Davide Bernardin - Racconti

IL DORMIVEGLIA (Racconto tratto dal romanzo ancora incompiuto “Il miglio della paura”)

Era una fresca sera d’estate, e grilli cantavano i loro inni all’unisono come solevano fare sempre prima di andare a coricarsi tra le erbe dei prati. Mi trovavo a far da guida ad un gruppo di turisti fuori dalla mia baita, in montagna, ai piedi delle Dolomiti trentine, in quei luoghi che ricordano tanto qualcosa di paradisiaco che permette di toccare il cielo con un dito, e che fanno pensare a come le meraviglie più belle si trovino più vicine di quanto si possa credere. Avevamo da poco acceso il consueto bivacco notturno, che permette di creare quella tipica atmosfera di relax e di riflessione tipica delle notti stellate e illuminate, oltre che dal fuoco, anche dalla luna piena agostina. Tra una chiacchierata e l’altra, venimmo interrotti da alcuni ululati di lupi che parevano provenire dal bosco tetro ai piedi della montagna, luogo che illuminato di notte metteva per la verità un po’ i brividi, anche ai temerari che si avventuravano tra gli abeti e i larici alla ricerca di chissà quale totem. Fu proprio a causa di quei versi uditi poco prima, che uno dei ragazzi propose ad ognuno di noi di raccontare la cosa più spaventosa che ci fosse accaduta nella nostra vita, e che avesse in qualche maniera scioccato o turbato i nostri sentimenti e le nostre convinzioni più logiche. Dopo che alcuni di noi avevano raccontato i loro avvenimenti più inspiegabili, tra storie di clown vagabondi e oggetti che sembravano spostarsi da soli – nulla di originale in realtà- arrivò il mio turno, e non sapendo cosa dire, iniziai a pensare. Pensando vagai nella mia mente e nei miei ricordi più reconditi e terribili, che in parte pensavo aver eliminato e che invece si trovavano ancora lì, subdoli, nell’ inconscio. Ed ecco che mi sovvenne qualcosa, qualcosa di oscuro che mi era capitato qualche anno prima, e che, nonostante non ci pensassi da tempo, era ancora un ricordo indelebile e immutabile all’interno del mio grande stanzone mnemonico. Inizia così a raccontare la mia storia, mentre gli altri ascoltavano con attenzione quello che avevo da dire- “Una notte avevo fatto un sogno bellissimo. Nel mondo era tornata finalmente la giustizia, e i mali, le guerre e i tormenti erano spariti definitivamente, lasciando spazio soltanto all’amore, alla pace e alla benevolenza. Mi ero svegliato nel bel mezzo della notte con un non so che di serenità, quella che ti resta quando il mondo onirico spazza via tutti i problemi vaganti nei pensieri, e che ti permette di cominciare una nuova giornata da capo. Ciò nonostante, non era ancora ora di alzarsi, e l’orologio digitale segnava le 5:30; appoggiai nuovamente il mio corpo supino sul letto, nell’attesa di addentrarmi nuovamente nel sogno, sperando di rivivere ancora quel mondo utopico in cui il male non esisteva. Ma invece, quello che stavo per osservare, era tutto fuor che benevolo. Mi resi conto, fin da subito, di non trovarmi in un sogno ma bensì nella cosiddetta “paralisi onirica”, ossia quella fase che comunemente è conosciuta come dormiveglia. E quello che vidi, non lo vorrei neppure raccontare e non vorrei neppure essere capace di riviverlo. Eppure, questo, forse mi aiuta a guarire la ferita profonda che esso ha lasciato all’interno della mia anima, e che pensavo di aver cicatrizzato grazie al tempo”. Una delle ragazze del gruppo, la più bella in realtà, mi guardava con un’aria incuriosita, stringendo forte la sua mano destra sul pettorale del suo fidanzato, un ragazzo palestrato dall’aria da duro, che sembra non venir sfiorato minimamente da alcun tipo di paura. “Stavo dicendo, mi trovato in quella fase del sonno in cui non sei né sveglio né dormiente, in cui se apri gli occhi vedi la tua camera come distorta, e se cerchi di accendere la luce non ci riesci, pur essendo convinto di essere nella realtà, e ciò ti sorprende creando nel tuo spirito un’ansia inspiegabile. Quella volta tentai di accendere la luce più volte, e quando pigiavo l’interruttore il click si dissolveva nel buio, come se non avesse alcuna forma di potere in una dimensione in cui te pensi di essere reale, ma in realtà non lo sei. E fu proprio dopo che provai ad accendere invano per la settima o forse ottava volta la luce che vidi, nel fondo della mia stanza, qualcosa di ineffabilmente terrificante. C’era una strana creatura, di altezza e spessore non ben definiti, che mi osservava dal davanzale della finestra; non riuscivo bene a capire all’inizio che cosa fosse, aveva