Ho scritto ti amo un milione di volte
Sul desco la stilo giace impregna,
sto ,com’in autunno, sull’uscio a rimirar, che le foglie, prego, possano vivere e sulla carta ho scritto “ti amo”, almeno un milione di volte.
Siamo tutti fanciulli
Calda pioggia di lune,
preghiere di sonni e dolcezza,
per l’aia un’ape tardiva
rimira pigolii di stelle eccentriche.
Vaghi tremolii di cuori,
lascivi orizzonti e palpebre,
baleni d’oro sepolti,
nell’animo del bimbo sperduto.
Bimbo mio, che dolore indossi?
Qual irta nuvola t’ha urtato piangendo?
Siamo tutti fanciulli, nei sonni assopiti, ove magici elicrisi sposano le foglie, che riarse, il tempo spaura mesto; siamo tutti fanciulli, quando vaghi luccichii, palesasi innanzi a noi ed il buio cala ed il bimbo sorride.
Forse vita
Penetran l’ore filtrate dal vento
e dragan spirali, spirali di buio;
forse vita, dona a me fanciullezza
che le rughe emaciate
ormai tergon le mie lagrime occulte.
Forse vita,
quando la foglia nasce nella primavera
ed in autunno soffre il vento,
giocando con la morte.
Sarà, forse, vita,
quando tu, dall’ala d’alcione,
disegni per l’aere il domani e,
sarà forse vita, quando il bimbo piange,
quando il vecchio piange,
che forse, vita, lagrima morte,
quando al centro, non v’è altro che amore.
Quando piango
Quando la rosa piange,
lagrime non sfiorano cieli,
che l’inverno è arrivato
e si cela dietro vincastri.
Quando la rosa piange,
non piange cristalli,
ch’i petali, stillanti di silenzi,
pregano Dicembre
e l’ora gelida della sera.
Quando piango io,
tutto tace
ed il vento logora il tempo,
ma la morte non è oggi,
forse sarà, nell’abbraccio con la luce,
quando la rosa piange e,
piango anche io,
aulenti latrati d’eburneo piangono
alla vetrica crisalide dei nostri sogni.
Spleen (vivo le tenebre)
Il vento stormisce le vetriche fronde,
stanno gli uomini appesi a stelle,
tutto giace lungo biche argentee,
la chitarra suona poesie,
ch’i bambini recitano giocondi.
Nasce tutto nella notte,
quando il silenzio stilla lagrime di caduti; proni rosai nudano effigi di luna e vivo le tenebre al dolce canto dell’assiolo.
Meriggio triste
Desto il guardo lascivo
al mirto ombrato della sera,
zagari di sangue perivan’il vento
a meter il cor dell’animo mesto.
Al meriggio, sorrisi incanutiti
di là e da quella,
silenzi a voci deserte,
piango, piango,
ma lagrime non sfiorano foglie.
Sarai il ricordo di domani,
quando sugli alberi
i frutti stanno in autunno
e l’oblio folgora il tempo perso,
al ritrovo di anime sepolte
e dei tuoi occhi,
inondati di pagine bianche.
Vita
Allegre fronde non sanno,
antichi tronchi urlano,
bambini liberi piangono,
vecchi uomini perdono.
Novembre
Sul desco d’ebano la lampada fumosa,
sull’uscio rimiro stelle,
bruma all’ermi onde di colli,
aulento il silenzio di sale.
Giaccio, come pietra immota,
son desta creatura affranta,
stillo lagrime sole,
che la pioggia cessa ed il vento
a meter chiarore,
ove più mesto appar’il poeta
ed il guardo triste alle nubi funeste.
Tempo
Le verdi chine, il sopor dell’ombra,
labili raggi pavidi non slancian il tepore.
Tutto è arso, le fronde tristi,
i tremolanti passati,
la sabbia di clessidra, che giace sul desco, ad affiorar, alla ragione, il tempo, che come lagrima sgorga, assassinato dal cielo.
Quando scrivo, piango
Pendono uomini dalle stelle;
la tua iride rifrange il sopor della notte.
Le mie preghiere sono vane oggi,
il caldo si cela dietro un antico Scirocco, parlo, nessun’ode, lagrimo, nessun’ode.
Pendono uomini dalle stelle;
quella foglia estiva, aulenta d’antichità, narra di folgori e piove, le mie preghiere sono vane oggi, incido,su questo cedro mozzato, mantra e parole meste, sto scrivendo, alla tarda ora della sera, sto scrivendo e, la penna piange con me, sulla carta bianconera, arsa, dalle mie lagrime dolenti.