Fabrizio Oddi - Poesie

Sono te

Bambina mia, un cielo limpido
di ricordi sereni ti sussurrerà ancora
di me nel tuo profondo cuore.
Ricordi?
Sulle mie ginocchia giocavi
spensierata e il tuo piccolo volto
delicato con dolcezza carezzavo.
Con una brezza leggera
avrei voluto soffiar via
lontano il tuo dolore,
con un bianco fiore asciugare
le tue lacrime d’oro.
Nel grembo della terra e del cielo
sono vivo per sempre e in questi
tristi giorni ti sono vicino
silenzioso.
… E i tuoi capelli piano,
mentre dormi ormai stanca,
carezzo la sera.

 


 

Lucente bagliore

Amore mio già sei andata via,
stella così dolce e seducente,
incredibile prodigio sulla mia via,
mia magnifica gattina innocente.

I tuoi baci, acqua fresca e leggera,
che veloci scorrono questa sera,
occhi celesti di cielo e puri,
che aprono orizzonti lontani.

Nella notte serena il tuo mistero,
limpidi sorrisi colmi di eco,
di suoni e profumi soavi,
e la luna sussurrerà lieve,
sul suo veliero,
il tuo segreto.

Allora mia luce così cara
ti auguro una notte chiara,
un sonno lieve e leggero
con miriadi di sogni d’oro.

 


 

Le pistole di Čecov

E sei tu, caro, che più non mi chiami.
Dunque pochi brevi incontri, lontani.
Le nostre vite intime, pur per poco.
Adesso siamo lontani, di nuovo.
E per sempre vicine rimarranno.
Non noti tu le tante somiglianze?
Orchestrando dopo, però, nuove vie.
I sogni son cristalli di coraggio.
Non più restò comune il nostro viaggio.
E nessun segno mostrato mi avevi.
Ora io non posso che rimpiangerti.
Le tue movenze lunari, quel sorriso.
Ritrovarti di nuovo in quel tuo riso.
Ancora nel profondo sono, e vive.
Attendere in queste povere rime.

 


 

Il messaggio dell’imperatore

Tre cerchi sono dati per entrare
a noi uomini sconosciuti,
ogni cerchio un cammino incerto,
da dove non sappiamo
se poter ritornare.
Tre personaggi sono concessi al lettore
per trovare e riconoscere la loro Thea,
dai capelli color bronzo scuro.
Tre finali e due inizi sono elargiti
per avvicinarsi alla sfuggente realtà.
Forse il terzo giorno la troveremo,
o, forse, il nostro destino ci attende
per mano di altri.
Una distanza incolmabile separa
la fronte di noi minotauri
dal contatto di un’altra mano,
che pure scorgiamo vicina,
protesa verso il nostro essere,
piegati come spesso siamo
in ginocchio nell’arena della vita,
in attesa del messaggio dell’imperatore
a noi soli – lontani sudditi – indirizzato.
Quel messaggio nascosto, inquietante e sublime
vicino eppur, nel contempo, di nuovo lontano,
che sempre attendiamo nelle parole,
incuranti di poter mettere a repentaglio,
ogni volta, chi siamo e i nostri pensieri,
il nostro presente, passato, futuro,
confusi o illuminati da passione tenace,
da diversa bruciante luce,
verso un amore più forte della morte,
nella ricerca di quella mano
che possa toccarci la fronte,
rendendoci non più sconosciuti
a noi stessi.

 


 

VI (Il rettilineo circolo mortale)

Piccola e timida tra di voi venni
offrendovi, a mia volta, vita in dono.
Foste voi, senza più simili affetti,
il mio cosmo e la vostra vita.
Curioso il mondo ch’io osservavo,
fin dal primo giorno, per terra
scivolando. Finché ogni luogo
non divenne mio giaciglio,
e nido e mio il vostro cibo.
Con voi nella mia mente e nel cuore,
respiravo i ritmi, le gioie e i dolori,
portandovi il sereno con il viso:
io, esile chicco di riso.
Pel fato, ignara, entrai un giorno.
nel rettilineo circolo mortale
senza più uscirne:
con lieve cenno alle vostre
carezze rispondevo.
Vano fu – già lo sapevo – ogni sforzo
per la mia vita: muto il mio soffrire
per non allarmarvi. Per sempre sarà
il mio più grande dolore la vostra
tristezza di pianto infinita
nell’accettare la mia fine
proprio al ritornar del Signore.
Ora la mia dimora è ai piedi
d’una rosa. Bianco e nero, su
di me, triste un gatto che sa
senza vedermi, ogni giorno
il suo sguardo posa – io che altri
non vidi all’infuori di voi –
attraversando questa terra.
Ma ora guizzo ancora,
rapida e breve, ad ogni
vostro passo o sguardo, visibile ormai
solo nel ricordo. Per gioco, come
allora, mi nascondo, rintanandomi
in qualche ripostiglio: ma qui e ancora
– non temete -, con voi per sempre.