delle sembianze animalesche ma allo stesso tempo molto diverse da quelle che appartenevano allo scibile della mia memoria su ciò che si considera terrestre. In realtà volevo chiudere gli occhi e aspettare che ciò finisse immediatamente, ma la curiosità mi portò ad osservare ancora più in profondità, e fu in quel momento che capii che ciò che stavo osservando era proprio qualcosa di molto strano. Qualcosa di inspiegabilmente diabolico.” Quando nominai questa parola, molti ragazzi del gruppo mi osservavano con un’aria dubbiosa e un po’ impaurita, la tipica di chi è scioccato e confuso allo stesso tempo. “Aveva un sorriso con denti aguzzi, occhi bianco avorio privi di iride e di pupilla, un volto pallido e ovale. Non sembrava avesse le orecchie, e il suo naso assomigliava a una punta smussata di un’incudine da fabbro, privo di narici come se fosse quasi stato attaccato per scherzo. Le sue mani erano in realtà dei prolungamenti corporei simili alle radici che si snodano dall’albero e che vanno alla ricerca di acqua per sopravvivere. Quell’essere sembrava volere qualcosa da me, e non smetteva di sorridermi mentre lo osservavo. Mi sorrideva in maniera incessante e malsana, tanto che pensai di essere di fronte a qualche psicopatico assassino che si mascherava per rendere ancora più terribile la morte della vittima. Ma mi sbagliavo. Quello non era uno psicopatico o un serial killer. Quello non era un malato di mente con intenzioni terrificanti. Quello non era un uomo che per motivi di esclusione sociale aveva deciso in maniera perversa di uccidere. Quello era..” Degli ululati interruppero il mio racconto, tanto che alcune ragazze del gruppo si mossero di soprassalto, esclamando quell’usuale “Oddio!” tipico di chi viene interrotto nell’ascolto o nella visione di un racconto inquietante da qualche rumore banale, amplificato dal contesto e dalla conversazione nella quale si è coinvolti. “Chiusi gli occhi per un momento, sperando che quell’essere immondo andasse via, o che perlomeno quel mondo non ben definito svanisse. Quando li riaprii, la camera in cui mi trovavo divenne gelida; c’era uno strano odore di zolfo e gli oggetti erano ancora meno visibili di prima. La creatura c’era ancora, e ora, il suo sorriso malsano si era trasformato in uno ghigno vacuo e malvagio. Richiusi gli occhi, il mio cuore iniziò a battere velocemente e mi girai in posizione prona nel letto, il mio unico rifugio, nascondendo il mio viso nel soffice cuscino e posizionandomi nell’angolo sinistro rannicchiato come un feto nella placenta della madre. Volevo sparire, oppure uscire dalla stanza. Non riuscivo più a sollevare lo sguardo, non volevo farlo. Ed ecco che, proprio quando il gelo e quell’odore strano di zolfo erano spariti, sentì cigolare le reti del letto: qualcosa si era disteso alla mia destra, e stava respirando in maniera profonda e sommessa. Volevo morire, non riuscivo quasi a respirare. Non so perché, ma mi venne di girarmi verso destra e di guardare. Osservai per un momento, e scorsi, nel bel mezzo del buio a pochi centimetri da me, degli occhi vuoti che mi osservavano in maniera minacciosa. Scorsi dentro di loro il male in persona, quel male inspiegabile a parole, che nasconde dentro di sé i misteri più segreti e più atavici che da sempre tormentano l’essere umano. Ed ecco che, quasi all’improvviso, quella creatura si alzò e andò verso la porta. Tenni gli occhi socchiusi perché non volevo credere a quello che vedevo. Le sue gambe erano grigie, e al posto dei piedi aveva qualcosa di simile a due zoccoli, dai quali uscivano robusti artigli assomiglianti a quelli di un grosso felino. Richiusi gli occhi, non volevo più vedere. Aspettai. Quando li riaprì nuovamente, vidi una piccola sfera nera che a poco a poco assumeva le sembianze di una falena, bianca e con delle macchie scure sulle ali. Dall’insetto udì provenire una specie di “stock”. Mi svegliai, in preda a un amaro senso di impotenza e di mistero”. I ragazzi del gruppo sembravano alquanto sorpresi e un po’ spaventati dalla storia che gli avevo raccontato, e uno di loro mi chiese:“ Hai più sognato questa strana creatura?” “No, ma la cosa strana che ancora non vi ho detto è che il giorno dopo ho trovato una cosa nella mia camera, proprio sul davanzale in fondo alla stanza.” Andai all’interno della baita a prendere l’oggetto che documentava in qualche maniera che quel sogno era avvenuto veramente e che, per quanto si possa credere o no, era stato in qualche maniera reale. Quando tornai al bivacco, alcune ragazze si misero il palmo delle mani