Emmanuel Vannini

Poesie


Una così bella lampada

E stavo pensando,
Di coprire i buchi di questa lampada
Usando delle toppe di carta,
Potrei dargli una forma buffa,
È un peccato che una così bella lampada
Sia bucata;
E poi sarebbero carine,
Ma soprattutto,
Immagina le ombre
Delle buffe toppe
Proiettate per la stanza
Dalla luce della bella lampada,
Non sarebbe splendido?

 


 

Cammino per non andare a sbattere…

Resto indietro.
Osservo,
Respiro,
Penso che tutto
Mi fa paura
E contemporaneamente
Mi lascia completamente
——— indifferente,
Il dolore che provo è solo
Il ricordo
Di quando ancora vivevo;
E si stringe
Attorno a me la folla
Che mi soffoca,
Anche se non mi interessa,
E continuo:
Cammino per non andare a sbattere

 


 

Breve storia di Cristina

Il padre di Cristina è morto quando lei aveva otto anni, davanti ai suoi occhi, in un grave incidente, sua madre invece è finita in un coma vegetativo da cui non è facile che si risvegli. Il trauma porta Cristina a non parlare più con nessuno e vista la sua situazione viene affidata a una casa famiglia dove viene accudita da Angela e Marco, insieme ad altri ragazzi che, per vari motivi, si trovavano senza figure genitoriali.

Sono passati sei anni dall’incidente, sono in terza media, sono piuttosto brava a scuola e non do grattacapi a casa, anzi, faccio lavoretti come portare fuori la spazzatura e aiutare con i compiti, per come posso, Sofia e Marta, anche loro qui con me, sono un po’ come delle sorelle per me, qualcuno di cui mi devo prendere cura. Anna e Matteo sono i più grandi, avevano rispettivamente 17 e 15 anni quando sono arrivata, ormai sono indipendenti e non li vedo quasi mai; Matteo si è trasferito per l’università e Anna lavora in una ditta aerea che la fa spostare spesso, vengono solo per le festività, tutto sommato, siamo una famiglia…

Filippo e Giuseppe sono un paio d’anni più grandi di me, entrambi fanno l’ITI, Filippo va bene a scuola ma al momento è sospeso per un casino che ha combinato insieme a dei suoi compagni di classe; ancora non capisco come possa essergli venuto in mente di seguire quegli squinternati e scavalcare la recinzione del castello; abitiamo in un paese piuttosto piccolo fra un paio di monti, un posto tranquillo dove la frenesia della città non è riuscita a penetrare, dove il posto più interessante da vedere è il parco del castello storico in centro. Quel ragazzo cerca sempre di farsi accettare dai suoi stupidi amici, non è mai sicuro di sé, invece è intelligente e simpatico e potrebbe facilmente farsi degli amici che non lo credono “debole” solo perché ragiona. Giuseppe se la cava a scuola, è la seconda volta che fa la prima, l’anno scorso è stato bocciato non tanto per le insufficienze ma per delle risposte “inadeguate” a diversi prof e anche al vicepreside. Giuseppe è diverso, sta per conto suo, ogni tanto esce con i suoi amici ma per lo più cerca di non far combinare altri disastri a Filippo; è strano, più difficile da capire, è come… sfocato, non riesco a inquadrarlo, a vederlo bene…

Oggi è mercoledì e come tutti i mercoledì, devo andare dallo strizza-cervelli, staremo lì a fissarci per un ora e mezza, continuerà a parlarmi, come al solito, del mio problema: mutismo selettivo. Così lo chiamano… nessuno sembra capire che semplicemente non devo dire nulla di importante, non ci sono parole che io possa dire, parole che cambino qualcosa, evito solo di sprecare tempo. Comunque prima dello psicologo ho scuola, non è un giorno particolarmente pesante ma resta sempre scuola. In classe è pieno di gente che non capisce o decide di non capire…
Le ore passano veloci, tranne per i 45 minuti di ramanzina che si è beccato Michelangelo per il suo continuo prendere in giro letteralmente chiunque gli capiti a tiro. All’uscita , Federica mi stava raccontando di come era andata la verifica di storia, eravamo sedute sul muretto, di fronte al cancello, avevo i libri in mano e Michelangelo si è messo a insultarci, continuava a dirci “secchione” e altre cose poco carine e nemmeno originali… 
Lo stavamo ignorando, come al solito, poi si è avvicinato e con la mano ha buttato i miei libri a terra, mi stavo chinando per prenderli ma Giuseppe arriva e si intromette, lo spinge via e con sguardo serio ma tono tranquillo gli dice “potresti trovare dei veri insulti invece che fare presente che sono più intelligenti di te, comunque facciamo così, io mi dimentico di questa tua follia momentanea e tu smetti di infastidire persone a caso, se hai qualcosa da ridire vieni pure a parlarne con me, sono sicuro di poter risolvere qualsiasi tuo eventuale dubbio”. Poi Michelangelo se n’è andato con una smorfia in faccia e senza dire nulla. 
Ero senza parole… più del solito, finito il discorso Giuseppe mi ha passato il casco e dopo avermi raccolto i libri mi ha fatto cenno di seguirlo, ci siamo diretti verso il suo motorino che era parcheggiato all’ombra di un albero dietro la scuola, in corrispondenza del laboratorio di informatica. Mentre salivo mi ha detto con la fronte corrugata “avreste potuto dirgli anche qualcosa, avreste dovuto…”, io l’ho guardato e ho pensato , lui quasi mi leggesse nella mente continua “perché smettesse, perché facesse basta”.

