Francescantonio Liparota - Poesie e Racconti

Condanna

Ciclo circolare
della mia mente lucida,
già da bambino,
fin da ragazzo,
ora dilagante
con Nietzsche come diga.

Società che mi uccide.
Un tempo si era geni,
ora si è pazzi.

So del mio “Narciso”,
ma questi punti estensivi
sempre crescenti,
vogliono forti sponde
per non dilaniarmi
e sparire nell’onda…

…travolgente.

15/05/1981

 


 

Nuovo inizio

Sento e percepisco
l’infuso dei miei secoli

Voglio alambiccare
ciò che c’è d’eterno

E nuovamente invoco
le Muse e le Chimere

Aspettando l’Aurora
per poter tramontare

Addio giustificati anni
buon dì critico oggi

(Esibisco or ad ognuno
una suadente verità scollata)

13/07/1981 

 


 

Sole d’agosto

Son fertile terra
che accoglie semi dal vento,
però non son cagna
e mi ha chi veramente amo!

… le scrivo per continuare…
per non fermar cavalli:
prima quel di Nettuno,
ora son quelli del dio Sole,
che van verso il tramonto!

Ma a mezzogiorno
io dovrò risplendere
come fa proprio il sole
… specie in agosto!

03/08/1981

 


 

Ricordo … in profondità

Il nulla si traveste di materia.
È il suo pudore a volerlo!
La materia si traveste di nulla.
È sempre il pudore a volerlo!
Ma, in effetti, chi sono
se non la stessa cosa?
Che importa chi è nato prima…
resta il fatto che…
anche tra i loro figli
c’è lo scambio dei corpi
divisi … e separati.
Io voglio … LEI … mi appartiene!
Lei vuole … ME … gli appartengo!
Uomo dalla maschera di femmina.
Donna dalla maschera di maschio.
Così dicendo è il maschio che partorisce.
Così dicendo è la femmina che semina.
Ma pensiamo ancora un po’…
E sì! Sono la stessa cosa!
Cosa? Vuoi la guerra!
Voglio la guerra!
Sacrosanta guerra tra i sessi!
Ma allora io che sono uomo
e questo corpo tuo o non tuo
… Sì! È più virile … più libero!
E per menzogna e menzogna…
aaahhh quanta è bella e liberatrice
questa santissima menzogna
… anche in tempo di pace.
Viva la menzogna!
Viva la vita!

18/08/1981

 


 

Punto

Da questa alta rupe
ricordo ciò che vedo
coi miei occhi d’aquila…
dal più ‘fondo degli abissi,
dalle più estreme diramazioni della terra,
dalle più alte alture sino a me.

E scalerò ancora fino all’ultimo respiro!

Sono così giovane
e vedo così tanto!

Avrò un futuro certo da vertigini!

Nella carne e nelle vene
sento fremere “il Filosofo”,
ma se non sarò…
darò il mio “testimone”…
… sempre che…
… a mio figlio!

Ma prima c’è la dovrò metter tutta io!

07/09/1981

 


 

Solo così!

Un dì domandai:

“perché questo mondo
invece di un altro?”

Si potrebbero pensare
altri tipi di mondi.

Ma con sguardo lontano
mi sono convinto:

“questo è l’unico mondo
che giovane e forte
più in là non può andare
e torna daccapo
col suo invecchiarsi
… a tornare bambino
e ricrescer di nuovo
più giovane e forte!”

03/12/1981

 


 

Che importa morire

Che importa morire
se sai che Dio racchiude te
e oltre me tanti uomini e cose
diverse da te
se sai che in Lui c’è tutto il passato
e ci sarà tutto il futuro
e quel che conta è che c’è tanto presente
svariato e possente
sempre più possente
con alti e bassi in una continua bramosia
di chiudere quel cerchio
che se fossi Lui non chiuderei mai.
Che importa morire
se sai che non morrai
che vivrai in Lui come hai sempre vissuto.
Anche tu sei Lui
un frammento di Lui
e a pensarci bene frammento io vorrei restare
ma dovrò morire e continuare a vivere in Lui
completando un infinito puzzle.
Sì! Vorrei come Lui cominciare da nulla
a creare un impero sempre più potente
e nei cicli storici in cui ci furono decadenze
… “riposare” … per poi alzarmi
più forte di prima
combattendo con la spada in pugno
e … comunque…
che importa morire.

13/03/1982

 


 

Chi vuole vedere la mia anima

Ho scritto tanto …
Per me … non abbastanza …
Ma di nudità se ne vede già.
Chi vuole vedere la mia anima?
Ho sempre pensato
alla mia future sposa
che un dì lei
avrebbe visto cosa c’era
sotto l’apparenza del corpo
con questi scritti
che a volte a qualcuno
sembrano inutili
ma io ho voglia
che qualcuno legga la mia anima.
Non so cosa ne penseranno i miei figli
ma io ci tenevo tanto
che li vedesse la mia sposa per sempre
Ma lei li ha visti
senza guardarli
o meglio non vuole vedere me
attraverso le parole scritte
ma con la parola e i fatti
della vita che noi assieme viviamo
ed allora mi dico:
perchè continuo a scrivere?
Chi vuole vedere la mia anima?

04/04/2002

 


 

La ruota della vita

Gioisci finché puoi!
La ruota pesantemente
ti schiaccia sul suolo
e tu non disperi
perchè ruotando
un’altra parte di ruota
andrà col tempo
a schiacciarsi sul suolo
e quando sta su

“Gioisci finché puoi!”
perché col tempo
ritornerai sotto la ruota

Gioisci finché puoi
quando stai in cima
e non pensare
a guastarti la festa
pensando che poi
tu andrai sotto
e chi sta sotto
starà dove sei tu ora

Gioisci finché puoi!

25/01/1984

 


 

66 … quasi

M’incroci con leggiadria
muovendo il viso
con un lieve sorriso.

Poi mi scruti a fondo
… avvicinandoti …
e mi vedi smunto
non più giovane ormai
e ti scompare
quel blando riso.

E io che dentro di me
Sento e lo sono
Un sempre verde.

Conosco la sconfitta
dei miei tanti anni:
66 … quasi.

25/02/2023

 


 

 


 

Avventura a lieto fine

Ricordo con sollievo
i giorni tenebrosi
quando incurante scesi
nel fondo dell’abisso.

Stavo per restarci
ma volli risalire,
l’aria mi mancava
e io salivo ancora,
finché, ecco respiro.

Le ali mi ritrovo
ed ecco che io volo
nel cielo d’aria azzurrina,
fresca e profumata.

Il tetro e buio abisso
ora non vedo più.

Io volo, sempre volo,
cercando delle nuvole,
che rendono me eterno,
nella continua fine,
nella continua nascita.

