Franca Gnecchi - Poesie

Stazione Termini,

 

Cielo che pare all’occhio piombo fuso

tra squarci di nubi in fuga e mulinelli,

tambureggia in lontananza Giove Pluvio

a disperder stormi d’impauriti uccelli.

 

Tracciano immaginifiche figure

ripassano di sghembo a piegar l’ali,

a marezzar la tela all’orizzonte.

con lazzi, frizzi e fuochi artificiali.

 

Indomabili mantengono la rotta,

passano a volo radente sopra i rami,

arabeschi d’infiniti chiaroscuri

che macchiano come l’olio sulle mani.

 

Nube nera che avanza, si contrae

ali sbattute, violento brontolio

nessun intoppo o frullo inaspettato

con la certezza che li guidasse Dio.

 

Amica mia ricordi quanto stupore

nel compiacerci di tale maestria

in silenzio siamo state ad osservare

pensando che avremmo scritto una poesia.


La sinfonia

 

Squarci di luce soccorrono gli sguardi 

persi nell’abisso siderale,

mentre s’acquieta il  battito impazzito

del cuore in fermento.

Miscellanea d’accordi riscalda, come il sole

che offre i primi raggi tiepidi al giorno,

ingannando l’attesa.

Applausi come scrosci d’acqua inattesi

esortano l’attacco.

Scivolano i violini come pattinatori

sul ghiaccio, mentre gli ottoni

rubano all’universo, soffi di Tramontana.

Entrano i contrabbassi

facendo da contraltare ai fagotti,

singhiozzano le viole al ritmo pizzicato

contrastando il disegno discendente dei fiati

fino a collidere col martellio dei timpani

in dissonanze ermetiche.

L’orchestra s’ingrossa quasi a sfuggir 

all’auriga che ha limitato i bordi 

controllando l’inquietudine.

Rinviene la melodia a riportare suono

pastoso e largo nel suo letto d’eterna quiete.

Fugati i fantasmi, ritorna l’adagio idilliaco

ad addormentar lo spirito cullandolo

di munifica beatitudine.


Tumultuoso albeggiare

 

Cirri ferini, 

fruste uncinate,

sferzano l’aria in compulsa lotta,

si fanno pioggia.

S’ingrossa il vortice , 

maltratta la natura,

la piega atterrita al suo furore.

Passeri spauriti celati nel fogliame,

tra il rimbombar di tuoni e il balenar di lampi,

paventano il divenir olocausto.

S’apparta il giorno celando sbigottito la sua luce,

la terra ferita, sottosopra,

brancola nel buio a medicarsi piaghe,

dal terriccio impastato di mota

sbucano contorte radici

sanguinanti di linfa dispersa

lacrimando…

Il turbine con impeto scemato

prosegue il suo cammino,

lascia alberi lividi

tramortiti a respirar in affanno

e un tappeto di foglie macilente.

I passeri ritornano a volteggiare

tra gli squarci d’azzurro

puntando alla volta d’altri lidi.


Donne invisibili

 

Nella pietraia un giglio, 

schiude la sua bellezza fuggitiva,

rozza, una mano lo strappa 

e imbratta il suo candore.

Sposa bambina

stretta nelle fauci

del laido cinghiale, 

in attesa di dilaniar la preda.

S’addensa in quel ventre

il timore della violenza,

irrompe il dolore

a lacerare un sogno.

E guardare il mondo 

dalla grata di una prigione di stoffa…

Ai polsi manette fatte di pazienza

chiuse a lucchetto senza serratura.

Silenzio, 

amico di notti bianche

passate troppo in fretta.

Paura,

compagna di giorni eterni

trascorsi a consumare vita.

Donne invisibili.


Equilibri

 

Magro il raccolto che stringo tra le mani!

Quelle bionde spighe che reggevo in grembo

altro non erano che fasci di ruvida saggina.

Non mi da conforto nemmeno la memoria

dei pomeriggi passati in campagna

tra i covoni di fieno ad essiccare al sole,

delle mani di mia madre che mi pettinava i ricci,

delle ciliegie mature che coglievamo dai rami bassi.

Invano soccorro la mia musa mutilata

non ho un  rifugio da offrirle e neanche

bende per fermare l’emorragia.

