Passato presente
Se i ricordi parlassero,
se avessero voce
e potessero raccontare
quel che è stata la mia vita
negli ultimi anni.
La mia vita interiore
Quella più segreta
Quella più nascosta
Quella più buia.
Se i ricordi disegnassero,
se conoscessero l’arte
e potessero rappresentare
stenderebbero colori contrastanti,
tenebrosi, cupi e angoscianti
fra i rossi caldi e i gialli brillanti
in un’altalena di emozioni
alla fine stancanti.
Se i ricordi suonassero,
una nota per ogni persona,
un accordo per ogni evento,
se potessero cantare
quel velo costante
che mi ha annebbiato la vista,
che mi ha reso l’orizzonte meno netto,
che mi ha permesso di sopravvivere
e proteggere al meglio l’anima della mia anima
la vita della mia vita.
Solo così la mia realtà
Acquisirebbe parole,
parole di una lingua universale,
comprensibile a tutti;
acquisirebbe colori nitidi
in immagini chiare,
vivibili, che ti tirano dentro;
acquisirebbe una colonna sonora
amica, avvolgente,
calda, angosciante;
e canterebbe il movimento,
la vita,
il bene, la fatica,
la solitudine amica.
NOTTE
Abbraccio quel nero fitto e profondo
Mi lascio accarezzare
È fresco,
fa male.
Mi avvolge il mantello di raso blu notte
Si lascia ascoltare,
Sussurra,
parole.
Con gli occhi protesi al di là dei confini
I pensieri si sciolgono,
da massi
a spuma.
Si cullano fra i mille interrogativi
Una stella ciascuno,
brilla,
fa luce.
Quando arriva alla fine il dolce riposo
Il silenzio illumina
ogni dubbio,
deluso.
DONNA
Spicca tra le spighe di grano
Un papavero rosso
Forte il vento sui suoi petali
Fragile la corolla
Che alterna passaggi
Da destra a sinistra
E da sinistra a destra.
Ad ogni folata appare in pericolo
Potrebbe perdersi
Potrebbe cadere
Potrebbe spezzarsi
O disfarsi lentamente
Un po’ per volta
E i suoi petali volare
Vittime di forze estranee
E passivi di ogni decisione,
spinti in qualsiasi direzione.
Niente di tutto ciò.
Quel papavero ha radici ben salde
Il suo stelo è sufficientemente robusto
E i suoi petali così
Intenzionalmente mobili e malleabili
Che l’energia che sprigionano
È quel collante che mantiene integra la corolla,
integra nell’essenza di sé,
essenza di forza e fragilità,
essenza di assertività e dolcezza,
di comunione,
essenza di solitudine.
Si alterna il vento alla pioggia;
si alternano le stagioni,
del mondo e del cuore
ma tu resti lì
protagonista sullo sfondo
nella tua essenza di donna.
IL CORPO
Il corpo
Questo maledetto nemico inseparabile
Questo indispensabile soffice involucro.
Il corpo,
unione e confine tra te e l’altro,
segno inconfutabile di ogni limite.
Il corpo,
fonte di piacere e fonte di dolore,
segno di presenza e
complice nell’assenza.
Il corpo
In perenne conflitto con se stesso.
Protegge,
espone,
parla ma non sempre dice il vero
può tradire a dispetto di una mente fedele
e contenere una mente alla deriva.
Il corpo,
un biglirtto da visita che nasconde
un rifugio sicuro che mette in mostra.
Il corpo,
ti offende
ti tradisce
ti ascolta
ti consola.
Ti ferisce improvvisamente
E ti perdona incondizionatamente.
È sempre lì,
presente,
accanto a te,
con te.
Nonostante tutto
Ti accompagna.
Tuo malgrado
C’è.
Ti precede sempre;
ti segue trascinato…
il tuo corpo è fatto di te…
tu non sei il tuo corpo.
SALUTO
Hai gli occhi aperti
E guardi oltre,
Le labbra socchiuse
In un leggero affanno.
Le gambe sono pesanti
Inchiodate a terra
E le braccia rigide
Saldate ai fianchi.
Hai paura e sei senza prospettiva
Sola, in un angolo buio senza orizzonte.
Una lacrima amara solca il tuo volto
In un rigolo vivo di rassegnazione.
Piangi cristalli di verità
E ingoi pastiglie di speranza,
Di impossibile desiderio.
Chiudi gli occhi e vedi oltre
Una luce divina,
L’infinito celeste
Del mondo possibile
In un altro mondo.
