Il Mondo della api e di mia madre
Dunque… vediamo da dove incominciare …devo pescare nei cassetti della memoria…Un’arnia,ovvero una casetta delle api,contiene di solito 60/70.000 api.Ognuna di esse ha un ruolo,ovvero una mansione.Ci sono le api pulitrici,o spazzine,che hanno appunto il compito di tenere pulito l’interno della casa,sopratutto le celle dove verranno depositate le uova dalla regina (la quale ,dopo aver ben ispezionato potrebbe anche rifiutarsi di ovideporre !) Ci sono le api nutrici,che hanno la mansione di nutrire la covata con nettare,polline e pappa reale.Seguono le api magazziniere che hanno il ruolo di aiutare a scaricare dalle zampette delle api bottinatrici il polline che portano man mano nell’alveare e di stivarlo nelle celle,le api guardiane che hanno il compito di stare sulla “porta “per controllare se le api che entrano appartengano proprio a quella famiglia-lo sentono dall’odore-viceversa pungeranno l’intruso,le api esploratrici che volando lontano dall’arnia riescono a localizzare le risorse di polline passando poi l’informazione alle api bottinatrici – quest’ultime possono arrivare a trasportare addirittura fino all’85 % del loro peso.Mi dimenticavo : il controllo della temperatura dell’arnia è una della mansioni più importanti. : quando la temperatura è bassa ,un gruppo di api si appresta a generare calore,e quando è alta,alcune api ventilano con le lo loro ali per far circolare l’aria .,perchè la covata richiede una temperatura costante di 35 gradi.E quanto vivono queste creaturine che appartengono al mondo delle api operaie che cominciano a lavorare da quando larve diventano api ? Ve lo dico subito: vivono esattamente 63 giorni :21 sotto forma di larve ,21 giorni come api “di casa” e 21 come api di campo.Nel senso che prima di diventare bottinatrici devono aver svolto all’interno tutti gli altri compiti.Altra cosa importante : quali sono gli “strumenti ” di cui è dotata un’ape per bottinare ? sotto le zampette ha due sacche che servono per raccogliere il polline dei petali di un fiore mentre il muso possiede una piccola proboscide,chiamata ligula,con cui succhia il nettare-la parte liquida – dello stesso fiore.
Diverso è invece il modo di vivere dell’ape regina.Innanzitutto le sue dimensioni sono diverse dalle quelle comuni : ha un addome allungato,perchè in effetti lei è stata cresciuta in una cella appunto allungata,cioè una cella reale.,ed è nutrita esclusivamente con pappa reale al fine di renderla sessualmente matura.Ma di api regine,ogni colonia ne fa crescere almeno cinque o sei. Queste,giunte alla giusta crescita,faranno un “guerra” tra loro,e la vincitrice,cioè la più forte,avrà il diritto di fare il volo nuziale par accoppiarsi col fuco che riuscirà a volare più in alto.Una regina può vivere al massimo 3 anni ,perchè poi la sua funzione di deporre si indebolirà o verrà meno. Quindi la sua sostituzione.sarà ovvia , o per mano delle sue api che la uccideranno saltandole addosso in gran numero fino a soffocarla,dando così spazio alla nuova regina,oppure quella vecchia deciderà di andarsene molto prima sciamando,cioè allontanandosi dalla sua colonia,portandosi dietro un gran numero di fedelissime.Succederà così che la vecchia famiglia si divida in due:La vecchia e la
nuova.E gli apicoltori,dopo aver localizzato il luogo dello sciame,e averlo affumicato con l’apposito affumicatoio,in modo tale che tutte le api ” si rinbanbiscano”, possono optare per due soluzioni : o individuare la vecchia regina,e ucciderla,riportando le vecchie api-che di solito si sono posizionate a grappolo-nella casa vecchia casa. , oppure lasciare viva la vecchia regina e offrire a lei e al suo seguito una nuova casa,cioè una nuova arnia.-questo ovviamente per perpetuare la specie.E chi sono i fuchi ? Sono i maschi delle api.Essi nascono da uova non fecondate dall’ape regina.Il loro corpo è grosso e coperto di peli e non possiedono pungiglione nè fibula..All’interno della famiglia collaborano all’allevamento delle larve,scaldando la covata ,,ma la loro funzione essenziale è appunto quello di fecondare la regina.
Ecco : queste sono le cose che ho imparato da mia madre,( a dir la verità sono andata a cuccare nel suo manuale che tengo gelosamente custodito) che trasferitasi ad abitare in una casa sua con bel pezzo di giardino-era l’anno 57-pensò di “metter su “un allevamento di api,cioè diventare appunto apicoltrice.Lo spazio adatto a a tale scopo fu individuato nel terreno a nord della casa,in modo tale che le sue creature non venissero disturbate da nessuno e viceversa che nessuno si potesse mettere in pericolo con la puntura di un’ape.: in pratica bisognava girare al largo !
Cominciò con due arnie,poi con quattro poi con sei fino ad arrivare a otto.Ognuna di queste era stata dipinta con un colore diverso,giallo,azzurro,verde,rosso,bianco…perchè secondo lei le inquiline avrebbero individuato meglio la loro casa ! E queste non solo ricoscevano la casa ma riconoscevano pure la padrona ! Perchè ,- e qui non dico bugie-mia madre ha lavorato dietro alle api indossando solo la maschera reticolata senza guanti,e non è stata mai,dico mai,punta da un’ape : loro distinguevano il suo odore.! Mentre mio padre,bastava si avvicinasse alla postazione che subito si trovava con una nuvola di api addosso-ma lui era ben bardato : tuta da metalmeccanico di tela grossa,guanti e cappello reticolato-.
Mia madre amava molto le sue creature.Mi ricordo che in primavera,se faceva ancora freddo,le prime api che si avventuravano fuori dall’arnia-perchè in inverno non si muovono dalla casa-spesso cadevano a terra tramortite ,in pratica congelate.Lei prendeva un cestino,le raccoglieva una a una e le portava nella stanza-guardaroba -la meno frequentata dal resto della famiglia-del suo appartamento.Posava il cestino vicino al termosifone e apriva metà finestra : ebbene queste in poco tempo “risuscitavano” e prendevano il volo uscendo appunto dalla finestra.Il miele che otto arnie producevano era tanto,e quindi quando arrivava il momento-dopo aver controllato- scoperchiando l’arnia,-se i telai erano saturi di miele,bisognava procedere alla “smielatura”.Questo era l’unica occasione in cui anche noi figlie-io e mia sorella-potevano prendere parte alla missione-api.La cantina-molto grande che dava direttamente sulla parte posteriore del giardino-diventava per qualche giorno un laboratorio.Veniva messo in campo lo smielatore,un marchingegno che funzionava così : era una grande vasca di zinco rotonda appoggiata in obliquo, con all’interno un attrezzo su cui si agganciavano quattro telai alla volta,colmi di miele.Quest’ultimo era collegato a una grossa manovella,e girando questa si muovevano velocemente anche i telai,che per la forza centrifuga,facevano uscire tutto il loro contenuto contro le pareti della vasca.Questa era munita di un pisciatoio,da cui sgorgava appunto il miele,e sotto di esso mettevamo per raccoglierlo, un secchio alla volta. Questo veniva poi filtrato-perchè nell’operazione,dai telai si staccavano spesso dei pezzi di cera -e deposto nei vasi di vetro-da mezzo kilo o da un kilo-.Ecco.Le cose che a noi due bambine-di 8 e 10 anni-veniva concesso erano tre : girare la manovella-e bisognava farlo con grande forza-raccoglierlo con mestoli appositi (dopo che era stato filtrato) e metterlo nei vasetti ,( la sera eravamo impiastricciate di miele fino ai capelli! ) e poi attaccare sopra a ognuno l’etichetta “Miele di primavera” o “Miele d’autunno” a seconda dei casi.(La scrittura era delegata a mio padre che aveva una grafia molto elegante).E quale era la differenza tra i due ? Il primo era di un bel giallino ambrato e veniva “creato “coi fiori appunto della primavera tipo acacia, il secondo marron scuro,”creato” invece coi fiori della tarda estate,tipo castagno.(di tutti questi vasetti,alcuni rimanevano a noi o costituivano il regalo di Natale per i nostri amici,il resto veniva venduto a un negozio di specialità trentine ).
E dove andavano a prenderlo questo polline se noi abitavamo in città ? Le creaturine volavano fino ai boschi circostanti,posizionati sui 700 mt,boschi lontani da noi,in linea d’aria,almeno 5/6 km.Pensate:Un volo che durava un’ora per andare a riempirsi le zampette di polline,entrare nell’arnia,depositarlo e poi via di nuovo ! Una follia ! Ma si sa che ogni animale nasce con un istinto preciso nel suo dna. A tale proposito voglio raccontarvi un ‘esperimento escogitato da mia madre e dai suoi amici-colleghi apicoltori per scoprire quanti giri al giorno riusciva a a compiere un’ape,per andare a bottinare il polline dei castagni del bosco sito in zona san Pietro (sopra al lago di Tenno),zona lontana da noi sempre in linea d’aria,almeno 7 Km.Vennero”affumicate” circa 200 api,che come ho già detto,dopo quest’operazione diventano innocue ,in pratica sembrano quasi morte per cinque minuti. Depositate su un lenzuolo steso in giardino,e poi prese in mano una a una per dipingere con un pennello piccolissimo, intinto in un colore ad acqua,sulle loro ali un cerchiettino azzurro.-intervento eseguito naturalmente dalle mani di apicoltori esperti- ( ci provai anch’io ma presi una bella sberla sulle mani e fui allontanata : avevo colorato un’ape di blu interamente,in pratica l’avevo annegata ! ).Riavutesi-si può dire così ?-questi insetti prendevano il volo verso nord in direzione appunto di S.Pietro.Qui si era collocata una postazione di altri apicoltori,che segnavano l’arrivo delle api contrassegnate dal bollino azzurro.Arrivavano,bottinavano e partivano…arrivavano bottinavano e partivano…Dunque si scoprì che la stessa ape in un giorno era riuscita a fare ben 5 giri fino lassù,in pratica in un giorno si era spupazzata 70 Km .(non chiedetemi come si faceva a capire che l’ape appena giunta era quella che era arrivata due ore prima…non lo so e non lo saprò mai !