Sulla via del ritorno ci siamo fermati al campo vicino a casa, ci siamo seduti sullo scalino in pietra che divide il prato dalla strada; Giuseppe continuava a guardare in avanti, verso il fiume, che però non si riusciva a vedere, il leggero vento gli scostava i capelli dal volto, strizzava gli occhi per il sole e, nelle piccole fessure che lasciava per vedere, riuscivo comunque a notare il suo sguardo pensieroso. Il prato era verde acceso, i raggi di luce illuminavano i fili d’erba, non c’erano alberi, ne altro che potesse proiettare un’ombra a terra, che non fosse la nostra; dopo altri venti minuti passati lì, nel silenzio, rotto ogni tanto solo dalle auto che passavano, siamo tornati a casa.

Siamo andati avanti così per un po’ di giorni, stavo bene, lì, in quel campo, con lui, non pretendeva che parlassi, ogni tanto diceva qualche frase… sul tempo, una volta ha persino raccontato la sua giornata. Per quei 30 minuti al giorno ero tranquilla e senza particolari pensieri, in qualche modo mi sentivo capita, calma, questo fino a ieri…

Giuseppe è venuto a prendermi prima, e con prima intendo alla seconda ora; aveva la giustifica, firmata da Angela, siamo usciti, quasi correndo, sapevo che qualcosa non andava, appena fuori da scuola, ma senza smettere di correre, mi ha detto che mia madre stava male, che stavamo andando in ospedale, che non avevamo molto tempo; sembrava preoccupato… più di quanto forse sarei dovuta essere io. Siamo saliti sul motorino e siamo partiti, andavamo veloci, molto, forse troppo. Una volta lì, Marco, che ci aspettava fuori, togliendosi e rimettendosi gli occhiali nervosamente, per asciugarsi la fronte sudata, ci ha poi accompagnati nella stanza di mia madre, la 32; quel numero scritto sopra la porta lo vedevo ogni settimana, ma ieri non era come le altre volte, mi spaventava. C’era un medico dentro che cercava di rianimare mia mamma, intanto un’infermiera mi stava spiegando che era andata in arresto, ma non la ascoltavo con molta attenzione, ero impegnata a guardare, concentrata, la scena all’interno della stanza; a un certo punto il dottore ha posato le piastre e guardato l’ora… c’è stato un attimo di silenzio, profondo e assordante silenzio, dopo di che ha mosso le labbra e si è voltato verso la porta, si è avvicinato e dopo avermi appoggiato la mano destra sulla mia spalla sinistra mi ha detto “ sono addolorato, abbiamo fatto tutto il possibile ma non è stato sufficiente a salvare tua mamma, mi dispiace piccola”, nel mentre Giuseppe mi teneva la mano, era calda. Mi sono voltata verso di lui e ho visto che mi guardava, come se si aspettasse che io dicessi qualcosa, vedendo che non ne ero affatto intenzionata, ha detto, con voce seccata “Parla, dì qualcosa! A volte serve, a volte fa star meglio le persone. Parla, reagisci! Le parole che dici possono fare la differenza. Di qualcosa! Quel che pensi ha valore per me. Parla!” non so bene cosa mi sia passato per la testa ma quasi senza pensarci ho detto “andiamo al parco?” immediatamente mi ha stretto in un abbraccio e ha risposto “certo”, io stringendogli le braccia attorno gli ho risposto a mia volta “grazie”.