Angelo D’Ettorre - Poesie

LA PALLONATA

 

c’ era una volta
so’ più di cent’ anni
una Lazio, va da sé,
bella forte e gagliarda
che giocava da gran signora
nel parco di Villa Borghese
tutte le signore e le signorine
della gloriosa città di Roma
correvano innamorate a guardare i giocatori
anche la moglie del prefetto
Clementina era il suo nome
fermava la carrozza col cuore in mano
voleva vedere da vicino quei ragazzi
belli forti e gagliardi
sembravano fatti col pennello
la mala sorte ha voluto
che Fernando Saraceni detto Cece’
tirasse una pallonata sulla testa della signora
facendola svenire
il prefetto Annaratone si adirò
e non permise più alla Lazio
di giocare nel bel parco
mandandola prima a Ponte Milvio, e poi ai Parioli
così la moglie da quel giorno
non vide più quei giocatori
belli forti e gagliardi
ch’ erano fatti col pennello
passando col cuore triste
vicino a quel campo vestito d’ azzurro


LA DANZA DELL’ AMORE 

 

i fidanzamenti e i matrimoni di interesse, purtroppo, sono sempre esistiti. nella storia _ contorta, convulsa e bizzarra d’ Italia ne abbiamo un numero infinito di esempi : sia che si tratti di ricchezza materiale, o di prestigio sociale, o di convenienza politica, o al fine di creare imperi economici, di persone costrette a mettere da parte i propri sentimenti nel momento di unirsi in matrimonio ce ne sono, e ci sono sempre state. più si sale nella scala sociale, più se ne trovano. un esempio di tale stato di cose si può riscontrare perfino nei riguardi del grande, immenso, sublime Lorenzo de’ Medici, detto per l’ appunto ” il Magnifico “. al timone di comando della ricca e gloriosa Firenze nella seconda metà del 1400, egli era molto intelligente, amante delle arti come la pittura e la letteratura, mecenate e poeta lui stesso, e soprattutto dotato di grandi doti naturali di politico e di diplomatico. era infatti definito universalmente ” l’ ago della bilancia ” della difficile politica italiana, l’ uomo che riusciva a tenere i tanti e bellicosi stati che costituivano l’ Italia dell’ epoca in pace e in equilibrio, un equilibrio instabile di una persona che cammina su una corda, ma in equilibrio, per mezzo di mille astuzie e giochi di prestigio. eppure anche lui, così ricco, potente e intelligente, ebbene anche lui fu costretto a piegarsi alla volontà della famiglia, alla ragion di stato, e si sposò con una donna che non amava, la romana Clarice Orsini, per una questione di prestigio e di vantaggio politico. eppure anche lui, come un qualsiasi esemplare di essere umano, era una persona capace di amare davvero, e anzi si sa per certo che amava follemente, innamorato ricambiato, una bellissima nobildonna fiorentina, Lucrezia Donati. conosciuta all’ età di quindici anni ad una festa, la frequentò fino ai venti in un gioco di corteggiamenti, poesie dedicate, feste e danze felici. per lei scrisse questi versi :” il tempo e il loco conviene ch’ io conti, ché dov’è sì bel sole è sempre giorno, e paradiso ov’ è sì bella donna.” divenne celebre la giostra di piazza Santa Croce del 1469, vinta da Lorenzo, in cui egli ricevette la sublime gratificazione di avere la testa cinta dalla corona di viole destinata al vincitore, personalmente e pubblicamente dalle mani della persona profondamente amata, Lucrezia. anni di episodi e momenti felici che sarebbero finiti di lì a poco, con il matrimonio combinato con un’ altra donna. da quell’ evento in poi, Lorenzo condusse una vita politica gloriosa e fortunata, ma in compenso il suo cuore avrebbe sempre sofferto le più grandi pene d’ amore. il Magnifico teneva appesa, ad una parete della sua casa, un ritratto di Lucrezia Donati dipinto da Andrea del Verrocchio. ogni giorno, fino al momento della sua morte, egli guardava quel ritratto e soffriva immensamente, piangendo versava lacrime amare. scrisse :” tu sei di ciascun mio pensiero e cura, cara immagine mia, riposo e porto. con teco piango e con teco mi conforto, se avvien che abbi speranza o ver paura “. ” ma poi nuovi sospiri dal cor risorge ; fan gli occhi un lacrimoso fiume e largo, e si rinnuovan tutti i miei martiri, quando la misera alma alfin s’ accorge che indarno i prieghi e le parole spargo ; ond’ io pur torno a’ primi miei desiri “. in seguito quel quadro sparì, perso nella polvere del passato, e di Lucrezia Donati, purtroppo, non abbiamo un ritratto sicuro. ma lui, Lorenzo il Magnifico, non ne ha più bisogno. adesso, finalmente, egli può guardare negli occhi la sua donna amata mentre le loro anime danzano, ballano e si rincorrono nel gioco infinito dell’ amore.