E fu dopo questo esperimento che mia madre ebbe una folgorazione ! Perchè,in estate, non trasferire direttamente in S:Pietro, le arnie ? Le api si sarebbero affaticate di meno ! Detto fatto. ! Fu preso un camioncino in affitto,chiuse le porte d’entrata delle arnie con degli stracci,caricate le casette e via verso S.Pietro. Aveva ricevuto il permesso di posizionarle in un campo di un contadino che conosceva.E qui le sue api bottinarono a piene mani,cioè a piene zampe.! I Il miele di quell’anno risultò succulento !! Questo trasloco estivo durò qualche anno fino a che quel prato venne venduto.Però mi ricordo di un trasferimento particolare. .E quella volta fu terribile.Perchè il signor Franco che era appunto alla guida del camioncino,arrivato sull’ultima curva verso il paese di Tenno, trovandosi davanti un grande sasso che era caduto dal bordo della strada,diede una frenata violenta : così un’arnia andò a sbattere contro un’altra facendo fuoriuscire da una casetta lo straccio….le api uscirono immediatamente svolazzando impazzite per tutto l’interno…il signor Franco bloccò la macchina lì dov’era e scese immediatamente urlando furibondo seguito da una nuvola di api Era terrorizzato: aveva api addosso dappertutto.Per fortuna intervennero subito i padroni del bar ” Alla Croce” che lo portarono al pronto soccorso.E per far sì che l’auto potesse essere spostata dalla strada furono chiamati i pompieri di Riva,che ben bardati ,introducendo fumo a manetta nell’abitacolo,”rincoglionirono “tutte le api,che poterono proseguire tranquille il loro viaggio verso il bosco dei castagni.
Questa sana passione di mia madre durò per almeno 25 anni,fino a che nel grande campo confinante a nord col nostro giardino,prima coltivato a pesche,dove i nostri insetti andavano a fare tranquillamente man bassa, venne costruito un albergo.Non era più il caso di tenere le api,che avrebbero senz’altro potuto costituire un pericolo per i clienti. .Così cedette tutte le sue casette colorate,api comprese, all’amico “aiutante di seconda” Romano che abitava proprio al lago di Tenno,.delle quali adesso si occupa con altrettanta dedizione la figlia Flavia.
Mia madre non volle più parlare di api-di cui aveva sempre molta nostalgia-ma una volta fece un’eccezione: venne a raccontare a scuola la Storia delle api ai miei ragazzi,che mai vidi così attenti come in quell’ora.
Villa Jole
Il 10 luglio del ’43 gli alleati erano sbarcati in Sicilia: la 7° armata Usa sulle spiagge di Gela e l ‘8°armata inglese su quelle di Pachino e Siracusa. Fu la più imponente operazione militare fino ad allora vista nel Mediterraneo. Il 13 luglio venne occupata Augusta e il giorno successivo Agrigento, Caltanisetta e quindi Palermo. La sconfitta italiana era più che certa: in poco tempo le truppe anglo- americane sarebbero salite fino al Nord. E fu in questo clima di disfatta che il 25 luglio Il Gran Consiglio del Fascismo diede la sfiducia a Mussolini, il re ordinò il suo arresto e affidò a Badoglio l’incarico di guidare il nuovo governo. Per questo al centro-Nord i tedeschi incominciarono a pensare di organizzare una linea difensiva nel tentativo di rallentare l’avanzata delle due armata: la famosa linea Gotica voluta dal feldmaresciallo Kesserling. Linea che partendo da Massa Carrara seguendo un fronte di oltre 300 kilometri andava a finire sul versante adriatico tra Rimini e Pesaro. Kesserling intendeva così proseguire la sua tattica della “ritirata combattuta”: per infliggere al nemico il maggior numero di perdite. Il piano diventò operativo dal febbraio del ’44.
Il 10 Maggio del ’44 fu colpita La Spezia e il bombardamento fu piuttosto pesante: colpì in pieno il centro della città: Piazza delle Poste in particolare, sede di quasi tutte le scuole spezzine, i cui ragazzi erano riusciti per miracolo a prendere posto nei rifugi antiaerei situati proprio sotto la stessa piazza.
Mario, dottore in Agraria, responsabile dell’Ufficio Riforma dell’Agro Pontino fece le scale di casa due a due. Pina prepara le valigie ,dobbiamo andarcene subito.Tutti stanno sfollando!. La situazione è drammatica. Ma dove andiamo Mario? Dove? L’unica possibilità che abbiamo è andarcene a Riva del Garda. Mio fratello Livio ci darà ospitalità a Villa Jole. Lui adesso non c’è, è in Brasile. Mario, dopo dieci minuti era da Franco i .panettiere di Viale Garibaldi. Si mise d’accordo per l’affitto del camioncino del pane. Lui sarebbe rimasto. Pina ,aiutata dai figli Liliana 16 anni, Roberto 17 anni e Gabriella 5 anni, preparò in poche ore i bagagli. Una decina di cartoni, quattro sacchi della farina vuoti, con dentro vestiti, scarpe e libri di scuola dei ragazzi. Liliana si lamentò per il pianoforte che ovviamente andava lasciato lì e Gabriella per Grigio,il gatto: pure quello non poteva essere trasferito. Fecero un viaggio lungo e travagliato, oltre che scomodo. Davanti sedeva Franco il panettiere-autista con Pina e Roberto, dietro Liliana e Gabriella. Fare il passo della Cisa non fu un’ impresa facile, perchè carichi com’erano il camioncino faceva fatica a procedere su per le salite.Si dovettero fermare anche due volte per mettere acqua nel motore e una per far vomitare Gabriella che non sopportava tutte quelle curve. Il viaggio durò sette ore. Giunti a Riva, raggiunsero Viale Roma n 30.Villa Jole- oggi Villa Minerva- era sempre la stessa: quattro grandi palme troneggiavano ai lati del cancello, i rosai erano pieni di boccioli, era in piena fioritura anche il glorieto di glicini che tappezzava una parte delle scale dell’entrata. Le aiuole erano in perfetto ordine: dalie e ortensie ben curate ovunque, segno questo che Oreste il factotum che abitava nella casa vicina, aveva il compito di tenere tutto in ordine anche nell’assenza dei padroni. La cancellata di ferro a doppio battente era già stato preparata aperta. Percorsero il vialetto e salirono i quattro gradini.Varcarono la porta: davanti a loro la grande scalinata che portava al secondo piano. Fu lì che si accorsero che c’era qualcosa che non quadrava: in cima alla scala c’era un cancelletto di legno. Stavano riflettendo sulla cosa quando arrivò trafelato Oreste. Spiegò che il secondo piano era stato requisito dai tedeschi, e precisamente dalla famiglia di tale Alois Kuhne, che in quel momento rappresentava in città una specie di prefetto.Quindi a loro rimaneva da occupare solo il primo piano. I ragazzi non batterono ciglio e cominciarono l’ispezione dell’appartamento: una grande cucina, un salotto, una stanza da letto a sinistra della scalinata e due stanze da letto e un bagno a destra: ci si poteva arrangiare. La stanza più grande sarebbe stata occupata da Pina, suo marito e da Gabriella e le altre due una da Liliana e una da Roberto. Scaricarono tutti gli scatoloni e i sacchi aiutati dal fido Oreste e da Franco che quella notte avrebbe dormito a Riva per poi partire all’indomani per casa. La prima notte andò tutto liscio. Stanchi com’erano dormirono come agnellini. Ma il giorno dopo furono svegliati abbastanza presto: c’era una donna che sbraitava in napoletano. In napoletano? Capirono subito l’arcano: la moglie del tedesco Kuhne era una napoletana puro sangue e teneva pure tre figli di 9, 10 e 12 anni. Tutti ubbidientissimi e silenziosissimi che in quell’anno di forzata convivenza si rivolsero ai loro coinquilini solo con un “buon giorno”. Una settimana dopo però in quell’appartamento si aggiunse un nuovo ospite: un capitano tedesco,che naturalmente requisì una delle loro stanze. A Liliana perciò toccò andare a dormire con Roberto e la cosa non le piaceva molto: aveva sempre odiato la promiscuità.
