Enea Magro

Poesie


Il Silenzio dell’Ospite

Pioggia nei pensieri
Vivendo nella tempesta di ieri
Rimboccando il bicchiere di vino
Attaccando la giacca alla vergogna
Quel momento in cui tutto fu menzogna
Devo dirmi soddisfatto dei miei dolori
Dal momento in cui nessuno fu in grado
Di trovare un accordo tra le circostanze
Tra le ipotesi e le colate di realtà
Che di effettivo ne avevano la vita
Quella nel profondo interno del subconscio
Dove trovare spazio per le parti bianche
Equivarrebbe al disequilibrio del presente
Ora, mi trovo a leggere dentro convinzioni
Le quali portano alle varie equazioni
Dove il mio nome è pronunciato in silenzio
Dal mio cordoglio
Saluti a vostra signoria
Mi ritrovo nella sua allegoria.

 


 

Il Passo di Roberto

Prese a camminare
Con i suoi amici a gozzovigliare
Andando di locale in locale
A bere qualcosa di forte
Dove forte sta per aprire porte
Le quali non vanno aperte
Socchiuse, giusto per intravedere una vita
Quella che va di pari passo con la perdita
Dei valori primari
Insegnati e riveriti per poi essere smarriti
Roberto va sulla strada della droga
Perdendosi in fretta tra le braccia
Di quell’ebrezza che fa perdere l’occasione
Di quel bacio alla ragazza
Che lascia il suo profumo in un angolo
Di quel giorno che disse ti amo
Ad un uomo che si trovò lì
Nel momento più inopportuno
A colpire e poi svanire in mezzo al suo fumo
Con la sua vicinanza catramata
Dentro un posacenere e cocaina
Avrei potuto dirti ti amo ogni mattina
In frammenti di brutte parole cede all’ira
Raccolte poi da Elvira
Comprendendo lui e la sua esplosione
Come forma di ritorsione
Su di sé e non su ognuno
Significato di quel bambino
Che lottò contro il mondo
Alla ricerca di quella serenità
La qual arriverà non appena si innamorerà
Pur semplicemente delle sue pagine
Esigenti parole che la carta sfregerà.

 


 

Lavoro in Classe

Signora professoressa
Mi può dire perché le guardo i seni?
Così prosperosi e belli?
Come quella ragazza vista al mare
Con uno splendido ragazzo a coccolare
Che mi trovai poi a pensare
Con pentimento al suo corpo
Assieme al mio
Due ragazzi dello stesso sesso insieme
Chiamati checche da ogni omofobia
Nonché dalle voci nella mente
All’ora del tema scrissi di un ragazzo
Un giovane che portava la luna nel suo letto
Ascoltando quella musica rumorosa
Definita dalla madre demoniaca
Della quale ricorda ogni nota
Il qual si manipola il retto
Sentendosi contro il suo petto
Dagli una mano mio dio
Che possa tu salvarlo dalla mano di Satana
Mi ritrovai a rompere la punta della matita
Cercando di nascondere la mia presenza
In quella classe di svitati
In cui mi chiamano “il brutto”.
Come mai non si può essere se stessi
Utili per gli altri e i loro giorni
Senza contare i risultati dei dolori
Come fossero chicchi di caffè
Ritrovandosi con una stretta al collo
Con la voce roca a salutare
L’infermità mentale e la sua fragilità.
Addio, ora sono libero dallo stigma?

 


 

Il mio Teschio

Seduto alla scrivania
Guardo ogni mia mania
Divenire opera d’arte
Assieme al mio teschio
Che ad ogni lavoro prende parte
Con il suo ghigno e la sua polvere
Mi chiedo dove sia la mano del destino
Dove punti in dito tu
Manipolatore di intenzioni?
Io guardo in diverse direzioni
Dove le sigarette spente sono occasioni
In veglia alle dispercezioni
Mi dico ogni notte
Ascolta il tuo cuore e non le sue botte
Non è il destino a battere il martello
Quanto quell’ossessione
Per quel cambiamento
Al quale basta un momento
Dove stai in bilico divenendo il portento
Di quel genitore che vidi come un violento
Ti ha portato al limite dell’annichilimento
Perdonando te e lui e ogni soffio di vento
Fai del tuo teschio la tua splendida mente
La qual fa spazio alla serena intermittenza
Un rancido sentire e emozioni a prominenza

