Il furto della palla
Quei padroni con il loro dominio, fingono di assecondare il bisogno dei bambini di giocare, ma poi mettono la palla al loro piede e con tanta cura…. gliela uniscono con una catenella colorata di azzurro o rosa a secondo del loro sesso.
Di fatto far cucire i palloni ad un fanciullo lo si rende schiavo del pallone…!!
Un apparente gioco.. di fantasia divenuta una amara realtà.
Mistificatori!! E un tradimento al pensiero della vita. I giovani allievi dovrebbero essere allevati con zelo e coscienza..da tutori speciali per la loro crescita. Vi sarebbe un motivo in più se pensassero che a questi bambini spesso manca un genitore o forse entrambi.
Dovrebbero integrare con l’amore a tale lacuna…Invece abusano!!
Per questi uomini vigliacchi, senza anima ed onore sarebbe stato meglio mettersi una macina da mulino al collo e gettarsi in mare piuttosto che aver scandalizzato questi piccoli fanciulli…così parlava il Signore!!!
Dio questi bimbi li onorerà per un tempo eterno, Lui sa che cosa significa essere calpestati nella propria dignità divina, invece fu inchiodato, senza giustizia, alla croce.
Nel frattempo a noi uomini sinceri Lui ci chiede di versare un solo bicchiere d’acqua da offrire nel suo
nome. Una ricompensa verrà acquistata, Lui ne è il garante.
Alleviamo le pene a questi bimbi affinché quelle palle pesanti poste ai loro piedi possano diventare leggere come quei palloncini, di talché, spinti dal loro forte sospiro, si alzino in alto e possano essere trasportati in un volo di speranza.
Noi, con dei semplici gesti di amore, donando il superfluo, possiamo nutrire il loro corpo e molto più l’anima, per convertire quelle sofferenze, in gioia di vivere.
Non solo per generosa compassione, ma anche per equità, come se potessimo ridistribuire un po’ della nostra ricchezza…ingiusta.
Pensavo a quella madre allattando due piccoli dal suo seno. Lo avrà fatto con la giusta misura. Anzi quella donna si era presa cura più del piccolo inappetente, per farlo crescere, pur senza trascurare l’altro bambino che invece era già sazio. Solo così sarebbero stati davvero due gemelli!! Uguaglianza non formale!
Quando cresceranno un allenatore vero si prenderà cura di loro e giocheranno in coppia all’attacco; finalmente potranno stringere il pallone dopo aver infilato in rete con un goal di piede, lo stesso che una strana palla, prima, lo stringeva per togliere la libertà.
Ora finalmente la palla vera se la sono ripresa e così potranno affrontare tante altre partite della vita.
Gli uomini di dignità potranno dare il fischio d’inizio a quella nuova prima partita, arbitri imparziali perché i diritti e le libertà vengano garantiti. Il valore alla vita viene salvaguardato se ai più deboli viene regalato, fin da piccoli, non di affaticarsi a cucire un pallone, ma di correre, casomai sudando, dietro una palla in un campo da gioco, invece di scappare da un campo di lavori forzati, dove profittare di bambini risponde alla legge del più forte che calpesta, volentieri e per interesse, la vita degli indifesi.
A questi uomini imperdonabili sanguinano le mani, al contrario delle immeritate stimmate, come se quelle spine avessero punto le loro coscienze e la croce per le loro nefandezze la portassero in segno di una punizione, non solo umana.
Ma è certo che la pagheranno cara, Dio a tempo debito amministrerà la sua giustizia. Invece loro, finalmente, potranno col talento riservato ad ogni bambino costruire il loro futuro su questa terra, perché per l’eternità a loro è stato già pensato. Lasciate venire i piccoli a me, perché di loro è il Regno dei cieli.
Gli amici della vecchia
Seduta silenziosa sulla panchina a far mangiare le tortore stava una signora con un cappotto striminzito di colore verde.
Era una vedova e il figlio era espatriato a far fortuna, ma lei viveva con pochi soldi. Usciva, presto di mattina per vedere un po’ di gente per pensare che non fosse sola. Ma la gente andava di fretta e nessuno si accorgeva di lei, dei suoi bisogni.
