Annamaria Porrino - Poesie e Racconti

Mentre restauravo casa, in un complesso di nuove abitazioni ancora disabitate, tra scatoloni fino al soffitto e operai che martellavano, seduta su un piccolo puff, durante le pause tra la prova di un colore e una parete storta da raddrizzare, l’atmosfera un po’ noir dei dintorni vuoti e senza ancora i lampioni per strada mi ha ispirato due gialli. Per sopportare i disagi e le fatiche della casa, ogni tanto evadevo e mi ritrovavo con la memoria in due luoghi a me cari: Austria e Normandia. E così, tra chalet alla Hansel e Grethel, vette innevate e atmosfere natalizie, tra gente allegra pronta a godersi un bel natale da favola, io ci ho messo in mezzo un paio di omicidi, tanto per rendere indimenticabile tale vacanza. Ma l’ho fatto con delicatezza: nessun colpo d’ascia, niente sangue, tutto pulito, un efficace e silenzioso veleno ! Appena sciolta la neve, me ne sono tornata in Normandia, sempre senza spostarmi dal mio puff e sempre in compagnia degli operai. Tra colombages dal tetto di paglia, spiagge deserte sorvolate da gabbiani e alte maree, ho messo in piedi un giallo che mi vede protagonista, come in Austria, a risolvere senza volerlo il secondo omicidio della mia breve carriera di giallista, partendo da Parigi per finire a Mont St. Michel a scoprire il vero assassino che non ho consegnato alla legge, la sua vita era già un carcere, bastava così. Pulita casa dagli ultimi schizzi di pittura, ho mandato questi due gialli ad una rivista di settore che li ha pubblicati a puntate e ho chiuso i contenitori degli appunti, era arrivato il momento di diventare una vera scrittrice, potevo farcela. E’ nato così “ Il mio sogno toscano “ il mio primo libro pubblicato da una casa editrice emergente legata ad Ugo Mursia. Sin da piccola le vacanze per me, superate quelle noiosissime da vivere a mare, erano quelle che facevamo alle terme. Come tutte le famiglie medio borghese di quei tempi, anche noi dopo il mare dovevamo prepararci all’inverno con quindici giorni all’insegna delle cure delle acque, degli aereosol per prevenire il mal di gola e relax da serbare per i mesi a venire. E’ da allora che la Valdorcia e la Val di Chiana sono le mie terre, quelle scelte, e che Chianciano è il mio luogo familiare, quello fatto soltanto di ricordi belli, mai cancellati dall’enormità di quelli brutti susseguiti negli anni, il mio luogo intatto dove ho continuato ad andare anche oltre la mia famiglia, scomparsa come cuore e come vita, senza lasciare tracce di malinconia. Io, la mia terra amata, i panorami che ammiro per ore seduta sull’unica panchina che c’è, il mo quaderno da riempire. Ed ecco scontato il mio raccontare il sogno di essere lì per viverci e non più soltanto per qualche giorno l’anno. Una narrativa descrittiva quindi, di paesaggi ed interiorità, nostalgie e sogni, un raccontare qualcosa che per me era perfetto tanto lo amavo. Qualche presentazione tra cui una anche a Chianciano, una intervista in radio, la presenza del mio libro a vari festival nazionali e lettere, si lettere di persone che mi scrivevano per dirmi come e perché il mio libro era piaciuto e li aveva aiutati: a chi avevo fatto ricordare lo stile di Piero Chiara, chi in ospedale evadeva leggendo le mie pagine e soltanto così sopportava la degenza, chi costretto a casa viaggiava però con il mio libro e con me tra le campagne toscane.

 

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“ A Monteriggioni abbiamo lasciato un’epoca fatta di risvegli precoci, pietra e tradizione, familiarità e spensieratezza. Una vita lenta e scorrevole, senza rumori se non quelli della vita stessa, pulita e semplice, senza corse, senza affanni. E senza ambizioni, se non quella di rivedere un nuovo giorno dopo ogni notte. Al borgo vorrei tornarci di sera seguendo la luce della luna, per ascoltare solo l’eco dei miei passi e sentirmi padrona dell’intera piazza da godermi mentre a braccia aperte faccio girotondo su me stessa, smuovendo quest’aria d’antico che annusi appena superi la prima torre, gridando al mondo intero di fermarsi, fermarsi almeno per una notte … Più mi allontano da Montalcino, più l’odore di vino si fa meno intenso. Perdo i filari di uva porporina e mi circondo di nuovo di zolle smosse e secche tra dolci colline scoscese, appena rigonfie, come il ventre di una giovane puerpera. Qua e là qualche casolare, una pieve, una chiesa sconsacrata, un’antica stazione di posta ora adibiti ad atelier per pittori e scultori. E qualche cipresso solitario, immancabile, che si allunga verso il cielo. Alzando gli occhi verso la punta dei cipressi, Sylvia Plath trovava la luna. Questi alberi erano una bussola per lei. Qui non se ne vedono intere file ordinate a scortare strade o a formare vialetti, ma eccoli, di tanto in tanto, ergersi uno alla volta su una campagna sabbiosa dal colore di ruggine schiarita, a fare la guardia a qualche vecchio casale o a farsi scaldare dal sole che, dietro di loro, al tramonto, irradia le chiome di un’aurea color arancio, e i contorni ti abbagliano gli occhi. Non c’è niente di più brutto, diceva Stendhal, di una magnifica bellezza ribatteva Henry James. Sì, questa terra è da amare e odiare nello stesso momento, e infatti io la amo e la odio. Ti seduce a tal punto, facendoti innamorare senza ritegno, che quando vai via la odi perché non sei più lì, tra le sue colline, e vorresti non averla mai conosciuta … “