sulla bocca, in segno di spavento. “Ecco cosa ho trovato la mattina dopo nella stanza. Può essere anche una strana coincidenza ma però…” Feci passare al gruppo il piccolo contenitore di vetro nel quale si trovava la prova della mia esperienza inquietante. Tramite la sottile superficie trasparente si poteva notare un insetto grosso come il palmo delle mani di un bambino, e simile ad una falena, anche se a differenza di essa al posto delle antenne aveva tre corna nere, e sopra il corpo centrale si notavano delle strane figure che ricordavano antichi simboli esoterici. Oltre a ciò le sue zampette si diramavano in tre appendici grigie che erano tanto strane quanto spaventose. Il ragazzo palestrato, quando osservò l’oggetto, esclamò: “Che immensa sciocchezza! E ci credete veramente a questa storia? E poi, perché avresti dovuto imbalsamare quest’insetto? Io l’avrei direttamente buttato via!” “Amico mio” risposi con la consueta mansuetudine “ Anche se si trattasse, come detto, di una strana coincidenza, devi comunque ricordare una cosa: come il bene, anche il male merita rispetto” La fidanzata del ragazzo palestrato annuì dolcemente a quello che avevo detto, e lui, infastidito dalla sua reazione, iniziò a litigare con lei; si dimenò nervosamente, e forse preso dalla rabbia, gettò lontano l’oggetto. “Ma cosa fai? Ti è dato di volta il cervello? “dissi io, mentre mi ero già alzato per andare a cercare l’oggetto nel prato. Cercai per un po’ di tempo aiutato anche da altri due ragazzi, e finalmente trovammo qualcosa; purtroppo l’oggetto aveva sbattuto contro una piccola pietra, dividendosi a metà, e l’insetto in esso contenuto era stato vittima della medesima sorte. Quando tornammo al bivacco mi sentivo un po’ offeso e allo stesso tempo arrabbiato per quello che era successo, e decisi che era ora di spegnere il fuoco e di andare a dormire, perché eravamo un po’ tutti stanchi. La notte passò tranquilla e ci svegliammo la mattina seguente verso le sette e mezza; leggevo negli occhi dei ragazzi una strana espressione che faceva trasparire rispetto e allo stesso tempo inquietudine nei miei confronti. Mentre prendevo il caffè dallo scaffale, entrò in cucina il ragazzo palestrato; aveva un’aria veramente sconvolta, il suo viso era pallido, sembrava fosse cambiato. Addirittura i suoi pettorali, così solidi e prominenti, sembravano essersi appassiti nella notte. Mi guardò con un’aria stanca, e con rabbia e insolenza, mi disse: “L’ho sognata quella creatura, sai? Vai a vedere cosa ho trovato nella camera”. Andai velocemente nella stanza dove il palestrato aveva dormito e quello che vidi mi lasciò esterrefatto: quell’insetto, che avevo imbalsamato tanti anni fa, stava svolazzando all’interno della stanza, facendo soffiare un movimento d’aria che nulla aveva da invidiare a una tramontana, sia per l’intensità sia per la temperatura fredda che esso creava. Richiusi velocemente la porta, ero impaurito, il mio cuore batteva a mille proprio come quella volta che avevo fatto quella specie di incubo. Andai velocemente in cucina dove c’erano gli altri, ed esclamai :“Quella specie di falena che avete visto ieri e che si era rotta…beh, è in una delle stanze e sta svolazzando” Tutti rimasero pietrificati, eccetto il ragazzo palestrato che prese subito la parola e sbottò :“Cosa? Quando mi sono svegliato era morta, ne sono sicuro. Vado su e uccido quello schifo!” “No, non lo fare Massimo!” disse la sua ragazza “Ha ragione lei” aggiunsi io “ Qualcosa di malvagio alberga all’interno di quell’insetto. Non devi farlo, hai già commesso un errore una volta, ti prego.” Massimo, facendosi barba di tutto e di tutti, salì le scale di legno rapidamente e si diresse deciso nella stanza, chiudendo la porta con la chiave. Passarono alcuni minuti prima che la porta si aprisse di nuovo. Sul pianerottolo apparve il ragazzo palestrato. Il suo passo era lento. Il suo sguardo trasudava qualcosa di strano e insano allo stesso tempo. Il suo sorriso era simile a quello che avevo visto in quell’ incubo, i suoi capelli scomposti erano l’emblema della trascuratezza e dell’abbandono che in quel momento si personificavano in lui. Mentre scendeva le scale ci rendemmo conto che nelle mani aveva qualcosa; quando arrivò al piano terra, tutti lo osservammo con stupore. Con un gesto di stizza, ci chiese di avvicinarci a lui “Ecco a voi il mostriciattolo” disse Massimo, mostrandoci l’insetto morto che teneva tra le mani. “Adesso vado a buttarlo nel fuoco così non tornerà mai più” “Noo!!! Non devi assolutamente farlo!!” dissi io, con un forte