L’estate passò in fretta. Roberto si fece socio della Benacense, società sportiva locale. Tutti i pomeriggi al campo a correre o a giocare calcio, così pian piano entrò nella banda dei ragazzi
rivani che molte mattine presto lo portavano a pescare lungo i muretti del Lido, e a lui che al
mare era abituato uscire col bragozzo di suo padre e pescare con le reti, sembrava strano
dover tener mano quella maledetta canna che non adescava un pesce a morire. Ma le cose cambiarono quando all’amo cominciò ad attaccare come esca i lombrichi che Oreste tirava
fuori dalla terra dell’orto apposta per lui. Ogni lancio in acqua era una preda. E così diventò subito il fornitore ufficiale di vermi da pesca per tutti gli amici. Ogni sabato mattina c’era anche la gara di nuoto: la pseudo vasca era il canale della Rocca. Dal muretto a nord fino al trampolino e ritorno: Roberto vinceva spesso, nonostante non fosse abituato all’acqua del lago: era magro come un’ acciuga ma aveva un torace largo come un armadio.
Liliana pensò bene di trasferirsi a Bergamo dalla zia Ariella, che non avendo figli adorava la nipote e Gabriella venne iscritta all’asilo estivo dell’Inviolata tenuto dalle suore. Per la signora Pina invece le giornate erano tutte uguali: il mattino faceva i mestieri di casa aiutata da Rosaria la moglie di Oreste e il pomeriggio alle cinque meno dieci in punto varcava il cancello per raggiungere la casa di un’amica per andare a giocare a carte e precisamente a canasta. Le amiche erano sei e si davano i turni delle case dove incontrarsi. Tornava all’ovile alle otto e guai se qualcuno dei suoi figli si fosse permesso di dire ” ho fame”. Il sabato e la domenica invece gli incontri avvenivano di sera, così a loro si potevano unire i mariti, che naturalmente non giocavano a carte, bensì si bevevano un cognacchino scambiando quattro chiacchiere e fumando come i dannati aggiungendo così il loro fumo a quelle delle mogli che pure quelle erano delle ciminiere. Si poteva respirare un po’ meglio, solo quando si incontravano nella casa di Piazza delle Erbe del farmacista Bettinazzi che aveva un piccolo balcone che dava su un cortile interno. Lì si potevano sedere fuori e fumare beati senza il pericolo che “Il Pippo”-mitico nome dato a tutti i i piccoli aerei monoposto americani impiegati per le perlustrazioni notturne- vedesse la lucetta delle loro sigarette accese. Quelle due sere erano particolari perchè dalle ventuno in poi cominciava il coprifuoco e dunque tutta la gente a quell’ora avrebbe dovuto essere già dentro casa. Ma per loro questa regola non vigeva…infatti delle sei amiche una era la moglie del pretore e quindi un lasciapassare speciale era stato elargito a tutta la combriccola godereccia. Una volta al mese invece una specie di torneo di canasta aperto a tutta la gente di Riva che voleva parteciparvi veniva organizzato in un salone dell’hotel Riva, il più prestigioso albergo della città. E lì bisognava stare molto attenti, le finestre da oscurare erano molto grandi e dai lunghi tendoni grigi non doveva filtrare nemmeno una lacrima di luce. E il piccolo piattino -ricordo per il primo posto – se lo accaparravano sempre le sei “biscazziere”che nella canasta erano piuttosto allenate .(E quest’albergo,il caso volle,fu proprio quello dove venne a soggiornarvi,per 2 mesi, nel 56,il re Faruck appena esiliato dall’Egitto. Lui prenotò l’intero albergo per il suo seguito-camerieri e guardie del corpo-,ma lì la sera si andava di Poker altrochè di
canasta !)
Arrivò settembre. E si riaprirono le scuole: Roberto fu iscritto all’ultimo anno del classico al Liceo Maffei, Gabriella alla prima elementare sempre presso le suore e Liliana invece fu obbligata a rinunciare a proseguire le magistrali che si trovavano a Rovereto: il viaggio era troppo pericoloso, avevano mitragliato la strada di Loppio già parecchie volte. Così rimase stracontenta dalla zia Ariella .Giunse Natale. Il dottor Mario arrivò a Riva alla vigilia e a La spezia non tornò più: laggiù in quel clima di pericolo non si poteva più lavorare. Così ogni mattina prendeva la bici di Oreste e pedalando per 7 km raggiungeva Dro. Lì c’erano le campagne dei cugini. Stava sempre con le cesoie in mano: potava i rami degli ulivi ,dei susini delle viti e sopratutto dava consigli: tutti i contadini delle campagne vicine, informati che era arrivato “el dotòr dei olivi”, andavano da lui a prendere lezioni. A pasqua poi, che quell’anno era caduta il 9 aprile, si era messo a vangare e a seminare un piccolo orto…La vita scorreva lenta. Gli alleati stavano avanzando. Correva notizia che entro la fine del mese sarebbero arrivati al Garda. Il 21 aprile ci fu un evento inaspettato: due caccia bombardieri americani volarono basso sopra la città: il loro obbiettivo era la chiesa dell’Inviolata ,ma la sbagliarono colpendo invece le case attorno: Villa Nina porta ancora oggi i segni di quell’incursione.
E si arrivò alla fine di Aprile, precisamente al 26, giorno in cui gli alleati entrarono in Verona: era dunque il momento di portarsi sul Garda per chiudere la via di fuga verso nord offerta ai tedeschi dalle due gardesane. Su entrambe si misero in marcia partendo da Lazise i soldati dell’85°e 86°reggimento della decima Divisione di Fanteria da Montagna, soldati statunitensi, addestrati apposta sulle Montagne Rocciose del Colorado -in gergo la DDM o “mountaineers”- assistiti dall’impiego di DUKW, autocarri anfibi chiamati famigliarmente anche “Anatre” e naturalmente di Carri Armati. I militari che avanzavano su quella Occidentale giunsero a Gargnano senza trovare alcuna resistenza: riuscirono a entrare anche nella Villa di Mussolini -che due giorni prima, nella sua fuga verso la Svizzera era stato bloccato e fucilato- e dormire a turno nel suo letto….E poi proseguirono alla volta di Riva.
La resistenza tedesca invece rimaneva tenace sulla gardesana Orientale. Infatti la DDM arrivata a Malcesine venne informata che le quattro gallerie a nord verso Torbole erano state minate. Decisero allora di aggirare le prime due per via d’acqua con gli anfibi. L’operazione andò a buon fine, sbarcarono e risalirono sulla strada riprendendo l’avanzata fino a Tempesta. Riuscirono a occupare in fretta la galleria di Calcarolle abbandonata dal nemico restando loro da affrontare solo l’ultima: quella di Corno di Bò. Dentro c’erano una ventina di soldati tedeschi -di non più di 16 anni si dice, gli ultimi chiamati alla leva da Hitler-
Venne chiesto loro di arrendersi ma il comandante si rifiutò: morirono tutti tra le fiamme, sotto il tiro di lanciafiamme al napalm.
La strada era libera: potevano raggiungere Torbole. Qui , nel piccolo golfo sbarcarono anche tutti gli anfibi. Era la notte del 30 aprile e i primi carri armati cominciarono a procedere – utilizzando la passerella della Peschiera,poco a nord del ponte sul Sarca che era stato distrutto dai tedeschi- verso Riva, già sotto il controllo dei partigiani.
Mario e Pina non sanno esattamente cosa stia succedendo al di là del Monte Brione. Qualcuno era venuto a dire che gli alleati erano arrivati a Torbole. Era vero? Cosa fare? Presero i loro figli e assieme a un ristretto numero di conoscenti, si avviarono su per la Strada del Bastione. A metà percorso c’era Villa Lina degli amici Drago, che possedeva una specie di rifugio antiaereo: una grotta scavata nella montagna. Ognuno si era portato dietro una coperta, che misero per terra per sdraiarvici sopra. E aspettarono. Da lassù si sentivano solo il rumore di cingolati o quello del motore di qualche camion…Si era fatta l’alba e Lilliana non ne poteva più di stare in mezzo a tutta quella gente stipata come bestie. Uscì dalla grotta, scese verso casa e percorrendo il primo tratto di strada si trovò davanti una cucina da campo caricata sopra un camion: un soldato americano stava distribuendo ai compagni delle gamelle di latte: ne offersero una anche a lei. E notò una cosa che la fece sorridere: lì a pochi metri, proprio davanti all’hotel Miravalle c’era il pittore Raimondi, amico di suo padre che con cavalletto e pennelli stava immortalando la scena (quell’acquarello, magnifico, troneggia ancora oggi nel soggiorno di Lilliana). Lei arrivò a destinazione: riempì la vasca e si fece un bel bagno caldo.
La guerra era dunque finita. La sera stessa, sempre a Villa Jole, nell’appartamento occupato fino allora dal Signor Kuhne che se ne era andato in gran fretta il giorno prima, arrivarono nuovi ospiti: questa volta erano sette soldati americani: tutti ragazzi di poco più di vent’anni. Roberto e Lilliana fecero subito amicizia con loro. Erano simpatici, gentili, generosi, un giorno offersero alla signora Pina una cassettina piena di barrette di cioccolato. Erano tutti dei bei “fanciulli”, ma il più carino di tutti era senza dubbio il tenente Billy, (un mountainer) 21 anni ,alto magro, capelli biondi, occhi azzurri e spalle larghe che veniva dal Michigan. Era gentile con tutta la famiglia, ma le sue attenzioni si rivolsero subito a Lilliana, che le accettò molto volentieri. Diventarono subito amici anzi più che amici, sopratutto dopo che lui una sera le portò in dono una scatoletta con dentro un sottile braccialetto d’argento comperato nella Gioielleria Bonometti in Via Gazzoletti. I soldati americani rimasero a Riva più d’un mese ma poi dovettero rientrare al loro paese. Lilliana lo accompagnò fino alla camionette che lo avrebbe portato a Rovereto e pianse calde lacrime. E si fece promettere da Billy che le avrebbe scritto.Così fu: arrivarono a Villa Jole ben tre lettere in un mese. Ma di quegli scritti lei non seppe mai nulla: vennero requisiti dal dottor Mario ..Che sua figlia se ne andasse in America era l’ultimo dei suoi desideri .