Acquistava solo pane duro, non per il suo appetito che aveva perso, ma per sfamare quelle creature a cui dava appuntamento. Sembravano non fossero interessate a lei, se pur le tenessero compagnia. A lei bastava guardarle, ascoltare quel tubare per sentirsi meglio, tra loro esisteva un patto di utile ma reciproco scambio; lei dava pezzi di pane sbriciolato, loro coccole per il continuo cantar.
Ma non c’era solo quel posto, ma pure una piazzetta nascosta. Lì andava prima di pranzo a portare del latte ai gattini; anche i piccoli la riconoscevano da lontano, come fosse la loro mamma. Questo continuo miagolio era per lei una musica dolce e le fusa della gatta erano una sorta di gratitudine.
Un giorno portò con sé una grande cesta con un panno di lana, non era solo un lettuccio caldo ma il gesto di prima accoglienza. Quel pomeriggio tornò a casa tardi, perché un micetto miagolava di più.
Aveva dedicato tanta cura per il latte riscaldato a contagocce e il gattino che apriva la bocca a fine pasto, riconoscente la leccava. A casa la donna non aveva animali, seppure i vicini avessero tartarughe a cui offriva il radicchio della sua cena dal piccolo campo di casa. Parevano lente ma curiose, si muovevano di continuo verso la vecchia e per esplorare la sua casa, avanzavano fino a dormire nella cucina. Sotto il tavolo a far compagnia a loro c’era un pesce che non era rosso, ma trasparente, infatti si confondeva nell’acqua torbida; perciò era come non si vedesse, non volesse recare disturbo. In fondo quella casa era deserta, lei era sola, il rumore era muto, eppure quelle tartarughe preferivano alloggiare da lei, proprio per il silenzio. I vicini neppure se ne accorgessero, pensavano fossero in letargo, eppure la femmina deponeva, non a caso, le uova nella sua cantina. Ai piccoli nati bisognava assicurare acqua e insalata fresca, anche loro avevano capito che quella donna garantiva vitto e alloggio!
Un giorno tornò a casa in lacrime: quella gatta a cui aveva dato assistenza era morta sulla strada; poteva esser considerato un incidente sul lavoro, ma fu un gesto di difesa per amore dei suoi piccoli contro quei cani randagi che giravano in paese, contro i quali aveva battagliato con gli artigli affilati. Poi è passato il camion della spazzatura e così sarebbe finita fra i rifiuti; l’anziana signora l’aveva raccolta morente, ascoltando il miagolio come ultima richiesta.
L’ha portata nel giardino di casa, scavato una buca poi sopra aveva piantato un picccolo tronco.
Era ritornata dai gattini, li prese in casa e li insegnò a farsi le unghie.
Attorno a quel grosso bastone che iniziò a germogliare a primavera i rami crescevano. Le tortore, seppure non trascurate, capirono che là potevano trovare ombra e anche le tartarughe cercavano refrigerio sotto il fogliame del nuovo albero.
Nella casa della vecchia signora si era creato una socialità sconosciuta fino allora.
Ma il merito fu anche il sacrificio della gatta; attorno all’albero la sera si faceva il fuoco non solo per scaldarsi ma per guardarsi negli occhi e capire chi fossero i nuovi vicini.
Ora non prendeva più la bicicletta per recarsi in paese per vedere gente; adesso poteva restare nella sua campagna perché aveva la compagnia desiderata. Non era più una casa silenziosa, adesso anche i vicini distratti amavano parlare con lei perché non si sentissero soli. Cosi finalmente poterono conoscere anche le loro tartarughe e la loro prole.
Anche la famiglia era numerosa e i loro bambini, finalmente, anziché guardare la televisione
dopo la scuola entravano in quel giardino di fianco, per giocare assieme ai gattini che saltavano di là dallo steccato, come se volessero curiosare la casa dove invece le tartarughe erano migrate perché cercavano non solo cibo, ma compagnia.
Quella donna vecchia era riuscita a far capire a tutti come avere interesse reciproco non fosse solo utile, ma piacevole. Addirittura la convivenza era trasversale tra gatti e tortore, tra lo stupore della gente.
