Diego Romano - Poesie

Sogno un angelo che mi segue.

Sogno quell’anima candida che mi protegge.

Canto alleluia nel silenzio del mio cuore.

Vedo le strade senza senso,

di città senza un capo.

Sento nell’attimo del mio dolore,

le tue ali che sbattono

e accanto a me, si  sciolgono nella sua opera.

Bellezza infinita.

Abbraccio di silicio   ventre di una balena d’acciaio.

Vertigini di assurde visioni,

come uno strano veicolo con i freni rotti.

Sogno di un angelo, sogno di un’anima

che mi avvolge nell’incubo della vita.  

Morte dolore.

Spengo ogni forza nel desiderio di un sogno eterno.

Ogni mattina mi sveglio.

Leggo nella mia mente il dolore che m’imprigiona.

Sussurro al mio cuore una danza di solievo,

ma è una menzogna.

Ancora desiderio, ancora amore,

quelle tue ali così calde, avvolgenti.

Ancora quell’attimo di calore.

Sento il tuo cuore che batte,

nella notte, contro il mio petto.

Quel’abbraccio così solitario,

nelle vene di sangue così ghiacciato.

Tu accanto a me.

Ti sogno nel mezzo di quelle notti da incubo.

Sei lì che mi copri, mi accarezzi.

Mi perdo nel tuo seno così caldo.

Mi perdo cercando  la tua bocca in baci da soffocarmi.

Il mio angelo, il mio guardiano,

nel ventre   di una stanza.

Mi guardo attorno e  tu non ci sei.

Come un sogno, come un illusione di te.

Guardo per terra.

Trovo la piuma delle tue ali,

e so che non era un sogno.

Angelo mio ritorna.

Sussulta il mio cuore.

Cerco nella memoria tutto quello

che posso di quel sogno.

Rimane solo quella piuma.

Rimane solo uno strano ricordo.

Emozioni , amori, tutto s’incastra nel mio cuore.

Ecco la piuma,

tutto quello che rimane di lui, di lei.


 

Quel che eravamo.

Soldati, poeti illusi che bevono quei sorsi di vino

che scivola a fatica nella gola.

Duro quel sapore di storie, di fantasmi,

di guerre, raccontati da   quei vecchi oramai stanchi.

Ricordi visti nel colore del vino.

Memorie di dolore, di gioie e baruffe che 

sono testimoni di ere passate.

Uomini che, ora seduti in quel caffè,

in quella piazza,

nascondono nelle loro mani il sangue 

di quei giorni di guerra.

Ricordi che si affollano

e sgorgano nelle bocche di quei vecchi.

Giorni di canzoni alle chitarre da mariachi.

Giorni di dolore,

dove la musica si spegne lentamente,

davanti a quelle lapide di fucili nella terra.

Notti al caldo di quel fuoco di  accappamento.

Dove ogni madre è una santa,

ogni donna una conquista.

Giorni di piombo

e notti con un santino in mano.

Forse nelle musiche,

o nelle chiacchere esserci ancora un giorno.

Ricordi di quei vecchi soldati,

che nasconde attorno ad una bandana,

in un vecchio cassetto,

la colt ben oliata, con  ancora pochi colpi.

Vecchi di adesso e giovani sognatori.

Sognano la libertà e bevono quel vino,

aspro uguale all’ora, come adesso.

Stanchi di questa strana pace,

che ha rubato e distrutto i canti.

Ricordi delle battaglie, delle donne,

aspre e dolci come il vino.

Memorie di quelle bandiere che

avvolte, hanno visto piangere.

Ora stanchi, vecchi,

pronti a quell’ultima battaglia,

senza più quel canto di libertà.

Riversando in quei bicchieri di vino rosso,

come il sangue, gli ultimi giorni.

Quei sogni di gioventù, di libertà,

di amori, di conquiste,

oramai sono vecchi.

Nessuno ci vuole ricordare,

nessuno ci vuole ascoltare quel che eravamo.


 

Leggi del coltello

che sfida la buona regola.

Sopravvisuti con lo stomaco pieno.

