniziò a vivere di continui tormenti che, da quel momento, iniziarono ad appannare la
sua vitalità. Quei giorni passati erano per Memoro semplici ma costanti ricordi, e ormai quella
sensazione che gli ostacolava il flusso naturale del sangue non bastava più per colmare quella
profondità d’animo che da sempre lo perseguitava come una maledizione. Spinto così dalla
totale disperazione, fece l’errore più grande della sua intera esistenza e decise, così, di
abbandonare quella sola, unica e rara, fonte di felicità. Abbandonò Penelope. Continuò, così, a
cercare quel senso e quell’ignoto che tanto non poteva trovare. Memoro in quel momento,
aprì gli occhi piangendo. Il sangue ormai si era esteso per tutto il pavimento, non vi era
nessuno, nessuno si poteva chiamare, il ragazzo in quell’istante era solo.
Ero solo. Disteso nella vasca continuai, per lunghe ore, a ricordare e rivivere quei pensieri e quei
momenti, che ormai non potevano che rendere più penosa la mia agonia.
Così Memoro, lasciando per terra un pezzo di carta, su cui era traccia della sua storia, che ora
non voleva abbandonare, dovette chiudere un’ultima volta gli occhi ormai privi di vita.
Le stelle:
Morbide, calde,
Uniche.
Le osservo:
gocce paiono
quei granelli.
E vita cade
E terra nasce.
Poi sorge
poi muore.
Ora di luce
Inondate
il notturno suolo.
Ora di colori
Inondate
Il gelido mondo.
Qui
dinanzi alla fine,
nel più verde prato
stendetemi.
Rivolti alla notte
che gli occhi
vedano
quella bellezza,
quelle stelle:
Morbide, Calde,
Uniche.
Ora
Ricordo!
Tu osservi,
ridi
e svanisci.
Io,
di nuovo
come te.
Così misero,
sfuggi
e sparisci.
Maledetto:
il ricordo
che é.
Che non torna,
Che va.
Che restar vuole
che non può.
Che muore.
Sempre più
di Poesia
amore:
ora ricordo.