E ancora adesso quando Lilliana (mia suocera,85 anni) parla di questo Billy le si illuminano gli occhi.
ps: ringrazio l’amico e collega Aldo Miorelli che gentilmente mi ha prestato la sua ricerca storica, peraltro inedita, sull’arrivo degli alleati a Torbole.
La scortista
Lei di manie ne ha tante, ma la più imperiosa è una sola : quella di fare scorte. Scorte di tutto. Come se dovesse scoppiare la terza guerra mondiale da un momento all’altro.
Perciò la sua missione furibonda quotidiana è quella di controllare depliant del Poli, della Coop, della Lidl, dell’Orvea-per scorte alimentari- dell’Upim ,dei Magazzini Malfer,della Benetton,e di Intimissimi-per scorte vestiarie. Naturalmente solo mutande magliette, calzini e babbucce e tute da ginnastica., Perché per la guerra non servono vestiti!
Ci sono offerte speciali ,anzi specialissime di pelati Cirio ? Via con l’acquisto di 85 vasetti di pomodoro. Ci sono offerte di tonno Maruzzella ? Via con 65 scatolette di tonno. Ci sono offerte di pasta Barilla ? Via con 175 pacchetti di pasta. Ci sono offerte di borlotti Montebello? Via con 55 barattoli di fagioli.(Ha la mania del 5 chissaperchè) E così con biscotti Oro Saiwa, fette biscottate del Mulino Bianco, cetrioli della Zuccato, con capperi, con maionese, caffè ,zucchero, sale, olio di oliva e di semi ,farina bianca e quella per polenta, budini, cioccolata, marmellata, eccetera eccetera.
Generi alimentari,- di primissima necessità come dice lei,- che stiva forsennatamente nel bagagliaio della sua Tipo, e quando quello è debordante, incomincia ad occupare il sedile dietro e poi quello davanti. Anzi per far meglio ha fatto togliere perfino quest’ultimo, così c’è più spazio ! Poi tocca a suo marito incazzato nero, scaricare tutta ‘sta fottutissima merce, e portarla in casa. Anzi no, in cantina, non in casa perché quella è già rigurgitante di generi alimentari –Ha comprato perfino il secondo frigo-. Riguardo alla biancheria invece i sacchetti di mutande, magliette e calzini, occupano poco posto, così li ripone religiosamente in scatole fiorate che custodisce sotto il letto.
E poi ci sono le medicine .Come si fa a stare in guerra senza le medicine ? Quindi via con aspirine, tachipirine, toreadol, voltaren, buscopan, ratacand, orudis, levoxacin, moment, pulmilene, spasmodil, pasaden, spasmomen, enterogermina, plasil e pure il sanax. Non si sa mai che durante un bombardamento aereo le venga un attacco di panico. Quindi cerotti, bende, fasce, eccetera eccetera. Ma su quelle non ci sono gli sconti. E allora ci deve pagare il tichet ! la sua mania diventa compulsiva con il contenuto sbarluccicante delle vetrine di Lorenzi, negozio di oggetti da regalo di Rovereto, subito dopo Natale. Perchè il suddetto, passate le feste, c omincia a fare le svendite. E allora via con lampade, corone portacandele, tazze ricordo, vasi portafiori, angioletti, Babbi Natalini vari, eccetera eccetera. Ma quelli non vengono portati in cantina, bensì messi in bella mostra sopra i mobili di casa, che diventano a sua volta delle vetrine tremebonde.Tra questi oggetti, il più fuor di testa è una fontanella di pietra con dentro dei pesciolini rossi. Ebbene lei si aggiudicò anche quella e se la piazzò rigorosamente in bagno ! Facendo incazzare ancor di più suo marito, perché quando apre la porta ci va a sbattere sistematicamente contro.
Lei di professione fa la prof di inglese, e i suoi alunni l’adorano. Perché è precisa, possiede un’ottima pronuncia, è autorevole ma nello stesso tempo comprensiva. A parte quando le sue creature le fanno girano i coglioni …allora va giù di brutto con prove, provette e interrogazioni a razzo.! E’ forte nei detti inglesi, uno l’ho imparato anch’io : it rains cats and dogs (piove a catinelle). Mi ricordo di un fatto accaduto molti anni fa .Io ero arrivata da poco alle Scipio Sighele, e prima della festa dei Morti, in entrata della scuola trovai una grande zucca, in cui erano ritagliati gli occhi, la bocca e il naso. E dentro vi era posizionata una candela accesa ! Io chiesi subito ai bidelli chi era quel mentecatto che si era permesso di creare quella stronzata, e loro mi risposero che era stata la prof di inglese…così scoprii che in GranBretagna si festeggiava Hallowin ! (ma chi era ‘sto Hallowin?). Quando si doveva uscire poi per una cena “socializzante” della scuola, lei che solitamente si vestiva in modo sobrio, oserei dire monacale, si agghindava come una sgarzellina in a fashion way : calze nere con strass, tacchi a spillo, maglietta scollacciata, bagno di profumo Just Cavalli…lasciando tutti a bocca aperta.
Ma il mese scorso, ha cambiato casa, perchè essendosi sposato suo figlio, l’appartamento è diventato troppo grande. Perciò adesso le scorte se le scorda ! Qui non c’è cantina, e allora dove le stiverebbe ?
Si è portata dietro però una cosa : la fontanella dei pesci, che ha piazzato di nuovo rigorosamente in bagno ! E quel suo cazzuto di marito ci sbatte ancora regolarmente contro .
Nb: questa è la storia vera di una mia vecchia collega .Lei insegna ancora.
Quando il vento soffia
Sbucò dalle coperte che erano le sette. Un po’ presto, visto che lei doveva andare a scuola per la seconda ora. Ma era sempre così: quando apriva gli occhi meglio alzarsi subito. Odiava poltrire nel letto e poi lei a scuola voleva arrivare in anticipo. Per rispetto alla scuola stessa-diceva sempre-.
Salì sulla sua Punto che aveva 20 anni e che registrava sì e no 100.000 km. Parcheggiò nel piazzale al posto n. 15 (e guai se qualcuno osava occuparlo, doveva restare libero anche nel suo giorno libero), e varcò il portone. Per arrivare al terzo piano prese l’ascensore. Anzi no, salì a piedi, perché secondo lei quel “trabiccolo” era una vera trappola per topi. Infatti poteva accadere benissimo che mentre c’era dentro saltasse la luce…e allora ? allora lei sarebbe rimasta chiusa al buio, e nessuno avrebbe sentito le sue grida, ( e anche se le avesse sentite avrebbe fatto finta di non sentirle -sempre secondo lei-).
Transitò in sala professori a depositare il suo pastrano rigorosamente blu, come blu erano le sue scarpe, blu il suo maglione e blu i suoi calzoni. Aprì l’armadietto e tirò fuori due cose : il suo registro e il suo tablet, anzi non suo, ma in comodato. Si mise i due oggetti sotto il braccio, cioè infilò il tablet dentro il registro e cominciò a pattinare su per il corridoio. Dalla 2B usciva un chiasso furibondo…si affacciò alla porta…diabolica magia…tutti i fanciulli, anzi tuttissimi, si ammutolirono e presero posto nei loro banchi (anzi fecero di meglio ! uno si tolse il berretto e l’altro gli occhiali da sole). Meglio stare in campana con la Martinelli ! Prof di matematica del corsoB. Raggiunse quindi la sua classe, la 3B, e lì, prima di entrare, attese qualche secondo… come i razzi, tutti i gli alunni raggiunsero le loro postazioni, piazzandosi in piedi a sinistra del banco. Allora lei si degnò di entrare, e dicendo “seduti” si piazzò alla cattedra.
Fuori stava tirando un vento sciamannato, così sciamannato da far piegare i rami anche del faggio posizionato davanti alla finestra. .E poi la domenica, cioè il giorno prima, l’ Inter aveva perso ignominiosamente giocando con l’ultima sfigata in classifica…E le cose che la Martinelli proprio non riusciva a sopportare, anzi che le facevano girare i coglioni a elica erano due: il vento e la sconfitta della squadra del cuore. Quel giorno le due variabili si erano accoppiate e allora…cazzi acidi!
Infatti dopo pochi minuti sentenziò: “Oggi ragazzi facciamo una bella provetta sulle ultime due lezioni”. In aula ci fu il panico. Giovanni, il capoclasse, provò timidamente a dire che non era giusto, perché per un tema dovevano essere avvisati prima. Ma la prof. Martinelli, per tutta risposta : “Ah sì ? E chi comanda qui ? E allora Giovanni vai all’armadio, prendi i fogli di protocollo e distribuiscili”. E lei si portò alla lavagna a scrivere la consegna: “Le progressioni geometriche “.