Questo buon esordio mi fece capire che dovevo perfezionarmi nella scrittura per giungere ad uno stile tutto mio, senza pensare alla pubblicazione ma all’esercizio dello scrivere per diventare padrona della mia penna. Non mi è costato rinuncia, per natura non amo espormi né avere fretta ma costruire su basi solide e forti, quindi sono abituata alle attese e a non avere brama di arrivare ma solo di esserci,  gratificazione da vivere per me stessa e con me stessa. Ho accettato quindi la richiesta da parte del direttore di un settimanale regionale di curare una rubrica settimanale appunto culturale e letteraria, di recensioni. Chiesi due cose: scrivo dell’autore che voglio, alternando letteratura passata e buona narrativa contemporanea, e non accetterò mai pressioni di scrivere su qualcuno che per me non è valido ma la casa editrice spinge per questo. Hai carta bianca, mi fu detto. E nacque così la mia lunga produzione di recensioni letterarie durata ben sei anni: quattro con questo settimanale, due con 4Arts che era una ottima pagina online di cultura e arte. Fu stancante ma molto istruttivo per me, e piacevole, passai dallo scrivere della Woolf a Baricco, dalla Ginsburg alla Maraini, dalla Ortese a Wilde, da Amos Oz a Grosmann, dalla Merini alla Allende e cosi via.

“ La vita per Pessoa è solitudine con i suoi fallimenti, una inquietudine boia che uccide ogni insensata speranza di ricrescita, è la pittura del nulla che vaga nel cuore e nella mente dell’umanità. Pagine dopo pagine in un crescendo di inaccettabilità di se stesso, riflesso negli altri che vede e non ama, gli altri che sono lui come fossero specchi seppur dalle sembianze ignote. Non si ama, non ama gli altri che gli ricordano lui e i suoi fallimenti umani. Dove è l’unicità di Pessoa ? Essere riuscito a non essere mai distruttivo, senza speranze ma mai patetico, scrutatore dell’intimo senza definizioni da condanna, narratore degli stati d’animo scorrevole come un ruscello d’acqua dolce, fedele, coerente. Vero senza pietismi … Alda Merini, la poetessa pazza che pazza non era, nata in una famiglia in cui il suo genio poetico, in piena come un fiume che sta straripando, veniva scambiato per un disturbo mentale che doveva essere curato in manicomio. Parola dopo parola lei ricomponeva la sua vita lasciandone testimonianza e, una volta libera, l’ha offerta al mondo di fuori, un mondo fatto da estranei che l’hanno riconosciuta come essere esistente e non solo, l’hanno applaudita amandola. Si può amare ed applaudire la follia ? Solo se è genio fecondo e benefico che si svela facendo venir fuori la sua grande integrità mentale, quella ingabbiata dalle sbarre ma non annullata. Solo un pugno di inetti, ignoranti ma presuntuosi, può credere che si possa bloccare e imbavagliare la forza della scrittura, quella evade in ogni modo perché deve arrivare e lasciare il suo messaggio … “

 

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Decisi di smettere quando ebbi prova di aver raggiunto il mio obbiettivo. Un giorno incontrai un ragazzo che mi disse di aver comprato – Il ventre di Napoli – di Matilde Serao perché aveva letto la mia recensione. Ecco a cosa serve recensire un autore, serve a far interessare il lettore fino a comprare quel libro, certo non per auto referenziarsi come molti che scrivono prefazioni o recensioni per esporre se stessi e basta. Potevo quindi dedicarmi a manoscritti per i quali avevo buttato giù un po’ di appunti ma dovevo impostare ogni cosa, avevo quindi bisogno del tempo da dedicare alla mia scrittura e basta. La risposta del direttore del giornale fu – buon per te, male per me – Per distrarmi dai miei manoscritti ogni tanto scrivevo prefazioni per altri autori e cataloghi per artisti, e mi feci convincere a partecipare ad una raccolta di racconti brevi editi dalla Nevermaind con un mio racconto un pò fantasioso partito dal famoso discorso che Virginia Woolf tenne all’università, conosciuto come – Una stanza tutta per sé – e il resto inventato. Immaginai di essere riuscita a prendermi il suo genio, prima che lei annegasse, per farla continuare a vivere in una Virginia dei tempi nostri.

