Enea Magro

Poesie in mostra


Allarme

In questi anfratti di vita
Una verità chiusa
Come un libro sul comodino
Tu mi chiedi com’è stato
Qui non vi è vizio o virtù
C’è solo quello scivolare
Sui nostri cuori di ghiaccio
Armature del quale ne abbiam fatto calunnie
Al nostro sentire
Accarezzandoci il corpo a rubare
Ci sfioriamo l’animo a vantare
Chissà quale giorno andato a cantare
Come se la vita fosse giunta al termine
A cosa è servito
Non essere stato né pentito né avvilito
Primavera arriva e vorrei
Qualcosa di dolce
Il qual affiora come un fiore
Assieme al sole e al suo calore
Non provo fastidi al tuo dolore
Teniamoci le note spezzate
A schiocco di dita stringendoci il sentimento
Non c’è sonorità in giro per noi
La parte allegorica che abbiamo
Sarà una lancia conficcata
Nei sentimenti d’ogni persona amata
M’ameresti un giorno soltanto?
Potessi io lo farei altri milioni, pertanto
Il distacco è inevitabile
Giammai affranto
A mai più la recitazione febbrile
Di modo da mettere a tacere
La mente con l’esperienza e il suo fremere

 


 

Un principio

Ogni battito lasciato ad ella è solo un’ebrezza rammentata al proprio interno, ovvero l’ enigma della realtà. Ciò che è al negativo, la negazione è esperienza della propria versione gettata agli occhi. Ciò che è male è ciò che è reale. Il senso stretto dell’ interloquire sta nell’ alchimia tra ogni proposito al positivo, mai contrapposto al negativo. Senza l’ abbaglio, stimolante alla mente, saremmo vittime della realtà oggettiva. Tutti, non esiste. Qualcuno ha a che fare con il mio qualcosa che ha a che spartire con l’ emblematico seppur frammentario “mai a voi tutti “. Ora mi impegno per la mia identità.

 


 