 


 

Salutando ogni Faro

Imbarcato sul mare di emozioni
Mi ritrovai a ridere mentre la barca
Imbarcava acqua e colori
Mentre virando ai lati della percezione
Non riuscii a smettere
Di lasciare al mio stesso riscontro
Di giudicare follia
Quella parte di me quotata all’empatia
Saluti a voi tutti
Fari su quel mare
I quali fan luce sulle pareti della mia posizione
Nei confronti della mia maledizione
Datemi direzione e conferma
Mie mediazioni e lascerò al sole
Asciugarmi il cuore e le mie suole
Camminando sulla riva di quel bellissimo crepuscolo
Dove non c’è nessuno a giudicare.

 


 

Specchio in Cielo

Guarderei ogni stella
Sicché non troverei il mio riflesso in una di queste
Giusto il tempo di pettinarmi le emozioni che provo
Altalenanti nei riguardi di quell’immagine provata
Di quel bambino che ho cresciuto, che son io.
C’è chi c’è senza esserci. C’è chi non c’è pur essendoci.
Io per me ci sono e sarò, sicché il mio bambino interiore vivrà.

 


 

Il Figlio di un Tossicodipendente

Insegnami ad amarmi
Come mi ami tu.
Mio mare di emozioni in tempesta
Sento il mio cuore nella sua cripta
Centellinare il sangue ed ogni sussulto Contare. Tu che puoi insegnarmi
Come amarmi, figlio mio.
Ricordami chi sono

 


 

Dedica ubriaca

Quella che hai messo in scena
È una copia di te in pena
Per non ferirti, ferisci
Per non colpire svanisci
Su di un cumulo di sbiascicate parole mi ritrovai
A stento mi rialzai
In recitato dolore e imbarazzo
Mi ritrovai a ridere di me sul terrazzo
Mentre sorseggiando un buon vino
Sulle mie dediche in pagine ormai giallastre
Si vide la firma di un essere maligno
Incivile e burbero
Il qual non esiste
Se non in esiti di note stonate persiste
Devo dirmi d’esser stato ubriaco
In quella notte in cui scrissi una dedica
A quella donna dal sorriso opaco
Come sempre non posso rispondere
Se non con un sorriso accennato
A me ogni dignitoso addio ad ogni vergogna
L’imbarazzo è utopia
Le balbuzie non son motivo di ilarità
Se fosse possibile rimediare
Non lo farei
A quel punto perderei
Ogni richiesta e dedicata vanità
La rimando al mittente in sua qualità

 


 

L’Identità di un’Idea.

Ogni volta che getto inchiostro
Il mio sangue colora ogni sussurrata Idea, la qual da principio, non fu mai
Avvilita. Solo un pensiero libero
Da catene non può definirsi, solo
Mostrarsi. Fra le ali in cenere di vecchi Dogmi i cui cuori pulsano ancora
La mente lotta fermandone
Il rimanente oblioso battito.
In questa identità mi trovo a leggere
Di quella idea ritrovata
La quale fu presa un po’
Fra le sovrapposizioni e sovrastrutture

 


 