Quando i ragazzi alla fine dell’ora depositarono i fogli sulla cattedra, notò che alcuni erano in bianco. Peggio per loro-pensò- E qui venne il bello. Perché prima di uscire dalla classe doveva scrivere sul tablet -novità assoluta di quell’anno- la lezione svolta e le assenze. Sul primo compito non c’erano problemi, ma sulla seconda andò in panico. Il prof della prima ora si era dimenticato di segnare l’assenza di un ragazzo e adesso come fare? Il tablet era un marchingegno infernale, per lei che odiava la moderna tecnologia. Dunque, la cosa non era molto semplice, perché il programma del tablet non prevedeva l’aggiunta di un’assenza la seconda ora; questa andava scritta alla prima ora, a meno che questo ragazzo non fosse uscito alla fine della prima. Ma non era così. Dunque bisognava presupporre che il ragazzo in questione fosse arrivato prima della prima ora e poi avesse chiesto di uscire. Era mai possibile? Un vero casino! Così in effetti era giustificata la sua assenza. Ma a questo si aggiungeva anche il fatto che il tablet al terzo piano non riuscisse ad agganciarsi al server, così bisognava fare molti tentativi. Provare ad andare verso la finestra, ma non funzionava, provare ad alzare il tablet verso l’alto -qualche prof saliva addirittura sulla sedia- ma niente da fare… ecco invece dove funzionava perfettamente : sopra il bidone dell’immondizia posizionato sulla scale. E infatti qui, alla fine di ogni ora, convergevano tutti i prof del terzo piano. Malandrina tecnologia!
L’ora successiva andò a a fare lezione in 4B, e qui successe la stessa pantomima di prima…andò alla lavagna e scrisse la consegna : “Calcolo delle probabilità. Parlatene”. Poi le toccò la 5B .Ma qui di tema non se ne poteva parlare proprio, perché glielo aveva fatto fare la settimana precedente ,e per di più non aveva ancora portato i temi corretti -a dir la verità ne aveva guardato solo la metà e poi si era rifiutata di andare avanti : erano risultati un vero fottutissimo schifezzo – ‘Sti remenghi debosciati non avevano proprio voglia di studiare !
Se Dio volle giunse anche la fine delle lezioni: erano esattamente le tredici e un quarto. Passò dalla sala dei Prof, raccolse il suo pastrano e depositò registro e tablet nel suo armadietto, anzi no il registro se lo infilò nella borsa, caso mai non le venisse la voglia di “ “aggiustarlo un po’”. Quindi prese le scale e qui incontrò la Zinetti, insegnante di diritto che le disse che di quella 3B non ne poteva proprio più. I ragazzi non studiavano un cavolo. Aveva pure convocati i genitori, ma di venti alunni se ne erano presentati alle udienze solo cinque! La Giacopini di economia aziendale affondò il dito nella piaga : lei non solo non aveva visto i genitori, ma se per quello nemmeno gli alunni, perché nell’ultima settimana erano andati in marina almeno una decina di mentecatti.
La prof. Martinelli uscì quindi sul piazzale, e qui tre colleghe le chiesero se voleva aggiungersi a loro per andare in mensa. “Ma voi siete fuori !”, replicò subito. Perché lei non sarebbe entrata in un mensa neanche morta. E i motivi erano due: primo lei era vegetariana e non aveva nessuna intenzione di ingurgitare brasatini merdosi o cosciette di polli allevati ad antibiotici puri, secondo, in mensa c’era troppo chiasso e a lei che c’era andata una sola volta, era sembrato di stare nel terzo girone dell’inferno (quello dei golosi).
Salì sulla suo Punto e prese la strada di casa. Mangiò una bella minestrina e una frittatina di uova e poi pensò di farsi una sana pennichella. Quella giornata di scuola l’aveva stravolta e i calcoli le uscivano dalle orecchie. Si spatasciò sul divano. Ma dopo dieci minuti suonò il telefono. Cacchio (lei è molto educata !) si era appena addormentata! Non aveva nessuna voglia di rispondere, ma prese su la cornetta in automatico….era la Eldabidella che l’avvisava che i colleghi la stavano aspettando..c’era il dipartimento di matematica….Ma questa è farneticante pensò. E controllò velocissimamente l’agenda: cacchio era proprio vero…lei se l’era dimenticato ! Agguantò il suo pastrano,salì sulla Punto e si avviò di razzo verso quella cacchiuta di scuola !
Ehh, dura la vita dei prof di matematica ! Ma anche di tutti gli altri, se è per quello.
PS:Questa è una prof che esiste veramente .E’ stata la mia compagna di banco per cinque anni. ( a scuola era un geniaccio !). E lei non molla. Insegna ancora.
Terzo gradino di Trinità dei Monti.
Era la donna più grassa e più golosa che avessi mai visto.Era seduta a un tavolino con sopra mezza torta Sacher e un boccale di birra .La vidi stralunare gli occhi prima di incominciare ad affondare la forchetta nel dolce,ma poi la sua ansia si placò.E incominciò a mangiare.Portava la forchetta alla bocca con molta calma,introduceva il boccone che poi assaporava pia piano prima di deglutirlo.E a ogni forchettata si guardava in giro per vedere se qualcuno la stava guardando.Rassicurata impiantava la forchetta un’altra volta,facendo la stessa pantomima di prima.Dopo tre bocconi, brancò il bicchiere e cominciò a bere…sembrava sorseggiasse il nettare degli dei,perchè ogni sorso era seguito da una smorfia di compiacimento…Era però una donna educata,perché ogni tanto si tamponava la bocca con un fazzoletto rosso che tirava fuori da una borsa verde grande come una valigia.Solo che pulendosi si tirava il rossetto violaceo quasi fino alle orecchie facendola assomigliare a un pagliaccio triste.E avanti con un altro boccone.E ancora avanti con un altro boccone. E poi giù birra.Giù birra.Riuscì a trangugiare la mezza torta di cioccolato in 35 minuti.Io ero stravolta..non potevo credere ai miei occhi. Misi a fuoco l’intera immagine…era una donna che poteva avere forse cinquantanni,coperta da un vestitone nero lungo fino alle caviglie,portava sandali marron con la zeppa,tanti monili al braccio e una collana d’ambra al collo.I capelli erano ricciuti e biondicci. Alle orecchie due pindoli che le scendevano quasi fino al collo.Sotto il tavolo stava mollemente dormendo un cucciolo,pure lui cicciuto, di Cavalier King,il cui guinzaglio era stato agganciato allo schienale della sedia.Io ero seduta sul terzo gradino della Trinità dei Monti,e il bar Aureliano era proprio a dieci metri da me.Io mi ero appena comprata un cartoccio di castagne dal Caldarrostaio di angolo di Via Condotti,e le stavo scartocciando una a una,e a un tratto fui attratta da questa grande massa di colori : violaverderossonero…Mi piaceva stare in quel posto perché da lì potevo controllare tutto il passeggio.Tutte donne dannatamente eleganti,con tacchi dannatamente alti,con in mano dannatissimi sacchetti e sacchettini provenienti dai negozi di Via Frattina o Via Borgognona o Via Chissaquale.. A un certo punto vennero a sedersi vicino a me due uomini distinti.Si davano delle gran pacche sulle spalle e se la ridevano di gusto. Misi ancora a fuoco l’intera immagine e mi accorsi subito di una cosa: uno dei due era realmente elegante, calzoni di velluto, giacca grigia ,camicia botton down azzurra e cravatta, ai piedi scarpe Church, ma l‘altro era un finto elegante..Una giacca blu con quattro bottoni dorati, con le maniche che gli arrivavano a metà mano, dei calzoni grigi piuttosto sgualciti, camicia a righe nere e mocassini marron grandi almeno di due numeri in più.Non riuscii a sentire quello che si dicevano, perché il rumore della gente copriva le loro parole.Però le ultime riuscii a coglierle: “Mi dispiace Edoardo ma io in tasca adesso non ho mille euro da prestarti.Tutto quello che ho, sono trecento euro.Ecco prendi ,ma questi non li voglio indietro, te li regalo.Sono stato contento di rivederti dopo venticinque anni. Eh, bei tempi quelli dell’università.Ciao Edo.Abbi cura di te.”E vidi alzarsi quest’uomo e andarsene via con una faccia da cane disperato…. E la signora in nero alzarsi dal tavolino con una faccia da donna compiaciuta e soddisfatta…Ed io scesi da quel terzo gradino , mi infilai al Caffè Greco e mi affogai in una cioccolata calda…era venuta voglia di dolce anche a me…che fosse Gioia ? Tristezza ?