Si cerca ogni origine,

ma la rivoluzione è in aria.

Il coltello gira.

Nascosto sotto le giacche,

esce per ogni malcapitato.

Sangue nuovo,

sangue giovane.

Lotte fratricida

contro se stessi.

Il popolo chiama

e alla lunga si spegne.

Non c’è virtù.

Solo la lama

che si imbeve

di sangue innocente.

Allora le campane suonano,

le lotte diventano asciutte.

Non importa più niente.

Ne del popolo,

ne del governo.

Solo i morti

si ricordano,

con fiori e targhe.

Perchè di loro

il sangue è già versato.

E cosi sia ,

che si dice

buonanotte popolo.


 

Fame da torcersi le budella.

Fame senza ritegno.

Girano in vincoli bui alla ricerca di cibo.

Correre da un bidone all’altro.

Frugare nella merda per un pezzo di pane.

Fame che non si ferma mai.

Angoscia dei giorni che non si contano più.

Speranza che svanisce.

Ormai c’è solo fame che non si spezza.

Testarda vita da strada.

Pochi momenti di pane e molti di solitudine.

Si grida, si dispera

sognando un boccone di luce,

in una buia notte di fame.


 

Ricordare madre, padre

come stelle filanti.

Lunghi segni di un passato.

Le mani  che si stringono.

Parole di gioco e amore.

Ricordare buffi presagi di morte.

Forse la luce ci divide.

Forse quella stretta che ci manca.

Fatti strani che ci mentono.

Ricordi di strane case,

colori foschi.

Imbruniti dalla mente.

Sperare di nuovo.

Accendere quel cero

in una chiesa abbandonata.

Morire per essere quel ricordo.

Immortale respiro di fantasma.

Ricordare la vita che non c’è più.

In un sinistro giorno,

trovarsi assieme agli avi,

in una lunga festa di birra

e stelle filanti.


 

Prigionieri di casi senza soluzione.

Armi spianate per un diritto che non c’è.

Esplodere varie mode 

che insaguinano i piccoli esseri.

Danze senza senso su strade affollate.

Ho visto girare il mondo,

ma è fermo in molte zone.

Le montagne si muovono con la fede,

ma si toglie la loro castità.

Monasteri vuoti,

dove vecchi echi muoiono.

Il cielo ci parla

con parole a noi sconosciute.

Arriva la tempesta.

Ci raccogliamo in case nuove

per festeggiare.

Siamo uomini 

che hanno cambiato fede

per poi piangere

se ci perdiamo nelle sabbie del tempo.


 

Speciale amore 

che ci piace a scuola.

Vita di paragoni.

Sciolti ogni aggancio

per una scelta.

Amore o solitudine.

Si cerca invano l’amore perfetto.

Si varca ogni soglia per identificarla.

La si insegue.

Sedotti dalle sue tracce.

Disperati quando c’è la tolgono.

Diventiamo furie.

E poi la solitudine.

Amica solitudine.

Un braccio che ci  ferma 

in quella posizione.

Solo , in un abbraccio di tristezza.

Senza più vincoli.

Soli ad apprezzare 

il pensiero di quell’amore.

Solitudine , sola amica,

che ci porta a quel cerchio inevitabile.


 

Il suono della campana,

funesto segno di dolore.

Bare portate da invisibili uomini.

Canti che si stonano in lacrime finte.

Poca gente.

Un palcoscenico di persone,

che si strappano il taschino.

Specchi ricoperti da teli neri.

Ricordi di parole

al vento della tristezza.

Un bacio tra due fiori.

Estranei che se vanno.

Legami spezzati.

Non rimane nessuno.

Il suono della campana rintocca.

Solitudine di quel giorno.

Non c’è altro.

Seduto su di una sedia

guardo quelle fotografie.

Memorie passate,

carezze dimenticate.

Sono ancora qui,

su quella sedia,

aspetto che quei specchi 

si ricoprono di nuovo

per quel fine che io cerco.


 

Ancora sulla breccia.

Eroi di altri tempi.

Bandiere al vento.

Si grida all’avventura.

Pochi uomini,

si contendono l’ardire della spada.

