Titolo dell’opera
“Direzione approdo”
“Direzione approdo” nasce da un agiato riposo, nell’attesa del risveglio.
Mi chiamo Antonella Malosto. Rincorro e raccolgo le parole da sempre. Sono nata e vivo in un piccolo centro dell’entroterra veronese dove di notte cantano i grilli e al risveglio ti saluta la terra. Qui diari, quaderni, blocchi notes, album e ogni sorta di ritaglio, si sono riempiti con me di emozioni, dialoghi, fantasie, storie, ricordi che ho messo a riposare nei loro spazi. Ora stanno lentamente rianimandosi per intraprendere un nuovo viaggio.
NOTE STANCHE
Passi sopra i passi.
Equidistanti, intrisi di rumori noti.
Di passati troppo pieni e troppo stanchi.
Non voglio più finti riverberi.
Riflessi intonacati, luci scandagliate.
Desidero notti lontane,
sogni narranti l’inverosimile.
Risvegli imbottiti di leggerezza
momenti ubriachi di parole,
candide note ai rintocchi delle ore.
Echi lontani invitanti.
Nuvole trasparenti che trapassano.
La testa leggera in un turbinio di dolci mete
e il giorno dopo
ancora
e ancora
e ancora tutto
di tutto questo.
SUSSURRI DIPINTI
Restare sospesa a volare.
Un nuovo bisogno?
Lo lascio nel sogno.
Era la terra che ho solcato nei giorni di pioggia.
Era l’acqua che mi ha condotto alla foce.
Era la brezza che mi ha liberato il viso.
Era la valigia pesante che mi ha accompagnato.
Era l’attesa che ho continuato ad aspettare.
Era la gente che sfilava nella passerella.
Era la mano che ho stretto piangendo.
Era la vita che non ho riconosciuto.
Era dipinta.
NELLA FUCINA
La finestra aperta fa entrare una debole luce.
Sperare di far uscire quell’odore pesante
in cui tutto affonda.
È un desiderio irrequieto.
Le mani inguaiate
a sterminare quel malcapitato pollo.
La testa china,
concentrata in gesti rituali.
La fronte gocciolante,
il calore eccessivo.
Il camino sempre accesso.
Attende il bollore della pentola.
Le interiora soccombono ai piedi del tavolo,
sul cemento sguarnito.
La testa mozzata,
piume ovunque.
Il gatto ha intuito, non molla la postazione.
Il cane abbaia oltre la porta.
Vede tutto e pregusta dal vetro.
Giorno di festa.
CAMMINARE
Ti porta ovunque,
negli innumerevoli solchi quotidiani.
Ricco di un potere inebriante,
suona ogni volta che un passo è tracciato.
Ormai è stato ma
il secondo lo attende paziente.
È sopra, non cancella il precedente
evidenza di vita,
gesto naturale.
Accompagna infinite azioni
e nella scansione di ciò che termina
si identifica il suo valore.
Decide le mete sorreggendo
e tendendo la mano verso la nuova.
Mentre la parte è un’altra
L’oltre l’ha colto, il passo oltrepassato.
Camminare porta sempre lontano
ACQUA E MOTO
Avviluppati e avvinghiati
si srotolano dalla diga.
La cascata li trascina forzatamente
e quei grovigli di bolle
diventano temerarie onde.
All’inizio è un trepidare incessante.
Tra la quantità incalcolabile di acqua,
che fuoriesce velocemente,
è un fragore buono che non la danneggia.
La inventa e mescolandola fa apparire
i cristalli trasparenti,
Evanescenti, in un attimo hanno trovato vita in
nuove trasformazioni.
Come tante affascinanti stalattiti e stalagmiti
ora finiscono a costellare il fondo.
L’impeto assale e porta via in quel botto
anche i pensieri.
L’aria delicata saluta facendo un inchino
e rimandando a ieri.
Non rimarrà un saluto lontano.
Il suo moto è incessante.
Tornerà anche domani.
UN PONTE
Giudice saggio di tanto trascorrere.
Unisce le distanze,
trasformandosi in meta di partenze e arrivi.
Connubio tra aspettativa e realtà.
E’ li’ che si infrangono o si edificano i percorsi.
Oltrepassato da incalcolabili passi,
Si congiungono o disgiungono parentesi.