Martino.Il bambino segnatempo
Era il primo giorno di scuola di tanti anni fa.E come tutti i primi giorni di scuola gli alunni erano convocati nell’aula magna.Lì,il preside dava il via all’anno scolastico facendo il solito logorroico noiosissimo discorso che concludeva facendo gli auguri a tutti i presenti di un buon inizio di scuola.Poi invitava le classi seconde e terze di mettersi in fila e accompagnate dall’insegnante salire ai piani ed entrare nelle loro aule.Per le prime invece la faccenda era diversa : leggeva ad alta voce il nome e cognome di ogni ragazzo che avrebbe formato la prima A,poi di seguito i nomi di quelli della prima B,e quindi i nomi della prima C e quindi quelli della prima D. A me toccava quest’ultima.Gli alunni si spostarono perciò sul corridoio,composero alla bel e meglio una fila strampalata,e mi seguirono fino al secondo piano.L’aula era dislocata proprio alla fine di quest’ultimo già con la porta aperta.E qui cominciò il putiferio.Si accalcarono tutti sull’entrata entrando di corsa spingendosi per accapararsi-naturalmente-gli ultimi posti !.Ai meno svelti toccarono per forza i banchi davanti.Notai subito il biondino con gli occhi azzurri : lui,pur entrando tra i primi si era piazzato in prima fila,accanto alla finestra.Nei giorni seguenti feci ovviamente io gli spostamenti.Invitai a venire davanti alla cattedra i più irrequieti o i molto distratti .Lasciai però Martino -questo era il suo nome-nel posto che si era scelto : era un bambino tranquillo che non dava problemi.O meglio un problema serio l’aveva : invece di guardare in avanti con il viso verso l’insegnante,stava sempre girato a destra verso la finestra.E a niente servivano i nostri richiami,E dico nostri perchè si comportava così anche con tutti i miei colleghi.Passarono due mesi e la situazione non cambiava.: i suoi occhi erano puntati sempre verso la finestra.Osservando bene notai anche che quando c’era il vento lui dondolava il capo come si cullasse seguendo il movimento delle foglie del pioppo che stava in giardino,albero i cui rami arrivavano fino davanti alla famosa finestra.
Un giorno ,durante la pausa delle dieci,mi si avvicinò Raffaele,il suo compagno di banco : mi disse che Martino era un mago : indovinava sempre le previsioni del tempo del giorno dopo.Lì per lì non diedi molto peso alla cosa,ma quando vidi che alla fine di ogni mattina molti ragazzi della classe andavano a chiedergli che tempo avrebbe fatto il giorno dopo,mi incuriosii.E cominciai a interrogarlo anch’io.” Martino che tempo farà domani ?”E lui puntuale .”Ci sarà il sole fin verso le quattro ma poi dopo incomicerà a piovere “. My God ! non ne sbagliava una ! E così Martino diventò il ” segnatempo” della scuola.Tutti -alunni e insegnanti compresi- ad andare a chiedergli le previsioni del tempo.
Giunsero le udienze ed io fui molto felice di conoscere sua madre : era una donna dolcissima ,anche se molto decisa .Le esposi la situazione scolastica del figlio: i voti in tutte le mie materie erano discreti. Non mi piaceva invece il suo atteggiamento in classe: seppur attento alle lezioni-nel senso che se lo invitavo a ripetere quello che avevo spiegato era più che preparato- stava sempre a guardare fuori dalla finestra.E poi c’era la storia delle previsioni del tempo…di questa sua dote ne parlavano ormai tutti.
La signora mi diede subito la spiegazione.. Martino era un bimbo bielorusso che lei aveva adottato otto anni prima-lui adesso ne aveva undici -.Era andato a prenderselo lei in quell’ orfanatrofio,e tra le duecento creature stipate in quell’ istituto aveva scelto proprio lui,quel bambinetto esile dagli occhi azzurri che alla sua vista si era nascosto dietro a una tenda.Certo che guardava sempre fuori dalla finestra! Nel collegio-se si può chiamare così – tutti i piccoli vivevano all’interno di un box -,quattro in ognuno di essi -fatto di legno con le sponde abbastanza alte.Le ” badanti ” erano solo una decina e quindi avevano risolto il problema del controllo dei piccoli sistemandoli in quel modo.Naturalmente i box erano ampi e dentro c’erano pure i giocattoli….E quello di Martino era proprio posizionato davanti a una finestra : il suo unico contatto col mondo esterno era rappresentato dunque solo da quel pezzettino di cielo che lui vedeva attraverso i vetri.E davanti alla finestra c’era proprio un albero….Certo che lui riusciva a prevedere il tempo…quel cielo lui l’aveva osservato proprio bene e probabilmente dentro di lui aveva anche imparato a sentire i mutamenti del tempo…Mi emozionai. Non potevo credere a questa storia..Ecco qual’era il dolce-amaro segreto di Martino!
PS: Ora Martino è diventato grande. :Lavora nella falegnameria di suo padre.Ha anche una morosa.E non guarda più fuori dalla finestra.Ma riguardo alle previsioni del tempo qualche volta ci azzecca.Solo qualche volta però.
NB:Questa è una storia vera.
Cambio di cavallo
Oggi cambio di cavallo …da corsa…Consegnata a Dorigoni la mia vecchia rombante argentea
golf …Lungo la strada Ale ha guidato come un pazzo “dai,impegnati in questo ultimo viaggio fammi vedere che sei ancora una belva.”Io invece pensavo agli ultimi posti dove mi aveva portato : Marostica,Bassano,Asolo,Dobbiaco,santa Cristina…….Scesa,e adagiata quella porta che di solito sbattevo… le ho dato un bacino sul volante e una carezza sul muso…Forse ci ritroveremo sulla luna prima tappa per arrivare in paradiso dove Astolfo andò a cercare il senno di Orlando in mezzo alle lacrime e ai sospiri degli amanti alle corone antiche degli Assiri agli ami d’oro e d’argento …….forse.Siamo saliti sul cavallo nuovo di pacca: una golf plus super accessoriata color cachemire e abbiamo preso la strada di casa..felici per quell’auto scintillante ma tristissimi per aver portato quella vecchia a rottamare.Ciao vecchia compagna di viaggio.Rimarrai sempre nel nostro cuore.
PS : questa è una storia vera.
Una mela 18 punti. Un risotto alla milanese 27 punti.
Per iniziare questa mia storia vera, anzi verissima, devo fare una precisazione.
Nella dieta a punti ogni tipo di cibo è classificato tenendo conto degli zuccheri, solo di quelli e quindi non delle calorie .La frutta infatti, possiede scarsissime calorie ma un punteggio elevato di zuccheri. Ad esempio tre fichi contengono 31 grammi di zuccheri equivalenti a 141 calorie, e sono proprio di questi che dobbiamo farne uno scarso consumo tenendo anche presente che pane, pasta e riso contengono amidi che poi si trasformano in zuccheri. I punti giornalieri che si possono accumulare in un giorno se si vuole dimagrire, sono dai 40 ai 60.
Proemio.
Era l’ottobre del 69. A giugno avevo finito le superiori e quindi mi ero iscritta a lettere all’Università di Verona. A lettere eravamo quasi tutte donne, donne a dir la verità sul timido andante. Erano altri tempi e quasi tutti avevamo avuto dei genitori abbastanza severi con noi( mia mamma vecchia bavosa maestra scommetto lo fosse più di tutti) che ci avevano tenuto tanto in casa, e poi custodite in un collegio.
Quindi per noi, andare via dalla pia dimora per vivere indipendenti in un appartamentino autonomo, significava poter fare una vita libera e magari anche un po’ libertina. Una cosa fuori di testa! Nessuno che ti controllava quando uscivi quando rientravi chi frequentavi, eccetera .Certo eravamo delle brave studentesse, frequentavamo regolarmente le lezioni e studiavamo anche. Durante il giorno. Ma la sera la sera no! era tutto un susseguirsi di aperitivi, cene. cenette spaghetti a mezzanotte. Se poi aggiungevamo che girando da una casa all’altra come ospiti, cosa si poteva portare per sdebitarsi? un bel plateau di pastine di Perlini, la più buona pasticceria di via Cappello o di dolcetti fatti in casa. Dai una sera, dai un’altra ci scofanavamo giù bignè cannoli ciambelline di frutta, babà a manetta e così: su la pancia, su i fianchi, su le cosce, su il culo! Eravamo diventate tutte delle belle pollastrelle all’ingrasso. Proprio tutte no, perché c’erano anche le fortunate con il metabolismo accelerato:queste invece di mettere su ciccia, dimagrivano.
E così, come ho detto poc’anzi, in aprile raggiungemmo il peso forma, forma nel senso di forma di formaggio. Tutte veneri del Botero, quando proprio l’estate incalzava. Da qui la sacrosanta decisione: dovevamo buttarci assolutamente su una dieta che ci aiutasse a permetterci di indossare i nostri vecchi costumini da bagno. E miracolo!
Scoprimmo la Dieta Punti uscita proprio due mesi prima sulla rivista Grazia. Da lì il nostro giuramento di Pontida “magre adesso o mai più!” Avevamo esattamente 56 giorni per metterci in riga. Porco can! Ce l’avremmo fatta. Eccome se ce l’avremmo fatta! E quindi incomincio’ la nostra santa, benedetta, immacolata vita di sacrifici. Allora riflettemmo bene. In zona Università c’era una vecchia trattoria “ da Scalin”, solitamente frequentata da studenti e il padrone era il signor Giuseppe, tipo grassotello, lunghi baffi neri alla tirolese, e svelto come una lepre. Quello sarebbe stato proprio il nostro posto ideale per i nostri pranzi
tre salette con un arredo di poche pretese, tavoli lunghi e stretti dove tu ti potevi sedere anche in compagnia di gente che non conoscevi e prezzi onesti.
