Anna Grazia Abbate - Poesie

 QUANDO TI SENTI STANCO

Quando ti senti stanco

e hai voglia di chiudere

il tuo cuore al mondo,

prendi l’amore ricevuto,

la saggezza ascoltata,

ogni buona parola insegnata.

Nel filo della vita,

come perle preziose,

fanne collane e monili

e specchiati

nel loro candore.

Anna Grazia ABBATE


 

     SENSAZIONI

Sentire sulla pelle la carezza dell’acqua

e diventare mare,

annullarmi tra i granelli di sabbia

e assimilarmi al sole

che mi brucia la pelle

fin nel profondo io:

nell’immensa natura,

non esistere più

Anna Grazia ABBATE.


 

     STRADE

Strade senza nome,

a senso unico

per chi le percorre

correndo o a lenti passi.

Solo un attimo per decidere

quale direzione scegliere,

impossibile fermarsi

nel traffico della vita.

Anna Grazia ABBATE


 

         AUTUNNALE

Il ticchettio della pioggia sui vetri

mi è unico compagno fedele

in questa domenica autunnale.

Beve avidamente la natura

assetata dopo una lunga estate.

Esploderanno domani germogli

di topazio al sorriso del sole,

oltre l’arcobaleno, rilucente.

Si ciberanno di luce le foglie

timidamente spuntate dai rami,

dopo un freddo inverno d’attesa.

Le speranze, mai del tutto sopite,

germoglieranno festose nel cuore;

danzeranno coi ricordi più belli,

intoneranno canzoni d’amore.

Anna Grazia ABBATE


 

       GRANELLI

Granelli di sabbia le nostre storie

trascinate su e giù dalla marea

con un forte rumore di risacca;

vite infinite strette in pugno,

lasciate scivolare sulla spiaggia,

come bimbo che giochi con la rena.

Ogni granello serra una storia,

raccontata dal vento nella sera,

prima che il notturno tutto plachi.

Tra scogli di velluto tappezzati,

riecheggian mille favole amare:

ecco Marilyn, bionda fascinosa

diva degli anni miei infantili,

dal gorgo della vita risucchiata,

come la bella principessa triste,

con il cuore assetato d’amore,

nello schianto d’un tunnel violata;

o la piccola indomita Anna,

cui bastava uno spicchio di cielo

per continuar a credere ancora

nell’intima vera umana bontà.

Gli affanni del viver quotidiano.

mi sembrano davvero poca cosa,

davanti al mare dell’umanità,

con tutte le sue infinite onde.

Tra le dita lascio scorrer la sabbia,

contando il tempo con i suoi granelli;

mi fingo per un attimo bambina,

in cerca di conchiglie sulla spiaggia.

Anna Grazia ABBATE


 

   ARMONIA MARINA

Distesi sulla sabbia

restiamo in silenzio

ad ascoltar rapiti

la musica del mare,

il suono del frangersi

dell’onda sulla spiaggia,

con ritmo sincopato

che fa danzare il cuore.

Melodie ancestrali

cullano, oggi come ieri,

incuranti delle fogge umane,

di corpi coperti per pudore

o nudi al bacio

ardente del sole.

Un’ondata di sardine

tinge d’argento il mare,

come esercito in parata,

ordinatamente sfila,

scintillando al sole

e serpeggiando si dilegua

lontano verso altri lidi.

Una flottiglia di gabbiani

disegna arabeschi in aria,

scende quasi in picchiata

a sfiorare l’acqua

e poi, dispiegandosi in volo,

si perde nell’immensità del cielo.

Anna Grazia ABBATE


 

   TRAMONTO D’ESTATE

Tendono gli ulivi le braccia

nel fuoco del tramonto d’estate,

come appassionati amanti

rinnovano promesse d’amore.

Stanche le cicale s’addormentano

al canto malinconico dei grilli

nascosti tra rari ciuffi d’erba

che la terra avara concede.

Anna Grazia ABBATE


 

           CAMMINO

Camminare su strade parallele,

con la speranza d’incontrarsi un giorno

ad un crocicchio scorto all’improvviso

e percorrere, mano nella mano,

il tratto che rimane della nostra vita.

Non so se il cammino sarà piano,

o pieno d’ostacoli e di buche.

Certo la forza di lottare insieme

renderà più agevole la strada,

finché le ombre del tramonto

non avvolgeranno i nostri piedi stanchi.

Allora, sicuri d’essere arrivati,

ci fermeremo a guardare l’orizzonte

e il cielo immenso sopra il nostro capo.

Sorrideremo specchiandoci negli occhi,

felici, nell’attesa della notte.