Racconti avvolti dalla breccia,
Tomi di speranze colmate o attese avanzate.
Porta d’ingresso ma non sempre di uscita.
UN CERCHIO MAGICO
Le osservo,
una difronte all’altra.
I capelli si scompigliano
e si liberano come onde
al dondolio dell’altalena.
I sorrisi si fermano sui loro visi.
Le parole trovano
il significato per cui sono state create.
La breccia parla ai loro corpi
ma non le distrae,
non distolgono quel loro sguardo complice.
Ora tutto è qua,
è così semplice capirsi!
UN VECCHIO RIFLETTORE
Il canto all’unisono delle cicale infastidisce.
Il rumore delle auto è coperto.
Il passaggio dei camion si sente a fatica.
Un andirivieni monotono
appiattisce e rende ininfluenti i ricordi
Stipati nella valigia.
Molto altro è ammassato nei cassetti,
da tempo sono sigillati.
Un canto senza pause.
Ora si è fatto strada un eco in lontananza,
vite non curanti della loro collocazione.
Rintocchi di campane che suonano ancora.
Armonia di un tempo che fa
capolino su se stesso.
E l’oggi è già domani.
BALLO
Le gambe si incrociano,
i piedi calzano il tempo.
Il ritmo li segue,
ondeggia nel palco.
Un’aria vivace.
Anche oggi saliremo.
Il partener è deciso
Solerte si prepara
La folla è pronta
Nell’aria scalpitano gli applausi.
Si collochino i protagonisti!
Uno difronte all’altro,
Inizino le danze!
Cavalli, zebre, scimmie, elefanti.
Il momento è vostro.
Lasciate le maschere!
La danza è divina,
non portiamo bagagli oltremisura.
L’apparenza ha già ingannato.
Ora tracciamo un altro capitolo.
Nulla incombe se non capito.
La danza riprende,
si può indossare un altro vestito.
ONDE
Nello scricchiolio impertinente,
un pensiero insinua la mente.
Traballa nella notte
dopo un giorno senza note
Accende ricordi lontani,
abbandonati in viaggi arcani.
Scelte imbizzarrite
da età ammattite.
Momenti colorati
di visi incorniciati.
Reti lanciate
a ridosso di vite liberate.
Come artefatto
da un segreto da cui sei attratto.
Riecheggiano di un fascino nuovo
li rivisito, mi commuovo.
Il giorno è alle porte.
Saluto l’incontro con la sorte
inchinandomi con rispetto
al suo cospetto.
EREDITA’ PESANTE
Negli androni l’aria è soffocata dalla muffa,
il riverbero della luce ammutolisce il ritmo dei passi.
I quadri alle pareti radunano paesaggi inesistenti.
Gli echi lontani dei passanti brindano ad un tempo nuovo,
opere d’arte massacrate da un valore
che nessuno trova.
Una strana panchina che invita a guardare, non a sedersi.
Il percorso è lungo e distanziato,
le transenne avvertono chi è nell’errore.
Qualche eco stridulo azzarda lo scenario,
tendaggi ammattiti da un peso
che non riescono più a sollevare,
colori inebriati di ombre.
Anche le didascalie sono offuscate,
altre vite riportate in vita.
Come attori di uno scenario senza tempo.
Un museo delle cere che indossa i nuovi abiti
di scena per iniziare a recitare.
Ammutoliti non guardiamo
ascoltiamo ma nulla si ferma.
Quel tempo giace in un
passato che l’ha seppellito
Lontano da noi.
L’ombra
Perché mi rincorri?
Perché mi affianchi?
Ed entri in me.
Rovisti tra le mie cose, scandagli il mio passato
e lo fai a brandelli.
Ti avevo imbavagliato in quell’ angolo
ma sei riuscita a scappare.
Avevo comprato tempo per te
ma me l’hai rubato.
Ora non ho più nulla.
Ti sei presa anche la mia anima.
Attesa di primavera
Quel passero indeciso,
quella farfalla incredula,
quel narciso ancora proteso verso la terra,
quella foglia tremula che si mostra al vento,
quel luccichio del filo d’erba,
quella terra adorna di uno splendore sottile,
quel librare di emozioni indefinite,
la musica del giorno che avanza,
il potente peso dei pensieri che emergono,
ecco quello spettacolo argentato mi avrebbe fatto guarire.