RESOLUTUM ESSENTIA

Ballando fra le tenebre. Ora.
Nuotando nell’abisso dai colori indaco
Un’antica ombra, m’oscura i passi di danza
Segnando i gesti d’innaturale movenza, in convulsione.
Cercando la perfezione di movimento
Trovo la fattura con il circostanze labirinto in dissolvenza
Il quale ne è la fine, della libera danza.
Libero, creativo danzare, seppur trovandosi nel vuoto
Sapendone estrarne la luce, in fondo.
Un labirinto, dall’aspetto di una bottiglia
Senza però riuscire a trarne il vuoto, quand’anche cercassi d’innestarne
Alla caparbia sete del sangue mio, la luce trovata, di chi
So ora, pretende di specchiarsi su ogni singola goccia caduta nel mio stesso
Baratro, una tomba vuota, all’apparenza, non la vedrebbero
Troverebbero la loro pantomima specchiata.
Abbraccio quest’ombra, di modo da trovare sollievo in lei
La decadente signora antica dei giorni miei e assaporarne
Il corpo di defunte fattezze le cui mani cerco con occhi vitrei
Dopo averle osservate, le prendo e le poggio sul mio viso
Ed ella carezza e stringe le mie guance fredde, di modo che si possano
Scaldare le freddure nostre, nelle rientranze di sfilacciati pensieri.
Lontani i giorni in cui l’apatia di quegli zombie , esseri dalla mordente vacuità
Mi rammaricavano sia cuore che ragione.
Lontane le loro grida alla rosa dei venti.
Lontani loro da me e dal mio presente, nonostante s’affacciano ancora
Tra vecchie fotografie impresse nel passato, le quali vengono bruciate
Nel cammino della mia mente.
Ora io danzo nelle tenebre, nella ritualità antica
In un presente tutto da vivere assieme a ciò che io vedo
Accompagnato dalla musicalità di gesti affini ai miei
Dalla soave ombra a cui dono la Datura nella tomba mia.
Libero sia io da ogni vincolo a questo dogma delirante.
A questo legame con il sangue di chi tira fuori un vuoto “ti amo”
Dalla bocca della tomba buia del silenzio.
Rimanga io un essenza decomposta per questo vincolo.
Libero dalla dipendenza ad un collettivo utopico.
Cercare di entrare nella bottiglia degli aguzzini è un modo per sentirsi parte
Soggetto, personaggio in una recita di stolti.
Nella tomba del mio cuore e della mia crescita, riposi la mia separazione.

 


 

Cerchio di porpora (il ghigno di un pazzo)

Intrappolato nel fondale, in un angolo del subcosciente abbandonato. Il bambino grida, nelle lande desolate di quel luogo, gelide, sotto la coltre ghiacciata dell’abuso. Nell’istante il ghiaccio si discioglie in lacrime sporche. Ungono il viso del bambino che continua a bussare. Ossessione. Uscire dallo stato in cui versa. Dalla felicità creata con le parole, rotte dalla musica, amplificate dalla “profana” dipendenza che sia , come a catarsi improvvisata. Autoimposta felicità. Illustrazione. La felicità. Realtà. Retta. Compresa in mille pezzi di supposte soluzioni agli enigmi della propria vita. Uscire da questa posizione angusta.
Nel peso della sua vita, la mente cosciente impone l’impulso. Gettarsi nel cerchio di porpora e trovare la sua pace nel suo sangue. L’ Importanza che “io do a me”…Non figlio. Non padre. Se non un tutt’uno.
Sono uscito. Sto bene. Non mi interessa dirti nulla.
Solamente schiaccerei ognuno di loro.
Cos’è bene. Cos’è male?
La “brava persona” resiste, la “cattiva persona” si è stancata di resistere, a quei loro? No? Esistono le ipotesi? Unendo le tre cose si forma il pazzo?
Niente. Non sta pensando o rimuginando. Non pensate. Perché temere un bambino adombrato? L’uomo.
Perché un perché?
La forza e il peso dei perché sta nella risposta data nell’entrare nel cerchio.
Il cerchio di porpora è Impulso di vita.
Gettarsi là non vuole dire né felicità né realtà né vigore né potenza né volontà né guarigione, ma Impulso di Vita.
La sua vita pur nel delirio, pur a dispetto di una malattia, pur nelle imprevedibilità tutte. Impulso. Impulso. Impulso.
Paziente X
Uno dei tanti pazzi?
Il peso di un pazzo? Lo stigma.
Viene dal “Male” la pazzia?
La pazzia viene dal peso che le dai.
Io le do nome di Conferma.
“Prendila come viene fino alla fine”.
Chi ho sempre avuto accanto, realmente, è chi non vedi, rinchiuso nelle fauci della confusione, creata dalla manipolazione.Quello che ho nella mente, realmente, lo so solo io. Non è un “problema spirituale”, né una faccenda di facciata. Reso abietto. Reso pazzo. Reso uomo.Mi amo. Quando amo te, o mia Virtù.