tono di voce. “Invece si, caro mio” Massimo corse velocemente verso l’angolo destro della cucina, io lo rincorsi e gli strinsi forte la mano “Non farlo, ti prego. Non sfidare ciò che non conosci”. Il palestrato risposte con un “pf” di chi ne sa più di tutti e se ne frega di quello che gli altri dicono e pensano; aprì la porticina della stufa e gettò dentro l’insetto. Tramite la finestrina ignifuga, osservammo generarsi una fiamma più grande delle altre, a cui fece seguito un piccolo scoppio che fece tremare per un secondo il pavimento. Eravamo tutti un po’ scossi dall’accaduto, ma sembrava che finalmente il peggio fosse passato. “Ora è tutto finito, Viola” disse lui, abbracciando la sua ragazza e tenendola stretta a sé. “Non so gli altri” aggiunse lui, guardandomi negli occhi “ ma noi due andremo a casa domani l’altro. Ci teniamo a fare l’ultima ferrata, ma poi basta. Ne abbiamo abbastanza”. Io lo osservai per un secondo, e feci un gesto con la testa – poco convinto in realtà – accondiscendendo alla sua richiesta. “Vi accompagnerò in paese domani, non c’è problema”. La ferrata di quella calda giornata di agosto fu molto faticosa; alcuni furono costretti ad abbandonare e a tornare in baita prima del previsto, in quanto la fatica e la stanchezza avevano avuto il sopravvento su di loro. Rientrammo proprio per ora di cena; una delle mie escursioniste cucinò una favolosa minestra ai fagioli, che tanto ricordava quella che faceva mia nonna quando ero bambino, e che lasciava nella bocca quel sapore dolce e granuloso che non volevo sparisse mai più. Dopo cena, accendemmo il consueto bivacco, ma questa volta eravamo molti di meno e le conversazioni furono brevi e concise; Massimo era andato a dormire presto in quanto non si sentiva molto bene, diceva che aveva giramenti di testa dopo quella specie di incubo che lo aveva tormentato la notte prima. La sua ragazza era lì attorno al fuoco, e iniziai con lei una conversazione molto interessante “Una gran bella ferrata oggi, vero?” “Si, di gran lunga la migliore. Da lassù si ha una vista spettacolare di tutta la vallata.” “Riguardo a quello che è successo ieri sera e ieri notte, ecco non era certamente mia intenzione..” “Non ti preoccupare” intervenne lei” non è di certo colpa tua. Max è fatto così, quando non crede a qualcosa, anche se lo vede con i propri occhi, resta sulla sua. E’ un testardo che più di così non si può” “Immagino..ti ha parlato in dettaglio del sogno che ha fatto?” “Mi ha detto di aver sognato quella creatura di cui avevi parlato ieri. Mi ha detto che si trovava nel bel mezzo della stanza e che aveva guardato fuori dalla finestra; all’improvviso, da un grosso faggio dietro la baita, ha scorso una sagoma che sembrava lo salutasse. Mentre cercava di osservare ancora di più nel dettaglio, notava che la sagoma si avvicinava alla finestra come se si muovesse su un tapis roulant, e che diventava sempre più grande: quando era molto vicina, ha potuto distinguere bene le sue fattezze, e dice che corrispondeva alla descrizione che avevi fatto te.” “Già” risposi io “Credo che lui nascondi un animo molto sensibile dietro a quella corazza muscolare da Arnold Schwarzenegger” “Si!” replicò lei ridacchiando “Lo è. In passato ha sofferto molto anche per la morte prematura della madre. Poi ha avuto delle ossessioni che lo tormentavano, ma ora sta bene. Spero solo che questa storia non riapra vecchie ferite” “Mi dispiace veramente. Non lo sapevo e ovviamente non volevo accadesse tutto ciò” “Tu non hai colpe, era destino.” Sentimmo ancora gli ululati della notte prima, ma questa volta sembravano essere più timidi e meno aggressivi. Eravamo tutti molto stanchi e uno degli escursionisti disse che forse era ora di coricarsi, perché domani ci aspettava una lunga camminata. Eravamo d’accordo tutti con lui, e ci dirigemmo nuovamente verso la baita. Entrammo e mentre gli altri andavano verso le loro camere, il mio sguardo fissò stranamente un quadro appeso sopra il divano del soggiorno; ritraeva una piccola marmotta che usciva dalla sua tana, sullo sfondo di una catena montuosa non ben definita e colorata in maniera confusa con sfumature di marrone e di grigio. Ricordai che quel quadro era stato il regalo che avevamo fatto ai miei genitori per il loro 20° anniversario di nozze. “Un po’ scialbo” pensai dentro di me. “Effettivamente ero ancora molto piccolo, e forse mia sorella non aveva i gusti che avevo io in materia di arte e di regali alternativi. Comunque credo che se fossi..” Il turbinio dei miei pensieri venne interrotto improvvisamente