 

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Quindi anni di silenzio come pubblicazioni ma di tanta produttività nel privato: una seconda narrativa di viaggio in toscana con un approccio un pò diverso, meno sognatore, quindi una visione più realistica di quella terra e di chi la popola, con i suoi pregi e i suoi difetti ma ancora amata; un romanzo d’amore in cui i protagonisti sono tre coppie di varie epoche, una degli anni cinquanta, una degli anni ottanta, una degli anni duemila che hanno sempre qualcosa in comune nonostante i tempi diversi e l’età diversa, amori che vanno avanti solidamente, amori che si dividono perché uno dei due muore, amori che non si congiungono mai perché uno dei due ha paura di amare e di essere amato;  un romanzo dove la protagonista assoluta è la rosa e tutto quello che ha a che fare con lei, dalle poesie alle canzoni, dalle leggende alle invenzioni, con ironia e leggerezza ma con sempre tanta interiorità; scrittura per un reading per il Teatro Eliseo di Roma; una raccolta di racconti fantasy per ragazzi. Tutti i romanzi sono al vaglio di vari editori, i racconti per ragazzi sono di prossima pubblicazione. E tante poesie, scaturite tutte da ispirazioni spontanee e repentine, scritte di getto quasi senza correzioni, e tenute per me fino a quando ho deciso di partecipare a festival e concorsi, da cui la pubblicazione di alcune di esse nella antologia “ Luci sparse “ della casa editrice Pagine di prossima uscita sia in cartaceo che in ebook, con video di una delle poesie recitate da un’attrice di teatro e visibile su youtube, nonché questo mini sito su cui voglio pubblicare la poesia che ho scritto per Ezio Bosso e che non gli ho mai consegnato. Ora non posso più farlo perché questo grande maestro e uomo non c’è più, ma altri possono leggerla e forse vivere un’emozione, anche piccola, quella che provo io ogni volta che lo rivedo a fine concerto con la sua bacchetta rivolta verso l’alto, sorridendo a Dio nel ringraziarlo


 

La meraviglia di Dio

 

La meraviglia di Dio io incontrai.

La sua musica composta col dolore di un cuore che ama, irrompe

fuoriesce dalla grazia che l’avvolge, la sua voce urla risposte

chiede vita nel mutismo del suo fiato corto

perché meraviglia vede e ancora vuole destare.

Impotente non può fermare quella convivente non scelta

che ce lo vuole strappare invalidandolo, senza invalidarlo mai.

Il cuore mi batte sulle sue note, le segue inseguendole,

sto vivendo la sua vita in quest’attimo che me la dona

con la sua bacchetta vibrante,

è la vita di quest’oggi che picchi tocca nei minuti del giorno

che lui strappa al calendario dell’anno, un altro, che ancora c’è.

Amo con lui, mi elevo con lui, mi sollevo sulla sua bacchetta

ondeggio col suo polso, vibro col suo cuore pregno

smaniosa di prendere quel genio che anche a me si offre, e mi dona eccellenza.

Danzo sulla vita, la sua, quella delle note composte

e non voglio fermarmi,

sogno di giocare a nascondino con la sua malattia

costringerla a lasciare la sua carne e farla incuriosire ad altro

gridarle – prendimi – e ingannarla

farla cadere in un dirupo senza appigli

così che per tornare a lui abbia da faticare

giungendogli stanca per dare a quel corpo d’Ercole

pausa di ristoro, assaggio di vita altra, quella dimenticata.

Ascolto armonie d’archi, melodie di violini

tutto fluttua intorno a lui che impera dalla sua grandezza mite

e questo tutto in me ruota intorno al bello che si effonde

negli echi di un cielo terso, fermo anch’esso all’ascolto del sublime.

Resisti, continua, gli sussurro da lontano

donaci ancora tempi di felicità,

è nei tuoi sorrisi mesti di gioia vera

nelle tue braccia che si slanciano alle note

nella tua voce che arriva oltre ogni confine

nelle pietre quando racconti e anch’esse t’ascoltano.

Ti amo perché sei, perché dai, perché amore scateni

seppure immobile saresti e muto,

vorrei urlarti – resisti –

tra gli applausi che insordano,

abbiamo tutti bisogno di te.

Fammi stare nell’angolo delle tue stanze, una delle dodici

che sono state anche le mie, nessuna di meno

tu non mi vedresti assistere al tuo risveglio

né sentiresti l’applauso, il mio, perché c’è.

Raccontaci di lui mi chiederebbero

lasciatevi portare dalla sua bellezza fin dove lui vuole

dirò io

toccate il punto più alto del suo respiro

saltellate sulle sue note, vivete nella vita 

la vostra e la sua senza scartare mai nulla,

allora e solo allora

vi narrerò della meraviglia di Dio …


 

 

A luglio 2019 decido con mia figlia, giornalista e autrice televisiva, di creare un’associazione culturale tutta al femminile. Nascono Le Silenziose. Si, maiuscola, questo tipo di silenzio è alto perché non è il silenzio della sottomissione, della incapacità, della codardia, ma è il silenzio del valore e della dignità, della grandezza senza cornici. Per amore de Le Silenziose sono uscita dal mio nascondimento e mi sono aperta ad accogliere i talenti femminili che hanno vissuto e vogliono ancora vivere come me. Arte, genio, scrittura, impegno sociale, progettualità e cultura in tutte le sue sfaccettature, con alle spalle donne che vivono il loro talento nella semplicità di un quotidiano senza visibilità, o quanto meno senza la sfrontatezza della presunzione di sentirsi superiori ad altre, donne che puoi incontrare al supermercato, alla posta, ai giardinetti e non sai chi sono nè cosa fanno, e di questo loro ne sono contente. In pochi mesi tanti progetti sono stati realizzati, visitabili nel sito www.lesilenziose.it