 


 

Dolce, compatta e liscia, color malva, meravigliosa Parma

Augusta parmensis romana, dall’etrusco scudo,
tra i tondeggianti Appennini e la pianura padana,
tra Ghibellini e Guelfi divisa e dall’omonimo
Torrente. Ducato di Borbone, pur nei tuoi tesori
vessato, come altri, dalla napoleonica spoliazione,
valor militare nella liberazione, i nemici dal timor
assaliti, dalla Vergin protetta, Oltretorrente fermasti,
alle tue porte in quell’agosto: le arroganti camicie
di violenza e soprusi sorrette. Nobile città ducale
dei nomi dei paesi destinasti il tuo a tante città
del mondo nuovo, dolce, compatta, e liscia,
color malva, nell’arte della memoria involontaria;
mentre la pentagonal fortezza e l’opera certosina
ti celebrava Marie-Henri da vertigine preso.
Biblioteche, dipinti e chiese e verdi dolci distese,
università e scuole, centro eletto diventasti di cultura,
illustri celebri nomi ebber in te natali e sepoltura,
quali il divin violino, poeti, scrittori e musici vari
pittori e dei primi del secol attrici, e chi con gran coraggio
sé stesso sacrificò per noi. E infine, qual grande pregio,
città tripudio di ricchi sapori: quel tuo gustoso formaggio
il rosso lambrusco e scuro, il tortellino, e carni e dolce
e variegati antipasti che per sempre allieteran i nostri deschi.

 


 

Non andartene lontano

Non andartene lontano,
almeno nel dolce ricordo
o anche solo nel raro sogno
di una felice luce lontana,
di quei passi veloci e felici
di quel cuore così leggero,
tanto da chiedersi se era vero
quel paesaggio, quel sole, quel viso,
quel tuo sorriso che mi guardava
quegli occhi lucenti nel mio cuore.

Non andartene lontano
almeno in quel raro sogno.

 


 

Preferisco Giovanna

Preferisco la scelta alla paura,
preferisco la libertà alle catene,
preferisco essere come sono a rimanere,
preferisco la verità al bigottismo ciarlatano,
preferisco la luce all’ignoranza del buio,
preferisco calde sincere parole
a fredde frasi senza senso e vuote.

Preferisco te Giovanna che hai tanto amato
Preferisco al falso vuoto il tuo dolce canto.

 


 

Lettera prima di mezzanotte

Forse da un corriere inaspettato
ti perverrà prima che la mezzanotte
rintocchi una lettera. Ti turberai, forse
– lo spero – delle sue lente
frasi, delle sue associazioni
perfette, della sua impeccabile
sintassi. Ci saranno tramonti
e sorrisi che avevi dimenticato,
risate e corse a perdifiato,
profumi e colori di una verde
villa, lontana ora nel tuo cuore.
Ci sarà però gioia accanto al dolore,
ricordi di baci e abbracci,
dimenticati, o così pensavi.

Se la leggerai quella lettera,
– il corriere solo per te ha intrapreso
quel lungo faticoso cammino –
forse ritornerai. Perché
quella lettera, da sempre,
è scritta nel tuo cuore.

 


 

Sera

Vie colorate di persone
rapite in importanti faccende
in una fredda sera di dicembre
– quasi al venire del Signore -.
… Ma io
che cosa ci facevo
tra i loro agnelli d’oro
smarrito in quelle luci
io, senza Te.
Così lontano
era il tuo volto chiaro
anche se il tuo sorriso
nell’ultimo sfumare del sole
cercavo.

 


 

Exercice d’ennui

L’occhio nel vuoto non è esercizio
di noia, intrappolati in un perpetuo
presente, mentre scorre questa vita
e quella dei nostri cari, la vita
delle persone che ci passano accanto,
di cui ancora in uno sguardo scrutiamo
il cuore, ma loro nulla diciamo.
Lo sguardo nostro non è nel futuro,
ma adulti diventano i figli, e pure
per noi, i nostri amori, fluisce impassibile
il tempo, senza timore. Scivola
via e l’attenzione, l’affetto, passione
che chiedono rimane in noi. No, non era
così un tempo, come è ancora in fondo
al nostro animo. Eppure così noi ci
mostriamo, imprigionati in un eterno
affiorare, a fatica respirando.
E agli occhi che vedevano bellezza
anche dove forse non era, ora solo
nebbia pesante e impalpabile appare.
E letture ricercate e veloci,
dolci musiche e immagini quando è sera,
con ricordi lontani e sogni soavi,
per brevi istanti coprono appena
il continuo insopportabile rumore
del silenzio.

