Antonio Monaco - Poesie

Amare è …

 

Amare è provare

sentimenti arcani

che ti vibrano dentro

ma non trovi le parole per renderli eterni

e fuggono nella durata di un attimo.

Quando ti accorgi di averli vissuti,

essi appartengono già al passato,

come le stelle che continui a vedere,

ma non esistono più.


Guardando il Crocifisso

 

Tu, dall’alto della croce,

mi chiedi di perdonare.

Tu lo hai fatto…..

Nelle mie innate fragilità,

mi meraviglio di tanta bontà.

Pur tuttavia,

mi brucia una feroce tentazione

di considerarti uno sconfitto,

un folle che ha speso invano la  sua vita,

per tanti che non lo amano

o lo fanno in modo inadeguato.

Guardandoti,

le tue ferite ….

il tuo sangue …..

mi segnano profondamente

ed aprono il mio cuore al dolore

che non riesce a liberarsi

dai lacci delle quotidiane vacuità.


La città

 

Solchi di asfalto fumante,

ovunque sgommate di violenza,

rimango sempre in attesa di un amico

che non trovo.

Attraversa il marciapiede una dolce fanciulla,

mi proibisco di guardarla,

per evitare che si spaventi.

Dal lato opposto della strada,

una vetrina va in frantumi;

giro l’angolo e non vedo.

Ognuno rimane solo,

in questo deserto  di formiche.


La fatica di vivere     

 

Mi vergogno quando piango

La dipartita del mio vicino

e, commosso,  verso lacrime finte;

quando, incurante,

allevio il disagio di un bisognoso;

quando disprezzo il potere

che non ho mai avuto.

Mi vergogno,

quando invoco

i valori del mio passato,

ma non riesco a regalare

neppure i ritagli del mio tempo

a chi me ne chiede,

senza lauto compenso.

E, intanto, la noia mi divora,

solo, sulla sedia di un bar,

senza clienti.

Mi vergogno,

quando, elargendo sorrisi,

mi vesto di umiltà

e, in segreto, semino spine;

quando prego

e invoco un Dio che non vivo.

Mi vergogno,

quando pretendo obbedienza

da un figlio che non conosco,

perché mai l’ho ascoltato;

quando, al grido di un disperato

volto l’angolo per non sentire

e, lesto, vado in chiesa a pregare;

quando mi fingo povero

e guardo avanti,

per non sentire chi bussa alla mia porta.

Mi vergogno,

quando all’odio e alla violenza,

mi indigno e produco sospiri

e, comodo, dormo sul mio sofà;

quando schivo la lode

ed amo il primo posto.

Io piango, perché cerco, in me,

frammenti vivi di umanità,

tracce  indelebili di coerenza

che faccio fatica a costruire.


Sentimenti surreali

 

Ho cavalcato mille illusioni;

ho inseguito sogni,

spesso fragili,

sfumati quasi tutti nel nulla,

rendendomi triste e sempre più ostinato.

Ora, rassegnato,

mi accontento di sentire scorrere,

dolce,

le acque docili di un fiume,

il trambusto  svolazzare degli uccelli

che, in amore,  si rincorrono

mentre preparano il nido,

in alto, sulla quercia antica.

Come un fanciullo, mi emozionano

gli amplessi  docili del vento

che  mi fanno ricordare quelli della mamma

e  le carezze della prima dolce fanciulla

che rivedo in tutte le sue evanescenze.

Richiami  travolgenti,

arrivano da lontano,

da un arcano e misterioso

mondo inattuale:

rivivo, nelle piccole cose,

 il mio imprescindibile bisogno  di eternità,

pur essendo solo un grano di sabbia

soggiogato  tra le dune della vita.


Dalla Cronaca

 

Movimenti concitati

di un corpo avvinghiato.

Le dita  schiacciano

i bottoni di una macchina

che divora gli ultimi risparmi,

per tentare la fortuna.

Il cuore e la mente diventano

icone in movimento.