 

ORFEO ED EURIDICE

 

Orfeo rappresenta un uomo innamorato di una donna, Euridice, che potrebbe essere anche un sogno, una illusione. fino a quando l’ uomo ritiene di essere contraccambiato, corrisposto dalla donna, dal sogno o dall’ illusione, vive felice e spensierato, e vede la vita come un dono meraviglioso del cielo. in seguito, Euridice si aggira in un bosco, ovvero esplora la realtà, ed incontra Aristeo, un suo spasimante, che cerca di sedurla. inizialmente lei prova a respingerlo, e fugge con il pensiero. ma Aristeo le piace, e cede alla tentazione dell’ amore carnale con il suo corteggiatore. visto in modo figurato, la scena si traduce con il morso del serpente velenoso ad un piede. il sogno e l’ illusione, confrontati con la realtà, vengono corrotti e si infrangono sugli scogli degli elementi naturali. in seguito al morso, Euridice muore. o meglio, muore nel cuore di Orfeo. egli si dispera, piange, ma vuole fare un tentativo per riportarla in vita, e si confronta con gli inferi, ovvero con le ombre del suo subconscio. per poco tempo ci riesce, ma la ricerca della verità innata nel suo spirito prevale sull’ illusione, si volta per guardare il vero volto della sua amata, e si rende conto che la realtà è differente dalle sue aspettative. Euridice non è come credeva che fosse, lei aveva ceduto alla tentazione, lei lo aveva tradito. e muore definitivamente nel cuore di Orfeo. in conseguenza delle sue riflessioni, egli decise di diffondere agli altri esseri umani la verità che gli si era rivelata, cercando di risvegliarli dalle false illusioni, sogni e credenze che li facevano vivere come in un limbo, una dimensione di stordimento e falsità. però, così facendo, si scontro’ con i poteri forti del tempo, interessati a fare vivere le persone guidate da valori di comodo per le loro esigenze di comando, e lo uccisero facendolo a pezzi, che poi gettarono nel fiume Ebro. ovvero, cercarono di cancellarne le tracce facendo annegare i suoi insegnamenti nell’ oblio. ma era troppo tardi, ormai : la sua testa continuò a galleggiare e a cantare, vale a dire che i suoi messaggi rivelatori si diffusero con la parola da persona a persona, nonostante la sua eliminazione fisica. sembra che Orfeo fosse un messia originario della Tracia, che propago’ il culto monoteista di un solo Dio, Apollo, simbolo della fiducia nella capacità della scienza di illuminare l’ intelletto, contrapponendosi al culto del politeismo ed al sacrificio di esseri umani agli dei. la sua bravura nel suonare la lira e nel cantare riuscendo a smuovere gli inferi con la sua musica, sta ad indicare la sua capacità di estrapolare la verità dalla dimensione dell’ inconscio, gli inferi, e a diffonderla nel mondo umano con parole belle e comprensibili a tutti, la musica. la letteratura greca ha manifestato la sua grandiosa superiorità rispetto a quella di qualunque altro popolo con leggende come questa, in cui si traducono in modo figurato meravigliose rivelazioni e introspezioni psicologiche.


