Elisa Monardo - Poesie

Maya

Io
ti perdono,
mesto involucro
di tormentate viscere,
smarrito simulacro
che mal sopporti il nascere
e l’urgenza
di parole e canti,
che maledici il crescere
di labirinti,
spazi chimerici
debordanti
devozione.
Ad ogni spirito è toccato
un corpo irrinunciabile,
ignaro del peccato
e dell’assoluzione.
Un folle viaggio
di scherno,
dal giuramento mistico
alla deflagrazione.
Che tutti ci allontana.
Che tutti ci mistifica
in questa forma
umana.

 

 

 

Asymptotos

E mi volto a guardare
il futuro
sparire
tra le piaghe a sperare
che spuntino
piume
a latrare su carta
oracoli asillabi,
delirio o consolazione?
Tace la luce,
tangente infinita
sei,
siamo.
Mi rendo ogni giorno alla vita,
ma ogni giorno, giuro, ti amo.

 

 

 
Un riflesso del vuoto sulla pelle
eco di poesie abortite.
E le mie paure,
in gola,
cristalli di stalagmite.

 

 

 

Purusha

Che stai bene.
Basterebbe.

Che sei protetto
e sacro,
seminato
immerso
celeste,
poco importa.

Che esisti.
Energia
endemica
immanente.

Che sai.
Coscienza espansa
esplosa
trascendente.

Che senti
e che
divampi.

Basterebbe.

Che mi aspetti.

 

 

Mia. E tua

L’estate
dei libri non letti
l’estate della tua carne
è stata
l’estate della poesia
poesia di carne e annientamento
disorientamento struggente,
a rileggere Neruda
ad aspettare
a riempire questo vaso della tua terra oscura.
L’estate delle mani
sporche di un cibo nuovo
unte di un olio segreto
secreto da pensieri
impensabili
fino a un attimo fa.
Al di là
di un tutto già colmato.
E’ stata
l’estate.

 

 

 
Innevata tristezza,
devo camminare .
Sarà il disgelo
a farti scivolare,
come un abito disciolto,
sul pavimento.
Ma se impallidisco adesso
è perché ancora ti sento.
E mi fai freddo dentro.

 

 

 
Le finestre, per me,
si aprono a ritroso,
avvicinandomi all’odore
delle formiche.
L’ho imparato da bambina, sotto la pioggia.
Così,
come il salice piange
e il ciliegio
nevica.

 

 

 
Mi appiattisco
nell’ombra che offende;
stella rovistata dalle preghiere.

 

 

 
La vita si raggruma
sovente
in angoli disadorni.

 

 

 

 

Emerso
dal buio primevo,
divoratore di stelle,
è sentore
di miele e di spine,
di fiele e candore.
E’ scultore
che svelle
la pietra dei corpi
che l’uno nell’altro si sfanno.
E’ vento
che avvinghia le ere,
poeta che infiora il dolore,
un universo
per
verso.
E’ amore.