Amare è …
Amare è provare
sentimenti arcani
che ti vibrano dentro
ma non trovi le parole per renderli eterni
e fuggono nella durata di un attimo.
Quando ti accorgi di averli vissuti,
essi appartengono già al passato,
come le stelle che continui a vedere,
ma non esistono più.
Guardando il Crocifisso
Tu, dall’alto della croce,
mi chiedi di perdonare.
Tu lo hai fatto…..
Nelle mie innate fragilità,
mi meraviglio di tanta bontà.
Pur tuttavia,
mi brucia una feroce tentazione
di considerarti uno sconfitto,
un folle che ha speso invano la sua vita,
per tanti che non lo amano
o lo fanno in modo inadeguato.
Guardandoti,
le tue ferite ….
il tuo sangue …..
mi segnano profondamente
ed aprono il mio cuore al dolore
che non riesce a liberarsi
dai lacci delle quotidiane vacuità.
La città
Solchi di asfalto fumante,
ovunque sgommate di violenza,
rimango sempre in attesa di un amico
che non trovo.
Attraversa il marciapiede una dolce fanciulla,
mi proibisco di guardarla,
per evitare che si spaventi.
Dal lato opposto della strada,
una vetrina va in frantumi;
giro l’angolo e non vedo.
Ognuno rimane solo,
in questo deserto di formiche.
La fatica di vivere
Mi vergogno quando piango
La dipartita del mio vicino
e, commosso, verso lacrime finte;
quando, incurante,
allevio il disagio di un bisognoso;
quando disprezzo il potere
che non ho mai avuto.
Mi vergogno,
quando invoco
i valori del mio passato,
ma non riesco a regalare
neppure i ritagli del mio tempo
a chi me ne chiede,
senza lauto compenso.
E, intanto, la noia mi divora,
solo, sulla sedia di un bar,
senza clienti.
Mi vergogno,
quando, elargendo sorrisi,
mi vesto di umiltà
e, in segreto, semino spine;
quando prego
e invoco un Dio che non vivo.
Mi vergogno,
quando pretendo obbedienza
da un figlio che non conosco,
perché mai l’ho ascoltato;
quando, al grido di un disperato
volto l’angolo per non sentire
e, lesto, vado in chiesa a pregare;
quando mi fingo povero
e guardo avanti,
per non sentire chi bussa alla mia porta.
Mi vergogno,
quando all’odio e alla violenza,
mi indigno e produco sospiri
e, comodo, dormo sul mio sofà;
quando schivo la lode
ed amo il primo posto.
Io piango, perché cerco, in me,
frammenti vivi di umanità,
tracce indelebili di coerenza
che faccio fatica a costruire.
Sentimenti surreali
Ho cavalcato mille illusioni;
ho inseguito sogni,
spesso fragili,
sfumati quasi tutti nel nulla,
rendendomi triste e sempre più ostinato.
Ora, rassegnato,
mi accontento di sentire scorrere,
dolce,
le acque docili di un fiume,
il trambusto svolazzare degli uccelli
che, in amore, si rincorrono
mentre preparano il nido,
in alto, sulla quercia antica.
Come un fanciullo, mi emozionano
gli amplessi docili del vento
che mi fanno ricordare quelli della mamma
e le carezze della prima dolce fanciulla
che rivedo in tutte le sue evanescenze.
Richiami travolgenti,
arrivano da lontano,
da un arcano e misterioso
mondo inattuale:
rivivo, nelle piccole cose,
il mio imprescindibile bisogno di eternità,
pur essendo solo un grano di sabbia
soggiogato tra le dune della vita.
Dalla Cronaca
Movimenti concitati
di un corpo avvinghiato.
Le dita schiacciano
i bottoni di una macchina
che divora gli ultimi risparmi,
per tentare la fortuna.
Il cuore e la mente diventano
icone in movimento.
Fuori, dalla porta,
tra lamiere di fuoco,
si strozza una tenera vita,
vittima dalla demenza.
Intanto, intorno, viaggiano
volti ingessati,
vuoti di pensieri,
con sguardi assenti,
che si perdono nel nulla.
Concitata, la madre esce
da un bar ove si consuma il tempo
tra chiacchiere indistinte
e musiche di contorno.
Sulla strada,
Le persone trovano il tempo,
che sorpresa!……….
per pronunciare sentenze,
saziandosi di vacuità.
Nell’universale ludibrio,
la donna stringe il corpo
della figlia persa per sempre.
Il dolore l’accompagnerà
in un oceano di solitudine,
divorata dalla coscienza.
Due vite scompaiono
fra le chiacchiere e l’indifferenza.
Una voce straziata
Una voce straziata..
frantumi di vetri
nel cuore di una notte afosa.
E’ silenzio intorno,
un deserto di poche ombre viaggianti.