Anna Grazia ABBATE


 

       LAMENTO DI ANTIGONE

(eroina della libertà d’amare)

Urlavano i cittadini di Tebe:

“Fuggi, Antigone, verso la vita!

Rea confessa di tale misfatto,

condannata di certo sarai.

Seppellire hai voluto Polinice,

pericoloso patrio nemico,

di Creonte sfidando il volere”.

Sì, lo so, cara sorella Ismene,

emessa ormai è l’atroce sentenza.

Al calar del sole,

quando le api ormai sazie

lasceranno l’odoroso timo

e stanche torneranno all’alveare,

a prendermi verranno con le armi

e trascineranno me, infelice,

verso una tetra dimora,

dov’è divieto al sole

donare raggi di speranza,

dove non potrà mai il vento

portare l’eco di voci amiche.

Per l’ultima volta

io Antigone schiaccio

questi dolci acini d’uva,

sugosi e profumati.

Gustoso è al palato

il frutto gentile

di quest’arida terra.

E voi, maestosi ulivi

dalle folte chiome argentate,

sapete dirmi perché

non potrò mai ascoltare

i miei canti imenei,

non potrò mai adornare

il mio sposo adorato

di baci e carezze?

Invano sfioriranno

le ghirlande della mia giovinezza;

mai nessuno coglierà

il loro delicato profumo.

Non urlerò per le doglie del parto,

né offrirò questi miei bianchi seni

a piccole bocche affamate,

stringendole al petto

succoso di madre.

Fu solo un pietoso atto d’amore,

per un uomo che, ostile alla patria,

inerme giaceva, tra polvere inerte.

Eteocle…Polinice…

più non rammento il suo nome.

“Fratello” lo chiamavo,

ora ricordo.

La morte dissolve ogni cosa

e l’odio trasforma in pietà.

Dimmi, ombroso fico

che tante stagioni vedesti,

era giusto per me, misera donna,

in nome dell’immortale

divina legge dell’amore,

offendere l’orgoglio di un uomo

trasgredendo il suo editto malvagio?

Nessun suddito aveva mai osato tanto,

pur celando nel profondo del cuore

sentimenti infuocati di odio

avversi a così inique leggi.

La morte dissolve ogni cosa,

anche il rancore trasforma in pietà.

E tu, dolce Ismene,

vorresti divider con me

quest’atroce pena.

Vorresti nuotare con me

tra le onde impetuose

di quest’infinito mare profondo

di dolore e di morte.

Va’, nasconditi,

piagnucolosa codarda,

ormai è tardi

per sporcarti le mani di terra

che tu non hai mai toccato.

Allora dicesti che era mera follia,

chiedilo alla luna che su di me

quella notte piangeva

lacrime di stelle,

mentre furtiva osavo coprire

quei miseri resti.

Vacillavan – ricordo –

I miei passi nell’ombra,

la paura mi aveva impastato la bocca.

Chiusi gli occhi,

presi un profondo respiro

ed il resto ormai è storia per Tebe.

Io, fragile donna,

avvezza a portare virili volontà,

come potevo ancora una volta

piegare la testa

e lasciar calpestare una legge

divinamente sancita

nella notte dei tempi?

Vergogna non provo

per quello che ho fatto:

sfidare l’editto di un uomo

inflessibile nella sua stoltezza.

Libera dai legacci del tempo

e da ogni passione terrena,

per un tenero atto d’amore,

rinunciare per sempre dovrò

al mio essere donna completa.

Va’ via, mia diletta sorella,

non piangere ancora per me.

Salvati almeno tu, Ismene cara,

sacrificio vano sarebbe

sommare la tua sorte alla mia.

Adorata mia Ismene,

canterò per te,

con l’ultimo fiato, Imen o Imeneo,

mentre la luce intorno

pian piano si degrada.

Sii sposa felice e madre

anche per me!

Anna Grazia ABBATE


 

     IL RUMORE DEL TEMPO

Il rumore del tempo vibra

sotto le dita che sfiorano

tremanti la vetusta pietra

del teatro greco di Taormina.

Commossa e stordita

ascolto in religioso silenzio

l’eco di antichi cori

indottrinanti la platea.

Oltre il ruggire del mare,

applausi, urla e battere di piedi

mi sembra chiudano infine

la rappresentazione popolare.

Il rumore del tempo è sovrano,

copre lo scroscio della pioggia

che intanto cade copiosa

a lavare le orme del giorno.

Ora l’antico pubblico vociante

lascia i sedili digradanti

e, fantasma della mente, si dilegua,

nell’assordante rumore del tempo.

           Anna Grazia ABBATE