“ Le Silenziose è una associazione che vuole promuovere e raccontare storie, opere, sogni di donne che tentano di cambiare il corso delle cose operando spesso nell’ombra; di artiste, scrittrici, pensatrici, resistenti che contribuiscono alla costruzione della bellezza, una tela di parole e immagini dalla parte delle donne prendendoci cura di noi stesse e delle altre, con le radici a terra e lo sguardo alto “

A natale 2019 viene pubblicato “ Il mio natale ad Assisi “ con il logo e il patrocinio del Comune di Assisi. Si era saputo di un mio racconto su come da anni vivo il natale ad Assisi, la sindaca dott.ssa Stefania Proietti lo vuole, io lo invio al responsabile dell’ufficio gestione e valorizzazione del patrimonio culturale ed artistico di Assisi delegato ad accoglierlo, stamparlo e diffonderlo. Come sempre arrivo ad Assisi il 24 dicembre e mi reco all’Ente del turismo per prendere alcune copie messe da parte per me, ed ecco la prima meraviglia: l‘ufficio è pieno di copie del mio libro. Due passi ed entro alla mostra dei presepi antichi e ci trovo una ventina di copie, poi vado nell’androne del Palazzo Comunale sempre aperto per far ammirare gli affreschi del soffitto e trovo una decina d copie e un grande manifesto che annuncia la presentazione che avverrà il 26 nel Palazzo storico Frumentario, il custode mi dice che le copie sono anche alla sede dell’Assessorato alla cultura e nell’atrio del Palazzo storico Minerva. Gironzolo tra vicoli e piazze e lo trovo anche in alcune vetrine, ogni tanto vedo qualche persona che lo ha in mano o nella tasca, persino alla messa di mezzanotte in basilica qualcuno lo porta con se. Idem il giorno dopo, idem il 26, sembravano scene di film. Alla presentazione è la sindaca che ringrazia me e annuncia che si procede alla ristampa, la terza. Come la terza, la seconda intende dire ? No la seconda l’abbiamo fatta ieri, natale, alla sera del 24 le copie erano esaurite, le nuove sono finite già da stamattina. Parto, in macchina rimango con il mio libro tra le mani, guardo il logo del patrocinio per sincerarmi che davvero una città come Assisi mi ha concesso il suo stemma, e carezzo la piccola cometa che ho fatto disegnare sulla punta della basilica in copertina, è partita da lontano e si è fermata ad Assisi perché è li che la mia scrittura doveva tornare ad essere pubblica. Cosa mi auguro per il futuro ? Di continuare a scrivere, a comporre versi, a realizzare progetti con la mia associazione, a farmi fare compagnia dalla mia amica ispirazione. Di continuare a preservare la mia fede con la preghiera del cuore, di continuare a vivere il quotidiano anche con la parola muta che è quella scritta. 

In conclusione, cosa è la scrittura per me ? Un convento felice …

 

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Estratti dal secondo manoscritto di narrativa descrittiva toscana

“ Il velluto sbiadito dei cipressi “

di prossima pubblicazione

 

“ … la macchina prosegue tra stradine di campagna a quest’ora deserte, talmente piccole da sembrare un reticolato di arterie nel cuore della campagna senese. Bianche, povere, secche, fili di spago messi lì per segnare qualcosa o per accompagnarci, più che strade sono sentieri non asfaltati, e quando ci passiamo sopra si sollevano nuvole di polvere bianca a incipriare la carrozzeria e i nostri jeans non più blu. Un’altra curva, l’ultima, e ci appare un mucchio di case che sostiene in alto un ampio casolare. Sembra una grossa meringa color orzo che si arrotola intorno a se stessa per far emergere solo la punta delle tegole … 

… È una bellezza che pare dipinta eppure non ha niente di carezzevole, perché ti si sbatte in faccia, sfrontata nella sua perfetta verità. Sono mura ruvide, polverose, segnate da tutta la storia che è intrappolata in questi mattoni. No, non è una scenografia teatrale … 

… Una scia di nuvole sfilettate s’impiglia al sole e spezza in due la campagna circostante. Il borgo la domina con la sua corte, i suoi stemmi, la sua aria di apparente semplicità. Per conoscerlo non ho bisogno di una guida che mi indichi i percorsi, mi basta seguire le ombre dei cipressi. Una, un’altra, un’altra ancora e mi portano al palazzotto centrale, sembra addormentato questo mucchietto di case, come le membra scomposte di un gigante, immoto e però vivo, forse bonario, almeno finché resta intrappolato in se stesso. Senza enfasi, senza clamore, senza rumore … 

… Ci avviamo alla macchina. Di San Gimignano porto via con me questo coccio che tengo sottobraccio. È una pentola di terracotta dalla forma ovale e serve per cucinare il fagiano. Perché l’ho comprata non lo so, neanche so come si macera un fagiano. Intanto però ho il coccio, ed è un inizio. San Gimignano è alle mie spalle ora, sempre più piccola. Lentamente l’auto esce dalle mura, mentre nelle mie orecchie riecheggiano ancora le note di un musicista che in solitudine, di fronte al duomo, stava suonando un magnifico rondò. E il suo violino diventa una melodia che suona solo per me … 