L’altro, il mondo
Dell’infinità dell’infinito.
TU
Tu sei quello che mi manca
Tu sei ciò che mi riempie
Tu la voglia di vivere
Tu la nostalgia di ridere.
Tu sei la stella nella notte
Tu la deriva di ogni giorno
Tu, primo pensiero al risveglio
E ultimo augurio della giornata.
Tu sei la brezza leggera d’estate
Tu sei falò costante in inverno
Il cuscino che abbraccio nel sonno
L’ombra senza volto che rifuggo nel sogno.
Tu sei ciò che da sempre vado aspettando
Tu sei il pericolo da cui stavo scappando
La quiete dopo l’interminabile tempesta
Lo scompiglio dell’intero mazzo di carte.
Non ti ho mai avuto
Non so se ti vorrò mai
Certa è la paura di perderti
Certa l’intensità dei miei pensieri.
Sei presente con la tua assenza
Mi riempie la tua mancanza
Tu sei la vita che torna a vivere
L’estrema paura di volerti bene.
Tu sei il mio tutto ed il mio niente
Tu, l’illusione della calma apparente
Tu sei quello che sogno di noi
Tu, tutto quello che non sarai mai.
QUEL MALEDETTO GIORNO
Quel maledetto giorno
Te ne sei andata
Non ho avuto il tempo,
non mi hai aspettata.
Tante cose ti avrei detto
Se solo avessi saputo.
Quel maledetto giorno
E quella chiamata;
ho capito subito
la mala parata
il mio cuore in forte affanno,
la paura del presagio.
Quel maledetto giorno
La corsa da te,
il gelo totale
e la conferma spietata.
Lo sconforto mi ha colto
E son rimasta di sasso.
Quel maledetto giorno
Non so più che giorno era
Di sicuro c’era il sole
Quando è giunta la bufera.
Quel maledetto giorno
Lo rivivo tutti i giorni
Manchi tanto nella vita
Sei presente nei miei sogni.
Quel maledetto giorno
Sono morta un po’ con te
Il dolore è stato forte
Doversi arrendere alla morte.
Quel maledetto giorno
è un ricordo ancora vivo;
sei costante nei pensieri
sono anni e sembra ieri.
Sono fiera assai di te
E ti porto dentro me
Da quel maledetto giorno
Di un’andata senza ritorno.
MALINCONIA
E all’improvviso arriva quel brutto mostro
Quell’avvolgente malinconia
Quel senso inesorabile di vuoto.
Hai una smania dentro che ti perdi il mondo,
la vita e tutto il resto intorno
l’inferno ti brucia da dentro.
Ti abbandoni alla stanchezza irrisolta
Le gambe pesanti e vai via
Dal presente che temi di nuovo.
Ti senti impotente e sconfitta
Ti arrendi e desisti
E aspetti che pasi il momento.
L’irrequietezza ti assorbe le membra
Pensieri e movimenti al contempo
Non riesci a metterti contro.
E chiudi i tuoi occhi e aspetti
Respiri quell’aria che tanto è mancata
Ti butti giù e ti rigiri
Una volta e ancora e poi ancora di più
Lasci spazio a Morfeo
Che arrivi e ti prenda.
È così il solo modo per quel cuore che trema
Di sperare in un tempo
Sospeso di sonno.
Che permetta a quel tempo di passare più rapido
Di passare indolore.
Ed è già domani.
I 5 SENSI
Adoro l’odore dell’orizzonte
Quella linea infinita
Che dagli occhi tanto si perde
Da tornare indietro così calda e soave.
Adoro il sapore delle pagine ingiallite di un libro
Quell’amaro di ricordi e dolce di immagini
Che librano nella mente e sembrano reali.
Adoro la carezza di quella voce amica
Quell’abbraccio vellutato e avvolgente
Di battiti del cuore.
Adoro i colori dell’ascolto
Quella rispettosa vicinanza sottile
Che sfiora, amalgama e colora la solitudine nera.
Adoro il suono delle luci del tramonto
Quella melodia in cui tuffarsi annulla la gravità
Mantenendo vivo il senso di realtà.
ARRIVERA’ QUEL GIORNO
Lo so, arriverà quel giorno.
Il giorno in cui tutto finirà.
E il bello che oggi ci doniamo
Sarà solo parte dei ricordi.
Lo so, arriverà quel giorno.
Il giorno in cui col cuore in mano,
il nodo in gola e una morsa al petto
dovrò rinunciare a te e a tutto questo.
Lo so, arriverà quel giorno.