 


 

Conto

Esiste anche la sofferenza. Tante volte ce lo si dimentica. Sicché non torna l’ombra di cui ti eri dimenticato, con tutti i mostri dall’interno.
Non c’è pertanto solo un’illusione di “felicità”, che ruota attorno a chissà quale complotto con il turbamento.
Nella mia casa vivono in sintonia dolore, impulso e risa strappate ad altri sofferenti i quali, nella loro vita, forzano il sorriso come si fa con una serratura rotta, similmente molti approcciano al mondo circostante, esaudendo il desiderio dell’esperienza altrui, come bambole scassate. Io devo dire non sono diverso da nessuno di loro, in un certo senso. Non sono però divulgabile, esattamente come un referto medico.
Se lui o lei si arrampicano sugli specchi quando stai affogando nella tua brocca piena di veleno e i loro vagheggiamenti divengono ira una volta che “opprimi” il loro tentato sopralluogo nel tuo profondo e il conseguente divertimento, ricorda che se sei d’accordo a non impartirti di condividerti e “convertirti” lo farò anch’io.
Io ho poche persone e parole nel mio cuore. Erano in simbiosi. Tra istinto, materia e spirito.
Ogni molestia te la ricorderai.
Ogni violenza chiederà il conto.
Ogni carezza la terrai nell’anima.

 


 

Luogo dell’ombra partoriente

Qui, al confine tra follia e profonda saggezza, l’ impulsività silente. Il divenire parte del mio universo creativo, come la scrittura, quella a getto di inchiostro, non tanto per compensare l’ego come il ricevere consensi sconosciuti, quel giaciglio all’ ombra di un salice piangente, un luogo dove chi lascio entrare è raro voglia rimanere, dando loro per scontato sia qualsiasi cosa che sia solo nel loro immaginario, uguale ad esso. L’ esempio in vita dei loro proibiti sogni, quella cosa che chiamano “opposta alla luce”, negativa, che sia da schiacciare, abusare, qualcosa da espellere. Non tutti sono”buoni” o “cattivi”, neppure umani o divini. Né divulgatori di sé, né di altro. Solo emotivamente a pezzi, aspettando che qualcuno raccolga i loro frammenti di sentimenti. Le emozioni piatte. Scrivere, che null’altro è, nel presente, che il trovare l’altra vita dove, nella reverenza al proprio inferno, trovi l’unico fiore in fondo all’ abisso, la matita. Il Partum actum. Dove il cuore ha una scadenza, ma la filantropia, se ben indirizzata no. La rabbia non è cosa da bloccare. Solo indirizzare, proprio come la sopracitata. Non cambia nulla. Chi insegna lo fa con l’ausilio di un libro, scritto da un altro insegnante. Cerco ancora me stesso, perso nella scissione che solo io vedo. Tra natura e umanizzazione, scelgo la natura. La mia umanità.

 


 

Costrizione

Nessun personaggio può entrare. Solo persone. Quando un’anima si perde negli anfratti dei suoi abissi, i suoi occhi si spengono, lasciando all’ombra il dominio sulla sua cecità e sul suo passo, che va a calciare ogni probabilità di cos’altro che sia ognuno o sia qualsiasi cosa. Ognuno ha la sua, riservata ombra. Qualsiasi cosa ha la sua prova.Se riuscirò a stringere le sue dita oltre il muro del suono, dello stesso farò il luogo di incontro tra quel momento in cui ti senti costretto nel “giusto” e quello in cui ti senti costretto dove tutto è possibilità.Se ti perdi nel tuo inferno, non urlare di dolore, accendi un tuo fuoco anche tu.Ogni vera passione sia segreta. La costrizione è la costruzione del castello di qualcun altro.

