Elio Chiaramello - Poesie

Aria d’ Aprile

Dammi

una piazza, una via,

una chiesa,

una poesia in collina,

un viso e la sua lacrima

o delle labbra e un bel sorriso.

 

Prenderò quel che vedo

quel che sento

o forse l’odore

forse il profumo

o forse niente.

 

Sostanze per pensieri sghembi,

scanzonati, sottosopra.

Da incastonare al posto

dell’ ordine sordido e composto

dell’ ipocrita perbene.

 

Aria fresca.



E sia….

…il vero incontro tra due persone

avviene nell’abbandono

e ci si aggrappa e si spera che sia l’approdo ideale

…i naufraghi hanno sempre un sogno

…i naufraghi hanno chiaro l’orizzonte

…i naufraghi hanno gli occhi pieni.

 

Lacrime, acqua salata, sabbia, disperazione, vuoto

e speranza.

E quando incrociano gli occhi belli di Afrodite

si sentono liberi, ritornano a sognare,

a vivere e non li perdono più

…gli occhi sono il linguaggio universale,

lo sguardo rimane indelebile e fisso

ti scavano, ti bruciano, ti sorridono.

 

Vita.

 

E sia.

(Tychy 2004÷2006)


 

L’ assenza  

 

Disegno l’onda.

 

A volte i cattivi pensieri mutano in buoni propositi, a volte…

E l’eterna notte traversa il tempo con gli occhi umidi e stanchi

E s’affaccia impietosa al giorno.

La gommalacca avvolge la compressa che aiuta a passare il meriggio,

un po’ d’ombra riposa lo sguardo.

<<Fegato, organo vitale, cerca di resistere.

E tu micragna continua, continua a vomitar dolore>>.

 

Con passo lento consumo i momenti tristi.

A volte interminabili,

a volte insopportabili.

E il pensiero cade sempre lì:

assordante, confusa…

comprensibile assenza.

 

La soluzione tarda a venire.

Non esiste volontà di pace.

Dialogo, imprevisto da evitare.

E mentre il lampo violenta i giorni,

la patetica attesa di un sorriso dedicato

diventa vitale, appagante, di conforto.

 

Domani, giorno uguale,

insensibile ai richiami di appartenenza.

Attesa vissuta con rimpianto.

Esausto… con il rammarico di non aver convinto

e la certezza di non aver concluso.

 

Che peccato lasciarsi, inaridirsi d’accuse.

Non vedere il bene, incattivirsi in soggettive retrospettive

Sempre negative.

Non saper ascoltare. Sinusoide di speranza e sconforto,

inaccettabile grafico di vita.

L’onda.

 

Annegare nel torbido silenzio dell’attesa e poi

Risorgere nel pensiero dell’avvento

Disegno l’onda.


 

Perso

Ti ho perso, piange il cardellino

Rientrando nel nido

Ride, più in là, il corvide assassino

 

Ti ho perso, grida il bambino

Il suo sguardo buca il cielo

Cercando l’aquilone caino

 

Ti ho perso, sussurra il genitore

Guardando il letto

Da troppo tempo vuoto e illusore

 

Ti ho perso,  nella situazione tragica e silente

Il grido di dolore del vinto

Tra l’indifferenza delle cose e della gente

 

Ti ho perso, nel sistemare i vestiti e i giochi di bimba

Ogni pezza un ricordo, un frammento di vita

Lacrime e singhiozzi strozzati

confusi nel suono triste di una vecchia marimba

 

Ti ho perso, tra messaggi inviati e mal risposti, lemmi di ghiaccio

Tra presagi angosciosi e insonni notti

Nell’attesa di un saluto, di una tenerezza, di un semplice abbraccio

N.B.:  Il testo raccoglie i mesti pensieri di un padre che non trova sua figlia.           

         Che non può averla un po’ con se.

 


A Marcus Vinicius, Belo Horizonte 21 marzo 2006

 

Su questa terra può succedere che il primo giorno di primavera

sia il primo giorno d’autunno, così accade sulla estrada Real

Iucca verde

sui cigli delle strade nel Minas Gerais

Non capita spesso vivere

Il primo giorno di primavera

Come se fosse

Il primo giorno d’autunno.