21/01/1981

 


 

Sirene

Dolci creature
e melodiose fanciulle
sprizzate e scintillate
sentendovi regine.

Col vostro “canto” soave
attirate irresistibilmente
quegli sperduti “naviganti”
che ingenui vanno giù.

Come ad una corsa ad ostacoli
correte verso il traguardo
rinvigorendovi ad ogni intralcio superato
… ma quand’è che spezzate il filo?

“Com’è che quello …” dici
“non sente il mio fascino?
Eppure son bella
e già ho mille ostacoli alle spalle”.

3/10/1981

 


 

Poesia surrealista 2

Com’è che la musica
Beata e angelica
Vola in alto vibrando
Note diaboliche
Come l’anima suprema?

Or dunque sei lì
Appostato, chissà dove
Per paura del mondo
Circondato di niente.

Sei il solito sbruffone
Che minacci i “torelli”
Del chiassoso universo.

Malachia ti brama
Tommaso ti incendia
Vile e verme sei
Come un accattone.

Fatti vedere e trema
Poiché arriviamo noi
FIGLI DELLA NOTTE
Ad oscurare le tenebre.

05/10/1981

 


 

Aquila – passerotto

L’aquila che oggi è
Fiera e dissoluta
ha conservato intatta
la vecchia carcassa d’anima
di delicato passerottino
debole e incerto.

È questa la sua forza
nella debolezza
ha costruito l’Aquila
che sempre più altera
vola irraggiungibile
sopra infinite teste.

Sfila senza armatura ormai
le si è cucita addosso
e i più vicini a lei
scoprono cosa c’è sotto
l’anima sensibile
di un commovente passerottino.

08/10/1981

 


 

Qual è il mio destino?

Qual è il mio destino?
Cavalli argentati
fluiscono in piena..
Un solo bagliore
mi spiana la via,
ma spegnendosi sta
e tramonta la sera.
Domani … domani…
Qual è il mio destino?
Voglio io al traguardo
portare il mio scettro.
Lo voglio, lo sento,
ma sono senz’armi.
Un Dio, un qualcuno
m’aiuti, vi prego.
Ma senza risposta
rimane il mio acuto.
Soltanto parole
qui restano scritte.
Sarò allor poeta?
Aspetto … aspetto…
Mi rimane: “Aspetto”.
…………………

../../1981

 


 

Fuoco Terra Acqua e Aria

Spiraglio di luce
esploso da un sole accecante
riscaldi, accecandomi,
il mio corpo e la mia anima.

Tesoro inestimabile
che come una cometa nel suo viaggio
si consuma vicino all’astro rovente,
dai bellezza e non rimani mai povera.

Inestinguibile fonte
che fa scorrere fiumi dirompenti
con cascate fragorose,
mi assali con la ferocia di un tenero gattone.

Fiero aquilone svolazzante
che mostra la sua esuberanza
ti leghi a quel filo tenuto
con gioia dal tuo fedele pilota.

Questa, sei tu per me,
mio vero grande amore Vincenzina.

14/02/2019

 


 

Vorrei vivere in un mondo …

Vorrei vivere in un mondo
dove tutto è gratuito.

Vorrei vivere in un mondo
dove tutto è amore.

Vorrei vivere in un mondo
dove tutto è bello.

Ma vivo in un mondo
dove ogni piacere si paga
dove esiste anche l’odio
e dove vi è anche la bruttezza.

Io spero nell’aldilà allora
ove poter avere quello che
in questo mondo manca:
la gratuità, il solo amore e la sola bellezza.

06/12/2021

 


 

Allora Amen

Quando il tempo diede inizio all’essere
nel più bello degli universi
la tentazione diede luogo ai tanti
e Lucifero non fu più il più bello.

L’infinito sarà finito
e se è finito, tutto ciò che si muove resta fermo
eterno ritorno con la sovrapposizione
degli attimi vicini che non si toccano.

Le sfere stanno tutte attorno
al Dio-marchingegno che non può che essere e non essere
e nella contemporaneità
Lui vede i fotogrammi girare.

Se al centro di un orologio analogico
ci fosse una lancetta a forma di crocifisso
il Cristo mostrerebbe la sua destra
e la lancetta girerebbe antioraria.

Se a nessuno importerà
il mio sgorgo di poesia
nessuno scoprirà mai
il mio più grande segreto.

Allora Amen!

11/08/2022

 


 

Flusso continuo

Un flusso continuo
proviene da colui
che nella simultaneità
fa nascere e morire il tempo.

Egli è centrale e irradiante,
riceve e dona.

Potrebbe essere l’unico
quell’universo perfetto
tra miliardi di miliardi
ma a ben vedere
sono tutti perfetti gli universi
perché il flusso continuo
usa la logica e lo scopo per ogni cosa
anche se, a volte, essi risultano incomprensibili

e allo spettatore non esistente di questa realtà
l’universo potrà apparire perfetto
come quell’angelo caduto
e mai più rialzatosi.

25/08/2022

 


 

Sincronia dicembre ’79 diacronia

Se guardo la mia nuca
un filo embrionale mi tiene legato
a quell’infanzia e poi all’adolescenza
il nulla comincia a diventare essenza
il mio io si trasforma più di molte volte
forze tumultuose fan sì che
la stella di neve diventi valanga
“Nel primo quarto del cammin di nostra vita”
mi ritrovo a voler cancellare il mondo
e con esso me stesso
e … se l’invincibile nemico vincerà
io passerò su questa terra come l’immagine di un sogno.
Muse
Chimere
Cavalli alati
A I U T A T E M I
il mio grandioso io
divenuto tale con tanta fatica
vuole marcare o solcare un campo
con il suo stupefacente aratro.
Voi parole di più imploro
voi che tutti esaltano
voi dilemma dei saggi
S O C C O R R E T E M I
e le dolci impressioni mie
tramutate in POESIE.

Dicembre 1979

 


 

Odissea

Per millenni senza,
poi in groppa ad un puledro
… ora stallone,
che … chissà se morirà.
Da piccolo su di un cavallo a dondolo,
in seguito rubai un cavallino in cielo
e con lui in cerca di me stesso
viaggiai nel mondo della fantasia
e gl’ideali erano i miei nemici,
che uccidevo con leale astuzia.
Nei miei occhi meravigliati,
una stilla di nostalgia si nascondeva da sempre,
ma come fare, ditemi, a farlo tornare a casa?
Ormai era cresciuto e briglie non aveva.
Ma … adesso che succede?
Per i possenti Dei!
Sono a casa mia!
Guardate, è proprio casa mia!
E proprio come Ulisse, in veste di accattone,
entro all’interno della mia dimora.
Ma quando uccido i Proci
riecco il mio cavallo pronto a ripartire.
Faccio in un baleno e lego l’equino a un palo
e come dentro un circo lui gira sempre in tondo
e io, l’equilibrista, saltello e punto in alto
davanti a cavalieri di dondoli e di cavalli veri.