 


 

In-fiamme

L’esistenza è tanto immensa da dare ad ogni ipotesi di errore un peso tale da essere da livellatore, cosa che chiamano poi “lezione”. Nel caso in cui chi o cosa abbia fatto o non fatto, non è una probabilità di successo per sé stessi. È più una compensazione dell’ego, parla una persona che del pensiero di vendetta ne ha fatto una “ragione di vita”. Competere è giusto nel momento in cui non lo si faccia per mettere in mostra la propria stupidità. Tutto alle spalle? Per mia fortuna reggo i colpi. Io non sono un “malato” o un “pazzo”, né tantomeno tu. La mia mente non è soggiogata e non sonnecchia. Né la tua. Tutto questo come anticipazione alla crescita e nuova vita. Molte volte vorrei esprimere un concetto, ma esprimerlo è complesso, tanto da esprimerlo male, così vado a ledere un rapporto a cui tengo molto. Devo dire che ce n’è solo uno a cui tengo davvero.
Non faccio lo psicoanalista e non mi frega niente. Semplicemente cerco di capire e capirmi. Salute a chi non ha orecchi e poi bocca.

 


 

Un’amore/Una mancanza

“Ti amerò per sempre”. Quando sento l’abbandono di quella particolare attenzione null’altro è che la mancanza del momento. “Ti do amore ora”.Non vivo di ricordi. Non vivo di corsa. Vivo di giorno in giorno. Chi vive alla giornata è abituato a lasciarsi alle spalle il giorno prima e le sue esigenze ed intenzioni. Il passato è defunto. Seppellito. Sul punto di morte, devo dire, non ho visto passare la mia vita “davanti”, né una “soglia” per chissà quale luogo. Né tormento. Hanno detto fossi un po’ “frastornato”, in questi casi. In realtà ricordo solo di aver chiesto che mi “lasciassero morire”. Semplicemente non ricordo un cazzo, solo un giorno lasciato morire che se ne va. “Ti do amore e conferma ora” Sono qui momentaneamente. Domani volerò via. Le zecche si attaccano. Il lepidottero è incostante. Lasciami leggerezza in questo pesante amore, che di delirio vive, nei giorni a venire vedrò di raggiungere il mio tormento e ci parlerò, ma sino ad allora i miei giorni saranno imprevedibili. “I castelli sono alti, la fantasia vola. Quando l’immaginazione copre la realtà, ogni presunzione e supposizione della mente salta fuori violentemente, lasciando spazio alle paranoie e vita al fuoco interno. Io mi “interno” da un’altra parte, con la consapevolezza della mia impulsività. Non sono rabbioso, ma vivo di impulsi”.

 


 

La strada a corda

Stando in una stanza con te. Lì, si comprende. In mezzo alla tua gente c’è sempre chi spara a vuoto e s’immischia. L’attenzione non è buono chiamarla bussando come ossessi. Ogni nota viene suonata a ritmo di ogni emozione dalle parole alle orecchie. Senza virtuosismi. Solo emozioni. Non usiamo giudizio uno negli occhi dell’altro, in questa stanza. Solo la nostra galleria. Isolamento psichico. Sono lì a comprendere tutto, nella saccenza si vive, talvolta chiamando grullo il vero senso. Il miglior lavoro possibile su di me lo posso avere dalle mie mani. Di fronte ad una folla del “colpo di scena”, busso alla porta del mio in(f/t)erno. Sei nella mia testa, lì ci accechiamo gli occhi, ci puntiamo coltelli alla gola, sputiamo sentenza. È lì, nella cella della mente che si suona la propria musica nascosta delle emozioni. Non ci sente nessuno qui. Tra l’altro mi interessa molto poco. Se io, mi amassi un poco di più, me ne andrei ovunque tranne che qui. Sulla strada a corda, ancora e ancora. Sembra una follia. Sembra una bugia. Non lo è. Se ti ho mentito e, se l’ho fatto, il motivo ormai lo hai capito. Usciamo dalla stanza e prendiamo la strada a corda, tra sensibili emozioni, come la corda stessa, che nessuno, tranne noi, capirà, vedrà o ascolterà. Emozioni nel silenzio. Emozioni nella musicalità di una voce. Ci sono cose che non puoi spiegare, può capire chi è come te, con te. Possono indottrinare, sì, un fanciullo, ma non potrà mai “spiegare” egli la sua esperienza, perché non deve rendere conto, solo liberarsi dallo stesso indottrinamento e trovare la sua corda, che non dovrà mai fare suonare a nessuno né dedicare musica ad alcun nome, solo andare. Sto pensando davvero di prendere ancora quella dannata strada……Ti guardo negli occhi e mi vedo riflesso perché lì nei tuoi non vedo niente che non sia egocentrismo, penso sia reversibile…

