Sulla banchina
Porti di gente in attesa
Di viaggi incompiuti
Senza meta.
In spirali di cielo
Nacquero i nostri ardori,
spariscono nel buio,
una brace di sigaretta
ne rimane.
La voglia d’amarti non m’abbandonava.
La ballata di Pinocchio
Sono arrendevole burattino
Le mie azioni governate
Le mie braccia legate
A filo spinato meschino
Che mi strappa la carne
Deturpandone le forme
Mentre, arrendevole, m’inchino.
Il mio volto è scomparso
Venduto a tristo mercante
Alla ricerca di schiavi
Per un posto vacante
Nel suo circo riarso
Di putridi sorrisi di pagliacci infelici.
E or tutti riuniti intorno al cadavere
Del saltimbanco tanto amato
Che di stupir la folla sentì il dovere
E che saltò,
ma non sentì di cadere.
Ad una statua
Drappo di marmo
Vela al vento
Gonfio del nulla
Dei miei respiri
Vuoti
Al tuo orecchio
Proteso
Agli inutili fiati di ieri.
Ci soffiava la vita
Su occhi arrossati d’amaro.
Poi più nulla.
Ode al supermercato
Quanto mi perdevo nell’attimo. Quanto mi perdevo nei tuoi attimi. La mia vita si limitava a sciogliersi nella tua. Ed ecco che non ero più in me, ma diventavo una tua estensione.
Ero l’ombra che proiettavi sul pavimento, l’unica che ti tenesse attaccato a quel mondo triste.
Ammutolivo e ti ascoltavo parlare, un fiume di parole di cui catturavo qualche onda e niente più. Bevevo una cioccolata e mi macchiava ovunque, le labbra. Forse per questo ti soffermavi, di tanto in tanto, su di loro.
Poi ho preso quel carrello e t’ho seguito per gli scaffali. Zitta ti osservavo muoverti agile e sicuro delle tue scelte, seguendoti con uno sguardo per non rovinare quel tuo quieto vivere. Se avessi rotto l’equilibrio la bolla di sapone che ci teneva sospesi sarebbe esplosa e noi caduti.
Ero una maestra nel basso profilo, riuscivo ad annullarlo del tutto per diventare più trasparente dell’aria.
Avevi il viso chinato, esaminavi prodotti con forzata attenzione che altrimenti sarebbe volentieri scappata altrove. La tenevi salda sulle etichette per non rivolgerla a me, alle tue spalle, mentre dissimulavo cuore e pensieri.
L’aria calda dei climatizzatori, il turbine di folla impazzita, i colori delle bottiglie, i ticchettii delle casse, la piatta canzone in sottofondo: provo a concentrarmi su tutto, ma quel tutto finisce per far da cornice alla tua immagine.
Che patetica bambina incapace di esprimersi. Che piccolo uomo senza la forza di abbracciarmi.
Qualche metro e saremmo insieme. Invece aspetto con i muscoli che ruggiscono per attraversare lo spazio e il tempo.
Uomini e donne non dovrebbero mai andar da soli a fare la spesa. Rischierebbero d’innamorarsi d’uno sconosciuto e di morire di solitudine. Si chiuderebbero sui propri carrelli col triste giubbino invernale come scudo, duro come una coccia di lumaca. Così mi sono sentita, per un istante.
Sudaticcia, affannata dalla foga dello scatto incompiuto. Finita, ma solo a metà.
Poi alzi gli occhi e vedo il cielo.
Avrei voluto sentire tutta la vita la sensazione d’esser scovata da te, che non mi avresti persa nella folla, come una tua estensione e non un membro slegato. Ero in te e tu mi cercavi per non perdermi nella turba. Mi avresti trovato, ovunque fossi rimasta, anche in un angolo in attesa d’un bacio.
Ecco il primo passo che annulla i diverbi tra noi. Ecco il secondo che cancella i miei dubbi e con loro, il mio sorriso assorto. E’ il momento del ricongiungimento. Spalanco l’anima pronta all’amplesso con la tua, nell’attimo in cui i corpi entrano in rotta di collisione.
Così m’hai guardato, m’hai visto. Il vago lume dei tuoi occhi fiammeggia altrove, dietro la mia testa. Stai osservando qualcosa o qualcuno alle mie spalle. Passi oltre. Il cielo non mi avvolge più, mi ha appena sputata sullo scaffale delle carni, il freddo del frigo ghiaccia quel poco che resta del mio spirito così teso al tuo.
L’odore del tuo profumo lascia una scia appena percettibile sul mio maglione.
Ecco di nuovo la suggestione farsi sogno che sfiora il delirio: finisce per accartocciarmisi davanti, con sadico piacere.
Posi la bottiglia che hai scelto nel cestino di una donna ch’era sempre stata alle mie spalle, ben nascosta.
Eppure avrei giurato che fossi sempre stata io. Non esisteva finché tu non l’hai creata per me.
Scelgo finalmente il pezzo di carne da acquistare. Lo ficco nel mio carrello con decisione.
Davvero, uomini e donne non dovrebbero mai andar da soli a fare la spesa. Rischierebbero d’innamorarsi d’uno sconosciuto e di morire di solitudine.
Nascita
Fiore pressato
Tra pagine infinite
Di una storia incompiuta
Fragile
Soffoca nella polvere
Piange l’antico pigmento
Svilito dal tempo.
Mano incerta mi colse
Quel giorno dal ramo.
Natura morta in vaso
Così zitti
Questi sentimenti
Taciturni fiori di vetro
Senza un passato
Annegati in un vaso
Colmo di melancolia
Da cui traggono
Questo tragico color
Rosso morte di sole.
Di buio si cibano
Questi sentimenti
Cresciuti nella polvere
A riempire il vuoto.
E non saziano mai
Questi sentimenti
Il ventre vuoto
D’un cielo vedovo
D’una fredda luna.
Come sono tristi
Questi fiori di vetro
Che sbocciano
Zitti
In una vuota platea.