Un giorno qualunque, sabato e domenica esclusi:
Flavia (la sottoscritta, di Riva del Garda, cinque anni di collegio alle spalle, un po’ imbranata, molto socievole, studiosa -se non ero giusta con gli esami mia madre mi avrebbe tagliato i viveri- ): “signor Giuseppe per me pasta al pomodoro -12 punti- un’ insalata mista – 3 punti- 1 mela” – 18 punti- totale 33 punti. Giovanna (sosia di Patty Pravo, se la tirava infatti un bel po’, modenese quindi esuberante, poco applicata -ci ha impiegato 8 anni o giù di lì per finire): “Giuseppe, per me invece pasta al ragù -15 punti- e una pera”- 25 punti- totale 40 punti. Marinella (di Brescia, magra, tipo la Longa dei Malavoglia, col complesso di non averla ancor data via, studio altalenante, sempre con un litro di profumo alla violetta addosso, grande fumatrice, un po’ stordita ): “Io invece signor Giuseppe vorrei un risotto alla milanese -27 punti- due albicocche” -10 punti – totale 37 punti. Marina( pure lei modenese, belloccia, con le lentiggini, soprannominata “ gattamorta sciupa famiglie”, un bel po’ svalvolata, studio abbastanza assiduo): “Io invece un piatto di turtelèn -23 punti- una pesca” -10 punti- totale 33 punti. Nadia (di Arco se la tirava pure lei. Spendacciona su vestire – accappatoi di seta- e chi se li sognava? Profumo fisso di Dior, Diorella se ben ricordo, regolare negli esami. E si é pure maritata bene. Si è sposata un nipote dei Singer, quelli di Milano delle macchine da cucire, e adesso trascorre la maggior parte del tempo su uno yacht attraccato al Club Adriaco di Trieste): “io vorrei scaloppine -8 punti- patate lesse -21 punti- una banana- 10 punti” -totale 39 punti. Berica (di Valdagno nasino all’insù, riccastra, Fulvia cupè bianca targa VI153201 con modi di fare molto bon ton, abbastanza applicata): “per me una cotoletta alla milanese-15 punti-,patate al forno -13 punti- e una mela”-18 punti-totale 46 punti.
Carla (di Trento, mia compagna di appartamento, sportiva, riccastra pure lei, per niente assidua nello studio. Invece di venire a lezione si portava giù gli stivali da cavallo e andava quasi tutti i giorni a montare a Illasi; mi faceva molto incazzare quando portava a casa ad asciugare la coperta del cavallo, occupando tutto il bagno). Beh Carla era spesso assente, assente ingiustificata e quindi niente ordini al signor Giuseppe.
Ma la sera. La sera andava di pollo lesso,- zero punti- o di un pescetto lesso – o di un piattino di bresaola- zero punti- .Tutte Insomma cercavamo di stare dentro i famosi 60 punti. Certo che con questa specie di pseudo cena l’appetito veniva scemando e io diventavo pian piano un pollo lesso (io avrei preferito a dir la verità diventare un pesce lesso che mi piaceva di più, ma le nostre cucine non conoscevano proprio l’esistenza delle cappe aspiranti).
Certo che prima di mettere in bocca qualcosa facevano subito due conti. Cappuccino al bar Sanpaolo? La tazzina di caffè con latte più zucchero erano ben 8 punti e se per caso ci aggiungevi una squallidissima -si fa per dire- brioche, i punti sarebbero saliti a 38, praticamente il quasi totale consumo giornaliero. Una tragedia erano anche gli aperitivi. Si andava tutti in compagnia al Caffè Impero di Piazza Dante. Noi donne puntavamo sul Campari -6 punti- o sul Martini -8 punti-( i crodini non c’erano ancora ) con il companatico di patatine – 4 punti-, noccioline -15 punti- e pistacchi -12 punti-. E deleterio era anche andare a mangiare la pizza. La nostra pizzeria preferita era La Costa -sempre in Piazza Dante-. Tutte le pizze indistintamente partivano dai 28 punti in su. La napoletana 28 punti, la quattro stagioni 32, la quattro formaggi 33, una birretta 2 punti, una coca-cola 25 punti.
E qualche volta, la sera, poteva anche capitare che venissero a rimorchiarci i tre bellocci di economia, ossia Gege, Aurelio e Gigi Libico (suo padre era un petroliere della Libia e lui girava con una Zagato gialla, che teneva scoperta anche in pieno inverno.), tutti e tre con molte conquiste amorose ma esami zero, per portarci alla Bottega del Vino dove si potevano assaggiare salami speciali e formaggi di montagna. Dai, coi salami e prosciutti i punti erano pochi, ma quando si arrivava i formaggi stagionati ti beccavi una bella stangata !15 punti solo per 50 g di vezzena e 30 per 50 g di pecorino. Per non parlare di quando si arrancava sotto un sole di 30 gradi per raggiungere la gelateria Cordioli vicino a Piazza Erbe, un piccolo cono di gelato alla frutta 15 punti, se invece lo prendevi con le creme 20 punti.
L’avete capito no? Noi, per niente sgarruppate, possedevamo un sano trucco: in un giorno cercavamo di contenerci dentro i 40 punti.
Perciò è chiaro che siamo dimagrite. Infatti arrivate ai primi di giugno salimmo sulla bilancia: io avevo perso 9 kg, in pratica avevo raggiunto il peso di quando ero arrivata a Verona e le mie amiche di merende idem, ad eccezione della Marina che era cresciuta di 3 kg (e ti credo: stazionava tutta la notte davanti al frigorifero ) . Era scesa di 6 kg anche la Marinella, che per diventare magra aveva raddoppiato l’uso delle sigarette -convinzione di cui era una forte paladina e per questo aveva tentato di spingerci tutte al fumo- quando arrivava nelle nostre case ci affumicava tutte… la odiavamo…E la Berica non era ingrassata neanche di 1 grammo : era rimasta il solito “ciuìn”.
Ancora mille grazie dieta a punti malandrina!
Nb: Dopo 50 anni io mi incontro ancora sempre con la Carla ( che adesso ha il trip dei cani. Alleva dei border collie ,a cui tenta invano di insegnarli a raggruppare le pecore di un gregge, e per l’occasione si è fatta arrivare dall’Irlanda 11 pecore…) e con la Berica(con cui condivido tutti i viaggi). Che sono anche adesso dei fuscelli.
(beh anch’io mi difendo bene…se è per quello!)
Appuntamento a Cannes
Era di maggio-anno 1973 per l’esattezza- e noi eravamo in viaggio verso Cannes da ormai più di 8 ore, e ci sentivamo tutti e tre stravolti. Viaggiavamo inoltre su un mezzo non proprio comodissimo: un Ford Transit a 4 posti, con al traino un Flyng Deutchman-il glorioso 923-che pesava 125Kg più carrello e perciò il mezzo,pur con tutta la sua buona volontà, più dei 100 all’ora non poteva tirare. I due fratelli,Ettore e Gianfranco Oradini si erano dati il cambio 2 volte. Io invece nel doppio sedile dietro ,avevo anche potuto dormicchiare : molto meglio se non mi avessero piazzato, in mezzo ai piedi , 2 spinnaker ! Mancavano un ventina di Km alla meta,erano già le 10 -di sera-e temevamo che il Circolo nautico fosse già bello e chiuso. Ma non fu così. Altri velisti ci avevano preceduto di poco. Entrammo dentro con mille avanti e indietro, i due i piazzali erano già al colmo. Un casino della malora. Quasi tutti avevano già scaricato le barche e piazzate sui carrelli, il chè offriva un ridottissimo spazio di manovra. Ma ce la fecero e mentre loro depositavano il loro scafo, io mi recai in segreteria a prendere l’indirizzo dell’albergo che ci aspettava-eravamo ospiti del Club) Lessi subito Gran Hotel Carlton…..chiesi in meno di un amen, quanti Hotel Carlton c’erano a Cannes e il tipo rispose subito : un,un. Io pensai subito che ci doveva essere un errore…impossibile fosse il famoso Hotel Carlton che aveva ospitato nelle sue stanze Onassis e Jaqueline Kennedy,Wallis Simson e Edoardo di Windsor,..tutti i divi del cinema quando c’era il Festival del Cinema per l’appunto… e noi quattro remenghi e squattrinati velisti, cosa c’entravamo ?!..Ci doveva essere un trucco..
Ma no!.arrivammo davanti al grande Hotel..un maestoso palazzo con almeno 100 balconcini dagli scuri azzurri. E lì proprio sull’entrata arrivò un ragazzo in divisa nera che ci chiese le chiavi dell ‘auto,(del furgone prego) per andarla a parcheggiare.E lì incominciò la nostra avventura carltoniana. Percorremmo il lungo carpet rosso che portava ai cinque gradini del tempio. Lo chiamo così perchè il tetto d ‘entrata poggiava su quattro colonne doriche di marmo bianco., per poi proseguire all’interno con un lungo corridoio il cui soffitto , pure quello poggiava su sei colonne bianche con decorazione corinzia nera…. e in cima finalmente il banco della hall. Si presentò Ettore che masticava qualche parola di francese.
