Un lampo di luce
Le luci sparse sul terreno ricordavano che
a pezzi era il mio collo stanco.
Le spalle, come improvvisa fantasia,
ricordavano di esserne spazio,
inglobato in questa sorella luna:
fredda e triste come la pioggia d’estate.
Come fece poi a incastrarsi il ruscello del non detto,
la magia dell’evidente. È evidente.
Si nota che il tuo corpo magro non regge più sforzi,
che la sottile linea tra le tue palpebre e le mie
volta lo sguardo,
lontano, senza timore di uno sbaglio.
Ho smesso di chiedere perdono e tu di esserci,
incondizionatamente.
Unendo la distanza superflua che il tuo sospiro demarca,
rimaniamo incastrati l’un l’altro con le mani graffiate
che si spostano i capelli dal viso,
rimaniamo in questo secondo immediato ma comunque
eterno. Siamo in trappola, oltre noi non è più rinchiusa
la domanda fragile di quell’amore non detto, di quel bacio
non rubato.
Hai rubato tutto di me, lo stesso collante, segno
di quella forza in bottiglia che ci ha completati da tempo,
ha invaso ancora la nostra banale conoscenza.
Semplice, un giro lungo il fiume e in sella al precipizio.
Complicato, un volto percosso da ferite
strozzate, scavate, completate dal nostro paese così piccino,
dalla lotta inevitabile dell’essere in vita.
Svegliandosi all’alba
Se cerchi uno spazio, in cui buttarsi la sera,
in cui perdersi al mattino, questo suo dolce mantello
nero offre l’istante perfetto.
Perdendo la sensibilità ai piedi, con le ginocchia tremolanti,
guardo all’indietro,
osservando una strada che avevo percorso, ma quando?
Non c’è risposta a quesiti continui,
sono illuminazioni, mele cadute dall’albero
con la potenza sbagliata.
Mi sono svegliata all’alba,
ho sentito il profumo della città ancora dormiente,
ho coccolato il gusto con l’amaro caffè,
un aroma.
Il tempo scorreva, alla velocità di un batter d’ali.
Mi ritrovai distesa, sotto fiocchi di neve appena calati,
sotto la freschezza dell’essere finalmente vivo.
Era bimba, tra le braccia di una conoscente,
un metro e sessanta, poco più.
Mi sono svegliata all’alba,
inserito i vestiti nel cestello,
ho raccolta i capelli in una pinza nera, per comodità.
Mi sono chiesta quanto profondamente
si può riuscire a sentirsi?
Ero alba.
All’alba di una ricerca continua.
Polvere di stelle
Se chiedessi un desiderio per tutte le ferite
che non hai saputo colmare,
calmare.
Se chiedessi un momento,
perché sei in cerca della pazienza,
con quel brivido di follia che un po’ ti distingue,
dimmi:
troveresti pace in un barattolo di stelle?
Se sentissi il cuore parlottare, indecifrabili sonetti
d’osteria,
osserveresti ancora il luogo in cui compaiono
le fantasie più profonde?
Avresti ancora fame d’immaginazione?
Immaginati,
coricata lungo un pianeta d’arcobaleni,
con le dita di zucchero filato,
brillantini d’orati appoggiati
delicatamente sugli occhi,
sono la tua lampada dei desideri,
riesci a sentirne i suoni?
Il rapporto
Bastava una parola,
semplice e decisa per distruggere ogni mia
leggerezza. Con te.
Circondavi il muscolo con catene, un po’ nere e
un po’ spezzate, ho lottato per esserne la cura.
Ho voluto affrontare parole e misteri,
immense zolle d’amore sollevate da terra, senza qualche ragione,
senza qualche consiglio
perché ho promesso anche io di tenerti la mano
e ora non si può negare:
hai promesso tu di sollevarmi da terra.
Quando ci rincontreremo? Sotto la luce nuova
della scoperta reciproca.
Quando il cuore ballerà là, sotto la luna chiara,
sotto il luminoso zampillo di sospiri e sogni.
Ho infranto la tua realizzazione, il tuo essere libera,
concepita come il problema, sotto ogni aspetto di
carriera, la tua.
Riconosci in me qualche tratto di realtà?
Qualche verità nascosta?
Ho letto i tuoi occhi, parlano di te.