Succede.

 

Oggi il cielo di Betim

È pieno di bianchi cumuli,

e soffici cirri solcano il blu.

Più in là

un telo di nuvole nere

avvolge le colline.

 

E lo sguardo si perde.

Ancora pioggia.

Violenta, devastante, tanta.

Dopo…

 

Tronchi divelti e rami sulla caretera.

Pozze d’acqua rossa

occupano le difformi superfici

del manto d’asfalto.

 

Tanta umanità sui bordi della strada

in attesa dell’onibus

che non arriva mai.

Piove.

 

Onnipotenti auto sfrecciano

sul corso.

Alzano a ventaglio

l’acqua sulla gente.

 

Tracce d’argilla rossa sui visi.

Umidi sguardi aspettano.

Il verde della iucca esplode

Sulla terra rossa d’argilla.


 

Plancton

Dopo la lunga battaglia

Da lustri sopravvive.

Sbattuto, riverso, ripreso

Dall’ onda della vita.

 

Sullo scoglio irto e crudele,

stremato dal sole

gramo dal freddo di imperforabili nebbie

e umido e fradicio di piogge

silve e carogne.

 

Incastonato e sparuto

Al suo posto sta.

Finche’ l’onda riprende

A rivoltarlo, sbatterlo e sollevarlo

In un galleggiare senza fine.

 

Senza sapere quanto è

profondo il mare.

Plancton: Insieme di organismi acquatici, animali e vegetali

che vivono sospesi in balia delle onde e delle correnti senza

alcun rapporto con il fondo.

Plancton è uno di noi, sono io…



Serena presenza

 

Crespa e lieve

L’onda arriva

Sollievo di pelle

Occhi chiusi

Attimi sublimi

 

Membranza eterna

Lasciarsi andare

Trasporto di mente

Libero il pensiero

Chiari orizzonti

 

Ma quando sarà il tuo venire

Or che mezzo secolo è andato?

E le pene

Quante ancora da patire?

Serena presenza

Arriva!

Ma un po’ prima del mio dipartire

Ti voglio godere!

 

Attimi sublimi

Occhi chiusi

Sollievo di pelle

L’onda arriva

Crespa e lieve


 

Douarnenez

(Le finistère)

 

L’isola di Tristan di fronte.

Il vento piega la fronda,

albero di riviera abituato al peggio.

La marea avvolge veloce la baia,

domani sarà pietre e licheni,

per poi tornare puntuale

in un gioco secolare

sempre uguale.

 

L’ isola di Tristan di fronte.

Sul fondo scuro del bosco

immagini di volti cari.

Giochi di foglie…

Chiamano.

Travolto da ricordi

cerco tra quei guardi

silenzio e quiete.

Ciao,  Cesare.

Michele alzava il capo, sospirava e mi diceva:

“Attento, ascolta, com’è bello sentirlo parlare”


 

Come era bello sentirti parlare

 

Come era bello sentirti parlare.

 

Scavare nei ricordi

Parlavi di ieri

Ti lasciavo parlare.

 

Nessuna interruzione

Per il gusto di sentire

Ti lasciavo parlare.

 

Nei tuoi pensieri

Vivevo il presente

Ti lasciavo parlare.

 

Come era bello sentirti parlare.

 

La lucidità delle tue memorie

Vecchie sensazioni

Vissute con l’ emozione di un bambino

Le sentivo nello stomaco

Pietre e gioie

Fantastiche realtà

Sogni irrepetibili

Mi hai lasciato lacrime di serenità.

 

Come era bello sentirti parlare.



Neva

In te non rispecchia

il verde contorno

del palazzo d’Inverno.

L’onda gelata e crespa

si posa sulla riva.

Il cromatico luccichio al tramonto

descrive la decadenza a contorno.

Avvolgente il freddo,

meditabondo lo sguardo del passante

che perde il suo incedere

fra mucchi di gelida neve.

Ambiente surreale.

Trasporto fatale.

Sogno.

Appoggio il naso gelato al finestrino

mentre il bus attraversa

Il Dvorcovoyj Most.

Elio Chiaramello