da delle urla. Qualcuno stava chiedendo aiuto all’interno della baita. Capii subito che la voce proveniva dalla camera di Massimo e Viola. Ecco che dopo alcuni secondi scese correndo la ragazza, piangendo; venne verso di me e con voce concitata e tremante disse :” E’ sparito! Max è sparito!” Salimmo insieme nella camera presi entrambi dall’angoscia e dall’ansia. Era tutto in ordine: la foto della mia prima comunione, il vecchio poster di Shevchenko appeso sul muro ovest, l’abat-jour floreale al centro del comodino, il tappeto marocchino di fronte al letto matrimoniale; tutti gli oggetti si trovavano al loro posto e non c’era alcun segno che fosse successo qualcosa di strano. Addirittura le coperte e le lenzuola erano sistemate come se il letto fosse stato rifatto la mattina stessa e nessuno ci si fosse più intrufolato. “Strano, molto strano” dissi io “Eppure siamo sicuri entrambi che sia tornato in camera, giusto?” “Certo” disse la ragazza piangendo “Sono entrata nel bagno convinta che fosse lì, ma non c’era.” “Hai controllato nello sgabuzzino?” “Quale sgabuzzino?” rispose lei perplessa “Quello che si trova accanto al bidet”. Entrammo nel bagno e aprimmo con la piccola chiave la porticina alta non più di un metro e mezzo. “Questa baita è un labirinto” disse la ragazza. “Un po’ si” risposi io ”Nello sgabuzzino mio padre ha messo tutte le vecchie cianfrusaglie che oramai non ci servivano più, dalle micro machines anni ’90 fino alle radioline e ai walkie talkie con i quali insieme ai miei amici parlavano da una parte all’altra del paese. E’ il tipico luogo dove si mettono le cose vecchie, che non si usano più. “ Mentre parlavo, notai subito che c’era qualcosa di diverso dal solito. Lo sgabuzzino, lungo non più di 6 metri e alto non più di due, era molto più freddo del resto della baita. Fu la ragazza però a notare prima di me, che la finestra in fondo era aperta “Non può essere scappato da lì” disse lei “Perché avrebbe dovuto!” “Scappato o rapito?” Una voce grave dietro di noi intervenne, facendoci fermare il battito per un secondo “Luigi! Ci fai venire un infarto!” disse la ragazza. “Ragazzi” replicò Luigi ” Siamo tutti qui fuori che ci domandiamo che cazzo avesse da urlare Viola” “Max è sparito” replicò la ragazza “E’ sparito, Luigi!” “Ok, e che è da fare?” chiese lui. Io e la ragazza ci guardammo negli occhi, non sapendo cosa rispondere. Andai verso la finestra e guardai giù. Tutto era a suo posto, e la lanterna illuminava, come normalmente accade, il marciapiede di marmo che costeggia la baita prima di dissolvere la sua luce nel bosco “Max avrebbe dovuto fare un salto di 3 metri, certo non è nulla di rischioso, però non ne vedo il motivo. Perché uscire da una finestra..di uno sgabuzzino, per giunta!” “Ma non è che avessi lasciato aperta la finestra prima che arrivassimo, Johnny?” chiese la ragazza chiamandomi per la prima volta per nome “ No, avevo anche controllato. Era tutto chiuso.” Esitai un attimo e, calpestando in maniera affrettata le varie cose che erano appoggiate in quel luogo stantio, tornammo nella camera. Chiamai tutti gli escursionisti a raccolta nel soggiorno e dissi a loro :“Questa notte Max, il ragazzo di Viola, è sparito. Vorrei sapere, prima di iniziare le ricerche, se qualcuno di voi lo avesse visto, o avesse sentito qualche rumore strano provenire dalla sua camera sta notte. La finestra dello sgabuzzino accanto al bagno era aperta”. Tutti negarono di aver sentito o visto qualcosa di strano e uno dei ragazzi chiese: “Ma non è che forse gli sia preso lo schizzo e abbia deciso di fare il salto dalla finestra e andare a farsi un giro nel bosco? Oggi sembrava così strano..” “Abbiamo già escluso che sia uscito di proposito. Temiamo che qualcuno si sia addentrato nella baita e lo abbia rapito.” “Uno così grosso? Come fa a essere rapito!” rispose il ragazzo. “Qualcuno lo ha rapito..qualcuno o qualcosa” disse Viola, guardandomi fisso negli occhi. “Bene ragazzi, non ci resta altro che prendere tutte le torce che abbiamo e andare alla ricerca di Max. Dobbiamo sparpagliarci nel bosco” dissi io “Ma non ha senso” rispose uno dei ragazzi “Può essere dovunque!” “Hai ragione, ma vale la pena tentare” Uscimmo in fretta e furia dalla baita e ci dividemmo a gruppi di 3, dandoci appuntamento davanti alla baita alle 2 di notte. Mi trovavo insieme a Viola e a un’altra ragazza, Giovanna, che sembrava la più impaurita del gruppo; portava con sé un kit di pronto soccorso, e un apparecchio di nuova generazione che permetteva grazie ad un sistema a raggi infrarossi di