… La vetrina di un’agenzia immobiliare mi dice «entra» Stanno trattando la vendita di un borgo nei dintorni di Siena, restaurato e diviso in piccoli appartamenti. La titolare ci fa vedere le foto. «Da quanti metri quadri si parte?»  «Da settanta, signora» La cosa si fa interessante, devo soltanto riuscire a fermare il fiume di parole di questa donna, per arrivare al dunque. Approfitto dello squillo del telefono. «Potrei sapere anche il costo?» «Certo, se lo trovo. È la mia dipendente che se ne occupa, ora è in ferie, ma ci provo » e se ne va nella stanzetta attigua. Mentre lei cerca tra i cassetti, io aspetto con la stessa ansia di chi sta per ritirare i risultati del prelievo di sangue e teme che i valori della glicemia non gli permetteranno più di mangiare il tiramisù. La signora torna con una cartellina, la apre, estrae un foglio, fa dei conti sulla calcolatrice e mi dice: «Stiamo intorno ai settemila euro al metro quadro». Oh Dio, non potrò più mangiare dolci in vita mia! … 

… La solita sinfonia copre il rumore dei nostri passi sul brecciolato. Queste cicale, non stanno mai zitte», e non lo dico con ironia. «Veramente, signora, questo è il chiu chiu dell’assiolo», interviene uno dei tizi con la torcia. «Ah ecco, dicevo io, non potevano essere sempre e solo cicale!», e rido. E ancora rido quando m’infilo sotto le lenzuola. profumano di ammorbidente, ma quello che io sento è l’odore dei mughetti, delle pervinche e del biancospino. Mi addormento pensando che questo giorno è passato e non tornerà più. Cosa ha perso il mondo in questo giorno? Non lo so, so che io non ho perso nulla … “

 

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Estratti dal mio manoscritto “ Storie di rose “ di prossima pubblicazione 

 

“ … Ne sono certa, in Cornovaglia mi sentirei una rosa danzante. Mentre pensavo questo guardando una foto di un villaggio della Cornovaglia appunto, ho immaginato tante rose che ballano lungo quelle strette vie, alla luce della sola luna che si riflette sul mare mandando raggi incandescenti. Ombre danzanti anch’esse lungo le pareti bianche delle case, ingigantite dalla prospettiva, scomposte rispetto all’armonia del ballo vero. Rose senza tinta, uniformi nelle fattezze e nelle altezze, compatibili nelle movenze con ballerine celtiche. Una sfilata lenta, silenziosa, rispettosa del luogo, muove i suoi passi avvolti in se stessi da piccole torsioni, con steli distesi e foglie allargate a dare equilibrio. Una dietro l’altra, rosa dopo rosa, saltellanti tra i ciottoli umidi, corolle dopo corolle a spandere vivacità e profumi, effluvi di essenza che penetrano nelle case amalgamandosi a quelli delle tavole a quest’ora pronte per la zuppa di mare. Una buonanotte inedita che passa come una scia, evanescente e nebulosa. E il corteo giunge alla baia. Il faro si spegne per due minuti, il tempo di far oscurare anche la luna, e le rose danzanti, chiudendosi nel loro bocciolo come fossero in apnea, si avviano verso il mare. Le onde notturne le rapiscono nella loro schiuma ed esse si fanno portare in quel regno nascosto. Diverranno rose sirene. Al mattino lo stupore degli abitanti è grande, sulla spiaggia non c’è nessun pesce da raccogliere ma soltanto petali di rose, incolori e inodori, ma freschi e belli. E tutti a trascorrere la loro giornata a domandarsi cosa, la notte prima, sia accaduto nel loro villaggio senza che se ne fossero accorti, ma anche cosa farne di quei petali trovati in quello strano mattino. Potranno di tutto, dire di tutto, parlarne ancora per mesi, ma nessuno saprà mai che si è trattato di rose che hanno danzato prima di darsi al loro mare … 

… Nella confezione preparata per me, la commessa ci fece cadere anche qualche petalo della ormai rosa mia, la centifolia. Emozionata, uscii dalla porta sbagliata. Mi ritrovai in un salone vuoto il cui soffitto, scrostato dalle umidità degli anni, era ancora affrescato di fiori. Controllai che intorno a me non ci fossero occhi spioni, nessuno doveva vedermi, così mi distesi a terra per guardare quel soffitto e immaginare come potesse essere stato appena affrescato. Immaginai che fosse un grande prato senza erba, solo fiori, dei più bei colori. Al centro ci vidi un mazzetto di rose. 

 

Decisi che il pittore non avrebbe potuto dipingere altre rose se non le centifolie. Ad occhi chiusi tentai di inseguirne l’odore che era ancora sul mio polso e così rimasi, a terra ad annusare la mia rosa. Il suo profumo però si faceva sempre più intenso, talmente tanto che aprii gli occhi frastornata. Fu così che vidi. Un batuffolo di ovatta imbevuto di qualcosa era sotto il mio naso, lo reggeva una delle commesse. Mi aveva vista a terra e aveva creduto che fossi svenuta, così era corsa a soccorrermi insieme a tutto il gruppo turistico che sventolava fazzoletti sul mio volto per farmi rinvenire. Non me la sentii di dire la verità, così feci credere loro di avermi salvato la vita ! … 