1980

 


 

Destriero biondo

Riparato da uno scudo di menzogne
vado avanti su d’un destriero nero.
A destra porto in mano anche una lancia
per colpir proprio nel cuor i miei nemici.
Il mio Io non Ti teme oh dea Nemesi
devo mille e mille azioni ancor d’agire.
Come puoi Tu frenar l’ardito slancio
se vogl’Io imitar proprio gli dèi?
Tengo in gran conto i centomila dèi
e sfonderò un dì le corazzate mura
per esser in mezzo a Voi immortalato
superando con astuzia e forza i Vostri ostacoli.
Ti amo e Ti odio Madre nostra
e delirio che luce vedemmo …
a imparare l’eterna gioventù
per servirtene dopo spenta la luce.
MORTE non voglio scrutarti MADRE
pur resta solo DONNA
sensuale come sai essere e …
t’obbedirò per l’implicità del seme …

Dicembre 1981

Un primo abbozzo di me

Io sono il cielo
con tutte le sue forze
nuvoloso a volte
tempestoso altre
e poi sereno
con il mio sole splendente
che illumina
… te che sei la terra
e accetti il mio tepore.
Bizzarro e bizzoso sono
nel mischiar nelle quattro stagioni
con la mia imprevedibilità e incoerenza
venti furiosi a raggi solari pungenti
afe insopportabili a piogge dirompenti.
Però so poi esser
anche tanto caro
con le mie giornate
tranquille e accattivanti
e le notti stellate e sicure
pur sapendo di perdere qualcosa
in questa mia felicità
nelle tante stelle cadenti
che si perdono nell’immensità dell’universo.

06 giugno 1982

 


 

Tempestosamente tu

Sei una tempesta
un uragano a volte
eppure so solo ricordare

giornate terse e tranquille con te …
ed assaporare io
quel sole luccicante
come fanno certi vecchi
quando è inverno
Ora quel sole
volge il suo sguardo verso ovest
e nel paragone col mattino
mi sembra come quello d’agosto
pronto a scaldarti a più non posso
libero finalmente d’essere sé stesso
tranne quando arrivano
quei grossi nuvoloni di passaggio
ma io so che passano in fretta e sorrido
perché lasceranno un’aria fresca e pura
e tutto ricomincerà con più forza
anzi volevo dire con più amore.

12 febbraio 2002

Serenella

C’erano una volta un re e una regina, che regnavano su di un’isola in mezzo al mare. Avevano diciannove figlie, che erano metà donne e metà pesci: insomma, erano diciannove Sirene. Tutte possedevano un canto così dolce e melodioso, che i naviganti, attratti dalle loro voci soavi e vellutate, si tuffavano in mare per prenderle, ma esse abbracciandoli, li portavano giù sott’acqua, facendoli annegare in quella grande distesa, che era persino più blu dello stesso blu. Ognuna, arrivata a una certa età, sposò un Tritone, tranne l’ultima, che non essendo riuscita ancora a sedurre e quindi ad annegare un Pirata era condannata a morire o a trasformarsi in roccia.

Serenella (questo era il suo nome) riuscì comunque a rimanere in vita, dicendo a tutti che stava attirando col suo canto un Pirata “sordo” che capeggiava una nave ormai senza uomini, poiché le sorelle li avevano fatti annegare, a uno a uno. Ogni dì, lei, affiancava il suo veliero per cantare e, il Pirata divertito, con la sua voce bella e melodiosa, dimostrava di saper cantare più di lei.
A un certo punto Serenella, da tutti soprannominata Ireos, per via dell’odiato profumo di violetta che emanava quando qualcuno le si avvicinava, fece funzionare meglio il cervello e, pur di non morire o di non essere trasformata in un misero sasso, propose al Pirata di rapirla. Lui accettò, anche perché come un qualsiasi Pirata che si dica tale, l’avrebbe fatto in ogni caso.
Serenella ne fu felice ed era quasi fiera di appartenere ora a un uomo che per di più era un Pirata anziché un Tritone e, anzi, ai suoi occhi, ormai i Tritoni sembravano così stupidi e sciocchi da compatire le sue care sorelline che li avevano per mariti.
Di questa felicità però, si rammaricava innanzi tutto di non potersene rallegrare proprio con loro, e poi di dover sopportare le razzie del suo Pirata, il quale tuttavia rimaneva per lei l'unico, solo, immenso e intramontabile AMORE.

05 ottobre 1981

 


 

Elyn

C’era una volta una goccia chiamata Elyn, che come quasi ogni goccia, cadde dal cielo e andò a finire nel mare. Lì si divertì moltissimo, giocando incessantemente con le onde che andavano su e giù.

In un giorno di quiete, in cui il mare era calmo e tranquillo, Elyn fu inavvertitamente ingoiata da un pesce che, dopo averle rubato la luce che il sole le regalava ogni dì, la rimise nuovamente nell’acqua bluastra.

Non sapeva perché, ma ora si sentiva diversa dalle altre gocce, e non le andava proprio più di ritornare con loro a giocare con quelle pur divertentissime onde. Così scese giù, giù e ancora giù, fino a toccare il fondo marino, dove trovò una grossissima conchiglia che, aprendosi e richiudendosi, fece intravedere una meravigliosa perla gigantesca.

Rapita da quel fascino, Elyn tentò d’aprir lo scrigno ma, vano il labil sforzo risultò. Allora salì su, su e ancora su per riavere di nuovo un poco d’aria, per essere almeno apparentemente pari alle sorelle, ma, spuntando fuori dall’acqua con la testa, vide in lontananza un’immensa isola, contornata da una soffice spiaggia grigiastra.

Là si ergeva alta, irta e maestosa, una montagna con la cima a punta che risplendeva al sole.

Elyn a quella vista, si adagiò sulle onde, che lievi e placide la condussero sulla riva, ma prima di toccare terra, sentì sfuggire in acqua una sua lacrima.

Il tempo scorreva sempre lento e lei, seduta sulla sabbia, mirava il grande mare che riparava sotto il gran manto la splendida conchiglia dalla bella perla. Poi si alzò girandosi, levò in su il capo e dopo tanti passi avanti e indietro, decise di salir lassù sull’alto monte.

Più su andava e più freddo aveva, ma proprio ghiacciarsi era il suo scopo.

Guardava giù milioni di volte, sperando che il gran mar le restituisse la sua lacrima perduta.