 


 

Voce nella testa

Non vedono ciò che Vedi tu… Smettila…Non lo Vedono. Molto difficoltoso, stare al momento presente, nella diffamata ancestrale sofferenza dalla parvenza eterna, che tramuta in etereo stato, con una Natura Satanide interna che tramuta tutto in grazia, nella quale vige il vigore di una mascherata, coprente una bellicosita’ di fondo accompagnata alle lacrime in riso, auto definite deliranti, come in un disegno ancora abbozzato, delineato dalla matita della bestia che vive, come nel rischio di radicamento in sé se non nella lotta con questo stato, evolvendo il seme distruttivo e in folle movimento psichico, accrescendolo fra le mani della saggezza, nella leggerezza. Attingendo il pennello nell’anima, dipingo il capolavoro assoluto della vita mia, la realtà effettiva mia. Il Doccione lascia fluire il mio abisso, senza lasciarlo ristagnare. Per loro è solo un’ allegoria…Non vedono ciò che Vedi tu…Smettila, basta…Non vedono con i tuoi occhi, rivolti all’altare di quella materia. Per quelli è il male. Tu sai ormai cos’è Male. Non respingere. Responsabilità.. Io vivo come un’allegoria, fra idee fantomatiche di divinità visionarie? E sia. Mi basti pensare a loro. Non a voi. Non vedrete con gli occhi rivolti al basso o all’alto, ma solo all’umana sapienza vostra.Non parlate. Non imprecate. Non esponetevi a caso. Lì ucciderei? Mi ucciderei? Perché fare doni a caso. Non vedrete con altri occhi se non i vostri. Io vivo con i miei. Unica nullità è stato un sacrificio nullo per altri nulli. Sanno. Voglio guardarvi ancora volare miei Doccioni, su un’abitazione di pietra in cui avvererà il messaggio vomitato di abissi infiniti. Quello di un manipolatore per eccellenza. Il bambino figlio di un degrado ormai amato. O meglio compreso di tante cose passate e vicine. …

 


 

Insegnamento 0

Un “maestro” al di fuori è nessuno. Un riflesso è insegnante di quella materia che è criptata, quella dell’anima, del sangue. Ogni pagina sfogliata non avrà mai l’odore della prima. Quella ingiallita e vecchia com’è vetusto il primo castello in aria, dove ogni armadio al cui interno, in ogni cassetto si chiudevano i propri orrori ed incubi. Trattasi di questioni che richiedono acume. Ora direi, come un tempo, di far comprendere a chi può. Nessuno, ha accecato Polifemo. Nessuno ascolta e chiama la sua Itaca. Guardo a me stesso, non per egocentrismo, non certo da condanna, ma piuttosto come mia Itaca, mia casa. L’innovazione e progresso in un delirante luogo, il mio, progredendo nella raccolta di pensieri, complessa, nel suo riordino in stato dichiarato di “pazzo”, definizione non certo data autonomamente, ma affibiata da un circondato di idioti. Tu non sei nessuno. Io non sono nessuno. Per nessuno insegnante. Per nessuno esempio. Per nessuno dev’essere complicato. Chi non è dotato della sensibilità e dell’empatia adatta non può comprendere quanto nessuno sia artista di una lotta e di una passione che lo ha mosso tutto il cammino quanto ogni invisibile agli occhi di quel nessuno e i suoi spettri. Gli spettacoli per spettatori occasionali, si può supporre siano parentali di un beneficio che non darei per scontato, il suo richiamo. Non odio chi mente. Non odio chi manipolando la realtà trova sollievo per dolori e sofferenze. Non odio chi si ritrova in isolamento psichico e sociale, in una gabbia mentale o effettiva. Non odio la malattia che affligge me o te. Non odio Nessuno, perché Nessuno lo fa…

Reverentia Ad Inferos.

Di sublime come un fiore notturno in fondo all’abisso, con la rinascita poggiata su d’esso, c’è solo l’inferno.