Un’esile figura di donna,
avanza lentamente,
si muove incerta e dolorante
sanguinanti le ginocchia,
poggia sul volto
le mani costrette all’impotenza.
Mostra, senza alcuna vergogna,
le forme straziate della sua intimità.
Tremante,
assenti gli occhi,
malati i lampioni della strada,
ella fugge, come può,
le strade dell’indifferenza,
macchiate di sangue e di solitudine.
Sulle pendici dell’Etna (Ottobre 2017)
Procedo lento, per la gravezza del corpo,
affaticato dallo scorrere inesorabile del tempo,
lasciando le mie indistinte impronte
sulla nera sabbia pulverulenta di un tracciato sterrato.
Sono in cima, tra nuovi crateri e fumarole di zolfo;
faccio fatica a respirare
ma non desisto di ammirare, a valle,
lunghi fiumi di lava pietrificata, nell’odissea dei tempi.
Stupisco per la forza eruttiva
della montagna che gli antichi volevano divina.
Mi vien da pensare:
Noi che pretendiamo di aggiogare la natura!
Una catena di curiosi raggiunge la cima;
sembrano formiche variopinte
che immortalano, con selfie,
attimi che vorrebbero eterni,
in uno scenario di grigio fumo
ove solo si distinguono capriole di vapori.
Ad un tratto, mi attrae il cielo limpido;
gli orizzonti sfumati;
sogno la vaghezza dell’aldilà
ed assaporo attimi di libertà, oltre ogni limite.
Finisce l’incanto.
E, in lontananza,
scopro la tranquillità di un tratto di mare,
un tempo, turbato da Scilla e Cariddi.
Allora, nella mia mente, si affollano i miti
che mi porto dietro dalla giovinezza.
Solitudine
Nella solitudine,
ciascuno si aggrappa
ad un mezzo sorriso,
nato per caso,
che resta vivo nella memoria.
Cimitero blu ( naufragio di Lampedusa 23 Ottobre 2013)
In un angolo silenzioso di blu,
lontani dal sole,
ove tranquilli volteggiano i pesci,
vi si adagiano corpi
che hanno inseguito disperati un sogno.
Qualcuno si aggrappa al nulla,
con i denti digrignati
e gli occhi fulminati dalla disperazione.
Altri baciano la sabbia
e vi si aggrappano come ultimo approdo.
Una mano trattiene la sua dolce fanciulla;
un bambino irrigidito
giace sul seno materno,
cullato dalle correnti del mare.
Due giovani dormono,
in un amplesso di eterno legame.
Vi rimane stampato sul volto
la magia di un attimo.
Altri, in un silenzio spettrale,
giacciono ammassati nel cimitero blu,
ove, mosso dall’acqua,
scende volteggiando,
in fasce,
a testa in giù,
un bambino,
figlio di nessuno,
strozzatosi, mentre gridava: Mamma!…..Mamma!….
Dietro la mia vecchia finestra
Mi penetravano gli ultimi raggi di luce,
mentre il sole salutava il giorno,
dietro accese vampate di porpora
oltre le confuse cime dei monti.
Docile, mi accarezzava
una delicata e profumata folata di vento;
ne godevo,
quasi la carezza di una tenera fanciulla
quando ti scioglie l’animo alla dolcezza.
Mi incantavo, estasiato,
come un adolescente confuso,
al suo primo incontro,
e godevo, ammirato,
il volgere leggero e vorticoso di particelle
che mi arrivavano da fonte imprecisa:
capriole indecifrabili
su cui si riflettevano tenui,
moribondi, gli ultimi raggi di luce .
Esse volteggiavano senza confini,
svanendo nell’infinito universo che ci sovrasta.
Pago,
mi abbandonavo alla quiete della vallata
mentre si addormentava sotto un’intensa coltre di stelle
e le lucciole schizzavano piccole e informe scintille
nell’oscurità , sul far della sera,
accompagnata da un gradito concerto di grilli.
Ero solo, dietro la mia vecchia finestra,
che mi vide crescere,
in una travagliata altalena di sogni e delusioni.
“Uomo del mio Tempo”
Uomo del mio tempo,
tu hai ancora bisogno di luce
per capire che non c’è figlio
che non sia tuo figlio;
per capire che non c’è guerra
che non debba lacerarti il cuore;
non c’è creatura
che non meriti di crescere in verdi prati
dipinti di tenere e umili margherite
trastullate dal docile fluire delle acque
di un ruscello che non venga mai da alcuni strozzato,
mentre gli uccelli , in alto, svolazzando,
si incrociano in mille capriole d’amore.
Uomo del mio tempo,
tu hai ancora bisogno di luce,
per capire che non c’è potere che duri per sempre;
non c’è ricchezza che possa gratificarti;
non c’è violenza che possa saziarti,
non c’è bambino
che non abbia il diritto ad una carezza,
senza obbligarlo al fucile,
ignaro di avere un bambino come bersaglio;
non c’è pianta o animale
che non meriti premure.