Un dì coi suoi enormi occhi la vide, cioè per meglio dire vide dall’alto che il mar dava alla spiaggia una conchiglia.

Il tempo ora correva più veloce e perciò si affrettò a scender giù e a uno, a due o a tre passi, lì si aprì lo strano scrigno, simile a quello lasciato in fondo al mare, ma molto più piccolo e non del tutto simile al suo ricordo.

Ne venne fuori una gran dea, di una bellezza così sfavillante che nessun artista al mondo avrebbe mai saputo riprodurre: capelli biondi e tempestosi, sfioravano i suoi seni e le sue spalle e, poi e poi … e poi.

Sì! Era la sua antica lacrima, nonostante non si mostrasse bruna con capelli neri luccicanti e gli occhi anch’essi neri come il più profondo dei mari.

E poi, dalla bocca dell’ormai non più Elyn, rinominatosi Eros dopo la lunga e faticosa trasformazione, uscì solo un: “T’aspettavo”. Avvicinandosi a quella soave creatura la prese per mano e la condusse in un gran palazzo, ai piedi del monte, dove avrebbe potuto conservare più a lungo la sua incantevole e rigogliosa bellezza.

In seguito, mentre i giorni sereni e tranquilli si susseguivano uno dopo l’altro, con Eros che continuava a salire sempre più in alto, l’innamorata abitatrice della reggia dai giardini pensili imparò volentieri a ripetere ciò che Eros le gridava da lassù e … e tutto questo … è AMORE.

Novembre 1981

 


 

L’ultima Eva

L’ultima Eva sarà una bionda

che ama l’altro sesso e non sé stessa.                                                                                                                             

C’era una volta un re che, ogni mattina, col suo destriero nero-bagliore, andava a caccia da solo, nel verde, ombroso e profumato bosco.

In una di quelle mattine, davanti al sovrano sbucò da sotto terra uno gnomo che, con mille riverenze, gli consegnò un cofanetto vuoto, tutto d’oro massiccio e interamente incastonato da preziosissimi rubini e brillanti, da porgere in omaggio al futuro ereditario principe Rances per il suo diciottesimo compleanno.                                                                                                                   Lo gnomo raccontò alla Maestà Reale la storia di un altro cofanetto: “È del tutto simile a questo”, gli disse, “solo che l’altro conserva ancora un contenuto molto molto misterioso e, in passato, fu posseduto prima da un’incantevole nera regina africana, e poi dalla fulgida regina europea con pelle color latte, lunghi capelli scuri-fluenti e meravigliosi occhi nero-perla. Ora appartiene a una biondissima principessa dagli occhi color zaffiro sempre in giro per il mondo, quindi difficile da rintracciare.”         Il re riferì tutto al principe, che partì subito in groppa al suo bianco stallone alato e selvaggio per cercar per monti e mari quella beltà che tanto mistero recava con sé.

Così, galoppando oggi e pur domani, incontrò in riva a un fiume una fanciulla, che appena lo vide corse via svelta e con grazia, come una gazzella, scomparendo nel fitto bosco.                         Il principe la rincorse per un bel po’, per poi desistere quando sparì ai suoi occhi.                               L’avrebbe voluta accanto, sopra il suo cavallo, ma cavalcò solitario per giorni, incontrando mostri e barbari che dovette uccidere con la sua tagliente spada.      In mente aveva ancora fissa la sua meta, che era quella e sempre quella di prima, cioè trovar la bella principessa che come lui aveva quel cofanetto.                                                                         Una notte, al chiaro di luna, vide uscire da un lago una giovinetta che, vestita solo d’ombra d’una nuvola lassù, le sussurrò: “Vieni!”.     Il principe dapprima andò, poi si ritrasse, allontanandosi lento da quella beltà perenne.                 

La ritrovò un altro dì e da lei andò dicendo: “Sì, arrivo!”.                        

Stettero insieme attimi o giorni, ma quando lei gli rivelò dov’era colei che cercava, lui si rimise in marcia verso la sua sola meta, lasciandola triste e sola a rituffarsi in quel chiaro laghetto.

Dovette infilzar con la sua spada ancora barbari e mostri trovati sulla via, e la tanta e sospirata ricompensa a ciò arrivò d’improvviso quando un dì la vide.

Più bella di quant’era stata decantata gli apparve lì vicino proprio a due passi. Così Rances, sceso da cavallo, le parlò con fare molto cortese, guardando prima dentro il cofanetto aperto che lui teneva in mano e poi negli occhi della fatal creatura.

Lei non sapeva se quello scrigno era vuoto, ma in realtà qualcosa c’era ora, forse il regalo della fanciulla del lago.

A ogni spazio di quel dir del principe, l’incantevole biondina rispondeva: “Certo!”, e anzi per esser ancor più convincente, lo precedeva parlando con opinioni portate da quel caldo vento venuto da lontano, dal lontano oriente. Questo perché, anche se lei in mano mostrava il proprio scrigno, chiuso esso era, come lo era sempre stato, e quel figlio di re nulla saper doveva di tale segreto.

Parlarono finché calò un mieloso velo di silenzio, che li portò a stringersi in un sospirato abbraccio.

Dopo aver unito i loro cuori, con gli occhi ancora sognanti, decisero di unire i loro regni; quindi montarono sul bianco cavallo alato e volarono verso molti giorni d’infinito AMORE.

Gennaio 1982

 


 

Arvin

 

“Talvolta pochi uccelli, un cavallo,

salvarono le rovine di un anfiteatro.”

J.L. Borges

“Se un giorno si vuol essere una persona,

bisogna tenere in onore anche la propria ombra.”

F. Nietzsche

“(…) perché dicono che non è lecito che uno uccida se stesso,

o Socrate? (…) per  alcuni è meglio morire che vivere,

(…) proprio per questi non sia cosa santa procurarsi il bene di per se stessi,

ma occorra aspettare un altro benefattore.”

Da “Fedone” di Platone         

In fondo Arvin si convinceva di qualcosa solo per poterla scrivere, e assicurarsi così l’immortalità.      Era un giovane studente universitario, amante di Schopenhauer e assiduo lettore di Borges; al contrario di me, che amo Nietzsche e preferisco avere come amico qualche libro di Hesse.                                  A dire il vero Arvin era proprio strano, un tipo che credeva ancora alle favole, con la sua solita frase: “tutto è possibile”.                                        Un giorno mi raccontò una storia veramente incredibile, confidandomi di non volerla scrivere, se non più avanti, forse.

Era molto pigro, e lo infastidiva tantissimo andare in biblioteca per documentarsi, come appunto avrebbe dovuto fare per approfondire le fedi dei popoli sulla vita dopo la morte, per scrivere quello che lui già immaginava come un capolavoro.