Mi raccontano quel che le tue labbra non hanno saputo esprimere,
mi indirizzano verso il calore della pelle,
quando mi tenevi stretta in una tutina a pallini neri.
Quando era comodo il tuo braccio stanco?
la stessa stanchezza che ormai mi guarda perplessa e giudicante.
Nel dubbio di non osservare
Cosa interrompi, in silenzio, tra le guance rosse,
all’ombra di un mare lontano, lungo la via segreta.
Hai un lupo tra le scarpe, con briciole di pane in cassaforte,
ascoltando quel blu, in fondo al nuovo segreto
che ancora ti hanno nascosto.
Sorteggio in coro un prodotto confezionato, in macchina
tra le cime vulcaniche di un rifugio,
solitario, come te.
Sotto la criniera di un leon arancio, aspramente consumato.
Cosa interrompo, nel rumore etereo di una poltrona
impiccata con la stessa forza di una
straziante visione, oscura ma accolta?
Un tremore dolce:
un tremore dolce, innocuo, invigorito.
Come uno scalare continuo tra le palpebre sottili
di uno sguardo infinito.
Attendi, in punta di piedi, quel ronzio di libertà.
Assopito come un bambino e la sua bambola a sonagli.
Non sono però bambola e quel dolce amore che ulula all’interno
mi ricorda che non deve per forza andare bene.
Come un ruscello, abbracci le tenere tempie di un
pescatore inconsapevole del suo amore mancato.
Intrappolata tra serpe e verde, collaboro con la domestica
impedendo ai rumori di impossessarsi della mente.
Sono tutte bugie.
Quell’amore disperato, sanguinoso, voluminoso,
brucia i miei capelli pagliosi, altro dolore che quel
giorno mi procurasti.
Impariamo giocando
Gargarismi e segni di virtù abbracciano il tuo
stomaco ballerino, nel momento di sguardo e collaborazione
sorridesti.
Non sono figlia di quel tempo romantico ma il tuo
sguardo avvolgente arrovella i polmoni e imprime il
suo timbro, il nostro. Scalci, quando la notte si è
troppo distanti, troppo timidi per abbracciarsi.
Scalci, quando il miagolio di quel cuore morente
incontra un batuffolo di cotone.
Giocoso il nostro percepire, così il nostro sussurrare.
Siamo parti distanti di una stessa particella quando
l’amore è un materialismo imperfetto.
Attimi
Interrompendo attimi di vita mancati,
un caffè inebriante allarga i sensi del mio stomaco.
Fluttuante, come piume dal ciel cadute.
Rimanendo fermi allora nel dubbio del sonno
improvviso o provvisorio,
tra le nubi fitte in quel volto coperto,
sostengo così ogni infantile melanconia.
La testa sul cuscino ricorda di essere
il padrone
glorioso e furioso, per quell’incanto intramontabile.
Ora incassi bottiglie dalla punta arrotondata,
ora vivi con le dita sgualcite per un tempo
senza freni.
Ora sì
Ora sì che sostiene il coraggio,
con una mano in alto,
con la testa sollevata come una giraffa nel
momento d’alimentazione.
Sfrega le mani per far accendere il ricordo,
accogliendo la sua fragranza sonora, tra
soffitti di libellule e cicale immaginate.
Ora sì che con lo sguardo verso il soffitto
ricopre il volto di brillanti argentati.
Piccole particelle di luce inebriano l’olfatto
di presenza.
Ora sì che tra un fiume e il suo trascorrere impetuoso,
rimane fermo ad aspettare.
Sulla riva opposta.
Sigillo
Ingloberai in te la perdita,
un raggio di sole porterà in quel buio il suo
essere luminoso ma incandescente.
Per la paura di scottarti non avvicinerai il tuo
Sguardo alla bellezza.
Osserverai da lontano il paesaggio da esso creato.
Comunicherete, affascinati e rapiti,
vivrete quel respiro intenso del tornare vivi.
Non cadrete in maldicenze e lumini dalla rabbia innescati,
discuterete sul vostro con-vivere e ne avrete timore.
Un pulcino fragile a contatto con la stella luminosa
si può scottare?
Saremo vicini, tanto da sentirci,
poco per non bruciarci.
Più che semplice piumaggio o raggi solari,
la nostra struttura, così diversa ma ugualmente
giallastra,
resterà in noi come sigillo eterno.