recepire gli sbalzi di calore a decine di metri di distanza. ”L’ho portato con me perché ho pensato che potesse essere utile nel caso in cui mi perdessi durante le escursioni. Beh, lo ammetto, sono un po’ troppo ossessiva.” “Penso ci sarà utile” risposi io “Tienilo pure acceso “ “Certo, quando recepisce qualcosa, il display si illumina di verde, e tramite una freccia mostra la direzione da seguire e dice a quanti metri di distanza si trova la fonte di calore. E’ molto utile per la caccia mi han detto.” “Lo immagino” replicai io. Ci addentrammo nel bosco lentamente e a soppiatto, pur sapendo che in una situazione come questa dovevamo agire in fretta per avere ancora qualche speranza di recuperare il disperso. Seguimmo uno stretto sentiero che serpeggiava verso ovest, e che terminava ai piedi della montagna; la torcia con il suo fascio di luce ci permetteva di camminare più rapidamente, e di osservare come al buio il bosco apparisse davvero come un luogo misterioso. Guardandosi attorno, tutti noi notavamo delle strane ombre circondarci e avvolgerci man mano che proseguivamo nel cammino, senza renderci conto che in realtà quelle erano soltanto delle distorsioni provocate dalla nostra mente a causa delle paure che si trovavano insite nel nostro inconscio. Sembrava quasi che ci trovassimo in uno di quei film horror americani dove i liceali vanno in giro per le foreste in cerca di guai, per poi incrociarsi con strane creature che li mandano direttamente all’inferno. Con la piccola differenza che questo non era uno di quei sogni ma era la realtà. La terribile realtà. Passarono alcuni minuti, forse addirittura mezz’ora dalla partenza, quando il display della ragazza si accese “Ha avvertito qualcosa!” “Dove?” rispose Viola concitata “A destra. A destra” Ci inoltrammo tra gli alberi, e grazie alla roncola che portavo con me, riuscì a rendere il passaggio più agevole. Avevo ora nelle mani l’apparecchio della ragazza, che segnava una fonte di calore a più o meno 60 metri da dove mi trovavo. Procedemmo cercando di fare meno rumore possibile, anche se lo scricchiolio dei nostri passi rendeva comunque ardua l’impresa di non farsi sentire. La luna non era più visibile, in quanto i rami dei vari abeti, larici e faggi rendevano impossibile vedere al di sopra della foresta, che era ora diventata un vero proprio tunnel in cui, grazie alla luce della torcia, si riusciva ancora a non avere attacchi improvvisi di claustrofobia. Il display mostrava che ora la fonte di calore si trovava a 30 metri di distanza, e che stava muovendosi verso destra. “Si sta spostando” sussurrai alle ragazze “Andiamo da quella parte”. Ci muovemmo ora con più rapidità, sapendo che se fosse stato un animale sarebbe probabilmente scappato via sentendoci arrivare. 30. 20. 10 metri. La fonte di calore era rimasta ferma. Iniziavo a sentire i battiti del mio cuore pulsare forti nel petto, e arrivare fino ai polsi delle mani, che facevano ora fatica a trattenere stretti gli oggetti che erano la nostra guida in quella terribile avventura. Arrivammo a 5 metri di distanza, e iniziai a scorgere qualcosa: non vedevo bene e neppure le ragazze capivano bene cosa fosse. Sembrava qualcosa di strano. Mi avvicinai. 4.5.3 metri. Udimmo un verso straziante provenire da quella creatura che avevamo di fronte. Ma poi, quando si materializzò in tutta la sua essenza, restammo alquanto allibiti “E’ solo un cervo!” disse Giovanna sollevata “Mi stavo pisciando addosso “ “Pure io” replicai, sentendo un lieve sollievo che mi percorreva la schiena. “Torniamo nel sentiero” intervenne Viola, un po’ seccata, strappandomi dalle mani la torcia e l’apparecchio a infrarossi. Quando tornammo sul sentiero, il paesaggio che ci circondava era diventato più familiare. Probabilmente anche noi c’eravamo ormai abituati al buio e questo ci permetteva di vedere con più razionalità che quello che ci circondava non erano in realtà ombre maledette pronte ad assalirci ma delle semplici piante che solo desideravano non essere sradicate il giorno dopo da qualche commessa comunale. Viola guidava ora il piccolo gruppo, e, proseguendo a passo deciso, muoveva la torcia a destra e a sinistra, come fosse un faro che segnalava alle imbarcazioni disperse la via da seguire. Effettivamente, anche noi ci sentivamo parecchio persi quella notte, dopo la scomparsa di quel ragazzo, che certo non era sicuramente il massimo della simpatia, ma era pur sempre una persona che non meritava certo di fare una fine di quel tipo. Proseguimmo per almeno un’altra mezz’ora senza che nulla