Dove sei?
Quegli accenti imperscrutabili,
lo sguardo lontano.
Ti guardo
ma non ti vedo.
Sei cambiato.
Annodato chissà in quale fondale.
Sto in silenzio,
ho paura di sbrigliare quel nodo,
temo di perderti ancora.
Di farti più male.
Non sposto le carte,
ti lascio vagare,
passo la mano ,
ti sorrido.
Io ci sono,
cammino al tuo fianco,
ti sostengo
ma tu dove sei?
Non ti preoccupare
nè oggi né domani
io sposterò il mio sguardo da te.
Oltre
Ho raccolto la pioggia
per ricordare alle tue lacrime
che erano già uscite.
Per fermare quel pianto
che il mondo non ascoltava.
Quella corsa che affannosamente rincorrevi.
Non hai più motivo di tendere la mano
Sei arrivata.
Avvolti
Come vorrei essere dentro
a quella prodigiosa mente
sentire i suoi pensieri avvolgermi
danzare con loro
abbracciarli e trasfonderli in me
Come mi compenetrassero.
Non per rubarli ma per ammantarmi
della loro brillantezza.
Portare ovunque un tale calore, onore, odore.
Che prodigio infinito, una conoscenza senza fine.
Il dominio dell’inchiostro
Quante volte ho scandagliato
quelle pagine.
Ho immaginato di essere in quella mente,
tempo di quel tempo.
Intingere il pennino nell’inchiostro del calamaio
e ammantare d’infinito quelle parole.
Un gesto faticoso, pensato
che non andava sprecato.
Un tratto misurato, calcolato.
Le parole nel loro mostrarsi intrise del sudore
del loro autore.
Appoggiata a quella scrivania, mi vedo.
Abbarbicata al tronco più alto per scorgere
il luogo dove
il mondo è stato dimenticato.
Quante volte ho ringraziato quelle parole,
per avermi fatto entrare in loro.
Alla fine alzava la pagina per osservarla e mentre
affondava in quella trasparenza, compiacendosi,
con un sospiro di tenera ammirazione
donava all’eternità la sua fatica.
Perché?
Mi ritrovo a buttare in giardino
quelle stesse briciole di pane
che ogni giorno lui
gettava
agli uccelli di passaggio.
Un breve ristoro.
Riti.
Riti marchiati nell’anima.
Riti per legarsi ad una vita
che forzatamente ti chiama
ad assistere ogni giorno.
E trascinandosi,
con un sorriso lontano,
chiedeva a Dio
“Perché?”
Attendendoci
Ora non ho tempo
per quel tuo io
che ha deciso di lasciarmi da parte.
A lungo ho continuato ad ingannarmi,
ho creduto ad un infinito di speranze.
Al tempo per crederci,
al tempo per sbagliare,
al tempo per cambiare,
al tempo per ricominciare.
Ma se io ricomincio,
dove possiamo incontrarci
se tu non ricominci?
Un tempo nuovo
Camminiamo dentro le nostre mura,
dividendoci tra gli intrighi di ogni giorno
e le attese.
Quelle che abbiamo lasciato immobili negli angoli.
Ci guardiamo e finalmente quell’attimo che ieri ci era stato rubato
Oggi ci permette di vederci.
Non siamo proprio così
Ma non importa,
quell’oltre è dato conoscere solo a noi stessi.
Cerchiamo di aggrapparci a quello che di buono
Questa obbligata realtà ci sta donando.
Quel mondo che bussava con veemenza
Ora attende le nostre scelte.
E’ mio, è tuo ,è nostro
Ma lo dovremo salvare tutti insieme.
Domani saremo cambiati.
Le zolle
Quelle zolle riverse,
quante fatiche hanno imprigionato,
quanta sofferenza hanno serbato,
quanto sole hanno atteso,
quanto sudore hanno raccolto,
quanta ombra hanno donato,
quanto vento hanno accolto,
quanti passi hanno trascinato.
Ora stremate e inaridite raccontano le speranze
in cui hanno creduto.
Mostrano i solchi delle storie vere,
quelle inimmaginabili che hanno vissuto
perché nulla deve andare perduto.