Fuori, dalla porta,

tra lamiere di fuoco,

si strozza una tenera vita,

vittima dalla demenza.

Intanto, intorno, viaggiano

volti ingessati,

vuoti di pensieri,

con sguardi assenti,

che si perdono nel nulla.

Concitata, la madre esce

da un bar ove si consuma il tempo

tra chiacchiere indistinte

e  musiche di contorno.

Sulla strada,

Le persone trovano il  tempo,

che sorpresa!……….

per pronunciare sentenze,

saziandosi di vacuità.

Nell’universale ludibrio,

la donna stringe il corpo

della  figlia persa per sempre.

Il dolore l’accompagnerà

in un oceano di solitudine,

divorata dalla coscienza.

Due vite scompaiono

fra le chiacchiere e l’indifferenza.


Una voce straziata

 

Una voce straziata..

frantumi di vetri

nel cuore di una notte afosa.

E’ silenzio intorno,

un deserto di poche ombre viaggianti.

Un’esile figura di donna,

avanza lentamente,

si muove incerta e dolorante

sanguinanti le ginocchia,

poggia sul volto

le mani costrette all’impotenza.

Mostra, senza alcuna vergogna,

le forme straziate della sua intimità.

Tremante,

assenti gli occhi,

malati  i lampioni  della strada,

ella fugge, come può,

le strade dell’indifferenza,

macchiate di sangue e di solitudine.



Sulle pendici dell’Etna (Ottobre 2017)

 

Procedo lento, per la gravezza del corpo,

affaticato dallo scorrere inesorabile del tempo,

lasciando le mie indistinte impronte

sulla nera sabbia  pulverulenta di un tracciato sterrato.

Sono in cima, tra  nuovi crateri e fumarole di zolfo;

faccio fatica a respirare

ma non desisto  di ammirare, a valle,

lunghi fiumi di lava pietrificata, nell’odissea dei tempi.

Stupisco per la  forza eruttiva

della montagna che gli antichi volevano divina.

Mi vien da pensare:

Noi che pretendiamo di aggiogare la natura!

Una catena di curiosi raggiunge la cima;

sembrano formiche variopinte

che immortalano, con  selfie,

attimi che vorrebbero eterni,

in  uno scenario di grigio fumo

ove solo si distinguono capriole di vapori.

Ad un tratto, mi attrae il cielo limpido;

gli orizzonti sfumati;

sogno la vaghezza dell’aldilà

ed assaporo attimi di libertà, oltre ogni limite.

Finisce l’incanto.

E, in lontananza,

 scopro la tranquillità di un tratto di mare,

un tempo, turbato da Scilla e Cariddi.

Allora, nella mia mente, si affollano i miti

che mi porto dietro dalla giovinezza.


Solitudine

 

Nella solitudine,

ciascuno si aggrappa

ad un mezzo sorriso,

nato per caso,

che resta vivo nella memoria.


Cimitero blu  ( naufragio di Lampedusa 23 Ottobre 2013)

 

In un angolo silenzioso di blu,

lontani dal sole,

ove tranquilli volteggiano i pesci,

vi si adagiano corpi

che hanno inseguito disperati un sogno.

Qualcuno si aggrappa al nulla,

con i denti digrignati

e gli  occhi fulminati dalla disperazione.

Altri  baciano la sabbia

e vi si aggrappano come ultimo approdo.

Una mano trattiene la sua dolce fanciulla;

un bambino irrigidito

giace sul seno materno,

cullato dalle correnti del mare.

Due giovani dormono,

in un amplesso di eterno legame.

Vi rimane stampato sul volto

la magia di un attimo.

Altri, in un silenzio spettrale,

giacciono ammassati nel cimitero blu,

ove, mosso dall’acqua,

scende volteggiando,

in fasce,

a testa in giù,

un bambino,

figlio di nessuno,

strozzatosi, mentre gridava: Mamma!…..Mamma!….