Guerrieri, soldati

con cappa e spada.

Arditi fardelli di sconsideratezza.

Si urla,  e la battaglia infuria.

Le parole corrono per incitamento.

Sicuri , strani fanti,

che non si fermano.

Schizzi di sangue 

sulle divise.

Mercenari di avventure,

si spogliano del loro fato.

Esprimere in solo attimo

quel colpo da maestro.

Arditi spadaccini.

Si tormentano nel riposo

e al mattino eccoli pronti.

Cavalieri di quel tempo,

gridano, verso il loro destino,

ancora sulla breccia.


 

Suadenti struzzi di mare.

La notte ci è testimone.

Prodezze in lungo e largo.

Vie nascoste al cielo

per vivere di quel mare.

Scioccante visioni di stelle

appese come fili di lana.

Notte bugiarda ,

che ci nasconde 

alla tenerezza di un bacio.

Via da qua , in altri mari,

ad assaporare il ricordo.

Stella di mattino,

la prima che ci indica

la vai di quel momento.

Una corsa sopra l’acqua per lasciarci.

Testimone gli spruzzi, 

amore sicuro.

Si perde nell’acqua salmastra.

Ci attende il mare

e da soli ci portiamo,

fino alle terre di nessuno,

li aspiriamo ad due onde

di mare nuovo.



Onde che si sbattono su di una valanga di acqua.

Affogare , sbattere mani e piedi per sopravvivere .

Coscienza di un tempo passato.

Speranza che si fermi il tempo.

Uragano che si percuote in tutto l’oceano.

Non c’è appiglio.

Si stende gli arti agonizzati .

Si cerca il respiro ma l’acqua di butta giù.

Litigi con le correnti senza speranza.

La calma .

La tempesta passa.

Sei a mollo, le forze si perdono.

Scivoli sulle onde alla deriva.

Non c’è altro che calma piatta.

Ti distruggi per una bracciata.

Ma le forze sono allo stremo.

Ti lasci andare per sparire in un onda ,

poi nell’altra, senza respirare.

Lentamente scivoli nell’abisso più profondo.


 

Fantasmi che scivolano dentro ad un chiostro.

Fantasmi che s’intonano nella nebbia più fitta.

Paura dentro di noi .

Si piega le lamine per assicurarsi futuri alternativi.

Tempo che fugge senza frenesia in una bolla

che a stento regge l’aria.

Domanda di vari passaggi della mente.

Fantasmi del passato che ci osservano

come pesci in un acquario.

Segreti mai svelati.

Si cattura la paura, la fantasia

sovrascrivendo di fatti mai visti.

Terrori mai sentiti.

Per poi correre all’infinito

diventando fantasmi di questo spazio.

Insorgere come polvere di nebbia.

Trovare una soluzione ad problemi che,

ormai, non ci riguarda più.


 

Siringhe a forma di spade che si spezzano nelle braccia.

Marciume che entra.

Diavoli vestiti a festa, che giocano con la tua mente.

Tutto scivola nelle vene.

Braccia spezzate da fori che non si chiudono.

Vengo nel pericolo, mi abbandono al fascino di un viaggio.

Incubi che si sciolgono nella verità di una vita.

Mi sento male.

Cerco quella definizione in un altra spada.

Il sogno ricomincia.

La solitudine di quell’ultimo buco stretto

appena di più da vene collassate su di se.

Il tormento finisce su di un pavimento sporco.

Gli occhi si sbarrano .

Il sogno diventa un eternità di pazzia e di colori mai visti


 

 

Fame  da torcersi le budella.

Fame senza ritegno.

Girare in vicoli bui alla ricerca di cibo.

Correre da un bidone all’altro.

Frugare nella merda per un pezzo  di pane.

Fame che non si ferma mai.

Angoscia dei giorni che non si contano più.

Speranza che svanisce.

Ormai c’è solo fame che non si spezza.

Testarda vita di strada .

Pochi momenti di pane e molti di solitudine.

Si grida, si dispera,

sognando un boccone di luce ,

in una buia notte di fame.


 

 

Un hip hip hurra per chi viene.