… Mi sedetti sull’erba, era la fine del mio viaggio, di lì avrei preso l’autostrada per l’aereoporto di Parigi. Con lo sguardo umido di rimpianto salutai la meravigliosa Normandia. Chiusi gli occhi per tentare di rafforzare la mia memoria, volevo illudermi che così avrei ricordato tutto, anche gli odori acidi delle mele, quelli pungenti dei formaggi e quelli salati della marea. Quando li riaprii vidi quella piccola rosa, rustica nella sua forma un po’ insolita, ben lontana da quelle opulente che troneggiano nei giardini suntuosi di tutta Europa. La colsi, la volteggiai per l’aria come se volessi raccogliesse ogni molecola di quell’ossigeno normanno, e me la portai in borsa avvolta in un pugno di foglie che avevo strappato da un albero di mele calvados. Devo dire che la piccolina ha assolto sempre il suo compito, quando la riprendo tra quelle foglie secche che si polverizzano sempre più tra le mie mani, mi fa tornare in Normandia, ed io mi sazio di ricordi. Rivedo, risento, riascolto, riassaporo. E tutto grazie soltanto ad una piccola rosa normanna. Senza pedigree … 

… Rainer Maria Rilke desiderò che sulla sua tomba venisse scritta questa epigrafe: - Rosa, contraddizione pura, voglia di essere il sonno di nessuno sotto tante palpebre – Io ricordo un’altra epigrafe, di non so chi, che diceva : - Una rosa sola è tutte le rose, l’insostituibile. La perfetta – Indicava la sepoltura di una madre, indimenticabile per meritare tali parole di ricordo. Dovrebbe essere scritta su tutte le lapidi che custodiscono i resti delle madri, perché tale dovrebbe essere ogni madre. Perfetta, insostituibile. Purtroppo sappiamo che non è così, tante non lo sono. Anche la mia non lo è stata, come non lo è stato mio padre. Sono una cenerentola. Si, direi proprio di si. Nessuno però finora mi ha fatto calzare la scarpetta di cristallo, né l’attendo più. 

 

Ho lasciato questo sogno insieme al mio perdono, in terra entrambi, nessuno ha voluto raccoglierli. E allora calzo scarpette rivestite di velluto porpora quando voglio incoronarmi principessa senza regno, vincitrice sulle ferite del cuore. Su ogni sutura io immagino di  volteggiarci leggera. Tra i miei piedi danzanti, un bel mazzo di Diphylelia Grayi. Quando piove, i petali diventano trasparenti come cristalli … 

… E’ una notte di primo inverno/dal mio letto vedo le stelle illuminare le finestre delle case di fronte/paiono incendiate/tutto è fermo al sonno, la natura pure si prepara al suo letargo/dormienti oramai gli uccelli dell’estate festanti, lontani gli echi delle sere di caldo con vocii nelle piazze a cercar rinfresco/le stelle restano a guidare i mesi/illuminano i silenzi dell’anno che va/all’ultima strofa mi sono fermata/ho chiuso gli occhi e ho rincorso anch’io quell’intimo rumore dello schiudersi di rose/un crepitio al pari di caldarroste su brace/a segnare dell’Avvento l’inizio/E’ il tempo delle rose d’inverno … “


 

Estratti dal mio romanzo “ Libretto d’amore “ di prossima pubblicazione

 

“ … Sono lontana da te. Squilla il telefono, sei tu. Non ti do neanche il tempo di dire – ciao tesoro, dormivi ? – che già sospiro, e subito dopo tu. Avresti mai immaginato che quella estranea che passava davanti il tuo studio e tu ti precipitavi alla porta per trovarti in tempo per salutarla, ora quando è da te, si addormenta al tuo fianco con la mano sul tuo corpo stanco ? Avresti mai immaginato quello che il destino stava tramando a nostra insaputa, tessendo una tela così fitta, da farci cadere dentro intrappolati come due topolini ciechi ? Io mai, e credo neanche tu. Come è bello rimanere intrappolati in questa rete che lo stesso destino, giorno dopo giorno, tira sempre più in alto, facendoci rimanere sospesi. Si, è così che mi sento quando mi ami, non sento più la terra sotto di me ma sento di avvicinarmi sempre più al cielo. Ed è il mio respiro che piano piano torna regolare a riportarmi sulla terra dove mi addormento col pensiero di te, mio topolino cieco … 

… Il ragazzo con cui sono stata insieme dal quarto anno di liceo al primo anno d’università non mi aveva mai presa per mano, 