Anzi un giorno un bambino di un’altra casa , portò il suo cucciolo e da quel giorno il cagnetto imparò a giocare coi micetti. Poi il cerchio si allargò e altre persone si radunarono in quel giardino, ciascuno coi loro bimbi e animali.
Poi venne Natale, e i nonni che si occupavano delle luci. quell’anno decisero che quell’albero di ulivo che era cresciuto alto e carico di frutti, in mezzo al campo e in memoria della gatta, venisse addobbato con palle bianche e attorno si cantasse. Era bellissimo, perché tutti i bimbi intonavano le melodie natalizie e gli animali li accompagnavano con i miagolii e il loro abbaiare.
Era iniziato un vero processo di integrazione e la vecchia, già malata, seduta sulla poltrona di stoffa rappezzata sorrideva, accarezzando un coniglio di una bambina sconosciuta. Un giorno sul giornale del paese abbiamo letto che la signora Natalina li aveva lasciati e il sindaco del paese aveva organizzato la cerimonia di commiato. Quanta gente era venuta salutarla!
Ebbene i vicini vollero che i bimbi e gli animali partecipassero a quel funerale quasi gioioso, seppur malinconico. Quel pomeriggio, nonostante una breve pioggia, fu stabilito che si tenessero all’aperto le esequie. Quella vecchia volle salutarli in modo irrituale, intorno all’albero.
E anche il cielo si commosse, poi torno il sole.
Fu seppellita nel campo dei defunti del paese e non nel suo campo, come normale che fosse, ma ancor più perché era la vecchia di tutti e molti la domenica portavano sulla sua tomba i fiori dei loro giardini.
Alcuni si fermavano a pregare con i cani al guinzaglio, aspettando che prima avessero fatto i loro bisogni fuori dal cimitero.
Già anche dai vecchi e dagli animali si può sempre imparare.
Un giorno un uomo alto, stempiato su una fronte rugosa, aveva chiesto di quella donna al custode.
In fondo al camposanto vide un capannello di persone in silenzio e capì che sua madre non era stata sola, seppur lui l’avesse totalmente trascurata.
Non ebbe né coraggio, né interesse a chiedere di lei, aveva fretta perché il treno partiva di lì a poco.
Scomparve col suo abito grigio insieme al freddo della nebbia, mentre su lei c’era ancora traccia di calore se pur fosse morta da sei mesi. La pelle del suo corpo pareva riscaldarsi dall’affetto degli amici.
Prati incontaminati
Erano circondati da tanti campi; il terreno più vicino era stato da poco seminato e si vedevano i fili d’erba crescere. Era un prato delicato e non si poteva ancora camminare sopra.
Ma ogni giorno cresceva un po’, il sole era il suo nutrimento. E la brina bagnava il ciuffetto erboso che l’aria calda del giorno lentamente asciugava.
Dietro casa c’era un piccolo podere invece dove i bambini giocavano con la corda e se fossero caduti non si sarebbero fatti male.
Adiacente il pozzo c’era uno spazio più limitato ma l’erba era alta al punto giusto per i rimbalzi del pallone.
I piccini correvano, il rischio era che la palla finisse nel buco del pozzo.
Ma fuori dal campo da gioco c’era lo sguardo dei nonni, i vecchi contadini di un tempo, che li seguivano attenti e applaudivano quando un piccolo cadeva per terra…. purché non si fosse fatto male.
Vicino c’era un fazzoletto di prato dove le sorelline giocavano a fare la mamma e al dottore.
Come per istinto usciva subito l’anima femminile. Era una visione silenziosa se pur vi fosse una evidente comunicazione del corpo che già manifestava con la corsa da una parte all’altra del campo, l’intraprendenza delle bambine.
D’altra parte, lo spirito di fanciulla cresceva già dentro a loro fino a diventare donne.
In un altro spazio c’era un vero campo da calcio, con le porte in ferro; le avevano recuperate da un impalcatura smontata dopo aver sistemato il fienile.
In porta c’erano le bambine e l’arbitro era la bidella della scuola. Forse perché conosce a tutti e si fidavano; lei era la rappresentazione efficiente della scuola. Inconsapevolmente la società era già emancipata.
Aveva le chiavi per aprire, sistemava i banchi, suonava la campanella della ricreazione, dava il latte per merenda, si prendeva cura dei bimbi febbricitanti prima di consegnarli ai loro genitori.
