Diana Maimeri - Poesie e Racconti

RICORDI BAMBINI

 

Rubo alla memoria
giornate di sole 

gelate dall’inverno. 

 

Ai piedi della montagna 

si raccoglievano giochi di bambini,

le gote rosse, 

diavoletti alle dita, 

rotoloni in slittate, 

sopra quattro assi inchiodate 

dal mio papà. 

 

Alla sera

attorno alla stufa, 

appesi 

come ad aspettare la befana, 

fila di calzette intrise, 

calzettoni di lana 

lavorati a ferri con amore 

dalla mia mamma.

 

Seduta 

di fronte alla luce 

che si addormenta, 

ascolto il respiro della terra 

e lascio aperto il cancello dei giorni  

di quando ero una bambina.


SOLITUDINE

 

Cancellate dignità dell’essere

le vite scordate 

nei rifugi dei vecchi,

 

Ombre nell’ombra 

malinconiche e lise 

in attese vuote, 

dimenticate 

dietro tendine scostate, 

dentro speranze deluse.

 

Si è annullato ormai 

l’orgoglio di un vissuto

col rispetto dei ruoli,

con affetti creduti sinceri,

ora contano solo i giorni

ad uno, ad uno

dentro ragnatele 

di solitudine.


PAGINE D’ ETERNITA’

 

La vita sembra redatta 

in lettere minuscole 

con punti e virgole, 

tra silenzi e parole.

 

Effimeri momenti

scritti con le maiuscole 

ci ricordano il vivere:

incontri, amici, tenerezze.

 

Poi si gira sempre facciata 

e dentro coppe d’ametista;

traspare la falsa apparenza

tra vezzose virgolette.

 

La stesura delle ore vuote 

non si cancella nel tempo,

rimane vergata nella mente

come essenza mancata. 

 

Ma è il dono dell’ amore

che rilega lo splendido libro della vita 

e lascia nel ricordo 

pagine di eternità.


AFGANISTAN

 

Soffocano nel buio 

i loro gemiti 

coloro che trascinano 

il pesante fardello 

dell’oppressione. 

 

IL grande silenzio 

raccoglie ogni insulto,

ogni palpito d’angoscia, 

ogni offesa 

scagliata loro addosso.

 

Volano verso quel deserto

bianche colombe di pace,

tra grida, scoppi e lacrime, 

scavano fossi, 

preparano trincee, 

in una terra arrida 

dove l’unico fiore 

è quello rosso 

dipinto sul cuore

di un nostro fratello.


VERONA RACCONTA ALLA LUNA

 

Pensare che ho nell’anima

sogni e poesia,

anche se il mondo, 

queste cose,

le crede da buttare via.

e non si emoziona più

delle disgrazie della gente,

dei baci di Giulietta al suo Romeo

non gliene importa proprio niente!

 

Mi dispiace, se l’Adige,

non brilla più come una volta,

se dentro la “Vasca”, in Brà

la  povera gente non la si ascolta,

se a Fraccastoro in piazza dei “Signori”,

la “Pietra” in mano ancor gli resta,

perché non può tirarla

mirando qualche testa.

 

Però, sono sempre la “Verona”

non sono fatta sol di vecchie glorie,

riesco ancora adesso

raccontare le belle storie!

…ma, per questa sera lascia stare,

nasconditi dietro l’ultima stella,

lasciami  sognare 

di essere ancora quella!


SISMA

 

Nelle onde della terra 

si nascondono 

e rimbombano

sussulti di morte, 

tutto si trasforma in cera 

nella violenta metamorfosi.

 

Solenne, 

gira lenta la luna a illuminare

il niente che è rimasto, 

una realtà spietata 

tra urla, lamenti 

e sogni frantumati.


TRADIMENTO

 

Torna agognata

la pioggia sulla polvere 

a lasciare le impronte 

dell’immenso.

 

A piccole gocce, 

a chicchi di smeraldi,

o, maledetta,

a cancellare in un solo scroscio 

una promessa 

di messe feconda.


IL “ FILO’ “

 

La seconda metà del secolo scorso ha visto la scomparsa di molte tradizioni come: la questua rituale della Pasquetta, le processioni con la benedizione dei campi a primavera, le visite di cortesia alla puerpera, le feste del calendimaggio, che avevano scandito le tradizioni secolari.

Una delle ultime a scomparire dalla strada è stata quella del “ filò “ davanti alla porta di casa, o nelle stalle, che nei mesi  invernali riuniva uomini ed animali per difendersi dal freddo passando le serate in compagnia: lavorando, chiacchierando, giocando e cantando.

Di solito questi incontri al calduccio iniziavano dopo San Martino e andavano avanti fino a marzo.

Queste tradizioni erano praticate in tutta Europa e con le stesse modalità, ma con nomi diversi: veillée in Francia, filandòn in Spagna, ceilidh in Scozia, besedy nei paesi Slavi.

Il filò è stato praticato anche durante il periodo di guerra con il coprifuoco, in barba a quanto si raccomandava il parroco di campagna che non vedeva di buon occhio la promiscuità tra ragazzi e ragazze, contro gli ordini del proprietario della campagna che non gradiva le riunioni “ clandestine “.

