Melodie
Son sempre quelle giuste,
appaiono messe apposta.
Riecheggiano nella mente,
continue e leggere.
Sono lo sfondo dei nostri giorni,
sono le note dei nostri anni.
Riprendono vita
rievocate dagli abissi
e dalle dischiuse labbra,
divenendo i soffi dell’anima eremita.
Temono l’oblio dell’indifferenza,
aggredite dal fluire,
soffrono il cinico andare,
intimidite ma sempre vive.
Celate dal velo del tempo,
piegate dal maturo fare
pur ferite dalle speranze illuse,
resistono ostinate in noi
…per poi esplodere improvvise.
Venere
Sola,
dal firmamento esiliata,
fulgida Venere all’imbrunir del cielo,
afflitta per un futuro rapito e malinconica espiazione
per un sospirato sito.
Tenera e tangibile la solitudine
e l’eterna tua volubile bellezza
al cospetto dell’ostica moltitudine.
Nella pioggia
Nello scroscio di novembre,
col dolce fruscìo passeggiando,
fioche luci trapelano dalle finestre,
e un motivo lontano
accompagna il lento vagare.
Col gradevole crepitìo
del ghiaioso selciato
ad ogni mordente passo
mi ristoro l’animo inquieto.
Un fremito attraversa le ossa,
fissando il riverbero
sull’oscuro lastricato,
e gli occhi brillano d’amaro
il suo viso figurando.
Mentre un nodo nella gola s’aggroviglia
in un tempo mai arrivato io m’immergo.
Milano d’Agosto
Aurora di luci e d’insegne,
profili stagliati nel cielo d’Agosto,
l’aria serena e il profumo del vuoto: l’incredibile scena di un posto.
Le strade mute, le deserte case,
le auto tristi, le bici sole,
le scale vane e le vecchie glorie.
E’ Milano d’Agosto,
con la sua anima in pena,
con la sua segreta luna,
l’appannato cielo
e l’arguta vena.
Arcana
Poco s’appare
in su la scogliera,
ferma ed irta,
ombrosa figura.
Improvviso riverbero,
la vista s’acceca
e d’alone lucente
quella si copre,
a voler forse porla, al calar della sera,
come ignota presenza invogliando a seguirla.
Eterno riflesso
Nella sala degli specchi
dei giochi e degli orrori.
Stanza dei vespri e degli amori,
dei fatti superati,
quelli desiderati e di quelli mai avvenuti.
Tirato incedere,
incauto o impavido,
sarà il mondo a sentenziare.
Nelle celle di cristallo,
come nella gabbia il coniglio,
sordo ai latrati nell’etere,
infrangi i vetri della finzione,
rompi l’attimo, pensa oltre.
Fendi gli specchi di vita privi
spezza l’idillio ingannatore,
torna all’azione.
Labirinti di passioni,
eterni contrappassi
di criteri ed emozioni.
Mentre il rintocco incede
nel seguitare ansioso,
incespica il pensiero,
e rende tutto più sfocato
e il respiro più affannoso.
Se pur scalfita,
la voglia resta intatta
e cede il terso schermo,
l’ancestrale soffio
d’improvviso elargendo,
e il riverbero rinascere
della pace sul tuo viso.
Entropìa nichilista
Rifletto ed aspetto,
riordino l’incorreggibile.
Disordino l’anima
per renderla più umana.
Non applico formule,
sintetizzo la speranza,
sopprimo la mia indole,
moltiplico il piacere,
e poi divido quanto avanza.
Nel limbo di una vita,
le coraggiose sensazioni,
come voragini degli dei,
metamorfosi e paure
di dionisiache aspirazioni:
corde tese sull’abisso
tra la bestia e il Superuomo.
Stella primordiale
del caotico universo
e bocciolo dal diluvio compromesso.
Mai riflettono le immagini,
così negli intervalli sazi,
le profondità dense,
e le intensità delle opinioni, gli spazi.
Ma se i casi ripetuti
ambiscono a verità certa,
i passi già consunti
proibiscono di volere,
e, suggerendo false tracce,
impediscono di volare.