 


 

In nessun’altra notte mi ha toccato il silenzioso argento della luna

Due ragazze camminano vicine nella notte di Roma,
Mentre questa magica e veloce scorre serena
Accanto, tranquillo, chiaro fiume innocente,
A quegli occhi profondi, al viso soave, allo sguardo ridente,
Rare stelle lucenti dai passi e dalle vesti di seta.
Il loro giovane cuore cosa scruta o nasconde
Nel silenzioso argento lunare dove nuotano i sogni:
Ali scure ha il mondo, seducente e senza età,
Ali d’oro sull’orlo di lunghe notti inquiete.
Il loro calmo respiro è desiderio di vivere e amare,
Nel segreto profondo dell’animo scintilla,
Turbina, risplende, un brivido di madreperla.
Ed io… osservo rapito quest’immenso verde mare.
Ogni minimo gesto e chiaro il loro sorriso
Non può sfuggire ad un cuore antico.
La bella giovane e rossa vita, con serena quiete, bere
Il mio sguardo, lontano da tristezza, anche per poco.
Echi leggeri di parole spensierate con il loro bagliore,
Ancelle pure mi sfiorano il capo con la mano loro sottile.
Torneranno le ragazze alle case, lasciando il loro profumo.
Torneranno, allegre e un po’ assonnate.
Avranno, senza saperlo, rischiarato il mio cuore.

 


 

Questo ti voglio dire

La fila che segue un’illusione di colore,
pecore allineate in un lento andare,
curva scura ed uguale, senza fine.
cecità degli occhi, cecità nel cuore.

Buio senza altro nuovo viaggio,
senza lo sconosciuto, lo straniero,
che ci additi la lontana strada
che ci sia semplice compagno.

Dove sarà il nostro angelo guaritore,
dove troveremo cuore, fegato e fiele,
per guarire i nostri occhi e il nostro cuore?

Così lontano da noi sei andato Raffaele,
e lo spirito cattivo più non se ne vuole andare,
perché – lo sappiamo – ci dovevamo fermare.

 


 

Nulla due volte accade (II)

Nulla due volte accade,
ma esiste allora il punto
il punto dico da cui partire
per accorgersi di quando si cade,
senza capire che non basta il “lento pede”?

Nulla due volte accade,
nonostante qualunque spunto,
spunto di qualsivoglia tipo:
e tutti gli incontri, i desideri e le parole?
Quand’è che comincia il ripiegamento?

Quand’è che stili il riassunto
della tua vita e dei suoi momenti,
il punto essenziale da cui ripartire,
ripartire senza più rimpianti,
senza tutti quei ricordi oramai spenti?

Quand’è che scovi quell’appunto,
perso tra mille sparsi fogli che ti consente,
che ti consente di correre di nuovo, ancora,
sognare e vivere non con occhi spenti,
finalmente respirare in contropiede.

Nulla due volte accade senza fede,
ma forse esiste il punto da quel marciapiede,
il punto esiste di lontana luce chiara,
che rischiarare può la tua vita ancora,
giunto a quell’immoto attimo, per ritornare.

 


 

 Eros ed Oinos

Infinite e ripide le scale che ho sceso,
cercandoti senza requie, col braccio teso,
da infiniti volti, corpi e nomi acceso,
sempre sorpreso di averti incontrato.
Te come sorgente così a lungo attesa,
te luna e stelle irraggiungibili,
cerva da rincorrere all’infinito,
nel profondo specchio del tuo volto chiaro,
dei tuoi occhi di luna, della tua morbida pelle,
e dei tuoi seni, nelle tue profondità
nascoste.
Eros e Agàpe, spirito e carne,
intima indissolubile verità, sofferenza
di piacere, inebriante angoscia,
da ricercare nel desiderio di te,
profumo, aroma e odore di te,
dai tanti volti, dai tanti corpi,
da questo istante al lontano passato.
Fuoco delicato, euforia veloce,
mio vino irresistibile e profumato,
impossibile e vicina ebbrezza.
Sentirti dentro, nei pensieri,
nel delirio dei corpi, fame
di te, della tua timida semplice
nudità, appassionata ritrosa avidità,
per offrirti del mio pensiero il fiore,
il fiore dico della mia essenza,
del mio corpo vicino: un dolce sorriso
del tuo incredibile viso.