A me, di contro, il racconto non sorprese, anzi mi lasciò del tutto indifferente. Ciò che piuttosto mi colpì era la convinzione a figurarsi quella storia, che poteva reggere forse solo in letteratura.

Lo vedevo in preda a un evidente turbamento mentre continuava a spiegarmi la sua tesi che, se fosse stata esatta come lui pensava, avrebbe addirittura cambiato la vita (o non vita) dei morti.

“Oggi come oggi” – diceva – “se si ritiene che non ci sia niente dall’altra parte, effettivamente non ci potrà mai essere niente. Ma se …”.

A quel punto lo interruppi, ricordandomi una breve poesia scritta da uno dei più insigni pensatori che la storia abbia mai avuto:

Nell’oblìo stanno i morti

Aspettando un Paradiso

E siamo noi vivi

Uomini

Che dobbiamo creare l’Eden

Non qua in terra

Beninteso

Ma lassù

Oltre i ghiacciai

A prescindere dal dubbio che avevo sul significato vero e proprio della poesia, restai comunque della mia opinione: non si poteva credere a una storia così assurda. Il racconto parlava di un pastore che viveva in una vasta campagna erbosa e profumata assieme a sua madre e una pecora. Una mattina egli riuscì a trovare, come d’incanto, il modo per visitare l’aldilà, pur non sapendo ancora come ritornare. Ma la voglio proprio raccontare, o per lo meno riassumere, questa geniale (per Arvin) storia.                                                 All’alba di un giorno, Arvin, nel pieno del suo ozio, fu colto da un pensiero ossessivo che lo perseguitò finché non decise di mettere in atto il suo disegno.  Dal detto popolare, udito certamente dal padre che dava tanta importanza alla volontà, sviluppò il suo fermo proposito di  trovare il modo di scomparire dalla realtà. Fece dunque un’incursione durante la notte negli edifici del Paese di residenza, per rubare e bruciare quelle carte che attestavano la sua nascita. Quindi in solitudine pascolando l’ovino, aspettò pazientemente la morte naturale della madre (il padre era già deceduto da qualche tempo), e poi uccise la sua pecora.                        

Rimasto solo, poté finalmente eseguire il suo fantastico esperimento. Tralasciò il fatto che, se anche le cose inanimate potevano esse stesse attestare che lui faceva parte del mondo della realtà, come la terra e l’erba calpestata, i vestiti indossati, gli utensili usati, il suo stesso corpo e la sua povera casa con i pochi mobili che l’arredavano, queste lo erano in modo molto più labile e quindi inefficaci a frenare il suo intento di sparire dal mondo reale.                                                              Quando tutto fu pronto si mise in mezzo alla stanza, immobile e con gli occhi chiusi concentrandosi intensamente di non essere mai venuto al mondo. Se ne convinse a tal punto che, dopo un po’, si trovò in un’altra dimensione, in cui poteva vagare nell’aldilà rivivendo una seconda Divina Commedia.    Nel vederlo, gli abitanti di quel mondo, vollero affidargli informazioni da portare sulla terra, senza sapere però che non conosceva il modo di farvi ritorno.           Arvin mi disse che, nella sua futura composizione, avrebbe riportato solo i messaggi dei personaggi più illustri e affascinanti.           Naturalmente il pastore, pur beandosi di tanta considerazione, capiva ben poco di ciò che gli veniva detto; tuttavia il lettore avrebbe comunque avuto l’occasione di leggere testimonianze veramente interessanti.            Arvin mi raccontò ancora che anche quel mondo era suddiviso in Stati, e in ognuno di questi le anime vivevano le stesse tradizioni e le stesse credenze che il proprio popolo aveva sulla terra. Lo scritto si sarebbe poi concluso con una pennellata di rosa, poiché lui aveva riconosciuto in quelle anime il viso celestiale di una fanciulla che aveva sognato spesso e che, constatò, sarebbe stata il suo tramite per ritornare alla sua esistenza. E infatti, poco dopo averla vista, si ritrovò di nuovo VIVO nella sua misera stanza, in piedi, immobile e con gli occhi chiusi.    Al termine del racconto lasciai Arvin coi suoi cupi pensieri e lo rincontrai casualmente solo qualche sera dopo. In quell’occasione mi confidò di essere depresso e che il suo stato d’animo era legato alla rivelazione della verità. Essa gli si era presentata come una bellissima donna e, se la voleva, doveva morire. Quindi eccitato, mi pregò d’ucciderlo, dicendomi che da solo non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo. Io gli risposi, con tutta la comprensione che si suole usare verso certi tipi sensibili, che anch’io conoscevo la verità che gli si era svelata, e che anche quella rivelazione aveva un unico ma grosso neo, cioè il NON doversi uccidere, perché quella manifestazione  pretendeva di non poter recare violenza neanche verso sé stesso. Perciò, poiché per attuare il suo disegno doveva chiedere a qualcun altro di farlo al suo posto, io non ero disposto ad accontentarlo. Doveva quindi assolutamente aspettare di ricevere la grazia della sua liberazione dalla sola e unica e vera liberatrice: quell’incantevole e macabra femmina, che é appunto la MORTE. Non ci fu bisogno di aggiungere altro, perché lui capì. Così me ne andai, lasciandolo al suo destino.        Allontanandomi però, mi ritrovai a pensare a quella fragile figura: voleva un aiuto proprio da me, che son sempre stato il suo più tirannico nemico.

10 novembre 1981

 


 

Armando

Strane cose accadono
nelle notti di luna piena.

È sera tardi quando Armando, avvolto dai suoi spiriti diletti, comincia a credere, eccitato, a un’idea nuova e fantastica, e nello stesso tempo logica e inesorabilmente vera, anche se niente e nessuno al mondo potrà mai provarla con i fatti.

I suoi migliori amici sono Nietzsche e Borges, ma anche con tanti altri passa il suo tempo, come con Blake, Kafka e Joyce, per non nominare i santi nomi di Omero, Virgilio e Dante, da cui apprese in passato mille verità, o forse una o nessuna. Queste l’hanno portato a essere l’uomo dal viso glorioso e dalle cosce d’oro, del quale parla la Bibbia a proposito del settimo sigillo, nella ridicola, quanto puntigliosa, raggirante Apocalisse.

Armando è una persona semplice, e anche se capisce tutto ciò che viene detto con grandi paroloni o con simbologie astratte, traduce tutto con quel suo lindo candore semplicistico, tanto d’apparire, a volte, un ragazzino ingenuo che fa da professore con degli argomenti molto più grandi di lui. Agisce così per far intendere a chiunque quegli incomprensibili geroglifici stampati su pagine ingiallite come oro (non disubbidendo del tutto, malgrado ciò, al gran maestro Nietzsche, il quale raccomanda a ogni autore di far solo intravedere “la notizia”, senza spiegarla, lasciando al pubblico “l’intesa” e quindi il gusto d’apprezzarla con l’intuito).