Poi salutava uno per uno i bimbi sopratutto prima dell’estate quando la scuola chiudeva.
Ma lei c’era anche per il campo solare, era davvero la custode dei fanciulli…!!
Tutti la conoscevano ed avevano rispetto.
In campo la partita era alla pari e i ragazzi avevano fiato perché a scuola la ginnastica e pure l’educazione civica erano materie su cui tutti dovevano impegnarsi.
Certo pure la matematica è l’italiano, ma qualcuno in casa aveva sentito parlare solo il dialetto.
A bordo del campo si sentivano dei strani versi. Ma non erano dei bambini. I genitori urlavano, però pare non si divertissero… Gridavano a squarciagola, quasi imprecando.
Non erano educati… Speriamo che i bimbi giochino la loro partita senza sentirli, diceva un anziano signore con la pipa in bocca, anche se purtroppo quegli adulti li sgridano perché non sgambettano il portatore di palla.
Ma pare che i fanciulli si guardino fra loro e sorridano, forse dei loro genitori, arrabbiati per nulla.
Poi un giorno qualcuno un giorno ci ha detto che avevano dissodato quei campi, scavato una buca profonda e buttato dei rifiuti tossici.
Erano diventate delle discariche e c’era un odore nauseante.
Ora in quei campi i bambini non potevano più giocare. Quegli uomini con le loro grida violente avevano seminato arroganza. e anche un po’ di ostilità.
Non erano stati custodi della civiltà, anzi hanno permesso di calpestarla…come se ci fosse stato una sorta di autolesionismo rispetto alla salute. Forse l’eco della loro voce prepotente aveva dato la stura a questo oltraggio alla creazione.
Infatti i bambini piccoli avevano strane asme che poi producevano malessere ai polmoni e la tosse era sintomo di mal sopportazione di quell’ambiente, non più naturale. Certo, il contesto era sempre attraente ma non era più salutare.
Ma anche le loro anime erano un po’ malate per non aver più un campo dove, quei bimbi, le fanciulle e i ragazzini, potessero andare a giocare. Perciò il loro cuore pativa di questa privazione e in loro si manifestava una certa ansia… come del futuro.
Per non farsi mancare nulla i padron,i con l’avallo del governo locale, avevano potenziato le acciaierie. Le stesse che nel passato recente erano state create per fare le armi.
In fondo quei genitori pensavano che i loro bimbi in campo combattessero come fossero in battaglia.
Poi diventando grandi si sono ricordati di quanto fossero stati importanti quei campi da gioco. Avevano contribuito a stare insieme, vivere in modo pacifico e allegro.
Ma quei terreni erano stati contaminati.
Allora hanno chiesto alle autorità che fossero costruiti dei Giardini e piantati degli alberi.
Un sindaco donna che era stato il portiere della vecchia squadretta di calcio, ha emesso così un’ordinanza che spiegava il motivo della donazione di spazi di verde per creare parchi. Aveva un figlio piccolo.
Ma poi hanno bonificato pure quelle buche di spazzatura avvelenata…!!
C’e voluta la malattia del suo bambino.
Chissà se un giorno anche gli uccellini ritorneranno lì a fare i loro nidi? E l’acqua dei pozzi potrà ritornare a bagnare i campi per far crescere le verdure?
Poi è successa una cosa spettacolare…L’acciaieria si è riconvertita e ha chiuso il reparto armi e munizioni. Finalmente qui non si sarebbero fatte più le mine che uccidevano la gente…che camminava sui campi.
Attorno a quei nuovi prati i bambini che nel frattempo erano cresciuti hanno costruito le loro case, formato le loro famiglie e per quei nonni che erano i loro vecchi genitori che un tempo urlavano…. hanno fondato un circolo perché potessero giocare fra loro a bocce, a carte e che ora avevano smesso di gridare, non solo perché la voce si era affievolita, ma perché avevano imparato la lezione da quei bambini col sorriso.
