Chiara Tabet
Poesie
Il gatto e la libellula*
Chiese un giorno il gatto assopito,
perché attraversi queste terre
cosí piene di pioggia, fame, di buio
sai già che poi ci si perde
nella pioggia nella fame nel buio
Ci si perde e dimentica anche
persino a volte ch’ esista la luce:
calda la luce e generosa,
delle sere d’estate
dei pomeriggi d’autunno
delle finestre socchiuse
in primavera e d’un vecchio che legge.
E chi si perde poi non è più
ciò che ancora sarebbe
se fosse chi è.
Attraverso queste terre,
rispose allora la libellula,
così da poi ricordare
in fondo cos’è che son stata
e la strada di casa ch’ è anch’essa
bagnata di pioggia di fame di buio,
e così tra i rovi sapermi
io stessa di pioggia e di fame e di buio,
e nonostante tutto sentire
che perdendo la strada di casa
un giorno di nuovo si sogna.
Attraverso queste terre per tornare.
*dedicata a Claudio Magris, al cui libro ‘L’infinito viaggiare’ è ispirata.
Oggi (A Roma)
A chi di dovere.
Caro signore,
scrivo oggi per dirle
che in effetti io credo
che proprio oggi io sappia chi sono.
Qui, mio caro signore,
in un giorno così in questo luogo,
non c’è copione o parole
magiche per animi tristi
oggi facciamo niente
facciamo niente assieme alle folle
e le folle rallegrano vicoli antichi
(ne vedo i volti, signore
ne è passato del tempo;
sono ancora stranieri
ma non strani e hanno ora
il beneficio di gioia e dolore
hanno scopi e ragioni, signore
sono in sé la ragione,
la ragione che ieri mancava).
Oggi, mio caro signore,
la musica gioca
le strade sonnecchiano
e ricordi di un tempo,
immaginario o perduto
(che è lo stesso, mio caro signore),
sono lampioni e case e autogrill
e i marciapiedi rotti e gentili,
E un’ esplosione cieca di luce:
e allora oggi, mio caro signore,
a morire ci vuole coraggio,
un coraggio di eroi d’altri tempi.
E ciò vuol dire, mio caro signore,
che oggi, e con queste mie genti,
Ciò vuol dire ch’io oggi vivrò.
Tu (per DM)
S’allontanano a volte le cose
e corrono via, ed è scuro di giorno
e si sfaldano insieme materia e pensiero
e la mente si disfa e la mano si arresta.
E la parola diventa rumore
chiacchiericcio sciocchezza fandonia
di vecchi e di stolti per illudere i vivi,
e l’animo stesso è vertigine buia
e il tempo non è che anni perduti.
Ma sempre tu mi riporti alle cose
con gran cura e con sguardo
sguardo fermo e gentile ed astuto:
come pioggia d’estate, temporale voluto,
dal ciglio d’un vicolo cieco.
E guardandoti allora ricordo
una musica allegra che tutto sconfigge:
siamo polvere, è vero,
ma che ride e che siede e che ama.