succedesse. Eravamo arrivati quasi ai piedi della montagna, nel punto in cui il sentiero svolta bruscamente a destra, e la sua pendenza aumenta di almeno il 10 % per permettere agli escursionisti di raggiungere più velocemente la roccia; sentivo le ragazze quasi annaspare dalla fatica, il loro respiro si faceva sempre più rapido e il silenzio che le circondava mi trasmetteva qualcosa di tremendo. Viola, che guidava ancora al gruppo, udì qualcosa provenire da sopra: “Avete sentito?” “No!” rispondemmo insieme io e Giovanna. “Mi sembra di sentire dei passi. “Ascoltammo attentamente. Il rumore dei passi si faceva sempre più vicino. Qualcuno stava scendendo rapidamente dal sentiero. Ci nascondemmo rapidamente tra gli alberi, perché non sapevamo bene cosa sarebbe passato in pochi istanti su quel sentiero. Viola spense la torcia e ci accovacciamo tutti e tre sotto alcuni alberi di noce. Il display si accese. Aspettammo. Aspettammo uno. Due. Tre minuti. Il tempo sembrava non passare. Quando ecco che apparve. A passo svelto. Aveva un lungo pastrano nero, e un cappello dello stesso colore che non ci permetteva bene di vedere il suo viso. Sembrava avesse qualcosa di famigliare. La sua barba. Il suo fucile. I suoi scarponi neri. “Zio!” urlai io. L’uomo si girò quasi spaventato e guardò tra gli alberi “Zio! Sono Johnny!”. Uscimmo dal bosco con i palmi delle mani aperti sopra la testa, in segno di rispetto e attenzione. “Johnny? Che cazzo ci fai qui alle 2 di notte! E con due belle ragazze tra l’altro “ “No, zio. Non è come pensi. Uno dei miei escursionisti è scomparso dalla baita nella notte e lo stiamo cercando”. Lo zio ci guardava con un’aria per niente sorpresa, e guardò un attimo nel vuoto. Il suo sguardo sembrò all’improvviso perso. “E’ successa una cosa strana poco fa. Già sai, caro Johnny, che delle volte rompo le regole e vado a caccia anche quando in realtà non è permesso. Ti ho sempre detto no, che le ore migliori per trovare gli animali, se sai dove vanno a coricarsi, non sono quelle della prima mattina, ma quelle della notte fonda “ “Si me lo hai già detto zio” “Beh, nella notte fonda si possono vedere alcune volte delle cose strane. Ma quello che ho visto poco fa, ragazzi miei, ha veramente dell’incredibile. Mai vista una roba del genere “ “Che cosa hai visto?” chiese intrepida Viola “ “Ho visto..ho visto qualcosa che non dovevo vedere.” Lo zio ci spiegò che stava rincorrendo un capriolo sotto la montagna, e che lo aveva inseguito per almeno mezz’ora. Proprio quando stava per sparare, si fermò quasi paralizzato da quello che stava osservando “ Sì,ti sto dicendo Johnny, c’era una strana figura, proprio a sinistra del capriolo. Non so, sembrava una specie di gufo gigante, non saprei bene come definirlo. Era molto inquietante, e ti giuro, sembrava sorridesse. Sembrava che al posto del becco avesse una bocca. Ma poi, la cosa che più mi ha lasciato senza parole, è che quando ha spiccato il volo, aveva un’apertura alare di almeno 5 metri. 5 metri! Ti rendi conto? Non esiste un volatile così grosso, per lo meno che io sappia! Quasi non ci credevo. Ho visto che è volato all’interno del bosco e poi boh..chissà dov’è finito. “ “Ti crediamo tutti!” rispose Viola “Il mio ragazzo è scomparso e sono ora quasi convinta che il motivo della sua sparizione sia dovuto a questa creatura.” “Mi dispiace tanto ragazzi, ne ho viste parecchie di cose strane e assurde nei miei 60 anni di vita . Ma questa, cari miei, le supera tutte..” “Immagino zio..immagino..” Restammo per un momento sul sentiero, guardandoci tutti quanti negli occhi; i nostri sguardi sembravano smarriti, erano quelli di chi perde tutte le certezze in un solo istante, e si aggrappa a quel poco che ancora gli resta che gli dia un motivo valido per andare avanti. Lo sguardo che più mi inquietava era proprio quello dello zio, il tipico ariete che non si fa mai smuovere da nulla e che basa la sua vita su certezze razionali che niente e nessuno può riuscire a scalfire. Uomo di grande raziocinio, solido più della fullerite, ma che ora, per la prima volta nella sua vita, si sentiva confuso. Inspiegabilmente confuso. “Se volete” disse lo zio, un po’ mesto “Vi aiuto a cercare il ragazzo “ “Non avrebbe più senso” intervenne Viola “Son già le due e dobbiamo tornare in baita. Di notte, così, non troveremo mai nulla” “Forse ha ragione la tua amica. Forse è meglio rientrare” Decidemmo di fare come aveva detto Viola e scendemmo velocemente sul sentiero. Le radici degli alberi e i sassi conficcati del terreno provocarono nelle piante dei miei piedi delle