Carlo Emilio Michelassi

Poesie


Inattuale

In me, ho diverse anime che mi amano,
e vaga una di loro tra la puzza
tombale, la corruzione non teme,
danza, tra farfalle di una morale
comune, sul far della sera, danza
occhiuta, con un tramonto di lacrime.
E benedice fiori di una lingua
oscura, folle adora i coribantici
trionfi, dopo un certame senza tregua
con la veglia e con l’ipocrisia,
alza un nobile canto intriso di eros,
per officiare quel rito misterico,
ove la donna esprime poesia.

 


 

Eudaimonia

All’orizzonte, su una fitta trina
emerge la chiarezza di una nuvola
solitaria; eri tu, forse, racchiusa
in un pensiero felice del vero,
come i piaceri in quiete di Epicuro,
che il paradigma del tempo sospendono.
È una lotta, la vita, e lo sa
quella nuvola, libera sospesa.
I simboli stanno in alto, leggeri:
soluzioni in sé non hanno, non hanno
le risposte, ma quieti come nuvole
restano con noi, per tutto il percorso.

 


 

“Di vita si muore” (Nadia Fusini)

E fracassami l’interior basto
qual insignifichevol ammasso,
sì ch’addorma, quantunque non lasso,
patimento, qualor è tra-mesto.
Sento immane per prostranti agonie
languer, sovra insidiante ‘l fatiscente
sepulcro assentato, assembrate l’ossa
vibrar per feral consulto,
che de’ titillanti penser
de la pluvia torbido convoglio
di assiccata carne per lo volucro
trambasciar, e sovra tintinnanti ossa
rassettato, vibrar da tratto strider,
rovinoso, lo corpural retaggio,
e tuto frango eviscerato ostello
a lo imperitur drenaggio,
ne la polve il romorio
de la incessante doglia folleggia,
gemendo, supplice lamentazione
interminabile arpeggia,
ché risonar melòde ne ‘l fastigio,
qual vermiculare torma risòne
nel pascersi de l’adunate membra,
qual pungente tèlo, ver’ lo struggente
orgasmo, un estruso pianto io piango

 


 

La sintassi dei tempi (Appunto 2001)

Che non vi fosse un solo tempo lo si poteva inferire da una “sosta” riflessiva sul rapporto tra la nostra vita interiore e la realtà esterna, prima che nascesse il cinema. Con il cinema, e, nello specifico, con 2001, questo pensiero valutativo diviene una condizione logico-noetica. Innanzi tutto, vi è il tempo come misurazione della durata complessiva del film, ma vi è anche il tempo del nostro approccio alla visione, il tempo psicologico, e vi è, poi, il tempo narrativo che scaturisce, tuttavia, da una scelta emotiva dell’autore, da un altro tempo emotivo, volendo. Questa intuizione dà il là a un meccanismo di scatole cinesi, un meccanismo che, in ogni caso, ERA circolare. E a questo punto, si potrebbe insinuare che, prima del cinema, il nostro tempo, il tempo delle nostre vite, scorresse diversamente. Sto parlando di “tempo” come idea di scorrimento delle situazioni che si alternano nel “vivere”, quelle situazioni che nel tempo in cui VIVIAMO (in coincidenza con quello storico) sarebbero “presentificate” all’infinito (qualora fossero su pellicola)…
Il nostro tempo interiore (soggettivo) scandisce le nostre vite quasi opponendosi al tempo fisico. Tanto per usare una metafora, il film che scorre sullo schermo non è lo stesso film che vede lo spettatore accanto a noi. Borges, in Storia dell’eternità, riprende certe considerazioni che appartengono alla filosofia di Plotino. In un pensiero di Unamuno è racchiusa la paradossale immagine del fiume delle ore che ha la sua sorgente nel domani. Anche una riflessione sull’eternità non può che presentare dei processi logici tutt’altro che “lineari”.

 


 

Ali di gesso

Sole e neve
Sole e neve mi spinsero fin qui,
alla vertigine del senso, ai grandi:
altezze innevate cercano i raggi
di un sole che mai discioglierà l’epoca
deputata agl’ingenui tentativi:
quelle rose, quei doni. E chi non è,
non si capisce, eppure si preoccupa,
stranamente, lontano dal teatro.
Sfiorano i tasti le tue dita seriche
che partecipano dell’infinito,
mentre una sordida bestemmia ammorba
le schegge di una preghiera, quel pianto
reciso, insieme a un’ala di gesso.

