Alessandro Merzi - Poesie

“IN APERTA MADRE

 

In aperta Madre fu’l pezzente,

figliuol senz’un padre ariano,

ma mondo se fece per ei parente. 

Ogni baston Lei prese in la mano

con grassi occhi e corpo fetente,

simil peste fece “spacca Milano”. 

 

Come fiera sua gazzella aspetta

il mortal sospiro sì laudabile,

che per venir forte ha sempre fretta,

così vogliosa Donna sì abile

tien freno a lussuria Sua matta

de montar popolo tan palpabile. 

 

Tra l’un e l’altro giorno colmo,

come di traboccar dentato foro

mai arretra per el fluido sommo,

spazio non trova chè tanto lavoro

‘l trasformar ogne scheggia in olmo,

tal che tutti deven capolavoro. 

 

E va e vien tra colli e valli

giuso e suso la gnuda Maestra,

osannando El Padre per i calli. 

Ma quando Venere se fece destra

e pitagorosa, infini falli

ammosciano per error d’orchestra.”

 


 

 “L’ODE ALL’ONTO

 

Se a buon cavalier non manca lancia,

se l’armeggio è il folto pelo,

Ello impugna ‘no spiedo de melo

per far allargar la Sua grave pancia. 

 

Ei non osa salir sulla bilancia

per carne e dolci che el Vangelo

paiono. Stenderem on pieto velo

al vile rifiuto dell’arancia. 

 

Ma se’l fisico Suo non conquista,

tra trippa e pelo in abbondanza,

guarderem dentro El Sommo Artista. 

 

Le canzon Sue tuonan in ogne Brianza,

ed io mi oriento al Musicista,

mio perpetuo Pozzo d’ignoranza.”

 


 

 “GIUSO NEL BOCCAL

 

Tra me e meco sedevo pensando

al desìo pressante d’una mossa

fluida corrente, ratta e rossa

che giuso nel boccal va gocciolando. 

 

Oh Somma Ambra che risplende quando

cremisi capei e lenti indossa,

portami ebrezza finché tu possa

fluir da spina con furor, spumando. 

 

Ma l’animo mio indige on loco

sì fausto per peccar dove s’indova

el lusso corporal, poco a poco,

 

indi ‘nducimi ad ardente alcova,

svesti le me carni, Sguardo de foco,

e placa’l mio desìo, oh Musa Nova.”

 


 

 “COPERNICANO NIDO

 

Dov’era l’armonia?

Dov’era quella labile

sensazione

che lega

il dire e il fare

sorvolando

l’alta marea?

 

Nella stanza mezza bianca

e mezza oro

sedevano

rondini in gabbia

pronte

a spiegare le ali

per ‘na miglior contea. 

 

Qui, ora, lei è stanca,

ma io son spedito

e lagrimoso

poiché ripenso a quel

copernicano nido

sede virtuosa

di nostalgia.”

 


 

 “IL SOLITARIO

 

Rigettavo parole vuote

sulle lacrime degli angeli

l’umile vite

tace

ed io

disperso

mi unisco

al nulla della notte. 

 

L’eterno campo

riposa insonne

la vita tace.”

 


 

 “CASO E FATUITÀ

 

Ed eccomi, solo e gnudo, steso

immobile su di un verde manto,

bagnato dall’alto, tutto affranto,

che aspetto che l’Io sia conteso. 

 

A divino loco sarò asceso,

o una creatura come d’incanto

diverrò, o dopo un triste pianto

al natal pianeta sarò coeso?

 

Ebbene, mio caro amar destino,

è vano nascondere la verità

con il tuo molteplice cammino:

 

siamo solo particelle in equità

sparse al vento del nulla. Mi chino

e attendo qui caso e fatuità.”

 


 

 “DAL TETTO

 

È l’ultima brezza acre di vento,

è il caldo alto sole polare,

è l’ultimo brivido che sento

questo ratto, matto, dolce, volare.”

 


 

 “NOTTE E LUNA

 

Li senti? Quei rumori sgraziati

e assordanti dell’umana fretta

che rimbombano tra terra e cielo?

 

È il giorno che urla e balbetta

assurdità, ma tra mille malati

v’è un che attende notte e gelo. 

 

Alla Luna rivolgo, sì perfetta,

i dubbi miei, e amaro le svelo

il core, l’amor e i suoi carati.”


“A TE

 

È strano sentirsi l’addome vibrare

per i mille e mille battiti d’ali

delle farfalle che vi risiedono.

È strano impallidire

per un semplice contatto

e tremare come un salice

sotto una tormenta ghiacciata.

È strano perder la parola

in un tacito imbarazzo

e riuscire soltanto ad accennare

un raro e stupido sorriso.

È strano abbandonare la mente

con ogni suo pensiero

e udire il cuore

pulsare

saltare

impazzire

ed esplodere.

In fondo, l’amore non è anche non ragionare?”


“NEL SONNO

 

È notte, regna l’ombra, tutto tace.

Eppur odo movimenti in testa

d’una realtà ambigua che desta

l’animo sebben corpo fermo giace.

 

Assurda la mì psiche sì capace

d’intrecciar immagini come questa

all’estro sensorial, ma sì lesta

la scordanza tocca l’Io loquace.

 

Ma è nel sonno che il desiderio

più profondo si svela tra concetti

ofuscati e sensi apparenti,

 

sta a noi coglierne il suo serio.

Nel sogno siamo dei grandi ometti

divoratori di stelle cadenti.”