Guance Affossate

Come una rosa appassita su d’un pianoforte, le cui note cupe racchiudono il tuo segreto, ti spogli dei petali, infrangendo a terra i sogni che, sul letto di sinfonie incompiute, si dissolvono. Dopo essere entrati in me, escono dalla gola profonda della mia mente, questa follia non può che considerarsi luce per l’anima mia. Demonica creatura, abbracci i fiori del mio delirio, l’amore è momentanea follia creativa? Le tue ali avvolgono le tue sembianze cristallizzate in un cuore, congelato dalla collera. Le campane di questo miracolo passionale continuano a rintoccare il sapore del tuo corpo nel mio cuore separato. Da una sponda all’altra, scruta il Caronte del mio sentimento attendermi al confine del mio cuore. Con la cascata dei sentimenti alle spalle, pronto a portare la mia mente lontano negli inferi del mio delirio, perso nella sottomissione ad un bisogno, soddisfazione per i miei domini interiori. In questo fiume, preso dalla corrente, va a distruggersi l’indipendenza di un battito infrangendo la creazione del suo spazio contro i massi dell’abbandono. Respiro di vita in un ricordo di un battito, quello che solo io posso ricordare, quello che senti quando balbetta qualcosa al mio, pur tentando di manipolarlo, cosa che questi lascia intendere che ce l’hai fatta. Non urlare contro il tempo, colpe non ne ha. La colpa è un concetto che si spegne in criteri di valutazione e ricerca, è rivolta unicamente all’esterno del mio luogo diletto, nel quale regna sovrano l’ intelligibile. La minaccia non entra nella mia ricerca personale, neppure l’utopica vergogna, che tale è solo quando le si dà conferma. Comunque nella mia mente sei e rimarrai qualcosa che completa e riempie, seppur momentaneamente, i vuoti dell’animo mai colmati, piccolo delirio.
Seduti in un angolo, nell’oscurità, avvolti nel dolore e nel circolo infinito dei pensieri. In quella stanza vuota e minimale, ma che non perde mai il sentire, il trasporto della musicalità, delle note della passione. C’è qualcuno, ora, che non ama il suo luogo, che lo lega in una sorta di maledizione sentita, lo lascia vagare, a mendicare sentimenti e cibo per l’anima, nella ricerca d’un illuminazione, ma quella che tocca la verità effettiva della sua ombrosa natura. Sopravvivendo a ciò che sta dentro di sé. Potendo perderebbe l’amore che ha dentro per la passionalità, lasciando il posto all’odio, al rancore rimuginante, ma non può. L’essenza è così, vive della sua natura. Il ticchettio del pendolo del cuore, il suo oscillare sulla destra e la sinistra dell’animo, quella continua lotta interiore, non lo porta a nient’altro che ad una maggiore consapevolezza di sé, successiva proprio a questa. La divisione di questo cuore porta in un sotterraneo. Un mondo da sogno. Dove la vita per un poco si ferma. Guardando la forma di quel sogno, viene naturale baciarla, la bocca del dolore. La ragione sta nel fermarsi del tempo contro un’ineffabile destino. Ora. La realtà è oscurata e oscurante.
Nel circolo delle ombre, il bisogno di piangere, onde tentare di risolvere la collera. Il fuoco interno, spento da una lacrima. Gli occhi pieni di collera, sono ciechi. Gli occhi pieni di lacrime, sono abbagliati dalle luci, a volte cercate, del dolore. Come ritrovare la vista, mia guida interiore? Arrivi tu, venditore di emozioni. Impulso nei movimenti, nel riflesso della paura, tramando passioni con ciò che il proibito rancore dà, sul momento, cercando nel tuo ego una risposta interna a domande esterne che, ora, devo dire non troverai, vattene. Il circolo delle ombre vado cercando, di modo da vedere. Guardando negli occhi il mio dolore. Nello stato meditativo è il mio animo, seduto a gambe incrociate sulle menzogne e sulle emissioni a me stesso. Nevischio sui sentimenti che, lentamente, vanno a nascondersi sotto la coltre di neve bianca, nascondendone la bellezza, con l’ombra gelata del rammarico. S’accosta meco una signora, vestita dei colori della notte, i suoi occhi sono come la luna, una madre dalla mente criptica, nella sua mano destra regge tre candele accese, porgendomi la sinistra, mi esorta a sollevarmi da tale posizione e proposito, sussurrandomi di fare mia la volontà. Nel mio essere inaccostabile e distante, ora, m’invita a prendere in mano il progredire degli eventi, prendendo in considerazione pure le malinconie e gli orrori della propria attività mentale, considerando le maledizioni fatte al mio cuore, le quali, si possono sciogliere. Accetto il mio passato. Accetto il mio presente. Qui. Ora. Lavami le mani mia guida, dal mio stesso sangue. Non provare vergogna, mai. Sei innovazione per le tue notti, per il tuo specchio. Le note delle tue palpitazioni rimbombano nel petto di chi ha potuto stringere le tue emozioni, ma chi le produce, sei tu.
La mia mente ora, non tace. Sono alla ricerca di silenzio in questo spazio infinito chiamato psiche. Non dare troppo spazio all’intelletto e all’azione creativa, dice, questa voce interiore… La visionaria mente, dalle sembianze cristallizzate, una mente ora, di ghiaccio che, con molta probabilità, ancora sembra, oramai, mai aprirà le porte ad essi, al di fuori, mostrando i colori tutti della ragione, che ancora non può, nel momento presente, dare al di fuori ciò che è insito e così criptato nell’essenza. Pur nei semi della certezza che qualcuno potrebbe, se non comprendendo gli arcani del proprio sé, almeno risalire dal proprio “sistema dolorante”, all’esterno, ora tutto tace. Tu, istrionica creativa creatura, che osservi. Non so chi sei. Ti chiedo soltanto di “pensare ad immagini”, quando il testo cominci a scorrerlo, sotto i tuoi occhi. Non pretendo tu possa comprendere di primo acchito. Ogni lettera malata è una lettera piena di sanguinamento nel suo interno. Ed ogni emorragia, va fermata.
Ciò che vado scrivendo nelle mie pagine è la tragedia in vita, il rituale stesso della realtà effettiva nel mezzo dell’abisso” Occulto per chi non ha intuizione di ciò. Cristallizzare i pensieri e le ombre su un pezzo di carta, seppur in un certo qual modo le lettere scritte con il sangue verranno lette solamente da chi avrà facoltà di comprendere, è un compenso al mittente stesso ed ad un destinatario che tante volte non si conoscerà mai, fissato nel mare ghiacciato del proprio corpo e della propria vita. Ciò che è criptato nell’essenza viene definito “fantasticheria” nel momento presente, nel luogo di questa palude dove chi ancora cammina nella propria mente viene definito “pazzo”. Collera, dalla propria tragedia antica, a chi del disgusto di me ne fa una ragione di vita, di cui all’altro poco importa, avendone già delle analisi della propria incontrollabile esistenza ed esigenza, mi chiedo, di non annullarmi, mi chiamo verso l’altra faccia della mia natura senza più flagellare il mio corpo, nel contatto stesso con l’altrui arte e la mia. “Il contratto tuo con la tela, dal portale tragico dipinto di chiarimenti alla tua anima ed evoluzione, porta la penna del poeta in contatto diretto con il sangue del suo venerato defunto amore delirante” Una collisione tra due tragedie.