e io desideravo una passeggiata mano nella mano più di una decapottabile. Lui, senza saperlo, lo fa. Gli bacio la mano che tiene la mia. Quanto imbarazzo prima di arrivare da lui, quanti interrogativi. Ti ho pensato tanto gli dirò, ti ho sognato tanto gli dirò, aspettavo un verdetto gli dirò. Poi lo vidi e tutto svanì, i suoi occhi, quegli occhi che parlano più di mille parole, più di cento discorsi, più di dieci lettere, e il dubbio naufragò nella certezza. Poveri noi che ignoriamo quale sarà il nostro futuro, immensi noi che abbiamo visto la felicità che aleggiava sulle nostre teste, l’abbiamo riconosciuta e ci siamo stretti per farci avvolgere. Siamo uniti adesso, uniti da lei, e noi dobbiamo solo fare in modo che non traslochi perché senza accorgercene le potremmo preparare lo sfratto. Ma come ho passato il tempo prima di lui ? Ero impegnata a sopravvivere. Per quanti mesi mi sono lasciata trasportare dalla corrente del destino nemico, standomene ferma, accucciata negli angoli più nascosti della mia non esistenza per non disturbare nessuno, silenziosa, mesta, piccola e sbiadita per non farmi guardare da nessuno. Era il destino che si divertiva a prendermi in giro quando passavo davanti a lui e ancora non lo riconoscevo. Come il vento che solleva le foglie, le mescola in aria e poi le fa ricadere in un altro luogo, così io cercavo di mettere ordine in me, ma ogni tanto il vento mi sollevava in aria e scombinava di nuovo ogni cosa. Io non lo capivo ma in quello scompiglio c’era un ordine, l’ordine del fato che non combaciò con il mio fino a quando non fui in grado di vedere lui. Il soffio del destino mi ha fatta arrivare da te e ora i due ordini combaciano. Un giorno l’ho capito e la mia vita cambiò, il ghiaccio che c’era in me si scongelò al calore dell’amore che già si impossessava di me e cominciava a circolarmi nelle vene. Quell’amore mi abbracciò come un caldo piumone, sui miei capelli passeggiò come vento delicato, ci soffiò tiepido e fece rinascere questa piantina dai fiori avvizziti. E ora sono qui a godermelo quest’uomo che il già scritto ha fatto nascere per me. A cosa pensi, mi chiede stringendomi le spalle, a te e a quanto mi sento bene quando lo faccio, aveva ragione Moliere quando diceva che pensare a colui che si ama è un balsamo per l’anima. Si, diceva che il cuore umano è come una gomma, pochissimo basta a gonfiarlo. Ma diceva anche che ci vuole meno che tutto a spezzarlo. Lui mi stringe, è il suo commento. 

Non mollare la presa amore mio, non mollarla mai, sono una equilibrista sulla cordicella sottile della vita, basta uno spiffero e cado. E giù non c’è la rete di protezione … “


 

Estratti dal mio memoir, devo ancora attendere per poterlo pubblicare,

 ma arriverà quel tempo. Si intitolerà “ La mia vita, la prima “

 

“ … Sto per morire ? Se è così, lasciate aperto il balcone, voglio fare uscire tutte le grida che la vita mi ha soffocato. Ancora non riesco a uscire dalle sabbie mobili, quelle che mi hanno accolta appena mi hanno reciso il cordone ombelicale. Si, non c’era il solito scialle ricamato a mano, ma un secchio di sabbie mobili, è da allora che ci sono immersa fino al mento. Ho ancora due centimetri di aria però. Soltanto … 

… Penso che devo scrivere, si, ma con tanta sincerità e scrupolo d’informazione, senza usare filtri per rendere bello quello che non lo è stato, né tralasciando particolari che potrebbero alterare la verità. Solo così mi costringerò a ricordare ogni dettaglio, quindi a capire come, quando e perché la mia esistenza è diventata un lago stagnante e paludoso, e trarre poi le dovute conclusioni per riconciliarmi con la mia stessa vita, perdonando dove ci sarà necessità e dimenticando dove ce ne sarà convenienza. Scriverò per scavare dentro di me e far riemergere verità a lungo rimaste nascoste nelle più intime profondità, spogliando dell’inutile il mio vero io,  quello che forse  ancora non conosco. Non sarà uno scrivere per evadere, né per riuscire a dire finalmente quel qualcosa che non ho mai osato dire, né per piangere ad alta voce i miei dolori. Io scriverò per fare pulizie. Semplicemente. Come il sangue che si secca e si indurisce se qualcuno non lo pulisce con uno straccio e lo butta nell’immondizia, così il mio passato rischia di seccarsi e di indurirsi dentro di me, facendomi diventare una crosta secca come quelle che si formano sulle ferite che ti procuri da bambino quando cadi sull’asfalto. Scrivere della mia vita significherà che, con un atto di forza ho preso uno straccio, ho asciugato tutto il sangue non ancora indurito e l’ho buttato. Insieme allo straccio…

… Umanum diceva che tutti noi possiamo essere geni o eroi se solo siamo disposti ad affrontare le fatiche necessarie per diventarlo. 

 