Una signorina gentilissima e alquanto belloccia, ci accompagnò al secondo piano(nella parte dietro dell ‘Hotel naturalmente). Transitammo per il lungo corridoio e la nostra stanza era proprio l’ultima in fondo. Inserimmo la chiave nella toppa e aprimmo la porta….santa vergine santissima..apparve ai nostri occhi qualcosa che avevamo visto solo sui giornali. Marmo color sabbia per terra, letti con copriletti bianchi attraversati da runner verde salvia,affogati sotto cumuli di cuscini e cuscinetti pure quelli verdi. Tavolini che facevano da comodini,con sopra delle lampade art decò. Una scrivania bianca stile liberty,con poltrone di pelle color cammello sempre in stile francese. Su un lato accanto alla finestra un mobiletto bianco che nascondeva il frigo. Lo aprii: bottigliette mignon di vecchia Romagna,di Cynar, di spumante o champagne,? ,bottigliette di coca cola e pure bottigliette ci cedrata tassoni,spuntini vari sotto vuoto, noccioline,salatini …Chiusi subito lo sportello e il mio ordine fu perentorio “ che nessuno osi a consumare qualcuna di queste bevande, perché poi per pagarle dovremo fare un mutuo”.e il bagno ? Il bagno era grande come un salotto. Vasca da bagno appoggiata su piedini, munita di rubinetti color oro, vano doccia per chi l’avesse preferito, una spalliera di legno agganciata al muro( le prime spa ruspanti forse ?!),e tonnellate di asciugamani, grigi questa volta, impilati sopra due sgabelli bianchi. E in un cestino ogni ben di dio : creme da barba, shampoo per il corpo, shampoo per i capelli, creme idratanti, tonici, spazzolini da denti più dentifricio,,piccoli set per unghie, di ago e filo, perfino lucido da scarpe (bottino che misi velocemente nel mio beauticase, così il giorno successivo, avrei fatto il carico di nuovo ).
Mi guardai in giro bene..ma c’era qualcosa che mancava… non capivo cosa fosse…poi mi sovvenne..il bidet mancava….mancava proprio il bidet… ..Roba da pazzissimi… Aprimmo le
nostre valige-ma quali valigie ? sacche da vela sgangherate-e appendemmo il nostro vestiario nell ‘ armadio: quattro robe in croce a dir la verità, perchè il guardaroba era composto esclusivamente di cerate, tute stagne, pelose,trapezi, stivaletti di gomma, guanti ,berretti… Sprofondammo sotto le coperte( i letti erano tre),perchè il giorno dopo tutti gli equipaggi dovevano essere al Circolo per le 10.Il mattino dopo,non ci fermammo certo a colazione…perchè a dir la verità nessuno di noi sapeva se questa era compresa nel pernottamento… Comunque nell’attraversare la Hall demmo una cuccata dentro la Salle de petit dejeuner adiacente..sui buffet…tanta roba,..un tripudio di leccornie.
Raggiungemmo il club sul filo del rasoio,ma ci accorgemmo che ci eravamo fatti fretta per niente..infatti la messa in acqua delle barche era prevista per mezzogiorno. Ci ingolfammo con le solite baguettes francesi imbottite di prosciutto, salame e formaggio, oppure con burro e marmellata , uova sode, vaschette di burro salato e di foie gras (che a me fa schifissimo) ,succhi di arancio e cappuccini lunghi come la fame. Seguirono poi le armature della barca e là, vicino alle loro, trovarono i loro “amici di merende”, ossia i loro compagni di regata che ormai si incontravano da anni: i toscani Marco Savelli e Alberto Manfredini, i fratelli marchigiani Babbi, il napoletano Roberto Ferrarese… e fu tutto un battersi sulle spalle, un give me five,”sempre ‘sti gardesani in mezzo ai coglioni”…Ehi ragazzi, mettere in assetto una barca non è proprio una cazzata. (io una barca non l’ho mai armata ma ne ho avuto abbastanza quando un paio di volte Ettore mi ha obbligato a fargli da prodiere sul 470..un ‘avventura che non auguro a nessuno. Perchè l ‘ultima volta in Sardegna, ha voluto portarmi fuori dalla baia, con un vento forza 12. Così la barca si è rovesciata ed il sono finita sotto lo scafo dove son rimasta per mezz’ora, prima che i soccorsi arrivassero..e mi sono pure fatta 2 giorni di ospedale, perchè Ettore per tirarmi su mi aveva afferrato per il gancio del trapezio,scorticandomi viva ).
Si incomincia col mettere in piedi l’albero,fissarlo con drizze e crocette ,inserire come prima cosa lo spinnaker nella tasca di sinistra sottovento…….e poi è tutto un lavoro per mettere in assetto lo scafo inserendo le due vele, e il boma e poi armeggiare con con bozzelli, paranchi, angoli di penna, cunningham.,clamcleat….. ..operazione che dura quasi due ore. La partenza della regata di prova era fissata per mezzogiorno e infatti alle 12 in punto fu issata sulla nave giuria la bandiera della classe..Le barche furono portate verso lo scivolo, cosicchè si riusciva a metterne in acqua almeno 4 tutte insieme. Era una regata di prova,ho detto, affinchè gli equipaggi vedessero dove erano posizionate le boe. Rientrarono dopo 3 ore,giusto in tempo per darsi una slavazzata nelle docce del circolo e quindi prepararsi per la cerimonia d’apertura programmata per le 17.
Infatti sul piazzale era stato eretto un palco, con i pennoni che portavano le bandiere dei vari paesi :germania, spagna, svizzera, gran bretagna, portogallo, olanda e l’italia. Sugli scalini cominciarono a salire i vari capi di rappresentanza di ogni paese con al seguito i rispettivi giornalisti. E qui viene il bello. Io a dir la verità ero lì in veste di inviata speciale per la Rivista nautica Vela e Motore-unico giornale di vela in italia a quel tempo- con tanto di tesserino di giornalista. Era un ruolo che mi aveva affidato l’anno prima il buon direttore Giacomo Garioni, visto che gli mancava un corrispondente in alta Italia e dintorni. E io ero andata lì, sfruttando il passaggio del mio moroso, Ettore per l’appunto. E adesso dovevo salire anch’io su quel palco, per dare il benvenuto ai regatanti italiani. Ma parlando in quale lingua ? Non conoscevo ‘na beata mazza né di francese né di inglese. Mi feci coraggio e salii sopra anch’io. E …visione divina..lì c’era anche Beppe Barnao, il giornalista di vela più preparato in assoluto di regate veliche, che io conoscevo bene. Mi avvicinai a lui e gli dissi “Beppe ti prego dammi una mano” E lui mi rispose “non preoccuparti, devi solo sorridere” E così fu.
Seguì un ricco party, fatto di tartine, chisce di verdure, olive ripiene, insalate di riso, di piselli, ostriche, che io mi guardai bene di assaggiare, perchè quando anni prima ero stata a Parigi,mangiandone qualcuna all ‘angolo di una strada, avevo vomitato tutta la notte. Il giorno dopo dunque le regate vere e e proprie..Erano state programmate 2 prove al giorno. La prima partì alle 9 e la seconda alle 13.Uscii in mare anch’io, salendo su una pilotina messa a disposizione per i giornalisti, Ci piazzammo proprio accanto alla seconda boa,posto dal quale si poteva osservare bene tutto il campo di regata. Fu così anche il giorno successivo,ma la seconda prova finì prima per un improvviso calo di vento. Fu il mattino di quel sabato però che accadde un fatto increscioso. Francesco era già al timone del suo FD, e aspettava Nonpossodirechi,il suo fido prodiere. Il tempo passava-mancavano 10 minuti alla partenza-ma del compagno nemmeno l’ombra. Trascorsero altri 5 lunghissimi minuti,ma non comparve nessuno. Lo scorsi battere sullo scafo le nocche delle mani,fino a farsi uscire sangue,..quel disgraziato aveva passato la notte in qualche alcova.. Più tardi vidi Francesco assestare un cazzotto sul viso del toscano.. Fu l’ultima volta che lo vidi…proprio l’ultima volta. Perchè la sera stessa,Nonpossodirechi, si rimise in sella sulla sua Laverda 750,per tornare a Livorno. Aveva cominciato a piovere fitto fitto. E lui,che era un ragazzo bello tipo Robert Redford in “the way we were”,simpatico, brillante, generoso e impavido, troppo impavido, in una curva sbandò e andò a sbattere contro il guard rail. E da lì non si mosse più…per sempre.
I giochi erano fatti. Si dovevano aspettare le classifiche per scrivere il resoconto..(i fratelli Oradini si erano piazzati 3 -colpa del vento debole- hanno detto-quando loro di solito si allenavano con venti forti…)Mi recai quindi nella sala stampa per buttar giù il pezzo -io portavo sempre con me la mia Olivetti 45- e quindi lo dettai al telefono all’Amsa e alla Gazzetta dello Sport.(Mi sentivo una signora giornalista. Perchè solitamente nei Circoli italiani la linea telefonica era una sola e quindi io dovevo spararmi in una cabina telefonica e buttar giù quintalate di gettoni) Quell’articolo poi sarebbe stato elaborato per pubblicarlo su Vela e Motore per l’appunto, corredato di immagini che avevano fornito i fotografi ufficiali. (anche se di solito le foto me le facevo io con la mia Nikon F1 con annesso un tele da 300mm.F.2,8).
Di acqua n’è passata sotto i ponti, ma al Carlton, io e Ettore ci siamo ritornati per 3 notti. E dal frigorifero abbiamo preso quello che volevamo… Ps :il tesserino di giornalista l’ ho tenuto per 6 anni, fino a che non ho messo su famiglia. Chiaramente non potevo più conciliare bambini e trasferte. Comunque i 60 numeri di Vela e Motore,con sopra ognuno almeno un mio articolo o anche due,tre,quattro, sono posti ancora nell’angolo in basso della mia libreria. Riviste che i miei figli non hanno mai sfogliato perchè a loro,che la madre abbia scritto di vela,non gliene può fregar di meno..