Filippo Travaglio - Poesie

Poesiare di mestiere

E quindi poesiare è cercar il verbo giusto da inserire nello schema?
Come un Bartezzaghi? Come bimbi in altalena
Che finito il giuoco non san più la distinzione
Tra quel che è sopra e sotto, tra realtà e finzione?

Tra artificio e ricerca, belli come specchi opachi,
credendosi geniali, a guisa di ciechi bachi
intenti a tesser tele d’ inchiostro e dedizione,
vuoti pieni di memorie, a cui non sanno dar cagione

d’esistenza e di stupore, ché poesiar non ha teorema
ma se è vostra convinzione
che non s’abbia a dire “sabbia”, ma si debba dire “rena”

attenti a quel valore che date ai versi nati
non tanto dall’ingegno, quanto dalla luna piena,
che ispira idee mediocri a scrittori squattrinati!

 

 

 

La poesia di stare insieme

La poesia di stare insieme non è altro che uno scritto fatto male,
perché rendere giustizia a ciò che siamo insieme non è cosa,
m’ accingo quindi mesto, come un dì di funerale,
a metter in riga il meglio e il peggio, cristallizzandone la posa.

Tra ghiacci e mare abbiam scalato i picchi dei nostri cuori,
conquistato vette e sommerso pianti d’amore,
per una vicinanza che, come limoni,
scendeva agra nella gola, a tremolare le emozioni.

Perché orologi infausti scandiscono i momenti abbracciati,
lancette vuote ai nostri muti appelli,
di rimandar l’ora di quei sospiri malcelati,

come Serenissimi condannati, come domati ribelli,
che san di promesse d’ancor stare avvinghiati,
cuore a cuore, a crear ricordi belli.

 

 

 

Tempesta di tuoni

Un dì in cui ero sognatore desto,
trovai il ricordo del me che era.
Ad esso tornai lesto, col pensiero,
anelando la quiete d’una reggia,
ch’ un tempo in me regnava.
L’io che fui incontrò colei che eri, e fu innesco.
Nelle tue lanterne vedevo bagliori di lucciole evolute,
col peso sulle ali degli anni lontani.
Fu scintilla e poi tempesta.
Di tuoni.
Saette e lampi squassavano la fredda pietra degli atri
di cui più non ero padrone.
Illuminavano a giorno stanze del mio cuore,
semilune di calda luce senza ombre.
Già nelle tenebre di stanze oscure il tuo corpo cavalcava l’alba.
Nell’ardore della fiamma tutto tace.
E fa rumore rosso.

 

 

 

Gigli

Ticchetti leggeri alla mia porta,
stanze della mente invase dal candore
di sorrisi e d’eburnea pelle scritta.

In punta di piedi varchi l’uscio e ti fermi.
T’ammiro statuaria mentre spolveri me stesso.
Senza sforzo, solo essendo.

Come chiodo alla parete, fermi il tempo in un dipinto,
la sensazione d’aver vinto, l’euforia e poi la quiete.

Si ferma solo questa notte? A dire il vero neanche quella,
passa il giorno a tesser tela, mente in volo, piedi in mare
e gigli nel sorriso.

Momento di sospiro ed anche tu andrai, ora resta qui vicino.
Almeno un’altra notte, così buia
Senza il tuo suono cristallino.

 

 

 

Fuoco

Sperduto nell’esser mio, fiacco ed affranto, in te trovai divin sorriso.
Camminavi con alti occhi e nascondevi, dietro maschere allegre, il tuo viver tranquillo.
Indossavi un’armatura ignea, come il fuoco della tua fulva chioma
e d’ardor riempivi il mio ingegno, tanto che mai più lesti versi furon vergati.
Sentii il tuo pinto corpo accanto al mio e fui felice.
Felice d’aver toccato le fiamme e non essermi bruciato.
Sarà condanna, sarà beltà, ma mai dolore.
A te diedi il nome di una stella e com’essa ti cerco, quando Morfeo bussa solenne.
E rischiari la mia anima nera, guardi dentro con alti occhi.
Dentr’essi vedo calma e pazienza.
T’ho ritrovata, in folle impeto.
Non più tornerò ad esser sano.