Un hip hip hurra per chi se ne va.

Un canto di mezzanotte

per spegnere tutto.

Dolci notti che scendono,

segnate da stelle che invitano all’hurra.

Paura che scoppia in una danza senza vivi.

Solo morti nella luce di un lumino.

Canti e danze in mortale agonia.

Rimangono soli come fantasmi,

racchiusi nel loro tetro campo,

in quella musica tutta loro.

Hurrà a chi viene

e si aggiunge ai più di un tempo.

Non c’è menzogna .

Tra di loro gira la morte ,

con la falce in spalle,

pronta per chi viene a renderlo suo.


 

 

 

Ho visto dannarsi la mia anima.

Seduto su di un catafascio ,

detto le mie leggi.

Disperato , senza sudditi,

obbligo il fato a miei giochi.

Sono un re, fatto di carte,

che si mescolano al canto di ogni dì.

Gioco e la mia anima è nera .

Non ho un passato da giudicare.

Il mio futuro si scioglie

alla fiammella di una candela .

Non guardo ciò che mi rimane.

Sono un re senza regno.

Dannato da miei giochi ,

a rimanere in quel disordine.

Tutto mi giova ma niente mi viene in mano.

Gioco, senza memoria ,  

contro la mia nera anima.

Aspetto il mio editto,

per liberarmi da questa mia oscurità.


 

Ho visto la morte su ali d’acciaio,

lasciare cadere i suoi figli.

Sento la terra che piange.

Morte che cavalca su di un cimitero.

Non c’è speranza.

Non ci sono nati.

Si segna il tempo nei solchi della terra.

Ho visto la morte canticchiare

su quel macabro campo.

Portava con se la sua falce.

Pronta a brandire l’ultima speranza.

Da lontano , un lume di candela si accende.

Davanti a lei una bambina che sorride.

La morte , impaurita , lascia il campo

ad un ultima coscienza.


 

Cieco , come una bambola a molle.

Mi rintano in canti osceni.

Sono servo di una cattiva musa.

Ormai sono solo in una battaglia senza tempo.

Mi sprigiono da una galera di vincoli melodici.

Non sono più cieco.

Vivo la luce di nuove musiche.

Ho aperto la mente a nuovi dei.

Malinconico il mio passato.

Eppure vivo , cambiato da nuove fate,

che mi donano un passato verso il futuro di gioie ,

che ogni uomo cerca.

Poi il silenzio.

Il cambiamento cessa.

La metamorfosi si ferma.

Tutto ritorna buio.

Tutto ritorno cieco.

La molla gira.

Io canto di nuovo al cospetto della spietata musa.

Mi dato solo pochi attimi di fuga.


 

 

All’ombra di un ’albero, mi siedo.

Fatto l’uomo,

mi concedo quel sorso di vita che mi è sconosciuta.

Vedo intrecci di rami che tagliano il cielo di nuvole.

Raccontano storie di cantori

e fiabe nuove ,

celate da vergate allusione fine a se stessi.

Tra quei rami nidi si solleticano per divenire case.

All’ombra aspetto le campane suonare il loro canto triste.

Aspetto un docile cavallo che mi porta giù in città.

In quel bazar di vita ,

cerco gli occhi chiari di una vecchia amica ,

che mi dice :  

andiamo sotto a quel albero dove l’ombra è tutto per noi .


 

 

Come un orrendo fardello,  mi hanno dimenticato.

Privo di difese, avvolto ad un panno, mi hanno lasciato.

Impercettibile stupore di un antico male.

Come un animale , cresco, attorniato da incubi di pietra.

Suono le campane in cerca di un amico.

Vivo al cospetto delle stelle che brillano ad ogni mio sguardo.

Sono la pace di silenzi e di morti dimenticati in un cimitero di statue.

Vivo tra questi fantasmi sicuro che non hanno più niente da chiedere.

Solo, mi accingo al mio silenzio, dove la morte mi aspetta.

Sussurra dolci parole che d’incanto mi fanno addormentare.

Mi aspetta un nuovo mondo dove l’orrendo diventa bello.