Il giorno in cui contro ogni logica dei sentimenti,
semmai ne esista una,
ma seguendo la logica della ragione,
a gran fatica e con dolore
riuscirò a lasciarti andare.
CORALLO
Ogni bolla che vedo,
piccola o grande,
mi riempie di gioia.
Prova di un mondo,
di vita intorno.
La solitudine se ne va
resta la prigionia,
la costrizione a terra
quella stessa terra
che mi illude di lasciarmi libero
ma che non molla la presa.
Le mie radici di corallo
Solo mi permettono di seguire le onde
e il loro ritorno
come una danza,
come in un Walzer di speranza.
Mi approccio alla vita
ammirandola da fuori.
Come un bambino
coloro la mia dei colori degli altri.
E la felicità si spande
negli abissi del mio mondo sommerso
dove il sole solo a tratti illumina
le fitte ombre delle mie grotte.
Francesca Donati
Ferragosto
Ti svegli all’alba
Col mal di testa
Vorresti ancora dormire
Ma è come se la festa dovesse ancora finire.
Provi a ignorare il martello che in te
La tua testa fa rimbombare
Richiudi gli occhi
E speri di lasciarti andare.
Ma intanto arrivano tutti i pensieri
Che ti accompagnano da sempre
E allora ti arrendi e lasci svanire ogni sogno
Ogni ricordo e ogni probabilità di dormire.
La bella serata che ieri hai passato
Non è che l’illusione
Di avere ciò che tuo non è mai stato
E la paura di perdere
Ciò che non hai mai avuto.
NOTTE
Abbraccio quel nero fitto e profondo
Mi lascio accarezzare
È fresco,
fa male.
Mi avvolge il mantello di raso blu notte
Si lascia ascoltare,
Sussurra,
parole.
Con gli occhi protesi al di là dei confini
I pensieri si sciolgono,
da massi
a spuma.
Si cullano fra i mille interrogativi
Una stella ciascuno,
brilla,
fa luce.
Quando arriva alla fine il dolce riposo
Il silenzio illumina
ogni dubbio,
deluso.
OH MARE
Seta di ombre e luci riflesse
Spuma di evanescenti e soffici bolle,
celeste di occhi, turchese di cielo,
pece compatta dopo il tramonto;
Dentro di te, oh mare, danzano i colori,
culla la vita
in un movimento di andata e ritorno,
di onda e risacca,
di marea alta e bassa;
un accompagnamento nel cammino
verso l’ignoto,
verso il futuro.
Quasi a tentoni,
in perlustrazione,
un passo avanti e mezzo indietro,
come fosse una ricarica di energie,
rifornimento di carburante.
Desiderio misto a paura dell’ignoto, del futuro.
Tu, che accompagni la vita
E nel turbinio dell’andata e ritorno,
nel tuo potente grido alla vita,
restituisci anche la morte,
corpi esanimi, corpi molli.
Tu, oh mare, che accogli insieme
Il bello e il brutto,
la pace e il turbinio,
speranza e rassegnazione,
serenità e disperazione,
perdona quest’uomo
che non ha ancora imparato a vivere,
che non sa che vivere è rispettare la vita.
Francesca Donati
Passato presente
Se i ricordi parlassero,
se avessero voce
e potessero raccontare
quel che è stata la mia vita
negli ultimi anni.
La mia vita interiore
Quella più segreta
Quella più nascosta
Quella più buia.
Se i ricordi disegnassero,
se conoscessero l’arte
e potessero rappresentare
stenderebbero colori contrastanti,
tenebrosi, cupi e angoscianti
fra i rossi caldi e i gialli brillanti
in un’altalena di emozioni
alla fine stancanti.
Se i ricordi suonassero,
una nota per ogni persona,
un accordo per ogni evento,
se potessero cantare
quel velo costante
che mi ha annebbiato la vista,
che mi ha reso l’orizzonte meno netto,
che mi ha permesso di sopravvivere
e proteggere al meglio l’anima della mia anima
la vita della mia vita.
Solo così la mia realtà
Acquisirebbe parole,
parole di una lingua universale,
comprensibile a tutti;
acquisirebbe colori nitidi
in immagini chiare,
vivibili, che ti tirano dentro;
acquisirebbe una colonna sonora
amica, avvolgente,
calda, angosciante;
e canterebbe il movimento,
la vita,
il bene, la fatica,
la solitudine amica.
Perché
Fa male pensare che non passerà
Che il fiore appassito no fiorirà
La ferita sanata non smetterà
Di ricordarti quel che è stato ormai non sarà.