 


 

Surreale ma bello (forse un sequel ?) 

Non so se riderai, splendida diva tra miriadi di luci,
Oppure mi lascerai, di nuovo, una volta ancora.
Tu milioni e milioni di anni luce lontana,
Tu che tutto dici meglio, senza parlare.
Io così anonimo e privo di successi,
Nessun amore, e ai bordi un po’ appesantito.
Giovedì forse richiamasti, il messaggio alla mercé di uno Spike distratto.
Ho cercato, infine, di convincerti a rimanere, ma poi
Io vidi quella porta richiudersi da sola, sul mio cuore.
Lei il volto che non potrò comunque più dimenticare.
Lei che può sempre entrare dalle ombre del mio passato.
June amava quel misterioso notturno giardino, e Joseph,
Una vita intera insieme (quella che con te io vorrei),
Le sedeva sempre accanto, su quella panchina:
In quel giardino che c’era da meritare una simile impresa
Attrice preferita da sempre di “Cavalli e Segugi”?
Racconterò a me stesso il nostro bacio, ma, tranquilla, non ci crederò.
Oh, la felicità fluttuante con una capra che suona il violino,
Brutto però il tuo carattere, e tante, troppo foto di te e film.
Equilibrio decente, invece, volevo, per non essere messo da parte ancora.
Ricordo, proprio per questo, il mio rifiuto alla tua gentile offerta.
Ti avevo vista – rammento – quel mercoledì lontano, nella libreria di viaggi.
Surreale, ma bello, il mio ultimo commento al tuo secondo congedo:
Ho detto così, allora, frastornato da quell’incredibile incontro.
Un sogno, poi, un bel sogno, era stato poterti rivedere in quella saletta.

Guarda, però, attento, svegliati: ad occhi aperti sei e Lei
Ha preso un’altra strada. Quel provvidenziale succo d’arancia
Giammai le hai rovesciato, né ti ha mai dato quell’impossibile bacio.
Rincorrerai quella che per te è una semplice ragazza?
Avrai nuovamente il coraggio di lanciarti per riconquistarla, se
“No” dicesse ancora, sempre a tutto, quel suo bellissimo sorriso,
Trasformando ogni tuo giorno in inferno o paradiso?

 


 

La casa sul lago del tempo

Lettere antiche dalle cui righe si scioglie,
Appassionato l’inchiostro di un tempo passato,
Come nebbia svaniscono nel verde ricordo,
Attesa eppure di chi ancora
S’incontra e forse s’innamora,
Al momento forse sbagliato.
Sul crinale dei soliti giorni incessante
Uno, più giri, della porta scorrevole della vita
L’ombra di inquietudine foriera spesso appare,
La luce, talvolta, che ammalia, da bere.
Ad ogni giro, si trasforma il mondo.
Già: l’attesa può aver cambiato
Ogni amata parte di noi, quel che era comune.
Due cuori una volta i più aperti,
E due gusti più simili e all’unisono sentimenti.
La vita non è una scaletta, né un libro che
Tu puoi aprire a tuo piacimento
E – chiuso – emozionarti ancora,
Muovendoti correndo il vento sul viso.
Perdonarsi ogni giorno e darsi un sorriso
O svanire, come inchiostro lontano.

 


 

Ineluttabile inquietudine (II)

Dov’è il coraggio di essere uomo,
dire no in questa immensità di sì,
in questa paura che ci portiamo
addosso, come un’altra pelle,
Ogni giorno, ora, minuto,
appresso ci portiamo i nostri
miseri carichi di poveri uomini.
Fra poco verranno, sono già alla porta,
con armi di odio, di lusinghe e dolore,
di morte che tutt’intorno nella mente
e nel cuore semineranno;
non dovremo crederli lontani,
e dormire in un imperturbabile sogno,
muti e chiusi nelle nostre comode case,
tranquilli o in ansia, incoscienti
comunque, perché tanti sono i gesti
che questo demone hanno invocato.
In un attimo viviamo la vita
e ci si può tuffare nel suo splendore
e riscrivere gli episodi, i fatti,
con nuove parole, e riscrivendo
creare, scoprire, rendere vero,
di nuovo. Liberi uccelli del mondo
che migrano per ogni dove
si posi il loro cuore.