Sfugge un gesto inconsulto alla mia mano,

un sospiro s’invola silenzioso, mentre

il tempo che percuote ogni mio passo,

pesa e scalfisce come un ferreo cilicio.

Celerò agli sguardi indiscreti le mie stimmate,

asciugherò il sangue che gocciola e raggruma

in attesa che si compia redenzione.


A cavallo del tempo

 

E’ un cavallo imbizzarrito

questo tempo

che disarciona i giorni

spezzando l’andatura.

Nel cavalcare a pelo

sbigottiti i sensi riscoprono

il viavai di voglie sopite.

In corsa affannata

fumano le nari,

i contorni si mischiano

alla bruma,

il morso stringe

ma la via è

già tracciata.

E speronare attimi

con violenza inaudita

quasi a voler scansare

la mannaia

dell’ultima occasione.


Amo

 

Amo di te

quel dissennato orgoglio,

quel riso innamorato

che ognor mi turba.

Amo l’agilità

di quello sguardo acuto

e quel passo felpato di felino.

Ancora…amo quel sorriso infantile

che occulta denti d’un alligatore.

Rapiscimi ora

prima che giunga autunno

e il camminar leggero

ancor non m’affatica,

ora

che il mio profumo t’invita ancor 

a banchettar coi sensi.

Sfiorami con le mani

sporche di desiderio,

indossami, 

sarò veste fatta su misura.

Sarò tua madre

eppure la tua amante,

appagherò le brame,

con garbo lenirò le pene.

Non attardarti

il mio tempo fugge 

e con lui la callipigia bellezza.


Anagramma

 

Accade nell’ora tarda della sera.

Anagrammando il tempo

riserbo i dubbi al dopo.

Piovono stelle d’agosto,

frecce luminescenti

a rallentar la primavera della luna.

Il silenzio rotto da un grillo

può sembrare tuono,

mentre distratta

ricompongo memorie sfuggite

alla voliera dei pensieri.

Si dibatte la tua presenza

ancorché soffocata,

riaffiora a macchia d’olio

mi unge, mi alimenta.

Vorrei mescere sorrisi

al canto del gallo,

non sentire più lo strazio

dell’unghia sul vetro,

soddisfare l’arsura che veleggia

s’una reliquia di vita.

Nel rinascente giorno

finite le giaculatorie,

non ho più l’anima divisa.

Adagio nudi pensieri

sul letto sfatto

e m’addormento.


Valzer di malinconia

 

Resta solo memoria dei cerchi concentrici

che accrescono il vuoto in cui affonda la tristezza

trascinata dal sasso greve dell’assenza.

 

Nel punto in cui s’annida il senso delle cose

dubbi amletici dilatano i diametri dei nodi

impazienti di dissipare ogni incertezza.

 

Liberta dall’ingordigia del tuo egoismo,

assaporo la nenia cadenzata d’un valzer triste

che preferisco alla samba di un amor mendace.

 

Ad uno ad uno, strappo giorni dal calendario

ma lo sguardo che s’impiglia nello scorrere del tempo

non basta a trattenere sogni che agonizzano scodando.

 

Così avvilita e miope la mia malinconia

s’adagia tra la pieghe scucite del cuore, s’annida

nei ventricoli, trasformandosi in gocciole d’angustia.

 

Composte sbadigliano le palpebre,

sollevano un pulviscolo di ricordi che sedimenta

sul pacco regalo che non hai mai aperto,

asilo della mia malinconia.


Versilia

 

Lieve bruir di pioggia

sui coppi ancora caldi

annuncia il giunger di settembre

che porta via il brusio

di gente dalle spiagge

e serra gli ombrelloni.

Un’anima raccoglie a cartoccio

conchiglie d’emozioni

abbandonate al ciglio della via.

Stagione che adagia il capo

su un letto di baccano,

di lunghe notti insonni

a caccia di stelle cadenti

e poi si fa cuscino

con vele ammainate.

Algide le Apuane la cingono

a foggia di mantello

specchiando il volto della luna

nel marmo delle cave.

Ed è struggente l’ansia

che s’impossessa di chi

per una volta, a casa

non vorrebbe far ritorno.