 

ACQUARELLO 

 

la più bella poesia esistenziale , secondo me , è ” acquarello ” del cantante brasiliano di origini italiane Antonio Pecci , in arte toquinho , del 1983 . mi piace interpretarla come visione ambivalente , che racchiude in sé ottimismo e pessimismo , elementi d’ altra parte entrambi sempre presenti nel corso della nostra vita . il messaggio fondamentale è questo : se ti trovi in uno stato di malinconia , in cui ti senti circondato e avvolto dal grigiore dei tuoi problemi , prova a guardare la vita come se fosse un quadro , e comincia a dipingerlo con i colori vivi e luminosi dell’ acquarello . colora la vita con la fantasia , e prova a pennellare sul nulla alberi verdi , gabbiani che volano liberi sul mare , un bellissimo sole giallo , barche a vela , treni dove gli amici si confidano sommessamente i loro segreti e desideri , aerei , un immenso cielo blu che ci guarda anche se è un po’ indifferente , e ci lascia liberi ma un po’ abbandonati a noi stessi . noi siamo in realtà delle barche a vela sperdute nell’ infinito orizzonte del mare , abbiamo una sola vela per navigare , dobbiamo fare attenzione , e intorno a noi tante vite che fanno la loro parte senza che noi , vogliamo o no , possiamo influire su di loro . e navigare in mezzo a questo grande mare , sotto lo sguardo di questo grande cielo , circondati da miriadi di persone ed eventi che vanno per conto loro , abbiamo un po’ di paura , sì , ci sentiamo un po’ persi . ma questa è la vita , e dobbiamo continuamente cercare di colorarla di cose e dei colori dell’ acquarello , come ondate che si susseguono per rilasciare la loro dose di spuma sulla battigia . perché la vita è un acquarello , il tempo passa , e i colori si perdono . 

testo della canzone ” acquarello ” di toquinho.
sopra un foglio di carta lo vedi , il sole è giallo ; ma se piove , due segni di biro ti danno un ombrello . gli alberi non sono altro che fiaschi di vino girati , se ci metti due tipi là sotto saranno ubriachi . l’ erba è sempre verde , e se vedi un punto lontano non si scappa , o è il buon Dio o è un gabbiano , e va verso il mare a volare . ed il mare è tutto blu , e una nave a navigare ha una vela , non di più . ma sott’ acqua i pesci sanno dove andare , dove gli pare non dove vuoi tu . ed il cielo sta a guardare , ed il cielo è sempre blu . c’ è un aereo lassù in alto , e l’ aereo scende _ giù . c’ è chi a terra lo saluta con la mano , va piano piano fuori di un bar , chissà dove va . sopra un foglio di carta lo vedi , chi viaggia in un treno sono tre buoni amici che mangiano e parlano piano . da una America all’ altra è uno scherzo , ci vuole un secondo , basta fare un cerchio ed ecco che hai tutto il mondo . un ragazzo cammina cammina arrivando ad un muro , chiude gli occhi un momento e davanti si vede il futuro già . e il futuro è un’ astronave che non ha tempo né pietà , va su Marte va dove vuole ; niente mai lo sai la fermerà . se ci viene incontro non fa rumore , non chiede amore e non ne dà . continuiamo a suonare , lavorare in città , noi che abbiamo un po’ di paura ; ma la paura passerà . siamo tutti in ballo , siamo sul più bello in un acquarello che scolorira’ , che scolorira’ . sopra un foglio di carta lo vedi il sole è giallo ma scolorira’ , ma se piove due segni di biro ti daranno un ombrello ma scolorira’ , basta fare un bel cerchio ed ecco che hai tutto il mondo che scolorira’


 