 

Dietro la mia vecchia finestra

 

Mi penetravano gli  ultimi raggi di luce,

mentre il sole salutava il giorno,

dietro   accese vampate di porpora

oltre le confuse cime dei monti.

Docile, mi accarezzava

una delicata e profumata folata di vento;

ne godevo,

quasi  la carezza di una tenera fanciulla

quando ti scioglie l’animo alla dolcezza.

Mi incantavo, estasiato,

come un  adolescente confuso,

al suo primo incontro,

e godevo, ammirato,

il volgere leggero e vorticoso di particelle

che mi arrivavano da  fonte imprecisa:

capriole  indecifrabili

su cui si riflettevano tenui,

moribondi, gli ultimi raggi di luce .

Esse  volteggiavano senza confini,

svanendo nell’infinito universo che ci sovrasta.

Pago,

mi abbandonavo alla quiete della vallata

mentre si  addormentava sotto un’intensa coltre di stelle

e  le lucciole  schizzavano piccole e informe scintille

nell’oscurità , sul far della sera,

accompagnata da un gradito concerto di grilli.

Ero solo,  dietro la mia vecchia finestra,

che mi vide crescere,

in una travagliata altalena di sogni e delusioni.


 

 

“Uomo del mio Tempo”

 

 

Uomo del mio tempo,

tu hai ancora bisogno di luce

per capire che non c’è  figlio

che non sia tuo figlio;

per capire che non c’è guerra

che non debba lacerarti il cuore;

non c’è  creatura

che non meriti di crescere in verdi prati

dipinti di  tenere e umili margherite

 trastullate dal docile fluire delle acque

di un  ruscello che non venga mai da alcuni strozzato,

mentre gli uccelli , in alto, svolazzando,

si incrociano in mille capriole d’amore.

Uomo del mio tempo,

tu hai ancora bisogno di luce,

per capire che non c’è potere che duri per sempre;

non c’è ricchezza che possa gratificarti;

non c’è violenza  che possa saziarti,

 non c’è  bambino

che non abbia il diritto ad una carezza,

senza obbligarlo al fucile,

ignaro di avere un bambino come bersaglio;

non c’è  pianta o animale

che non meriti premure.

Uomo del mio tempo,

nonostante la tua scienza esatta,

tu hai ancora bisogno di luce

per capire quanto sia necessario

sciogliersi ad infiniti  atti d’amore,

perché il  cuore abbia la forza di sognare

e, inebriato,

possa  riempire di gesti  creativi il foglio vuoto

del nostro faticoso viaggiare

sul  tortuoso sentiero della vita, altrimenti  senza orizzonti.


 

Esodo  (Fuga dalla Basilicata )

 

 

Vanno via,

in punta di piede,

i figli di una  terra che fu chiamata Lucania;

sentono di essere stati traditi;

 umili,

sognano  un approdo in cui piantare

l’albero della  speranza,

i figli di una civiltà  antica,

abituata alla rassegnazione e alle lacrime.

Temo,

rimarranno incustodite le fiumare,

gli orti sottratti ai galantuomini

e i boschi   sempre più spogli

li vivo già  devastati dai fumi acidi

di nero e denso petrolio.

Negli antichi santuari,

sempre meno  si canteranno giaculatorie;

sempre meno  vagiti

alimenteranno premure di mamme

mentre, inesorabilmente,   le ninnananne si faranno più  rare.

Cresce il silenzio  nei suggestivi vicoli

dei borghi antichi,

la cui storia  aspetta invano di  essere raccontata.

Vanno via,

stanchi di tendere la mano,

perché si è  spento in loro  il sussulto della speranza.

Vanno via,

e l’odissea di tanti eroici “cafoni”

cadrà,  lentamente,  nell’oblio,

perché a  nessuno interessa che si racconti.

Vanno via

e  le lapide rischiano di  rimanere disadorne,

perché incustodite e  devastate dalla furia del tempo.


 Anziani

 

Nei nostri paesi, quasi deserti,

vi circolano anziani.