La sua nuova idea, leggibile più sotto, è intrisa di un miscuglio molto lineare di tante verità ricucite insieme, che lui stesso a volte dubita d’aver capito bene, avendole decifrate da concetti e introspezioni dei vari scrittori a lui più congeniali, e delle proprie aggiunte, nate dalla “digestione”, per poter mettere la sua firma con soddisfatta grazia ed eleganza.

“Noi abbiamo cinque sensi” – inizia – “udito, vista, tatto, olfatto e gusto. Chiunque comincerebbe a dire che ci servono per udire, vedere, tastare, odorare e gustare. Pochi continuerebbero a asserire che con una più viva partecipazione del cervello, l’uomo potrebbe anche scorgere facilmente l’altra faccia della luna, quella a noi preclusa eternamente dalla sua insistenza a non volercela mostrare. Basterebbe invece saperla corteggiare con pazienza, affetto e passione, senza abbandonar la presa, quando lei, con vanitosa ritrosia, scompare piano piano nel fitto cielo stellato, e a quel punto strapparle il suo indicibile segreto.

(La luna è cosa strana. Compare intera o a pezzi e, a ogni ciclo, si spoglia e si riveste. Solo col matrimonio si può, però, avere.)

Scegliamo la “vista” e iniziamo con l’osservare il sole protetti da scure lenti. Notiamo che esso ci porge il chiaro giorno, spuntando in direzione est il mattino, per scomparire a sera dalla parte opposta, dopo aver raggiunto, altissimo, il centro della cupola azzurrina. Allo stesso modo noi, che dischiudiamo gli occhi a ogni alba, come boccioli di rose, dopo averli abbassati, stanchi, nell’ombra del crepuscolo, nasciamo e poi moriamo, per tornare a nascere e morire, eternamente, con un uguale destino, una volta che la nostra “volontà di potenza” ci ha portati altissimi, sul nevoso picco di un superbo monte.

A questo punto subentra, come protagonista della nostra argomentazione, il tempo, volendo noi andare ancora più in là del puro corpo nudo di donna che abbiamo sotto i nostri occhi.

Fermiamo in quest’istante il nostro presente e guardiamo il nostro passato, che immaginiamo anch’esso fermo, come fa una diga che blocca l’irruenza del fiume il quale vorrebbe fluire verso il mare aperto, per poter capire meglio l’idea straordinaria che ora espongo, anzi, tramite la sola mia macchina del tempo (i ricordi), trasferiamoci insieme su qualche numeretto di un vecchio calendario strappato da un muro e oramai scolorito.

Eccoci nell’anno 1978 e lì, da quel fioraio, c’è Armando (io con qualche anno in meno), che sta per comprare delle splendide violette da regalare a una ragazza bionda per il suo onomastico.

Ma facciamo scivolare più a valle l’immobile istante, e assistiamo per un po’ agli sviluppi di questa iniziale, tenera storia d’amore. Metteremo poi una nuova diga, quando molto soffusamente i loro rossi petali si saranno sfiorati delicatamente.

La serata è piovosa e Armando, imbarazzato dal fatto di girare per le vie della città con dei fiori in mano, si sta fermando dentro un gran portone, per nasconderli sotto il suo impermeabile nero.

La gobbetta di viole sul cuore l’ha reso sereno: può quindi ancora una volta riavviarsi verso la bionda ragazza che dovrà incontrare.

All’arrivo Armando, porgendole l’ormai sciupato dono floreale, la invita a una lunga passeggiata sul romantico lungomare cittadino, assicurandole, prima di rincasare, una deliziosa cena con dessert.

Di strada già ne hanno percorsa molta, stando in silenzio a far parlare i loro cuori. Stanno ora fermi, scesi su una piccola banchina portuale, dove le onde nere del mare fanno danzare fievolmente gracili barchette.

Intanto la pioggia si fa più minacciosa e loro, sotto l’ombrello, stretti in un solo abbraccio, guardano per un po’ l’effetto straordinario verificatosi dall’impatto col mare dei grossi goccioloni, che calano giù a piombo. Poi, girandosi di nuovo l’uno di fronte all’altro, si toccano lievi … e qui inizia un’altra storia.

Tornando a quel primo istante lasciato ben fermo da una massiccia barriera cementizia, soffermiamoci nel momento in cui io, giovane innamorato, mi trovo a comprare viole.

Allunghiamo gli attimi di questa breve scena della mia vita e addentriamoci ben bene nella vivisezionata verità.

Nel posizionare il momento successivo nell’istante in cui Armando sta per proteggersi dentro il gran portone, ecco che, mentre Armando è lì ben riparato, un altro Armando compra delle viole, e quando Armando arriva dalla bella, quell’altro Armando è dentro il gran portone e un altro ancora compra delle viole, e così via, finché, lui e la bella, si toccano lievi.

Se proseguissi col seguito di questa storia si capirebbe bene che gli Armando continuerebbero a rincorrersi, come del resto quanti, prima di ogni attimo della sua vita, seguitano ancora nel suo presente a inseguirsi ignari gli uni degli altri.

Ed ecco così eternato l’attimo, e reso “infinito” l’uomo.

Il sole percorre un arco di cerchio durante il giorno, e di notte scompare, per risorgere ogni mattino, eternamente, percorrendo nella notte un altro arco, formando così un ciclo.

Si deve tenere conto dell’arco di cerchio che percorre il sole durante il giorno e, senza sapere di notte dove va a finire (dall’altra parte della terra), risorge ancora, per sempre.

(Si può intuire che nella notte il sole percorre l’altro arco e quindi forma un “cerchio”.)

Non curiamoci del fatto che è la terra a girare intorno al sole (ci penseremo con calma dopo, quando divinamente avremo afferrato il concetto) e ricordiamo se c’è già capitato in certi momenti di avere sensazioni profetiche, di sapere cosa succederà poi, di prevedere prossimi attimi. Ma detto ciò, lo so, andremmo in crisi, perché sarebbero ipotesi e solo ipotesi, fra tante ipotesi.

Siamo perciò governati dal sole unicamente di giorno. La notte di esso vediamo il riflesso stampato sulla luna, che ammiriamo vestita e seminuda, nuda e semivestita.

Con la vista abbiamo guardato il sole e siamo riusciti a farlo parlare tramite il giusto funzionamento del cervello. Ora si potrebbe provare, facendo uso di un altro dei nostri sensi a far sì che una qualsiasi cosa parli tramite l’ottima collaborazione della nostra infaticabile mente.”