L’angelo di gesso. Era una produzione di poche unità, legata a una lotteria. Quando un quidam disse di averlo finalmente trovato, fu una lotteria per la logica. Per due anni consecutivi si diceva che per l’angelo di gesso non vi erano copie sufficienti a coprire il mercato natalizio. Venne diffusa la notizia che la seconda produzione presentava delle enormi differenze rispetto alla prima, terminata misteriosamente. Un padre di famiglia lo vide esposto con il personaggio di Otello, che appariva come un fratello emarginato di fronte al vivo candore dell’altro, simile a una nuvola, a un banco di nuvole. Chi venne dopo avrebbe visto infatti un intero scaffale coperto da angeli di gesso, ma non si ripeté per altri quell’immagine. Venne fuori comunque che una statuina fu venduta, prova ne era il cartellino con il prezzo, abbandonato in quel punto dello scaffale, un cerchio vuoto, l’impronta di qualcosa che evidentemente occupava lo stesso spazio, delimitato dal cartellino con il prezzo cancellato, e intorno tutte le altre statuine del presepe. Non è irragionevole pensare, stando a cronache provenienti da fonti diverse, ma combacianti sul dato esperienziale, che in una città di cui non è dato sapere né il nome né la posizione geografica, al centro di una piazza, un maestoso angelo di gesso richiami in ogni suo aspetto tutti gli angeli di gesso, veri o immaginari, anche se nessuno dei viaggiatori ha con sé prove che ne accertino l’esistenza. Ogni visitatore giura però di averlo visto. L’angelo di gesso è un simbolo ricorrente: come tutti i simboli rimane ineffabile, e nello spesso tempo traduce la speranza in qualcosa che crei un legame tra tutti noi. I simboli esprimono dei valori e respingono le negatività, danno una forma universale a un “oggetto” interiore riconosciuto per la intrinseca proprietà di migliorare le nostre esistenze.

 


 

Resta

Una nenia indelebile mi avvolge,
un tutt’uno con la scrittura che anima
la risposta affiorante dalla valva
del tempo: l’intensità di quell’attimo
che diverse età indarno rincorrono.
Resta con me.
Il tumulto del giorno è ormai sazio,
con le ombre, cadono i vuoti discorsi,
e il respiro forgia nel silenzio
la fluida intesa della poesia.
Alla sizigia, si rivela aperta,
sacerrima, la scrittura poetica,
agli umili destinata, è il canto,
dell’Essere, l’evenire linguistico
del pauper uomo, che sfoga nel pianto,
racchiuso dalla parola, il miracolo:
sentiamo potente il precetto e l’ordine
dato all’esule, racchiuso in un gesto
riservato allo stesso uomo che l’Eden
dovette lasciare dietro uno stigma.
Non chiamo poesia
il pre-testo speso al di là del vanum,
la prosa del giorno dal “grande specchio”
riflessa, con le risposte prodotte
nel risveglio che si sporge sul senso,
la struttura di scatole entro scatole
che compaiono come nomi, io non chiamo
poesia. E ogni capitolo si insegue
divenendo assioma, come l’estate
che si fa inverno.
Con le sue ali di gelo,
il vento del Nord è come un sudario
proteso agli eroi di una rampicata
folle, bellissima, nella catarsi.
E torniamo dopo, animi quietati.
Non più cereo, il viso è dell’impresa,
il sorriso provato di un guerriero
che già si pone, si finge, altri limiti.

 


 

In ogni lingua

Penso alla musica della tua mente,
al tuo sguardo che riflette i colori
del mondo, nella sorpresa espressiva
dell’Essere che sorvola gli oceani,
e trova l’estasi in una carezza.
Leggendo lentamente una parola,
decifreremo insieme l’universo.
Percorreremo istanti senza tempo.
Stavolta il Messia sceglierà il caos
delle metropoli per annunciare
a tutti lo spirito del Vangelo.

 


 

Il cuore di giada

Ti amo, se baciando un cuore di giada
sento pulsare nel petto il tuo cuore,
globo di luce che fende la notte.
Mi chiedo quale prodigio racchiuda
un semplice monile. Di lontano,
lo scalda il raggio della tua immagine.
Tra cimeli che hanno voce più piccola,
mai riporrò quel ricordo vitale.
Mai riterrò il mio cuore di giada
una cosa che abbia forma mirabile
e parli con un linguaggio esteriore.
Lo sento nel petto, ed è il mio cuore.

 


 

L’impronta dello spirito

Questo impasto di creta e sangue cotto
dal sole, ospita il senso e la parola.
È sabato, e domani si vedrà,
sulle opere sospese, tace il mondo;
gli eventi non sono esteriorità
di un soffio, che lambisce appena gli orli
del volto: nelle lacrime si annida
lo spirito, e si dissolve la maschera.
Dai solchi della terra affiora il seme
di una storia, che muta si consuma,
e tra gli ulivi ora splende la quiete,
come un ricordo proteso al futuro.

 


 

I frammenti del giorno

Con la lacrima, un ultimo suggello
discese, dando la stura al gioco epico,
e il duello andò oltre il tramonto,
dal sudore della fronte allo scambio
di sguardi, tra le schermaglie di un vento
leggero. E ci fu poi il silenzio di attimi
senza tempo, per la foto sbiadita
che immortala una preghiera interiore,
nell’ingenua pretesa di un ascolto:
frammenti impressi, in mistico riserbo,
nella storia e nell’ethos del fruitore.