Il fato ha deciso per me, sono stata costretta a puntare sull’eroismo. Ho tracciato intorno a me un perimetro immaginario per segnare una linea di confine tra l’affannosa ricerca della salvezza e la temibile follia della disperazione, con un ampio margine che lasciasse nel suo interno tutto lo spazio necessario per farmi vagare alla ricerca della costanza. La costanza di rimanere nella normalità. Quante volte ho sbattuto la testa contro quel tracciato, ma non l’ho mai abbattuto né mai ho tentato  di superarlo. Oltre, c’era il pericolo più insidioso. L’arresa. Anche nei momenti più duri ho continuato a vagare all’interno di questo confine, tornando subito indietro non appena arrivavo a toccarlo con le dita, scuotendomi ogni volta la fatica mi tentava di mollare per lasciarmi trasportare dai flutti voraci e impetuosi del non ritorno, schiaffeggiandomi quando sentivo venir meno le forze e desideravo cullarmi nel sonno dell’apatia. Ho trincerato questo spazio con del filo spinato affinché fosse impossibile oltrepassarlo. Lì dentro ho rincorso le mie impronte con un solo scopo : vincere ! In quest’area, nonostante fosse molto capiente, non c’era la presenza di alcun essere umano oltre me e mia figlia che doveva però al tempo stesso cercare il suo  muro del pianto al di là del mio. C’erano soltanto i miei passi, a volte piccoli e incerti, altre lunghi e sostenuti, e la mia voce come compagna di viaggio che instancabile mi ripeteva – ce la farai, ancora una volta – E’ la vocina di sempre, quella che mi ripete ciclicamente le stesse parole che cominciai a pronunciare a soli undici anni, quando ancora non potevo sapere quanto la vita fosse poco disposta ad ascoltare appelli. Poi, un bel giorno, quando quel confine ha iniziato a non tentarmi più, quando i miei passi si sono fermati a osservare la debolezza che strisciava via a capo chino e quando il mio cuore ha ritrovato il suo ritmo normale,  mi sono fermata al centro del mio recinto e ho ripreso fiato. Con la sola forza delle mie mani ho scaraventato in terra il confine e alla vista di uno spazio libero, pianeggiante e immenso che mi stava aspettando, ho allargato le braccia e ho urlato alla vita. Correndo verso non so cosa mi sono sentita viva, pronta di nuovo a sperare. Pronta a esserci … 

… Dallo spigolo più remoto della mia esistenza, dove mi ero confinata per infilare le gocce dei miei dolori, ora sono arrivata alla chiusura. Ho sganciato questa collana, l’ho staccata dal mio collo, l’ho riagganciata e l’ho lasciata nel mio vecchio anfratto. Ora è soltanto la testimone della mia vecchia vita, la prima. Ho chiuso la porta e la vecchia Annamaria è scomparsa, la nuova sta già correndo, c’è la nuova vita che l’aspetta. Come sarà ? Ho tutto il tempo per scoprirlo, intanto assaporo la felicità. Si, ora sono felice, perché ho già dimenticato cos’è il dolore … “

 

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A dicembre 2020 io e mia figlia festeggiamo il primo anno di attività della nostra associazione culturale Le Silenziose. La pagina facebook che ne pubblicizza i lavori ha superato i mille like, e il sito de Le Silenziose è stato visualizzato da oltre 5.000 persone. Donne di vario genere e attività si sono unite a noi, hanno aderito al nostro pensiero, quello che è scritto a inizio pagina, tra il logo e il dipinto:

“ Vorrei creare qualcosa che unisca donne di valore che, oltre a possedere talento, siano anche donne che traboccano di dignità vivendo nel silenzio della riservatezza “

Attraverso i suoi diari abbiamo ricordato la storia di Samira Alkalil che si batteva per la pace in Siria. Sequestrata e fatta prigioniera, da anni non si sa più nulla di lei, ma altre donne coraggiose portano avanti la sua eredità; abbiamo reso un omaggio a Virginia Woolf scrivendo un racconto breve ispirato alla sua famosa – Una stanza tutta per sé – ; abbiamo ottenuto e pubblicato una intervista con la scrittrice Rita Charbonnier per discutere insieme del suo famoso libro – La sorella di Mozart – venduto in tutto il mondo, dove si parla di questo talento femminile schiacciato e oscurato dal padre che desiderava far conoscere soltanto quello del figlio maschio Wolfang; abbiamo pubblicato alcune delle mie tante recensioni letterarie per tentare di far rimanere viva la letteratura, del passato e di oggi; abbiamo pubblicato alcune delle mie tante poesie per ricordare a tutti quanto affascinante sia l’arte poetica; abbiamo presentato la carriera di una orchestra filarmonica, la OFB, composta da giovani talenti, attraverso le parole delle donne musiciste tra cui una arpista, uno strumento che sembrava destinato all’estinzione e invece non lo è, artisti che ormai fanno concerti diretti dai più grandi direttori d’orchestra del momento; abbiamo fatto una consistente ricerca su donne di varie epoche che, pur avendo talento, sono stata ostacolate, accantonate, dimenticate, dando loro una nostra visibilità raccontandone la storia; abbiamo creato un filmato in cui una giovane bibliotecaria racconta e mostra come si gestisce ora una biblioteca 

e si mantiene l’amore per il libro antico da tutelare prima ancora di conservarlo. Chiuderemo entro la fine di questo 2020 con il racconto della meravigliosa storia di Carlotta Nobile, giovane violinista di grande talento, stroncata da un tumore a soli 25 anni. Il suo percorso di affidamento, le sue straordinarie parole di accettazione di finire questa vita per continuarne un’altra, l’amore che ha prodigato ai suoi cari per lasciare loro il suo sorriso beato, le opere che in suo nome sorgono senza sosta, i suoi diari affidati al suo padre spirituale, l’hanno portata alla ormai vicina proclamazione di – Testimone di fede –

E le nostre Silenziose inizieranno l’anno nuovo con un lavoro inaspettato, richiestoci dal Ministero: nell’ambito delle celebrazioni dell’anno di Dante, dobbiamo scrivere e proporre a modo nostro le figure femminili nella Divina Commedia di Dante per farne un libro che porterà il nostro logo, quello de Le Silenziose, definita ufficialmente dal Ministero “ Una Associazione Culturale “

 

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