Uomo del mio tempo,
nonostante la tua scienza esatta,
tu hai ancora bisogno di luce
per capire quanto sia necessario
sciogliersi ad infiniti atti d’amore,
perché il cuore abbia la forza di sognare
e, inebriato,
possa riempire di gesti creativi il foglio vuoto
del nostro faticoso viaggiare
sul tortuoso sentiero della vita, altrimenti senza orizzonti.
Esodo (Fuga dalla Basilicata )
Vanno via,
in punta di piede,
i figli di una terra che fu chiamata Lucania;
sentono di essere stati traditi;
umili,
sognano un approdo in cui piantare
l’albero della speranza,
i figli di una civiltà antica,
abituata alla rassegnazione e alle lacrime.
Temo,
rimarranno incustodite le fiumare,
gli orti sottratti ai galantuomini
e i boschi sempre più spogli
li vivo già devastati dai fumi acidi
di nero e denso petrolio.
Negli antichi santuari,
sempre meno si canteranno giaculatorie;
sempre meno vagiti
alimenteranno premure di mamme
mentre, inesorabilmente, le ninnananne si faranno più rare.
Cresce il silenzio nei suggestivi vicoli
dei borghi antichi,
la cui storia aspetta invano di essere raccontata.
Vanno via,
stanchi di tendere la mano,
perché si è spento in loro il sussulto della speranza.
Vanno via,
e l’odissea di tanti eroici “cafoni”
cadrà, lentamente, nell’oblio,
perché a nessuno interessa che si racconti.
Vanno via
e le lapide rischiano di rimanere disadorne,
perché incustodite e devastate dalla furia del tempo.
Anziani
Nei nostri paesi, quasi deserti,
vi circolano anziani.
Essi si muovono
come incerti fantasmi,
mentre si struggono nei loro ricordi,
pesanti come pietre,
in cerca di un mezzo sorriso
o di un labile consenso
che, illusorio, rimane stampato
nella loro memoria.
Le loro riflessioni di ghiaccio
cadono nel vuoto,
come frammenti di calce
soffiati dal vento,
poi destinati a macerarsi in un angolo di muro.
Allo studente
So di non poterti insegnare nulla,
ma solo invitarti a scoprire
quanto giace nascosto dentro di te.
Non pretendo di indurti alla saggezza;
solo trasmetterti la fiducia
che nutro nelle tue possibilità;
la certezza che il mondo ha bisogno di te,
purché accetti di guadare il fiume della vita.
Per questo, non posso che offrirti la mano,
tentare di smuoverti, perché ti apra al futuro,
senza, però, condizionarti
ma solo vorrei orientare la tua naturale esuberanza.
Non voglio importi le mie nozioni,
ma condurti sulla soglia della coscienza,
perché tu possa diventare saldo nocchiere fra tempeste,
senza lasciarti travolgere dalle correnti.
Colà!… oltre la riva!…
Il nostro sogno! …
la nostra meta: l’infinito!…
Se ti ascolti, avverti il richiamo travolgente
di una voce misteriosa.
Non sederti aldiquà,
ma spingiti tra le onde
e abbi il coraggio di chiedere aiuto,
quando ne hai bisogno.
Non adagiarti,
perché oltre c’è il tuo Dio,
oltre c’è la tua strada..
oltre puoi inseguire la speranza
di un misterioso progetto
che ti farà gustare il fascino della scoperta.
A me, come al musico,
tocca solo comunicarti la melodia;
ma certo non potrò darti le orecchie,
per cogliere il respiro profondo delle cose.
Accettami, se vuoi,
perché tu ed io
apparteniamo ad un filo segreto
che lega tutte le cerature
ad una magica forza che, tutti, ci coinvolge.
Da un borgo antico …
Negli angusti vicoli di un antico borgo,
si incontrano fantasmi
e si addensano confusi ricordi
che lentamente sfumano.
Qui, sempre meno si piange per doglie;
qui, solo frammenti di muri in agonia.
Qui, in ogni scivolo di sabbia,
si sente inesorabile il respiro dell’universo
nel suo eterno fluire.
In un angolo, sibila, a fatica,
un’“Ave Maria”, la nonna,
mentre, sopporta, nella noia, il suo tempo,
e l’anziano fa scivolare,
tremulo, un cucchiaio di brodo.
Un cane rognoso
si lecca le ferite,
fra i resti di un antico portale.
Un uomo si appresta a partire,
sperando, di non farvi ritorno.
Porta con sé i figli,
e la donna dai capelli scomposti,
con le mani irruvidite dalla fatica,
in cerca di un futuro,
in un angolo di mondo.