Da 04 novembre 1982 ad aprile 1983

 


 

Il pitone (un anno fa)

Un attimo passato ma è ancora qua
vuol essere anche lei fra queste righe
ed io adesso proprio la voglio accontentare.

Ricordo allor con gracil tenerezza
i dì passati stando a guardare il mondo
da una finestra d’oro chiuso fra quattro mura.

Vedevo cose belle e altre invece orribili
ma c’era lei la fata che a volte vedevo strega
che più di tutte mi tentava a uscire.

Ma continuavo a dire: “domani uscirò senz’altro”
e intanto il tempo passava con l’impressione in me
che questo strano momento non passasse mai.

Qualcuno addirittura
tentava di farmi uscire proibendomi l’uscita
poiché io avevo la chiave di quella cella d’or.
Ma un dì u fatto strano cambiò la mia esistenza:

Ero seduto tranquillo ai piedi di un letto a pensare
e pensavo al non più essere
e con un respiro d’orrore bevvi un nero spazio
che scendeva giù per l’esofago
fino a riempire lo stomaco
e stava coprendomi tutto di niente di nulla di nero.

Allor mi ridestai
ed eccomi fuori di là
tentai di rientrare
ma trovai già chiuso
e non trovai la chiave.

Ora ero nel mondo
toccava adesso vivere
ora che mi sentivo morto.

Ma il tempo asciuga le piaghe
e oggi guardatemi bene la faccio da vero attore
la parte di chi bara.

Ma forse non è più barare …

… l’abitudine tempra le maschere.

…/02/1981

 


 

IL PIRATA

C’era una volta un terribile Pirata, che sconfitto il re Nettuno, divenne il dominatore di tutti i mari.

In passato aveva affogato mille e mille Sirene col suono angelico di una spiralica conchiglia, rubata a un bellissimo Tritone, e razziato qua e là Veneri sprovvedute che, purtroppo per loro, non riuscivano a raggiungere la bell’isola verde dove crescono gli aranci.

Una notte il Pirata, mirando in su con lo sguardo, vide le stelle a una a una spegnersi, e si sentì quasi morire, rendendosi immediatamente conto, di solcare in quel mentre acque impetuose, veleggiando su di una nave, divenuta oramai un “vascello fantasma”.

Su, in torretta rannicchiato, gli si abbassò, addormentandosi, l’occhio senza benda, e quando lo riaprì, svegliandosi dopo un po’ di tempo, si accorse di vedere anche con l’altro.

Aveva sognato (o creato) un mondo che racchiudeva dentro di sé tanti e tanti altri mondi, e mai gli riuscì in tutta la sua vita, pur sforzandosi, d’immaginarsene uno diverso.

Ora che il mattino aveva portato con sé la luce del giorno, il Pirata, dagli occhi molto dolci, intuì che in un passato assai remoto qualcun altro aveva già fatto quello stesso suo sogno, solo che questo Signor Tizio non si era ancora potuto svegliare e lui, stava facendo parte di quel Suo, a volte meraviglioso, creato.

Immenso in questi e altri pensieri, fu scosso da un gran vociare e subito corse a vedere cosa era successo. Guardò: il mare era pieno di parole con in mezzo alcune persone che stavano annegando; altre che riuscivano a rimanere a galla aggrappandosi ai rottami della loro barca che la corrente marina non aveva saputo mandare alla deriva e altri ancora che, seduti su barche da salvataggio, “cercavano senza cercare” chi era degno di far parte della loro comitiva.

Il Pirata d’improvviso sentì dentro di sé un forte desiderio che gli segnò sul volto un’incancellabile espressione di malinconia.

Si rese conto che gli mancava qualcosa, stese perciò le vele al vento e partì alla sua ricerca, deciso a percorrere ogni rotta pur di ritrovare quello che gli mancava: una dea che gli riempisse quel vuoto che lo rendeva così triste.

Il Pirata vide il sole sorgere e morire per molte volte, e non gli importò più di avere quelle cose che tutti hanno quando la soglia varcano, però al sicuro più non si sentiva, poiché vedeva la nave lentamente affondare.

Preoccupato non fece nulla, nonostante la buona volontà di fare molto, e quando si trovò costretto a dover nuotare si stese come un morto lasciandosi trasportare dalle onde .

Purtroppo non poté evitare che delle piccole gocce s’infiltrassero nelle sensibili sue orecchie. Dovendo scegliere, preferì questa tortura a un altro tormento, cioè subire l’eguaglianza con chi a galla a stento si teneva.

Altra acqua gli arrivò addosso dall’alto, anche in veste di stelle soavissime e di perle dure come pietra e solo in rare occasioni il sole prolungò i suoi raggi per confortarlo su come sarebbe stato il suo domani, ma tutto ciò ebbe un dì a finire, quando qualcuno a tradimento lo spinse sotto un mucchio infinito di parole.

Riemerso, a lunghe bracciate inseguì lo sconosciuto, ma dopo un po’ desistette dal farlo,poiché come poteva lui raggiungere chi aveva al posto delle gambe una gran coda?

Finalmente raggiunta la terra ferma, uscì dall’acqua grondante di parole subito rapite dal sole.

Prima d’incamminarsi verso l’interno dell’isola su cui era approdato,in ricerca di quel qualcosa nella cui esistenza ormai non credeva quasi più, tagliò la lunga barba dal suo viso, lasciando solo due baffi forti e folti.

Quindi attraversò senza pericoli un fresco boschetto che gli ridiede la vitalità perduta, per poi giunto ai bordi di un laghetto, ecco che delle strane figure umane cercarono d’imbrigliarlo con una grossa rete per riportarlo al mare di parole.

Sfuggì all’agguato con non pochi sforzi e nuovamente cercò di riavviarsi verso il centro dell’isola dove, non si sa come, era adesso sicuro di trovare ciò che lo rendeva una persona a metà.

Durante il tragitto, il Pirata superò una forte bufera di vento, sopravvisse al morso di un velenosissimo serpente e resistette all’assalto di molti predatori, convincendosi così, che il solo nemico capace di sconfiggerlo poteva essere la sete.

Quasi accasciato sulla rena cocente, si portò avanti con mani e gambe e quando si trovò su una strada affollata si sentì trasformato in un lupo affamato.

Cercò d’afferrar coi denti bimbe, nonne e belle donne, ma non riuscì a far altro che leccar di sfuggita qualche “pasto”, poiché s’ergeva davanti a loro invisibile, un invalicabile muro,che solo per qualche momento, in certe circostanze, scompariva.

Perciò si soffermò a parlare di cose alle quali non credeva con una di loro che fu attenta al suo dire, e quando terminò di “sproloquiare” poté saziarsi come volle, perché una porta si era aperta in quel chiuso muro.