Essi  si muovono

come  incerti fantasmi,

mentre si struggono nei loro ricordi,

pesanti come pietre,

in cerca di un mezzo sorriso

o di un labile consenso

che, illusorio, rimane stampato

nella loro memoria.

Le loro riflessioni di ghiaccio

cadono nel vuoto,

come frammenti di calce

soffiati dal vento,

poi destinati a macerarsi in un angolo di muro.


Allo studente   

 

So di non poterti insegnare nulla,
ma solo invitarti a scoprire
quanto giace nascosto dentro di te.
Non pretendo di indurti alla saggezza;
solo trasmetterti la fiducia
che nutro nelle tue possibilità;
la certezza che il mondo ha bisogno di te,
purché accetti di guadare il fiume della vita.
Per questo, non posso che offrirti la mano,
tentare di smuoverti,  perché ti apra al futuro,
senza, però,  condizionarti
ma solo vorrei orientare la tua naturale esuberanza.
Non voglio  importi le mie nozioni,
ma condurti sulla soglia della  coscienza,
perché tu possa diventare saldo nocchiere fra tempeste,
senza lasciarti travolgere dalle correnti.
Colà!… oltre la riva!…

Il nostro sogno! …

la nostra meta: l’infinito!…
Se ti ascolti, avverti  il richiamo travolgente

di una voce misteriosa.
Non sederti aldiquà,

ma spingiti tra le onde
e abbi il coraggio di chiedere aiuto,

quando ne hai bisogno.
Non adagiarti,
perché oltre c’è il tuo Dio,
oltre c’è la tua strada..
oltre puoi inseguire la speranza
di un misterioso progetto

che ti  farà gustare  il fascino della scoperta.
A me, come al musico,
tocca solo comunicarti la melodia;
ma certo non potrò darti le orecchie,
per cogliere il respiro profondo delle cose.
Accettami, se vuoi,
perché tu ed io
apparteniamo ad un filo segreto

che lega tutte le cerature
ad una magica forza  che, tutti, ci coinvolge.


Da un borgo antico …

 

 

Negli angusti vicoli di un antico borgo,

si incontrano fantasmi

e si addensano confusi ricordi

che lentamente sfumano.

Qui, sempre meno si piange per  doglie;

qui, solo frammenti di muri  in agonia.

Qui, in ogni  scivolo di sabbia,

si sente inesorabile  il respiro dell’universo

nel suo eterno fluire.

In un angolo, sibila, a fatica,

un’“Ave Maria”, la nonna,

mentre, sopporta, nella noia, il suo tempo,

e l’anziano fa scivolare,

tremulo, un cucchiaio di brodo.

Un cane rognoso

si lecca le ferite,

fra i resti di un antico portale.

Un uomo si appresta a partire,

sperando, di non farvi  ritorno.

Porta con sé i figli,

e la donna dai capelli scomposti,

con le  mani irruvidite dalla fatica,

in cerca di un futuro,

in un angolo di mondo.

L’utilitaria, sbuffando, si allontana.

Emigrando,  salutano, con  rabbia,

ciminiere di gas in combustione.

Partono in cerca di fortuna

i figli di una  terra antica,

ricca di santuari e di tradizioni

che, nel tempo, diventa sempre più abbandonata.


Dio piange ….

 

 

Dio piange, mentre affoga negli oceani

fra  isole  di plastica e pesci in agonia,

frutto dell’opulenza e  dello spreco,

dell’egoismo e dell’indifferenza.

Dio piange, quando i falsi profeti del male lo ignorano,

invocando un dio falso e bugiardo

che spinge alla violenza e alla vendetta.

Dio piange, quando lenisce le ferite

di tanti  bambini col fucile puntato

contro un nemico che non hanno potuto scegliere.

Dio piange, quando Caino uccide Abele

e abusa della sua donna.

Dio piange, quando vede sgretolarsi i ghiacciai

svanire le foreste,

i fiumi trascinare carcasse di animali,

in putrescenza,

o  quando guarda i campi contaminati da   veleni.

