Antonina Catalano

Poesie e Racconti


Umanità smarrita

Corpi precipitati in fosse,
corpi oltraggiati, immobili, esangui,
corpi dilaniati e accartocciati,
avvinghiati, sepolti sotto palate di terra.
Corpi senza il calore delle lacrime
e di ultimi pietosi abbracci d’amore.
Vite senza un futuro, sogni infranti sul nascere.
Guardo una foglia bramosa di volare
che si concede ad un alito di vento,
ondeggia e plana dolcemente,
ma una folata la percuote
e si accascia sconfitta al suolo,
che l’accoglie aprendosi
come una ferita sul selciato.
Immagino un bimbo innocente,
affamato di vita,
costretto ad arrendersi alla ferocia di “uomini”,
artefici immondi della sua infanzia rubata.
Il desiderio di pace confligge
col cinismo e la crudeltà di molti.
L’oblio di uno scellerato passato
assolve la loro spietata ferocia.
Rimane solo un triste,
sommesso e angosciato rantolo:
è questa l’umanità?

 


 

Amicizia

Il coro degli amici
è un assordante fiume
che si riversa addosso,
penetra nelle fibre più profonde
e riempie copiosamente
il cuore di affetto.
La solitudine dell’evento
si circonda così di energie
che placano l’ansia delle attese,
dissolvono la nebbia dei ricordi
e allontanano la cortina di polvere
posatasi invadente su dolori ora rimossi.

 


 

Il viaggio della vita

Vorrei arrestare il tempo,
concedermi istanti mai vissuti!
Rivedo il mio passato
che non è più:
inerpicata fra le siepi arroccate,
alle pendici del colle
e sotto un sole accecante,
percorro faticosamente
il mio sentiero di vita
cercando invano di rannicchiarmi,
feto nel grembo materno,
nel guscio degli affetti più cari.
Carezze di fuoco, nel ricordo,
tornano a scaldare
un cuore ormai consunto,
il corpo ritrova il suo antico vigore
e il rimpianto diventa strumento di forza
che accompagna l’ultimo scorcio di vita.

 


 

Muta attesa

Un fiume che scorre lentamente nel suo letto,
il sordo rumore di un’onda che si infrange
in una nuda roccia del litorale,
lo scosciare intenso di acqua piovana sui tetti,
un orologio a pendolo che batte la sua ora
e io, col capo tra le mani,
che aspetto te.

 


 

Coscienza di sé

Camminava lungo il pontile e respirava a pieni polmoni l’aria fresca del mattino; cercava di respingere i pensieri che si accavallavano caparbiamente nella sua mente, ospiti indesiderati e invadenti.

Guardava il movimento delle onde del mare che avanzavano prepotentemente per poi disperdersi sulla battigia e ascoltava il crescente sciabordio che creava un suono ritmato con i suoi passi sull’asfalto.

Cominciava a sentire freddo ma il solo pensiero di rientrare in casa, sola, nel silenzio denso di ricordi e di rimpianti, la induceva a continuare il suo cammino senza meta.

Si accendevano le prime luci nelle case, alcune finestre si aprivano all’arrivo del nuovo giorno, qualche passante percorreva la via principale della città che, da deserta, iniziava ad assumere lentamente la sua sembianza giornaliera.

Si era solo in parte pentita per quel che aveva detto e per le accuse che aveva lanciato ma notava con sorpresa che lo sfogo era stato liberatorio: finalmente era riuscita ad esprimere, senza alcuna riserva o scrupolo, il proprio pensiero. Quella sensazione di compiacimento che ne era scaturita la sorprendeva positivamente e promise a se stessa che, per il futuro, avrebbe fatto tesoro dell’esperienza appena vissuta.

Gli anni le erano scivolati addosso, li aveva vissuti nella loro interezza senza fermarsi mai a riflettere, a fare il punto della situazione, a “tirare le somme” come si usa dire. E ora aveva iniziato a rallentare la sua corsa anche perché il tempo, nel suo viaggio impietoso, lascia inesorabilmente un’impronta nel nostro fisico, smorzandone l’antica vitalità.

E’ questo il momento in cui ci si accorge del tempo trascorso e di come purtroppo non ci si sia soffermati a cogliere e a far proprio ogni istante; quando lo spazio temporale che rimane teoricamente da vivere si accorcia irrimediabilmente, quando il numero degli amici di sempre si assottiglia per il venir meno di qualche coetaneo, quando i propri figli iniziano a lasciare il “nido”, quando la casa appare più silenziosa, allora ecco che ci si imbatte in noi stessi ed è come se ci si vedesse per la prima volta.

Cominciò a guardarsi, ma con occhi diversi dal solito e subito notò qualche ruga in più, un collo non più giovane e sodo e una espressione degli occhi più stanca e quasi spenta. Continuò ad analizzarsi e rimase colpita dal fatto che quello sguardo quasi estraneo le appariva a tratti più intenso e profondo, in assoluta sintonia con il suo attuale mondo interiore, così come si era stratificato nel tempo, impalpabile ma consistente allo stesso tempo. Sentì una profonda tenerezza per quella figura che le si stagliava davanti e che le veniva restituita fedelmente da uno specchio solidale.

“Quante ne abbiamo passate insieme – pensò – quante emozioni, quante lacrime di gioia e di dolore, quanta vita! E tu sempre lì con me! E quanto ti ho trascurato anteponendoti la famiglia, il lavoro, le esigenze degli altri. E le tue? Per me esistevi solo in funzione del lavoro che dovevo portare avanti o degli obiettivi che dovevo raggiungere. Ma non ti guardavo veramente, ti guardavo e non ti vedevo! A volte mi parlavi come solo tu sai fare ma non ti ascoltavo, incurante della tua fatica, delle emozioni ferite e dei tuoi limiti umani. Come ho potuto farti ciò? Come ho potuto trascurare me stessa, l’unica persona che mai mi priverà della sua presenza?”

Il sole iniziava la sua ascesa nel cielo e tutto le appariva luce e calore; si sentiva abbracciata e riscaldata dai suoi ancor timidi raggi; si, il sole abbracciava proprio lei, il sole si era accorto di lei e lei finalmente si era scoperta: non era più una presenza opaca, appendice degli altri, esisteva nella sua interezza esteriore e interiore, con le sue esigenze, con i suoi pensieri e con i suoi desideri.

Non le restava che porgere l’orecchio e finalmente cominciare ad ascoltare tutto quello splendido brusio vitale che abitava in lei!