 

 

 

Velluto Nero

La tua pelle morbida si stagliava come una stoffa sul mio letto.
I drappeggi delle tue vesti sciolte ai piedi del mio essere.
Rotonde gocce scivolano sul velluto nero dello sconforto che hai portato.
E di queste vesti m’ammanto ed il mio amaranto respir vitale
Ingrigisce al tuo amar gesto.
E cade doloroso il sipario, velluto nero su di un palco nel quale
Compaio solo come controfigura, d’una sola linea dotato.
Sparisco nelle pieghe del passato, tela infinita mai disfatta.
La stoffa copre il cuore e lo colora.
Velluto nero.

 

 

 

Ulular al vento

Ulular al vento poesie rabbiose, sempre fosti,
Musa mia, ragion di battito.
Foss’anche lieve, foss’anche spezzato,
a te riconduco il mio vagare.
Mentre tremola il pianto del cielo, scroscia il mio dolore.
Per aver mancato, per non essere stato abbastanza.
Vive in me speme, sol perch’ essa trattiene la follia,
d’aver mal amato colei che amo.
Speranza in colui che sovrintende la ruota, che ne giri i cieli.
Non per tornare indietro, ma avanti.
Già siamo ombre dei noi che furono.
Speme per coloro che saremo.
Ed ulular al vento poesie rabbiose.
E sentir la pioggia sul freddo viso.

 

 

 

Gelsomino

Ardir di dire ciò che muove il sole
è nefasto per colui che scrive:
mai regna giustizia e, come giogo al bove,
si rischia il peso di chi cerca diatribe.

E divien quindi prassi l’agil pariglia,
tra foglie e fiori di giasminea foggia,
e l’alabastro della di lei caviglia,
nonché il corpo che su essa poggia.

Facile dire del sublime afrore
d’arabico arbusto, e della sua malia
che notturna bussa e fa perder le ore.

Provate invece a dir di donna che è dalia,
dolcissimo fiore senza colore,
che del mio io è amante e balia.

 

 

 

La linea

La linea d’argento che unisce due menti
due fiamme che battono ai capi d’ un nastro rosso
legati da lembi di mare mosso
ed onde di terra languenti

Dolore che muove le anche
come vetusti c’aggingiam all’oblio
ché ‘l volto d’Amor si dispande
e paga al ricordo il fio

Quivi resto, seduto a poesiare distratto
e cerco nel buio del tempo, il ricordo della tua chioma
rintanato in un piccolo anfratto

ecco spandersi quel fulvo assioma
ecco pingersi quel dolce ritratto

ecco il sorriso che è luce profonda

 

 

 

Muto ed immoto

Ho rimirato le gelide fiamme che accarezzano il nero,
mute ed immote.

Aspettavo quella, fatalmente ferita, ma lei, sposa del cielo, s’è tenuta il velo.
Muta ed immota.

Avrei espresso un desio, fosse crollata.
Lei è rimast’ accanto a Dio,
tu non sei tornata.

Eppure… una figlia del celeste sfondo,
io dico, una tra tante, si sarà stufata di quel mondo?
Vorrà cadere e lasciarsi andare in un lampo di fuoco?
Certamente non è per loro… il mio dolore è troppo poco.

Aspetteranno la mia anima a brandelli ridotti
Li faran bruciare con scintille e botti.

Mi aggirerò come automa in una valle di vetri rotti,
macerando sotto ai piedi i nostri ricordi,
il piede che calpesta i disperati urli delle nostre notti,
polverizzati, ai quali siamo sempre stati sordi.

Rimirerò questa valle alla ricerca dei nostri sogni e lì saranno:
muti ed immoti.

Alzerò lo sguardo e tu sarai lì…
Ed io…