Stazione Termini,
Cielo che pare all’occhio piombo fuso
tra squarci di nubi in fuga e mulinelli,
tambureggia in lontananza Giove Pluvio
a disperder stormi d’impauriti uccelli.
Tracciano immaginifiche figure
ripassano di sghembo a piegar l’ali,
a marezzar la tela all’orizzonte.
con lazzi, frizzi e fuochi artificiali.
Indomabili mantengono la rotta,
passano a volo radente sopra i rami,
arabeschi d’infiniti chiaroscuri
che macchiano come l’olio sulle mani.
Nube nera che avanza, si contrae
ali sbattute, violento brontolio
nessun intoppo o frullo inaspettato
con la certezza che li guidasse Dio.
Amica mia ricordi quanto stupore
nel compiacerci di tale maestria
in silenzio siamo state ad osservare
pensando che avremmo scritto una poesia.
La sinfonia
Squarci di luce soccorrono gli sguardi
persi nell’abisso siderale,
mentre s’acquieta il battito impazzito
del cuore in fermento.
Miscellanea d’accordi riscalda, come il sole
che offre i primi raggi tiepidi al giorno,
ingannando l’attesa.
Applausi come scrosci d’acqua inattesi
esortano l’attacco.
Scivolano i violini come pattinatori
sul ghiaccio, mentre gli ottoni
rubano all’universo, soffi di Tramontana.
Entrano i contrabbassi
facendo da contraltare ai fagotti,
singhiozzano le viole al ritmo pizzicato
contrastando il disegno discendente dei fiati
fino a collidere col martellio dei timpani
in dissonanze ermetiche.
L’orchestra s’ingrossa quasi a sfuggir
all’auriga che ha limitato i bordi
controllando l’inquietudine.
Rinviene la melodia a riportare suono
pastoso e largo nel suo letto d’eterna quiete.
Fugati i fantasmi, ritorna l’adagio idilliaco
ad addormentar lo spirito cullandolo
di munifica beatitudine.
Tumultuoso albeggiare
Cirri ferini,
fruste uncinate,
sferzano l’aria in compulsa lotta,
si fanno pioggia.
S’ingrossa il vortice ,
maltratta la natura,
la piega atterrita al suo furore.
Passeri spauriti celati nel fogliame,
tra il rimbombar di tuoni e il balenar di lampi,
paventano il divenir olocausto.
S’apparta il giorno celando sbigottito la sua luce,
la terra ferita, sottosopra,
brancola nel buio a medicarsi piaghe,
dal terriccio impastato di mota
sbucano contorte radici
sanguinanti di linfa dispersa
lacrimando…
Il turbine con impeto scemato
prosegue il suo cammino,
lascia alberi lividi
tramortiti a respirar in affanno
e un tappeto di foglie macilente.
I passeri ritornano a volteggiare
tra gli squarci d’azzurro
puntando alla volta d’altri lidi.
Donne invisibili
Nella pietraia un giglio,
schiude la sua bellezza fuggitiva,
rozza, una mano lo strappa
e imbratta il suo candore.
Sposa bambina
stretta nelle fauci
del laido cinghiale,
in attesa di dilaniar la preda.
S’addensa in quel ventre
il timore della violenza,
irrompe il dolore
a lacerare un sogno.
E guardare il mondo
dalla grata di una prigione di stoffa…
Ai polsi manette fatte di pazienza
chiuse a lucchetto senza serratura.
Silenzio,
amico di notti bianche
passate troppo in fretta.
Paura,
compagna di giorni eterni
trascorsi a consumare vita.
Donne invisibili.
Equilibri
Magro il raccolto che stringo tra le mani!
Quelle bionde spighe che reggevo in grembo
altro non erano che fasci di ruvida saggina.
Non mi da conforto nemmeno la memoria
dei pomeriggi passati in campagna
tra i covoni di fieno ad essiccare al sole,
delle mani di mia madre che mi pettinava i ricci,
delle ciliegie mature che coglievamo dai rami bassi.
Invano soccorro la mia musa mutilata
non ho un rifugio da offrirle e neanche
bende per fermare l’emorragia.