STORIA DI UN ITALIANO 

 

io sono nato a Roma . i miei nonni paterni erano di Pulsano , circa quindici chilometri a sud di Taranto . tipico paese bianco del sud , 11.000 abitanti , a poca distanza dal mare . il suo nome è composto da due parole latine : puls , che era una minestra di farro condita con fave , cipolla e cavolo , tipico alimento dei contadini romani in particolare , ma più in generale degli abitanti italici del centro Italia , e anulus , che stava ad indicare la forma circolare , quindi ad anello , delle mura entro cui erano costruite le case dei cittadini . dunque , anche se Taranto era una città fondata dai greci spartani e lacedemoni , e tutto intorno vivevano le originarie popolazioni iapigiche dei Messapi , Pulsano era una cittadina fondata dai coloni latini dopo la conquista della Puglia da parte dei romani , in prevalenza contadini che portarono con sé la loro tradizione in fatto alimentare , appunto la puls , da cui ha preso il nome il paese che si contraddistingueva da tutti gli altri . a questa componente si deve aggiungere quella abruzzese , in quanto fin dai tempi dell’ impero romano , in autunno , i pastori scendevano dalle montagne dell’ Abruzzo dove il clima cominciava a diventare troppo rigido , per condurre gli armenti nella più calda Puglia , ricca di foraggio in pieno inverno . da lì , i pastori ripartivano in primavera per tornare ai loro paesi . questo fenomeno che si ripete ogni anno da quei tempi si chiama transumanza , dalle parole latine trans , attraverso , e humus , terra . i grandi sentieri che attraversavano fra campi e montagne sono chiamati tratturi . alcuni pastori che giungevano fino in Puglia si innamoravano di questa terra circondata dal mare , e coloro che se lo potevano permettere compravano dei terreni da coltivare per divenire contadini . fra questi , anche i miei antenati . infatti il cognome D’ Ettorre è abruzzese , tipico della zona fra l’ Aquila e Chieti ; in Puglia è comune solo a Pulsano e dintorni , ma non nella vicina grande città di Taranto . io amo l’ Abruzzo , ma posso capire chi ha deciso di trasferirsi in questa zona : una terra fertile che i vigneti e gli uliveti ricoprono come tappeti colorati illuminati da un sole abbagliante , che donano uva nera e gialla in abbondanza e olive saporite . poco distante , un mare dove brillano i colori dal celeste chiaro al blu più profondo , che si perde all’ orizzonte ; coronato da una costa frastagliata , composta da mille piccole baie che si susseguono fra imperiosi scogli dalle forme bizzarre , irregolari e dal profumo intenso , e deliziose spiagge di sabbia fine e chiara , dove lo sguardo può riposare lieto dopo la lotta con le onde che si infrangono sulla roccia scura . la figura simbolo dello stemma di Taranto è un uomo a cavallo di un delfino, che richiama alla memoria antichi miti greci . i coloni ellenici che fecero di questa feconda terra la loro patria , la scelsero per rappresentare il ricordo della loro provenienza dal mare . la sua origine risiede in una primordiale credenza greca cretese , per cui si pensava che i morti giungessero ai confini della terra ; da lì un delfino li avrebbe condotti alla loro dimora nell’ oltretomba . la leggenda successiva _ fantasticata dai tarantini ne fecero Falanto fondatore della città arrivato sulla terraferma a cavalcioni del delfino dopo un naufragio . la mia versione preferita è quella che vede nella figura composta il giovane uomo Taras , figlio del dio del mare Poseidone – Nettuno e della ninfa Satiria . egli si innamorò perdutamente di una donna , che però era stata promessa in sposa ad un altro . disperato , si affacciò in cima ad un alto scoglio a picco sul mare , intonò una straziante canzone d’ amore , e si lanciò di sotto per uccidersi . stava per affogare , _ quando il padre Poseidone , commosso , gli mandò un delfino per salvarlo e ricondurlo sulla terraferma .


 

LUNA 

 

l’ uomo , curioso , scopre e svela la luna . e lei , gentile e pudica , timidamente arrossisce . luna , bianca rossa o gialla , luna allegra , luna triste . luna nebbiosa , luna luminosa , che doni soffici contorni a tutte le cose nelle mille penombre della notte scura . a te lo sguardo ammirato di tutti gli uomini , buoni e cattivi , forti e deboli , felici e disperati , ma tutti rivolti verso di te . perché a te la bellezza , a te il mistero. perché la bellezza è sempre un mistero . 