L’utilitaria, sbuffando, si allontana.
Emigrando, salutano, con rabbia,
ciminiere di gas in combustione.
Partono in cerca di fortuna
i figli di una terra antica,
ricca di santuari e di tradizioni
che, nel tempo, diventa sempre più abbandonata.
Dio piange ….
Dio piange, mentre affoga negli oceani
fra isole di plastica e pesci in agonia,
frutto dell’opulenza e dello spreco,
dell’egoismo e dell’indifferenza.
Dio piange, quando i falsi profeti del male lo ignorano,
invocando un dio falso e bugiardo
che spinge alla violenza e alla vendetta.
Dio piange, quando lenisce le ferite
di tanti bambini col fucile puntato
contro un nemico che non hanno potuto scegliere.
Dio piange, quando Caino uccide Abele
e abusa della sua donna.
Dio piange, quando vede sgretolarsi i ghiacciai
svanire le foreste,
i fiumi trascinare carcasse di animali,
in putrescenza,
o quando guarda i campi contaminati da veleni.
Dio piange, quando ascolta la rabbia dei poveri,
che, non gratificati dal proprio lavoro,
inondano, insieme al loro sudore, le strade di latte
e tanti disperati, inascoltati, gridano pane.
Eppure Dio si fidò di Adamo!…
Or piange
e, nel suo infinito amore,
non può che perdonare i suoi fragili titani
mentre tentano di usurpare l’Olimpo,
sollecitati, insaziabili, dalla malattia del successo.
Eppure non possiamo smettere di sognare,
ce lo chiedono i nostri figli;
non possiamo smettere di coltivare la speranza
che la vita trionfi nelle sue tenere creature,
allontanandole dai boschi della morte.
Dobbiamo credere
che il bene fatto non può andare perduto
e tragga linfa vitale dalle ceneri delle disfatte.
Dio piange,
Ma ha scelto di fidarsi ancora di Adamo.
Sentimenti universali (Sulle orme di G. Bruno)
Quando incontri un bambino che piange,
se non ti lasci distrarre dalla follia,
ti pieghi, gli asciughi le lacrime,
gli porgerai una carezza,
questi, commosso, ti sorriderà.
E’ la magia del fanciullo
che vive in ciascuno di noi
e ci rende universali.
Se dal ciglio di una strada
vedi una mano tesa
che, tremante, chiede aiuto,
se non ti lasci distrarre dalla follia,
commosso, le porgerai aiuto;
l’indifeso mai smetterà di ringraziarti.
E’ la magia del fanciullo
che vive dentro di noi
e ci rende universali.
Quando il piccolo, in fasce, piange,
se non si lascia distrarre dalla follia,
vi accorre premurosa la mamma
che prende a coccolarlo,
lo stringe forte al seno.
Questi smette di vagire
perché si sente accettato e protetto.
E’ la magia del fanciullo
che vive dentro di noi
e ci rende universali.
Quando due innamorati si guardano,
se non sono distratti dalla follia,
non usano parole,
perché gli occhi parlano
e vorrebbero che i loro istanti diventassero eterni.
E’ la magia del fanciullo
Che vive dentro di noi
e ci rende universali.
La sedia ritrovata (dal racconto di un anziano)
Mi trascino a fatica
e porto, con me, una vecchia sedia di paglia,
sconnessa, insicura, sfilacciata,
ma la preferisco a tante altre.
Essa mi tiene compagnia
e ragiono di me con lei.
Vi leggo tra i filamenti ormai dissestati,
tutti i miei affetti,
le dolci illusioni, i miei insuccessi
e tanti ricordi a cui non so rinunciare.
Su questa sedia, mia madre
mi puliva
ed, inappagabile,
mi copriva di baci,
avvolgendo in fasce
il mio tenero e informe corpicino.
Quanto affetto! ..
E subito mi venne meno! …
Qui sedeva la nonna,
mentre filava la lana,
rigirando sull’anca il fuso
alla tenue luce di un lumino a petrolio.
Qui, stanco, riposava mio padre,
al ritorno dai campi
bagnato di amaro sudore.
Qui il nonno fumava il sigaro
e, con pazienza, mi cullava
quando, piangente, resistevo al sonno.
Qui, adolescente,
baciai, per la prima volta, una dolce fanciulla
che poi ho tradito, nell’affetto,
e, ripensandoci, ancora me ne vergogno.
Qui ho sognato evasioni
e progetti di riscatto sociale,
quasi tutti sfumati come la rugiada
al sorgere del primo sole.
Quando rientro in me, da lontani ricordi,
che mi rendono agli altri un estraneo,
mi dico:
mio Dio che follia!…
E se mi guardo intorno,
noto qualcuno che mi usa compassione
e forse medita: è un vecchio demente
che, per sopravvivere, parla con una sedia sconnessa.