Sfugge un gesto inconsulto alla mia mano,
un sospiro s’invola silenzioso, mentre
il tempo che percuote ogni mio passo,
pesa e scalfisce come un ferreo cilicio.
Celerò agli sguardi indiscreti le mie stimmate,
asciugherò il sangue che gocciola e raggruma
in attesa che si compia redenzione.
A cavallo del tempo
E’ un cavallo imbizzarrito
questo tempo
che disarciona i giorni
spezzando l’andatura.
Nel cavalcare a pelo
sbigottiti i sensi riscoprono
il viavai di voglie sopite.
In corsa affannata
fumano le nari,
i contorni si mischiano
alla bruma,
il morso stringe
ma la via è
già tracciata.
E speronare attimi
con violenza inaudita
quasi a voler scansare
la mannaia
dell’ultima occasione.
Amo
Amo di te
quel dissennato orgoglio,
quel riso innamorato
che ognor mi turba.
Amo l’agilità
di quello sguardo acuto
e quel passo felpato di felino.
Ancora…amo quel sorriso infantile
che occulta denti d’un alligatore.
Rapiscimi ora
prima che giunga autunno
e il camminar leggero
ancor non m’affatica,
ora
che il mio profumo t’invita ancor
a banchettar coi sensi.
Sfiorami con le mani
sporche di desiderio,
indossami,
sarò veste fatta su misura.
Sarò tua madre
eppure la tua amante,
appagherò le brame,
con garbo lenirò le pene.
Non attardarti
il mio tempo fugge
e con lui la callipigia bellezza.
Anagramma
Accade nell’ora tarda della sera.
Anagrammando il tempo
riserbo i dubbi al dopo.
Piovono stelle d’agosto,
frecce luminescenti
a rallentar la primavera della luna.
Il silenzio rotto da un grillo
può sembrare tuono,
mentre distratta
ricompongo memorie sfuggite
alla voliera dei pensieri.
Si dibatte la tua presenza
ancorché soffocata,
riaffiora a macchia d’olio
mi unge, mi alimenta.
Vorrei mescere sorrisi
al canto del gallo,
non sentire più lo strazio
dell’unghia sul vetro,
soddisfare l’arsura che veleggia
s’una reliquia di vita.
Nel rinascente giorno
finite le giaculatorie,
non ho più l’anima divisa.
Adagio nudi pensieri
sul letto sfatto
e m’addormento.
Valzer di malinconia
Resta solo memoria dei cerchi concentrici
che accrescono il vuoto in cui affonda la tristezza
trascinata dal sasso greve dell’assenza.
Nel punto in cui s’annida il senso delle cose
dubbi amletici dilatano i diametri dei nodi
impazienti di dissipare ogni incertezza.
Liberta dall’ingordigia del tuo egoismo,
assaporo la nenia cadenzata d’un valzer triste
che preferisco alla samba di un amor mendace.
Ad uno ad uno, strappo giorni dal calendario
ma lo sguardo che s’impiglia nello scorrere del tempo
non basta a trattenere sogni che agonizzano scodando.
Così avvilita e miope la mia malinconia
s’adagia tra la pieghe scucite del cuore, s’annida
nei ventricoli, trasformandosi in gocciole d’angustia.
Composte sbadigliano le palpebre,
sollevano un pulviscolo di ricordi che sedimenta
sul pacco regalo che non hai mai aperto,
asilo della mia malinconia.
Versilia
Lieve bruir di pioggia
sui coppi ancora caldi
annuncia il giunger di settembre
che porta via il brusio
di gente dalle spiagge
e serra gli ombrelloni.
Un’anima raccoglie a cartoccio
conchiglie d’emozioni
abbandonate al ciglio della via.
Stagione che adagia il capo
su un letto di baccano,
di lunghe notti insonni
a caccia di stelle cadenti
e poi si fa cuscino
con vele ammainate.
Algide le Apuane la cingono
a foggia di mantello
specchiando il volto della luna
nel marmo delle cave.
Ed è struggente l’ansia
che s’impossessa di chi
per una volta, a casa
non vorrebbe far ritorno.