NOI SIAMO GLI ALBERI 

 

con il passare dei giorni , il caldo estivo lascia passare in misura sempre maggiore temperature più rigide e freddi venti autunnali . mano a mano che si succedono venti più freddi , ci si veste con maglie più pesanti , e con strati di indumenti più numerosi . eppure , spesso questo modo di agire non ci protegge dalla sensazione sgradevole provocata dalle basse temperature , non ci fa _ sentire meglio . ” ormai il freddo mi è entrato addosso , non va più via ” , si dice . poi osservi gli alberi caducifoglie , e noti che loro , diversamente da noi , all’ aumentare del freddo perdono ogni giorno sempre più foglie , ad ogni ventata gelida ne cadono come piovesse , _ , fino a perdere l’ intera chioma all’ arrivo dell’ inverno . rimangono così fino alla primavera , quando sui rami nudi cominciano a sbocciare verdissimi germogli . dunque , questi freschi germogli possono esplodere in tutta la loro bellezza solo in quanto nella stagione precedente l’ albero aveva fatto cadere tutte le sue foglie vecchie . anche noi dovremmo agire così . invece di appesantire il nostro corpo , e quindi la nostra anima , con strati di vestiti sempre più pesanti e più numerosi , ad ogni giorno che passa accompagnato dal vento freddo dobbiamo spogliarci una volta dal rancore , una volta dalla rabbia , e poi dall’ invidia , dai pregiudizi , dai pensieri negativi , dall’ odio per gli altri e di se stessi . solo spogliandoci da tutte le foglie vecchie del passato possiamo rinascere nella nuova stagione con freschi germogli nuovi , e liberarci dalle sgradevoli sensazioni del freddo , in realtà del passato che appesantisce lo spirito . noi siamo la natura , noi siamo gli alberi , noi siamo il gelido vento , e nel vento ci dobbiamo fondere , non difenderci da esso . 


 

AMORE INFINITO 

 

io non so dove sei , non so dove ti trovi . allora alzerò la voce , urlerò di più , sempre di più , perché ovunque ti possa arrivare la mia voce . voglio che le mie parole diventino leggere , sempre più leggere , così che possano _ volare in alto , sempre più in alto , così che tu le possa vedere , ovunque tu sia . voglio che soffino tutti i venti del mondo e le disperdino ai quattro angoli della terra , così che almeno una possa toccare il tuo cuore . voglio che il mio cuore diventi nuvole , tante nuvole , sempre più nuvole , così che le gocce d’ amore possano bagnare la tua anima con la pioggia . e che la pioggia diventi tempesta , e la tempesta diventi diluvio , perché tu sappia di quanta forza è capace il mio amore . ovunque tu sia , ovunque ti trovi . 


 

ROMA MIA BELLA

 

io so’ nato a Roma
io ce so’ nato a Roma
a pochi metri da Piazza del Popolo
la piazza dove batte er core dei romani
salgo le scale e vado al Pincio
dal Pincio si vede tutta Roma
tutta Roma mia bella
da lì vedi il cielo più azzurro
da lì vedi il tramonto più bello del Creato
la meraviglia, l’ incanto del profondo rosso vermiglio
lo vedi er cupolone
poi er Gianicolo, e là monte Mario
io lo so, solo io lo so
che Giulio Cesare ha passato er Rubicone
solo pe’ vede Roma dal Pincio
da lì vedi volare l’ aquila imperiale
volteggia sulla città da 3000 anni
custode di tutte le pietre
de’ Romani prima di noi
Dio non t’ offenne
ma quanno io me moro
non ci vengo in Paradiso
e nimmanco all’ Inferno
io resto qui a fa’ er fantasma
io so’ nato a Roma
io ce so’ nato a Roma
Roma mia bella
per te batte forte
er core mio de romano


 

IL DESTINO

 

se apri gli occhi li vedi
come ridono e si divertono
tu lotti ami e soffri
gli dèi tirano i dadi
sul tavolo il tuo destino
loro giocano a bowling
coi birilli delle tue certezze
e fanno strike
fanno sempre strike
soffiano sui tuoi castelli di carte
è uscito asso o picche
se apri gli occhi li vedi
tu lotti ami e soffri
gli dèi giocano e si divertono
sul tavolo il tuo destino
è uscito asso o picche
i dadi sono tirati