Attorno a quei parchi avevano fatto un vero campo da calcio con le tribune; ora erano gli alberi che facevano ombra a quei vecchi stanchi ma sorridenti…erano partite di valore simbolico ma c’era un vero arbitro che esigeva correttezza in campo e soprattutto fuori e due donne facevano da guardalinee come se volessero ascoltare le parole tra quei due confini delimitati dalle righe bianche del campo. C’erano anche bambine a bordo campo che incitavano, ma che portavano le borracce e curavano le ferite sul campo, come le crocerossine. Ma non erano cicatrici di vita, del dolore di una guerra, ma soltanto graffi nelle gambe di chi cadeva, mentre colpiva male un pallone.
Pareva un mondo nuovo di pace…Anche se era una piccola comunità.
Ma spesso le cose piccole sono esemplari. Un nonno aveva chiesto che sull’insegna all’entrata del circolo fosse dipinta una stretta di mano fra generazioni diverse. Le dita fresche di un bimbo sfioravano allungate, quelle grinzose di un vecchio signore. Come nella creazione di Michelangelo.
Pensate che il disegno l’avevano fatto i bimbi della prima elementare con la loro maestra. Quando gli hanno raffigurato l’affresco originale si sono sentiti come degli allievi del Maestro. Ah c’era una dedica scritta in stampatello:
“ancora sul vecchio campo da pallone”.
Molti sapevano di questo aneddoto e veniva spiegato perché passasse il messaggio fra generazioni.
Sotto la scritta c’era una semplice parola di ringraziamento dei vecchi genitori: Amen.
Ora sventola una bandiera, che non è il tricolore, ma gialla come il calore del sole che li fortifica e azzurra pari al cielo che li rassicura. Forse non è un caso, perché oggi mentre scrivo, quei colori dell’Ucraina, sono sui monumenti delle città, come se si dicesse ad ognuno che guarda la storia, che quel che conta non sono solo i drappi degli uomini, ma che esiste una bandiera che tutela i deboli, soprattutto i bambini che spesso vengono allevati da donne vedove, ma fiere della loro terra e dei loro caduti per la libertà. La resistenza è un valore caro a tutti i popoli, anche se il costo spesso è altissimo. Il risultato non sarà avere solo un pezzo di terra, ma poter correre libero su quel campo dove mai nessuno dovrebbe pretendere di dettare proprie regole, perché questo spetta alla comunità, alla gente che vi partecipa che poi la farà crescere. Nessun uomo potrà dettare leggi che non siano condivise, almeno da una parte di popolo. Al contrario ci sarà una visione univoca, distorta e la bandiera sarà monocolore, rossa come il sangue che si spargerà. I bambini, finalmente corrono con un pallone su un prato dove accanto volano le farfalle vicino ai fiori impollinati; pure il cane correrà dietro la pallina di pezza. E’ chiaro che giocare fa parte non solo dell’uomo, è un segno di svago mentale, di leggerezza dell’animo. Per farlo occorre un campo, una palla e dei bambini, anche se gli adulti parrebbe si fossero dimenticati. Ora guardando i nonni sembrano anche loro non aver mai smesso di divertirsi. Già perché fare qualcosa di diverso aiuta la creatività e perciò che è nato lo sport. Da quel momento, se pure ci fosse il leader di una squadra, tutti parteciperanno insieme a vincere, ma si potrebbe anche perdere. In fondo questa è la vita dove tutti però abbiano la possibilità di correre e i bambini in assoluto possano avere il diritto di giocare, perché si nutrono di questo, come del latte.
Allora facciamo dei campi dove si avanza con o senza palla, basta correre, purché con rispetto e senza invasione di campo. Pertanto, coltiviamo dei prati e a bordo dei medesimi mettiamo dei cestini perché si depongano i rifiuti, che forse potrebbero essere pochi se sporcassimo di meno; invece vigiliamo affinché non si occultino, sennò quel sudicio nascosto, oltre ad avvelenarci resterebbe attaccato alle nostre coscienze di padri incapaci di ribellarsi al mare di plastica, che comporterà il “divieto di balneazione”. Voi madri che crescete il figlio in un grembo ribellatevi perché viva sano e possa tirare i calci liberamente in pancia e sui verdi giardini tirarli ad una palla, poi sulle linee di un prato d’erba calciare un pallone.