Negli anni cinquanta, con l’avvento della televisione, gradualmente questi incontri si sono diradati e nel fatidico “  68 “ si è conclusa l’unica e vera istituzione culturale contadina, tramandata da una generazione all’altra con un patrimonio di: proverbi, racconti, canzoni, preghiere, storie pratiche lavorative e modelli di comportamento solidale.

A tener in vita lo spirito di queste tradizioni, ormai messe a riposo nel ricordo e sconosciute ai giovani, sono rimaste le anime poetiche che continuano in un rito comunitario, ad esporre in versi o in farse, per lo più brillanti o con spirito satirico, incontrandosi nei vari “ Cenacoli Dialettali “ o “ Circoli Culturali “.

Un saggio diceva; Se un popolo perde la sua lingua e le sue tradizioni, perde la sua storia.


LA TOMBOLA

 

Una delle poche usanze che resiste ancora alla modernità è il gioco della tombola. La si giocava nei secoli scorsi specialmente di domenica, era un pacifico rimanere insieme tra parenti, amici e conoscenti.

In molti paesi, alla fine del 1800, faceva parte delle lotterie, anche se proibite perché considerate gioco di azzardo e contraria ai regolamenti del 1774.

Questo decreto non era ben accetto dal popolo disubbidiente, appassionato di questa moda che aveva più che altro il valore di socializzare, tanto è vero che non valeva tanto il premio quanto lo stare insieme. 

La tombola è un gioco tranquillo ma anche complicato, povero ma con tante regole.

Ci vuole un certo numero di persone che abbiano la facoltà di tenere d’occhio due, tre, quattro, otto cartelle a loro piacere e un sacchettino con i numeri, un cartellone numerato dal 1 al 90 diviso in 6 cartelle formate da 3 file con 5 spazi vuoti alternati a 5 numeri, un sacchetto più grande contenente novanta tondini recanti un numero diverso dal n. 1 al n. 90, una persona con la voce chiara e forte che annuncia il numero estratto uno alla volta e il fortunato chi vince una cosa già scelta e disposta sul tavolo all’inizio del gioco. 

I premi possono essere in una scala di valori che partono dall’ambo, terna, quaterna, cinquina e tombola, ed essere composti da caramelle, monetine, bigiotteria o altri oggetti di vario genere a seconda dell’occasione e delle possibilità.

La si può giocare, come facevano una volta, in casa di amici, nei patronati, all’aria aperta sotto un albero quando fa caldo.

Per giocare a questo gioco c’è un codice che regola tutto il sistema. 

Primo: si scelgono le cartelle che devono essere differenti le une dalle altre, ma c’è anche chi si affeziona alle proprie con i numeri personali. 

Secondo: chi estrae i numeri deve essere svelto di modo che le partite siano almeno tre o quattro.

I giocatori, in silenzio nell’attesa del numero ma, poi in un vorticare di proverbi riguardante l’estratto: “ 1 Paron de tuti, capo de nessuno!”, “ 77 Le gambe de le done!”, “ 90 La paura!”, segnano il numero con un oggetto tolto da un contenitore personale. 

Questo sacchetto contenente i numeri o gettoni, che dir si voglia, fatto con un qualsiasi tessuto e forma, contiene ogni ben di Dio: fagioli, lenticchie, semi di zucca, bottoni, monetine fuori uso, tondini di cuoio, gocce di cristallo, quadretti di vetro, sassolini piatti, bulloni e altre stregonerie di ogni sorte.

Mi ricordo quando da ragazzina andavo lungo il torrente, che scorreva vicino a casa mia, per raccogliere delle piccole pietre rosa da regalare alle mie amiche che servivano loro per segnare i numeri e di quella volta che sono scivolata dentro l’acqua, per prenderne una particolarmente bella e della lavata di capo di mia madre per il forte raffreddore che ne era seguito.

Il gioco della tombola è il gioco dell’amicizia e dell’allegria. GIOCHIAMO!


LE PARTECIPAZIONI

 

Enio Dalla Torre e Maria Se Verrà

Oggi sposi

 

      La cerimonia si svolgerà in forma privata  giovedì 15 maggio 1958 alle  ore 10,30

      nella chiesa di  S. Paolo in via 20 settembre a Verona

 

Negli uffici del Tribunale le partecipazioni erano arrivate a sorpresa e per tutto il giorno lungo i corridoi c’era stato un vociferare malizioso e pettegolo nei confronti del promesso sposo:

” Hai sentito cosa ti combina il nostro galletto ?E’ arrivato anche per lui il momento di abbassare la cresta ! ”ribattevano alcuni benpensanti presenti.“Avrà terminato di correre dietro a tutte le sottane! “ Chissà chi è la donna che lo ha convinto a fare questo passo ! “

Era il commento generoso della zitella di turno.

