Francesca Grazioli - Poesie

L’ORA DEL TÈ

Le orbite
Le ombre
Le sagome ellittiche
Le macchine da cucire
Ad imbastire
Senza esitazione
Una punteggiatura forsennata
Senza respiro
Una scrittura vertiginosa
Senza pause né frammenti
O ritagli e ripensamenti
Un fraseggio di occhi e comunanza di intenti
Fino all’ora del tè
Quando scendono le ombre
I cucchiaini tra le dita
Di nodose mani portate con classe
E sarte anziane
Direttori d’orchestra di musicisti composti
Impugnano metalliche bacchette
Lanciandole in orbite ellittiche
Nel liquido fumante
Mescolando
Mescolando
Il silenzio sopraggiunto…


 

COSTRUIRE DIGNITÀ

Costruire dignità
Mani sporche sporchi attori
Di pulite pulite intenzioni
E argillosi cuori
Ragazzi in costruzione
Come in bianco e nero un vecchio film
Io ammiro e chiedo
Insegnami ancora ad imparare il vero
Le tue mani che seguo

Costruire dignità
Mani sporche di piccoli scultori
Tra le nove e le dieci sessanta minuti
La campana la stessa da anni
Che limita e scandisce i momenti e le ore
Leviga e smussa sorrisi muti
Io osservo senza sapere
Fotografo in seppia e in bianco e nero
Le tue mani che seguo


 

FOGLIA

Fuori. Sola stretta le sue vene.
Fredda. Del colore della terra.
Immobile.
Attende il vento per un passo.
Non si cura, non si guarda.
È morta, credo.

Quiete, mi dice.
E io capisco il silenzio di chi accetta e vive.
Stupido pensare che una foglia possa
parlare.
Stupido ignorare che la natura possa
insegnare.

Fuori. Sola stretta tra le sue vene
attende la neve.
Immobile.
Non si cura, non si guarda.
Solo
incanta.

Ci pensavo da tempo al soffiare del vento
Ci pensavo nel vento allo scorrere del tempo
Roteavo al contrario e da ferma
me stessa la lingua le mani
Ingoiando la stasi e il motore dei pensieri


 

LA DISTANZA DENTRO A UN FINTO PENSIERO

Vele che disfano solchi e nodi di cime.
Sfavillante vento d’argento non sa portare il suo amato veliero.
Lo impaurisce distratto.
Occhio di matto e scacco di animo fiero.
La mia vita in bottiglia di veliero.
Le vele candide e nuove sopra una barca
pronta
pronta davvero.
Io che mi faccio vetro.
Questa lacrima come rimmel trasparente

sottolinea lo sguardo che sgocciola
impaziente.
E contro il vetro il rimmel non è pianto
non è pianto per niente.
La cima ruvida graffia i palmi delle mani
ma il caldo che sento àncora presenza.
Equilibra gli arti concede corda governa il respiro
recupera l’onda e ritorna.
Io che ho solo te da camminare.
Legno su legno
il ponte dove vivo.
La distanza dentro un finto pensiero.
Occhio di matto in bottiglia di veliero.


 

AFRICA

Facciamo che la terra ruota ed io non ti perdo
Come la Croce del Sud all’Equatore
Ho la presunzione di aiutarti a cercarti
e non ho il coraggio di lasciarti guardarmi
Facciamo che la terra ruota e tu non ti ascolti
E temi il mio cuore lo calpesti
Ho la presunzione di aiutarti a cercarti
e non ho il coraggio di lasciarti guardarmi

Come piccolo Masai
Rosso il drappo avvitato
Il vestito cadente
Ho ripreso
Ho compreso
L’ho trovato
Nudi i piedi sul ciglio della strada

Come ci sia poi arrivato
Sopravvissuto
Il piccolo Masai nella civiltà del mai

Facciamo che la terra ruota ed io non ti
perdo
Facciamo invece che noi moriamo
Nella savana


 L’ANGOLO

Che forse un domani
l’oggi avrà nuove forme per essere ricordato
Che forse un domani
il domani avrà colori,
forbici e lustrini,
farà nuove domande
cercando nuove risposte.
La storia ci aggiusta un poco le spalle
sorride o forse sogghigna.
Noi giriamo l’angolo
che finalmente siamo a casa.

Che forse domani non avrò occhi
da lanciare indietro e ricordare,
da lanciare avanti a progettare,
e poi riprenderli
e guardarci dentro
per domandare:
Cosa c’è…
Cosa resta…
Perché…

Il giallo si fa arancione sotto e attorno al lampione
Sotto sera.
Sotto i mattoni che dal rosso portano il grigio a dormire.
La vecchia insegna della vecchia Barberia
mi ricorda che ho ore da invecchiare.
Noi giriamo l’angolo
che finalmente siamo a casa.


 

DENTRO IL CONGIUNTIVO

Se fossi un fiore per me
solo un papavero
rosso sì ma di un rosso stupido
Se fossi un albero per me
saresti un acero
le foglie larghe il palmo di un gigante
Se fossi un altro con me saresti inutile
Il tuo gracchiante ardire il tuo sottendere

Se fossi ancora magari un’ora
Se fossi un modo un tempo più finito
E allora parla per non sentirti immobile
In un silenzio che non sa rispondere

Se fossi ancora magari un’ora
Se fossi un modo un tempo più finito
Se fossi esatto cuore bambino
Ipotizzato dentro un congiuntivo

Ritornerei potessi farlo alle tue ipotesi
Stravolgerei il tuo latitare poco nobile
Affronterei con il linguaggio le tue ingenuità
Con un modo nuovo che ti condizioni