Una bambina dissepolta dalla neve
Quei giorni di Natale siamo partiti per le vacanze e arrivammo a destinazione dopo un lungo viaggio sotto la neve. Eravamo alloggiati in una vecchia baita nella val Pusteria assieme ad un gruppo di amici con le loro famiglie. Era un posto a contatto col cielo…sopra la nostra testa c’erano le vette delle montagne che toccavano le nuvole.
Le nostre bambine erano già emozionate all’idea di giocare sulla neve con altri bambini.
L’anziana signora che ci ospitava, quella fredda sera, ci aveva accolto con un brodo caldo, mescolato al classico formaggio profumato e una pietanza di canederli.
Dormivamo in una bella camera quadrupla con un bagno condiviso con un’altra famiglia. Andammo a letto stanchi…anche se prima di mettermi il pigiama decisi di farmi una doccia. L’acqua era tiepida ma dava un sollievo speciale dopo il freddo patito a montare le catene, sotto una bufera di neve.
La mattina ci svegliammo con mezzo metro di neve fresca; fu una giornata divertente sugli sci di fondo e sugli slittini, mentre alcuni bambini fecero un meraviglioso pupazzo di neve.
Dopo una cena a base di polenta e salsicce…un uomo si alzò in piedi e fece una preghiera di ringraziamento per la doccia calda, per una buonanotte, per i cibi saporiti e per aver giocato un intero giorno sulla neve.
Restò in piedi in un lungo silenzio e con gli occhi lucidi ci disse che dall’altra parte della terra altri bimbi non solo non avevano giocato, ma addirittura avevano saltata la cena e prima di addormentarsi nessuno stava accanto a loro a sussurrare una ninna nanna per farli addormentare, addirittura accarezzandogli i capelli.
Dal fondo della stanza una voce sottile di un bambino sussurrava al suo papà: Ma non avevano una mamma che gli dava il bacio della buonanotte?…
Forse a quei bambini mancava anche il pane quotidiano e i loro genitori a volte erano scomparsi.
”Quando si fa torto a qualcuno il Signore non lo vede forse?”
Così quell’uomo prima di parlare lesse quel verso nel libro delle Lamentazioni, nella Bibbia.
Allora quel babbo, dopo aver letto quelle parole, in mezzo a noi in piedi e rivolgendosi a tutti ci raccontò che conosceva un’organizzazione cristiana che si prendeva cura dei bambini, anche se fin d’ora la miseria aveva rubato loro la gioia della vita…anzi la vita era solo tristezza.
Quell’uomo disse con un tono piano ma pungente: Sapete bambini, voi siete in vacanza da scuola e siete felici….loro sarebbero contenti, invece, se qualcuno li avesse portati questa mattina di festa a scuola, perché se restano soli ad oziare è distruttivo; per loro la vacanza, magari, fosse un banco e un libretto su cui colorare il sole sopra una casa assieme ai compagni di scuola, come fanno…quasi tutti i bimbi del mondo.
E ci fece vedere una foto di una piccola bambina coi piedi scalzi ma sorridente, perché aveva un quaderno in mano, che lui diceva di aiutare a…5000 chilometri.
Mia figlia primogenita, che a quel tempo era una bambina di 12 anni, mi disse:
Papà quando torniamo, ospitiamola a casa nostra e insieme ci accompagnerai a piedi, ma con le scarpe, a scuola come fai tutte le mattine.
Il nostro amico ci descrisse come potevamo aiutare quelle famiglie, dove purtroppo molti bimbi vivevano con i nonni o degli zii, ma spesso non avevano un pasto completo per alimentarsi. E ci spiegò meglio le modalità per adottare un bambino a distanza.
Fu estremamente convincente, non per l’oratoria, ma per il sentimento che lo animava, che i bimbi, attenti, lo ascoltavano a bocca aperta e orecchie spalancate.
La mia figliola più piccola, che frequentava la scuola elementare, mi sussurrò in un orecchio che le avrebbe dato il suo zaino e il suo astuccio con le matite colorate.
Fu abbastanza semplice convincere noi genitori; era una buona occasione per dare un esempio ai nostri bambini, non per dovere o uno stile etico..ma per un atto di amore.