Un avvocato di prima nomina, che non conosceva la persona di cui si parlava tanto, chiese ad un collega di spiegargli il perché di tutto quel ciarlare così animato.“ Vieni ! Ti faccio vedere una cosa e  poi ti racconto ! ”.Lo condusse in un ufficio del Palazzone dove, appesa ad una parete faceva bella mostra di sè la caricatura di un uomo. Sotto il ritratto, a caratteri cubitali, c’éra scritto;

                                           “ PERICOLO PUBBLICO “

“Questo dipinto raffigura un personaggio, che lavora qui come Ufficiale Giudiziario, è un bel mattacchione, un tipo che sa raccontare barzellette, combinare scherzi birboni e con il suo modo di fare riesce a  tenere sveglie queste quattro vecchie mura. E’ il figlio di un conte, che ha possedimenti nel mantovano.Da giovane faceva una vita dissoluta: giocava d’azzardo, s’indebitava con i negozianti, aveva amanti in più posti e faceva il perdigiorno.

Questo comportamento disonorava e faceva soffrire molto la sua famiglia, che era tenuta in grande considerazione in tutto il territorio.Il padre, uomo autorevole e tutto di un pezzo, sindaco stimato da molti anni e con un cognome da rispettare, lo aveva più volte richiamato all’ordine, ammonendolo. 

Un giorno, non potendone più di questo figlio scapestrato, prese la drastica decisione e lo cacciò di casa, lasciandolo senza lascito, senza soldi e senza titolo.Di punto in bianco il giovanotto si trovò a non avere più la protezione dell’ autorità del padre e fu costretto ad doversene  lontano per non subire, oltre la vergogna, anche la richiesta di pagamento dei debiti e la vendetta di taluni signori, intenzionati a fargli passare il vizio di correre dietro alle loro mogli.

Partito per l’America, andò da alcuni parenti della mamma, residenti lì da anni, che gli trovarono un lavoro.Così, lui che solitamente era avvezzo a comandare, dovette imparare a fare il cameriere per potersi mantenere.Dopo un paio d’anni, conobbe una ragazza figlia di emigranti padovani e la sposò.L’anno seguente ebbe una figlia, ma non riusciva a sopportare di essere lontano dalla sua patria e di fare un mestiere così umile.

Così scrisse una lettera commovente alla mamma, dove le chiedeva perdono e la supplicava di trovargli un lavoro e una casa in Italia; “ che potesse dargli la possibilità di vivere decorosamente con la sua famiglia “. La mamma, commossa nel sentirlo pentito, si premurò di trovare al 

figliol prodigo un impiego adeguato ai suoi studi, in Tribunale.

Nella lettera di risposta la contessa spiegava al figlio non che poteva ritornare  nel suo paese, ma che aveva la possibilità andare a vivere una nuova vita a Verona, dove lo aspettava anche un alloggio per tutti e tre, però, aggiungeva; “ Lontano da tuo padre, perché ancora non ti perdona ”.

Tornato in patria, si sistemò nella nostra città, ebbe altri quattro figli ed ora, all’età di cinquant’otto anni e vedovo da sei, vive con una figlia nubile.” “ Tu, lavorando qua dentro, avrai di certo la probabilità di incontrarlo perché si presenta tutte le mattine sempre elegante, con il cappello, il garofano all’occhiello, un bastone con il pomello d’argento ed una spiccata galanteria verso tutte le donne che incontra, perché il “vizietto” non lo ha mai abbandonato! Il neo avvocato, che aveva già capito com’era l’ambiente, soggiunse:
“Dovrete mettervi d’accordo per fargli un regalo che gli renda giustizia!”  “Vedrai  che qualche cosa troveremo di sicuro!” rispose  l’altro,  ammiccando.

Il giorno del matrimonio, rispettando il desiderio dello sposo che aveva specificato che la cerimonia doveva essere strettamente riservata ai familiari, nessun conoscente si presentò in chiesa, ma già dal giorno precedente erano arrivati a casa sua molti telegrammi di felicitazioni e auguri, mazzi di fiori, da parte di amici. I colleghi di lavoro, pensarono bene di fargli come regalo un grande corno di toro, vero,  ripieno di cioccolatini.Verso mezzogiorno e mezzo, più elegante del solito e con un’aria indifferente, il promesso sposo  si presentò in ufficio.

Chi lo incontrava lungo i corridoi si stupiva e chiedeva  spiegazioni della sua presenza.

Lui per un poco fece finta di non sentire e si limitò ad un saluto, ma quando la notizia di questo fatto strano trapelò per tutto il tribunale, il suo ufficio si riempì di gente che voleva sapere il perché del suo ritorno al lavoro. Con molta calma si sedette alla scrivania e con una faccia da impostore disse: “ Come mai tanta meraviglia ?! Io ho dato l’ avviso di questa probabilità!

Se leggete bene sulle partecipazioni vedrete che c’è scritto:” Ennio Dalla Torre e Maria Se Verrà” Oggi sposi,ma, dal momento che; Maria non è venuta,  ho pensato bene che non éra proprio il caso che rimanessi a casa tutto il giorno senza fare nulla, ed eccomi qua al mio dovere !

 ”Questo bel tipo era il papà della mia mamma; nonno Ennio.”