E te ne stai lì da solo o con te
Ti culla quel vuoto, quel senso che c’è
Quando sai di aver tutto e ringrazi la vita
Ma ti manca qualcosa, ti manca un perché.
PERDERSI PER RITROVARSI
Mi manca il respiro
annaspo e mi giro.
Non so cosa cerco,
mi guardo intorno.
Non riesco ad orientarmi,
c’é buio quaggiù;
uno spazio infinito
così scuro e denso
che sembra stringersi
addosso a me.
Non c’è via d’uscita
Il panico incombe,
mi perdo di nuovo
mi manca il respiro,
mi perdo ancora
in balia delle onde.
Non sono più a fondo
ma in superficie.
Mi nutro della schiuma
dell’onda rifranta
che avvolge e tormenta
tutto il mio corpo,
dalle gambe alla testa,
alle viscere interne.
Come una coccola,
si schianta sull’acqua
per poi consolarmi
in quell’istante fugace
in cui riemergo
dal mare dei tuoi occhi.
Francesca Donati
A TE, A ME
Tutto è inutile. Tutto diventa necessario. Anche quel numero di telefono salvato in rubrica e da anni rimasto inutilizzato sembra aver perso ogni senso, ogni perché. E mentre a sua insaputa me lo porto dietro ogni giorno, so benissimo che non servirà. Tutto è inutile. Aprire la finestra e cercare il sole, chiudere gli occhi per vedere la luce. Non riesco più a volare, tutto è pesante, le mie ali sono ormai zavorre di braccia. Eppure lo ricordo bene come si fa: chiudere gli occhi e buttarsi col sorriso nella vita. Niente. Non ci riesco, o per lo meno non più. Tante cose son successe nel frattempo e..
Una cosa l’ho capita…
Caro tarlo, è inutile che insisti ad impegnarti allo stremo delle tue forze per rendermi la vita impossibile. Non ci riuscirai; per quanto pesante e difficile, io la mia vita la voglio vivere, e la voglio vivere davvero. Un sacco di ostacoli da superare, di battaglie da lottare, ma l’orizzonte non è mai troppo lontano, né così vicino da non permettere allo sguardo di mirare oltre.
È vero, caro tarlo, che il più delle volte mi sento persa, la solitudine incombe, e allora cado in ginocchio in atto di resa disperata e rischio di lasciarmi vivere. No, non te lo permetterò, non lo avrebbe mai desiderato, lei che voglia di vivere ne aveva da vendere, lei che mi ha insegnato ad amarla questa vita, lei che per dare la vita ha messo il mondo, il suo mondo, sotto sopra, e ci è riuscita; il suo mondo andava dritto anche sotto sopra, lei che fino a che le è stato concesso ha fatto progetti per la sua vita. Ed ha reso meno impervia la strada che avrebbe percorso chi la stava per succedere.
Ci sono cose che non si possono dire a parole. Ci sono vuoti che si riempiono solo di lacrime fino però a non colmarsi mai. Ma, caro tarlo, che mi ricordi di non essere abbastanza in grado, che mi ripeti che lei avrebbe sicuramente affrontato e gestito meglio e in maniera più efficace le situazioni, che mi accusi di non meritare di essere ancora qua, le tue parole non saranno mai abbastanza forti e penetranti da annientare la mia voglia di riscatto, anche per lei. Lei che mi ha dato tanto e che porto nel cuore così come tengo stretti a me tutti i suoi sorrisi, la sua schiettezza, le sue critiche, la sua pazienza.. e quella spalla che mi ha offerto ogni volta prima ancora che io sapessi di averne bisogno. Se chiudo gli occhi ancora riesco a sentirla soffice, calda, stabile, sicura e comoda sotto la mia testa. Non riuscirai ad annientare il bene che ancora le voglio.
Perché una cosa voglio dirtela: nella vita siamo testimoni di eventi drammatici e di cose bellissime, di incontri, di perdite, di lutti e di nascite.. in ogni situazione il cuore si gonfia: di gioia, dolore, orgoglio, rimpianto, paura, speranza.. e il risultato è sempre quello: il pianto, la commozione.. il ruolo del testimone è un ruolo ingrato. Ti dona il privilegio di non cadere direttamente nella disgrazia e la beffa di non godere direttamente dei doni della vita. Con la sostanziale differenza che il dolore, quello vero, te lo vivi appieno, nel profondo, nella tua intimità, leccandoti in disparte e silenziosamente le ferite aperte ormai da tempo; le gioie, quelle no, ti son concesse a metà e te le vivi fra il magone e l’euforia, intrappolata in questa gabbia di esplosione contenuta, sommessa, di implosione direi..è davvero un peccato portare una bandiera che si alza solo a mezz’asta, tenere in mano un testimone incandescente e non sapere chi sarà, se mai ci sarà, il compagno di squadra alla prossima stazione della staffetta. Nel dubbio però, caro tarlo, devi sapere che io non mi arrendo e continuo a correre.
