Cosimo Lorenti

Poesie


L’ultimo ballo

Tu non ti accorgi che stiamo ballando
Che abbiamo occhi e orecchi oscurati dal ballo
Non ti accorgi che nevica fuori
fiocchi neri che cadono al suolo pesanti.
Non ti accorgi che piove gocce di pioggia ustionanti
Non ti accorgi che brucia l’assenza di pioggia
Non senti l’odore del fuoco
mentre lasci ondeggiare i tuoi fianchi.
A piedi nudi ti muovi leggera
insinuandoti nei meandri del mio desiderio
Unica stanca barriera alle grida
delle orde di eserciti allo sbando
Di altri che si vanno formando
sotto insegne che parevano vinte.
Ti avvolgo.
Combattiamo tutt’altra battaglia
Su note crescenti cambiamo la danza
e mi accogli vibrando
Le schermaglie della taranta, poi un lento, poi un tango
E altri passi che andiamo inventando
Fino a morire in Ravel.
Shhhhhhhhhhhhh Silenzio
Sento lontana l’eco della battaglia,
sento l’onda del sangue che avanza
Ancora le gesta di erode
Ancora cristo che muore
Perché tutta questa violenza?
Ti avvolgo più forte
Troviamo riparo prima che giunga la notte,
prima che tutto si spenga
Ché cristo più non risorge
Ché cristo risorge ogni giorno.

 


 

Ti scrivo di nuovo

Eppure lo vedi che ti scrivo di nuovo
Ormai che le parole sono più rade
e hanno perso l’eleganza di un tempo
Arenate tra i sogni finiti
e la stanchezza crescente.
Ti scrivo più per paura che per voglia
ché temo tu possa dimenticare
anche le parole passate
certo troppo lontane
perché possano ancora pesare.
Del resto, lo sai, son cambiato
forse guarito o più
gravemente malato.
Ti scrivo mentre scorrono immagini
di resti di corpi smembrati
dispersi
sui marciapiedi, tra piedi di donne
che cercano i figli
li dove ancora giocano i bimbi
abbandonati in discariche immonde
di rovine fumanti
tra carcasse di missili
tra le aiuole ancora curate
ché appena ieri si alzava da uomo
quel corpo straziato
davanti alla porta socchiusa.
E mi accorgo che sto cenando
senza provare il giusto disgusto.
Riesco a non vomitare.
Sarà che non si sente l’odore
della carne in putrefazione
e lo scoppio dei missili mi giunge attenuato
come lo stridore dei cingoli
ben lubrificati
dal sangue della mattanza
s’ode appena, sospinto lontano
dal vento dell’indifferenza.
Pazienza se ti ho illuso, cantando,
di essere pronto a lottare
contro ogni invasore
sarà che mi sto abituando
ti ho già detto che sono, forse, guarito
e non sento più il peso d’un mondo
che avevo sperato diverso.
Fuori e dentro
devastazione.

 


 

Serata di poesia in piazza

Che bella serata di festa stasera.
La piazza già piena
empia di gente
che aspetta impaziente di udire
poeti che declamano versi
usciti di getto
pensati con calma,
limati, recisi,
infine distesi fluenti.
I poeti,
seduti in disparte,
si scrutano appena.
Tutti già presi dal loro momento.
Un po’ emozionati,
taluni di certo rigonfi
di quella pomposa baldanza
che è del poeta l’essenza.
Tra loro pure io son seduto,
Incerto
tra lo sgomento e la tracotanza.
“Nomato poeta col timbro
della locandina!”
Mi sfugge un po’ il riso un po’ il pianto
e sento che il prendermi in giro
è l’unica vera speranza.
Che dire, lo sento usurpato
quel titolo
che in modo un po’ troppo leggero,
mi han dato, ho pigliato.
“Poeta d’alloro certificato”
Mi vesto di sana vergogna
al cospetto dei veri poeti
che hanno saputo rinchiudere in versi
infinite emozioni
mille sensazioni dell’animo inquieto.
La gioia, il dolore, l’amore del mondo.
La loro e l’altrui sofferenza.
Ché, avessi il vero talento,
sarebbe davvero importante,
adesso, in questo momento
di odio che sale dal fondo,
di puzzo di putrescenza
che disillude l’illusa parvenza
d’un mondo migliore,
riuscire a partecipare
l’altrui, la mia sofferenza.
Che avesse ragione Fabrizio
nel dire che sol l’attempato cretino
può stendere versi sì poco importanti
credendo di ergersi a vate
così, sul finir dell’estate?
Ma stasera, in questo frangente,
non voglio
sentire le voci che rombano dentro.
I lamenti della coscienza.
Stasera, stasera soltanto.
Stasera, lasciatemi dire,
stasera mi voglio anche io divertire.