Dio piange, quando ascolta la rabbia dei poveri,

che,  non gratificati dal proprio lavoro,

inondano, insieme al loro sudore, le strade di  latte

e  tanti disperati, inascoltati, gridano pane.

Eppure Dio si fidò di Adamo!…

Or  piange

e, nel suo infinito amore,

non può che perdonare i suoi fragili titani

mentre  tentano di usurpare l’Olimpo,

sollecitati, insaziabili,  dalla malattia del successo.

 

Eppure non possiamo smettere di sognare,

ce lo chiedono i  nostri figli;

non possiamo smettere di  coltivare la speranza

che la vita trionfi nelle sue tenere creature,

allontanandole dai boschi della morte.

Dobbiamo credere

che il bene fatto non può andare perduto

e tragga  linfa vitale dalle ceneri delle disfatte.

Dio piange,

Ma ha scelto di fidarsi ancora di Adamo.


Sentimenti universali (Sulle orme di G. Bruno)

 

Quando incontri un bambino che piange,

se non ti lasci distrarre dalla follia,

ti pieghi, gli asciughi le lacrime,

gli porgerai una carezza,

questi, commosso,  ti sorriderà.

E’ la magia del fanciullo

che vive in ciascuno di noi

e  ci rende  universali.

Se dal ciglio di una strada

vedi una mano tesa

che, tremante, chiede aiuto,

se non ti lasci distrarre dalla follia,

commosso, le porgerai aiuto;

l’indifeso mai smetterà di ringraziarti.

E’ la magia del fanciullo

che vive dentro di noi

e ci rende universali.

Quando il piccolo, in fasce, piange,

se non  si lascia distrarre dalla follia,

vi accorre premurosa la mamma

che prende a coccolarlo,

lo stringe forte al seno.

Questi  smette di vagire

perché si sente accettato e protetto.

E’ la magia del fanciullo

che vive dentro di noi

e ci rende universali.

Quando due innamorati si guardano,

se non sono distratti dalla follia,

non usano parole,

perché gli occhi parlano

e vorrebbero che i loro istanti diventassero eterni.

E’ la magia del fanciullo

Che vive dentro di noi

e ci rende universali.


La sedia ritrovata  (dal racconto di un anziano)   

 

Mi trascino a fatica

e  porto, con me, una vecchia sedia di paglia,

sconnessa, insicura, sfilacciata,

ma la preferisco a tante altre.

Essa mi tiene compagnia

e ragiono di me con lei.

Vi leggo tra i filamenti ormai dissestati,

tutti i miei affetti,

le dolci illusioni, i miei insuccessi

e tanti ricordi a cui non so rinunciare.

Su questa sedia, mia madre

mi puliva

ed, inappagabile,

mi  copriva di baci,

avvolgendo in fasce

il mio tenero e informe corpicino.

Quanto affetto! ..

E subito mi venne meno! …

Qui  sedeva la nonna,

mentre filava la lana,

rigirando sull’anca il fuso

alla tenue luce  di un lumino a petrolio.

Qui, stanco, riposava mio padre,

al ritorno dai campi

bagnato di amaro sudore.

Qui il nonno fumava il sigaro

e, con pazienza, mi cullava

quando, piangente, resistevo  al sonno.

Qui, adolescente,

baciai, per la prima volta,  una dolce fanciulla

che poi ho tradito, nell’affetto,

e, ripensandoci,  ancora me ne vergogno.

Qui ho sognato evasioni

e progetti di riscatto sociale,

quasi tutti sfumati come la rugiada

al sorgere del primo sole.

Quando  rientro in me, da lontani ricordi,

che mi rendono  agli altri un estraneo,

mi dico:

mio Dio che follia!…

E se mi guardo intorno,

noto qualcuno che  mi usa compassione

e forse medita: è un vecchio demente

che, per sopravvivere,  parla con una sedia sconnessa.