grosse vesciche, abbastanza insolite per uno che come me è abituato a camminare, anche se quella giornata era stata lunga, sfiancante e molto stressante. Quando arrivammo alla baita gli altri 2 gruppi ci stavano aspettando e lo zio ci salutò andando verso la sua jeep Cherokee che aveva lasciato nella piazzola di fronte alla cabina della centrale elettrica. Andammo a dormire tutti molto stanchi, con la speranza che domani il ragazzo sarebbe saltato fuori e che tutto si sarebbe risolto. La mattina dopo ci mettemmo nuovamente subito alla ricerca del ragazzo, dopo aver fatto un abbondante colazione. Controllammo tutta la zona attorno alla baita, dal bosco sopra a quello di sotto, ma non trovammo nessuna traccia del disperso, nemmeno qualche indizio o qualche oggetto personale che potesse esserci d’aiuto. Nulla. Decidemmo allora di denunciare la scomparsa ai carabinieri, che vennero di persona alla baita per chiederci come, quando e dove fosse accaduto il fatto; noi cercammo di rispondere come potemmo, nascondendo comunque tutti i segreti che oramai custodivamo nella nostra memoria riguardo a quello che era successo in quei giorni. I carabinieri non notarono nulla di strano in noi, per fortuna, o almeno così sembrava; dissero che tra meno di un’ora sarebbe arrivata l’unità di soccorso e che avrebbero iniziato la perlustrazione. Mentre offrivo a loro un caffè, i ragazzi andarono nelle loro camere a preparare le loro valigie. Vedevo nei loro occhi la paura di coloro che avevano conosciuto qualcosa di incomprensibile e sconvolgente. Prima che se ne andassero, volli però fargli vedere una cosa, che non avevo fatto vedere a nessuno prima di allora, ma che pensavo che fosse giusto che loro leggessero “Ragazzi,,venite. Prima di andare, volevo farvi leggere questo.“ Tolsi dallo scaffale della libreria un foglio A4 scritto a computer, che avevo stampato anni prima da un sito di demonologia moderna “Quando l’essere umano esce dal regno dei sogni, può entrare in un limbo che è e non è, in cui la mente viene avvolta da una nube nera, dove sogno, realtà e fantasia si confondono. Ed è proprio in quel breve periodo di tempo, che le porte della percezione vengono aperte, permettendo alla mente umana di entrare in contatto con le altre due dimensioni: quella della luce e quella dell’ombra. In quest’ultima troviamo vari tipi di creature, da assassini a fantasmi mai del tutto redenti, e sono soliti essere piuttosto innocui, anche se vengono sfidati. Ma ce n’è una, di queste creature, che auguro a nessuno di incontrare e di sfidare. La sua origine è alquanto tenebrosa e si narra che provenga addirittura da tempi talmente lontani antecedenti la creazione dell’universo. Si crede che esso esistesse anche quando Dio mandò Lucifero all’inferno; si dice infatti che il male non nacque con Lucifero, ma bensì con lui, quando tutto fu creato in principio. Il suo nome è Damanas; leggende raccontano che, quando Lucifero venne sbattuto all’inferno, Damanas venne obbligato da Dio e dagli angeli del paradiso a risiedere nel luogo più irraggiungibile e più astratto dell’universo: il dormiveglia. Damanas lottò ma alla fine cedette e dovette fare come aveva detto Dio. Ciò nonostante, Damanas aveva ancora molto potere, e avrebbe potuto risiedere nuovamente sulla terra, una volta che avesse trovato la vittima che, con la sua debolezza, gli permettesse di tornare nella realtà. E se questo fosse avvenuto, tutto sarebbe cambiato. Il male avrebbe dominato il mondo, nelle sue sfumature più terribili e paurose.” “Ecco ragazzi.” dissi io “Potete credere o non credere a questa storia, ma quello di cui sono certo è che è meglio tenere gli occhi ben chiusi nel dormiveglia. E soprattutto non sfidare mai quello che potreste vedere. Le conseguenze potrebbero essere irrimediabili.” Tutti mi osservavano con un’aria stanca e confusa, tipica di chi ne ha veramente fin sopra i capelli e non vede l’ora di andarsene oppure di cambiare drasticamente la sua vita. “Sì Johnny, lo abbiamo imparato” disse Viola “Il male come il bene merita rispetto.” Poco dopo ci salutammo, in maniera piuttosto fredda in realtà, come se quello che fosse successo in quei giorni non avesse apportato nelle loro vite altro che inquietudine e turbamento. Restai nella mia baita per un po’, e vidi finalmente che le unità cinofile arrivavano. Una nube nera e minacciosa si stagliò sopra le vette delle montagne, come uno strano sentore che qualcosa di terrificante fosse in procinto di accadere. Ma forse mi sbagliavo. Forse era solo frutto della mia immaginazione.