Prima di terminare la serata volle leggere una pagina del vangelo… Gesù sgridò i discepoli che volevano allontanare i bambini, ritenendo che Lo disturbassero: lasciate venire i fanciulli perché di loro è il cielo.
Concluse affermando che oltre ad aiutarli materialmente e a studiare, nell’ipotesi verosimile che si fossero
ammalati potevano curarsi; infine ci disse che a questi bambini ogni giorno i maestri avrebbero raccontato una storia del Vangelo. Quella sera, molti di noi decisero di adottare un bambino a distanza.
Fu una vacanza piacevole ma molto intensa interiormente. Le mie bambine non vedevamo l’ora di tornare a scuola, perché sapevano che da un’altra parte del mondo una sorellina avrebbe portato lo zaino ereditato; alla sera forse quei bambini si sarebbero addormentati dolcemente, fieri per aver fatto i compiti inizialmente un po’ difficili, ma, dicevo alle mie figlie, averli risolti, stava facilitando..un po’ già la loro vita.
Con un gruppo di amici un anno fa abbiamo partecipato ad un progetto di sostegno, realizzato con la costruzione di un pozzo e di una scuola per 300 bimbi in Tanzania; il capo tribù contattato da due giovani missionarie aveva confidato che sarebbe stato straordinario provvedere all’educazione dei ragazzi perché vivesse la speranza di crescere e la costruzione di una scuola era un’idea meravigliosa.
Eh già, dare loro acqua potabile e prendersi cura del corpo era necessario quanto istruire, con lo studio, la loro mente.
La mattina di ripartenza, quel pupazzo di neve, che all’inizio i nostri bambini avevano fatto davanti alla baita, non c’era più: il sole l’aveva sciolto per davvero!
Un altro bimbo però poteva rinascere…stavolta non di neve.
Infatti ogni gruppo che aveva deciso di fare crescere un fanciullo si dava un nome identificativo; quello della nostra famiglia si chiamava Cantastorie di Bologna.
Sembrerebbe una narrazione fantastica, invece era una bellissima storia vera. Come la leggendaria storia di Pinocchio…quel bambino di legno che, allo splendore della bacchetta della fata Turchina, diventò un bambino in carne d’ossa, ritrovando facilmente il suo papà Geppetto.
Quando rientrammo in città, l’associazione ci comunicò il nome della bambina adottata che si chiamava Roxanna Vanessa.
Quella bimba è stata come una sorellina per noi e per dieci anni ha potuto studiare, curarsi e mangiare un pezzo di pollo la domenica. Col cuore gioioso ci ha scritto che grazie a Dio avrebbe riabbracciato i suoi cari.
Perciò possiamo dire che da quel pupazzo di neve é tornata a vivere una nuova Roxanna.
Ora è diventata una giovane ventenne e questa assistenza l’avrà resa consapevole che Dio guidava la sua vita…e continuerà ad avere fiducia confidando nel suo appoggio.
Noi possiamo continuare a fare pupazzi con la neve che Dio fa cadere, che il Suo sole scioglierà perché si possano… dissetare altre vite.
Roxanna per certo ha bevuto a quella sorgente, non solo per non morire di sete…ma per vivere con dignità.
Se da questa parte della terra usiamo dei guanti di pelle per modellare i freddi pupazzi di neve, con i bimbi veri occorre mettersi la mano sul cuore che emani quel calore speciale per poter ricostruire la loro anima raffreddata dal gelo della loro solitudine, affinché possano essere confortati dalla nostra concreta vicinanza, seppure lontani per la distanza geografica.
Recita un salmo: “il Signore guarda dal cielo e vede tutti i figli degli uomini”.
Chissà un giorno se pure loro potranno fare un pupazzo, pur sapendo che da quelle parti del mondo non nevica? Lo faranno con l’argilla a mani nude…per dare coraggio e vita ad altri bimbi. Dio, in fondo ha creato l’uomo dalla polvere e gli ha soffiato un alito vivente!!
Ecco in quell’inverno di abbondanti nevicate, i tanti pupazzotti di neve, al disgelo, sono spariti…ma il calore del nostro cuore, invece, crediamo abbia dato respiro alla vita di molti bimbi che, anziché sciogliersi come la neve al sole, sono cresciuti dentro e fuori.