Ed è in questa corsa che, tra un inciampo e un altro, tra una caduta e una ricaduta, il pensiero va a lei, il ricordo delle condivisioni, le sensazioni che ancora ho ben cucite addosso, degli scambi, delle discussioni, della complicità degna di una relazione sentimentale. Perché di questo si tratta: una vera e propria relazione. Inutile che tu, caro tarlo, insisti nel tentativo vano di sminuirla, quella era una vera e propria relazione sentimentale, a tutti gli effetti. Ed io non posso non tenerne di conto. Non posso non crogiolarmi nella nostalgia dei ricordi, e non posso esimermi dagli obblighi che tale relazione, come tutte le relazioni, comportava. Primo fra tutti “vivi e lascia vivere”…ma soprattutto vivi! Ed io ci provo, caro tarlo, in barba a te.
La vita a volte è ingiusta, a volte troppo generosa, a volta ingrata..a volte mi invade la solita tristezza e solitudine..sai caro tarlo, lei mi manca sempre come il primo giorno. Quando si perdono le colonne portanti, tutto intorno si sgretola. È proprio vero..ma io tengo duro e faccio di tutto perché non si sgretoli dentro. È dura, a volte vorrei arrendermi a te e smettere di lottare, tanto ritengo la tua posizione insensata, ma la vita che ho ricevuto in dono è un gran privilegio, quindi non mi arrendo né a te, né alla vita, e riscopro, tuo malgrado, che anche io ho delle capacità, delle qualità. È la vita stessa che me lo ricorda quando inaspettatamente, mentre sto qua ad arrovellarmi con te e con i mille dubbi che comunque riesci ad insinuarmi su di me, squilla il telefono. Una telefonata tanto chiarificatrice e veritiera che, ad esser paranoica, potrei pensare che un qualche spirito si sia insinuato subdolamente nella mia testa e abbia ridistribuito ordinandoli, i miei pensieri. Ma poiché paranoica non sono, penso ancora una volta che la vita non ha che da stupirci. Dall’altra parte del telefono una voce amica mi ringrazia per essere quello che sono, per quello che è stato, per condividere un momento nostalgico, ricordi di tempi andati ma ben chiari e indelebili nella testa e nella pancia..e allora non posso far altro che lasciarmi attraversare da quella melanconia e inevitabilmente commuovermi.. E mentre ringrazio il mio amico di sempre per avermi ricordato il bello di me, il mio pensiero torna di nuovo a lei, che vorrebbe vedermi sorridere, lei che mi ha insegnato la voglia di vivere. E dico basta a questo continuo conflitto interiore, caro tarlo, da oggi dovrai cambiare i tuoi obiettivi. Con me ci hai provato e a momenti creduto, ma sono fiera di dirti che hai fallito. Potrei dirti addio, ma non è necessario, oramai non ti temo più, posso tornare ad avere a che fare con te e sarò in grado di spiegarti di nuovo che la vita è bella, non mi fa paura il confronto. Per cui, ti saluto.
Arrivederci caro tarlo.
DONNA
Spicca tra le spighe di grano
Un papavero rosso
Forte il vento sui suoi petali
Fragile la corolla
Che alterna passaggi
Da destra a sinistra
E da sinistra a destra.
Ad ogni folata appare in pericolo
Potrebbe perdersi
Potrebbe cadere
Potrebbe spezzarsi
O disfarsi lentamente
Un po’ per volta
E i suoi petali volare
Vittime di forze estranee
E passivi di ogni decisione,
spinti in qualsiasi direzione.
Niente di tutto ciò.
Quel papavero ha radici ben salde
Il suo stelo è sufficientemente robusto
E i suoi petali così
Intenzionalmente mobili e malleabili
Che l’energia che sprigionano
È quel collante che mantiene integra la corolla,
integra nell’essenza di sé,
essenza di forza e fragilità,
essenza di assertività e dolcezza,
di comunione,
essenza di solitudine.
Si alterna il vento alla pioggia;
si alternano le stagioni,
del mondo e del cuore
ma tu resti lì
protagonista sullo sfondo
nella tua essenza di donna.