Tornò a sentirsi Pirata, ma un Pirata che si sarebbe trasformato in Principe se solo avesse incontrato una ninfa disposta a dissetarlo.

D’un tratto apparve una splendida creatura con in mano un boccale di acqua freschissima. Purtroppo il Pirata costatò che si trattava solo di un miraggio a cui ne seguirono altri, tutti allettanti quanto impietosi per la pena che gli dava vederli sfumare.

Sconfortato e allo stremo delle forze, finalmente scorse in lontananza un’oasi, “Che sia pure questo un miraggio?” pensò.

S’avvicinò e, seduto, da sotto la ombra di una palma ammirò un poco profondo fossato, colmo di tanta buona acqua, da dove uscirono tre bellissime ninfe, che nel portarsi a riva lasciarono asciutto quell’ambito laghetto.

Per riacquistare nuovo vigore al Pirata perciò non restava altro che bere in una delle bocche di quelle realissime“Sirene”.

Ognuna di loro, però, aveva qualche cosa di bello in più rispetto alle altre due da mettere in così forte imbarazzo sulla scelta di chi avrebbe appagato l’assetatissimo Pirata.

Così restò fermo al suo posto ad aspettare che un inaspettato evento decidesse per lui.

Fingendo di andarsene, una delle ninfe trovò la maniera per far smuovere “quel sasso”, che subito si alzò seguendola e con lui le altre due. Il Pirata, allora tornò disorientato a sedersi, appoggiato alla palma ombreggiante, finché, vedendo che loro si erano poste a distanza tale da non potersi a vicenda controllare, fece credere a ognuna d’esser lei la prediletta.

Riuscì a malapena ad assaporare i vapori che il sole faceva da loro emanare, poiché inspiegabilmente, rimanevano là, ferme, con i loro “fiori dai due petali rosa” che non volevano schiudersi per poter permettere al Pirata di succhiare il dolce nettare.

Cos’era successo? Non volevano anche loro proprio questo? E allora perché il Pirata non riusciva a bere se non qualche goccia rubata e non data?

Rievocando un po’ del suo passato capì cosa fare. Sì! Avrebbe esagerato nel circuirle in maniera tale da tenerle amabilmente “chiuse”, intanto che il fossato prosciugato ritornava a riempirsi e da lì avrebbe aspettato che emergessero splendenti nuove bellissime ninfe da mettere in fila con le altre e finalmente scegliere.

Questo perché, sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto preferirne una, anche se non era quella giusta, ma, cocciuto com’era, invece, sarebbe anche stato capace di morire di sete davanti a un mare di ninfe se non ci fosse stata tra di loro quella che lui ambiva: solo a lei spettava di dargli con l’acqua, la corona … e l’AMORE.        

Inizio 06/06/1983                                                                                                    Fine 24/03/1984

 


 

La piratessa

Adesso il dolore invade anche il Mattino.                                                                                                                                               C. Pavese

Chissà in questo momento cosa starà combinando quell’incosciente Piratessa? Certo va incontro ai pericoli troppo sfacciatamente e anche se sa tenere a bada la sua ciurma non si sa mai cosa le potrebbe capitare con gli uomini di terra. Ma a lei piace proprio questo: rischiare la sua vita per ricavarne emozioni fine a se stesse.

Devo dire che finora le è sempre andata bene e conoscendo chi vive sul suolo asciutto, visto che anch’io ne faccio parte, temo che un giorno potrebbe pagare questa sua esuberanza a carissimo prezzo. Mi tocca, dunque, per l’amicizia che ci lega, scriverle una bella letterina e avvertirla dei pericoli ai quali va incontro.

“Mia cara ribelle,

proprio perché ho l’impressione che noi due siamo come nati da una stessa madre, voglio, io che sono nato prima, raccontarti una favola affinché non patisca anche tu la sorte avversa che è toccata a me.”

Ricordo ancora quando io e lei ci conoscemmo e entrambi avemmo lo stesso identico pensiero: “È Pirata come me”, ma non ne fummo abbastanza convinti, e questo ci costò il non formare noi, oggi, una coppia. Finché ci illudemmo di credere alla nostra impressione fummo a dir poco felici, e non scorderò mai quando lei acconsentì d’entrare nella mia “cabina” e poi io entrai nella sua.

Meglio pensare alla favola ora:

“C’era una volta Tanio, ombra particolarissima, la quale, pur non avendo alcunché che la proiettasse, era del tutto visibile e con una sua propria autonomia. La sua massima ambizione era diventare un uomo e avere come ogni uomo a questo mondo, un’ombra da portare sempre appresso; ma per giungere a questa sua meta, avrebbe dovuto rinnegare le sue nobili virtù.

Infatti, quando si trovava tra la gente era buona come un Santo, dava fiducia a tutti e stava attenta a non dare al prossimo il benché minimo fastidio, tanto che a volte si ci scordava della sua presenza. Se poi negli altri riscontrava qualche cosa che non condivideva il suo comportamento, rompeva subito i contatti senza fornire nessuna spiegazione, o se non ne poteva fare a meno, sopportava in silenzio, in maniera quasi straordinaria e si tirava d’impaccio dando sempre ragione a tutti.  Quando, invece, dibatteva con le ombre proiettate, riusciva ad alzar la voce e imporre le sue opinioni.

Sulla strada del suo destino incontrò poi vari signori, i cosiddetti imbecilli, che autonominatisi uomini di legge, senza spiegazioni, la imprigionarono più volte, facendole subire torture atroci.

Così le crebbe dentro un odio immenso e alla fine quando a causa di ciò scoppiò, non si ritrovò più ombra, ma come aveva sempre desiderato:uomo, un uomo senza ombra, purtroppo!

Tuttavia di certo non ringraziò i suoi flagellatori, anche se dovette ammettere che senza di loro non avrebbe mai potuto raggiungere, almeno in parte, l’agognata meta.  

Un giorno Tanio vide sé stesso vestito da robot, con un qualcosa d’umano però. Gli altri invece li vide vestiti chi da antichi romani, chi da primitivi, chi da schiavi, da clown e persino da animali.

Capì allora di aver acquisito tale capacità negli anni vissuti da semplice ombra e d’essere ora uno dei pochi al mondo a possederla. Si divertì ancor di più a guardare due dei suoi ultimi carnefici. Erano una coppia di sposi novelli, lui lo vedeva vestito da negro con anelli al naso e ai lobi delle orecchie lei da scimmia con al posto della lingua un aspide, e che imitava alla rovescia i gesti e le parole delle persone colte e le faceva ripetere al suo tanto caro maritino ed in più avevano entrambi una coda da scimpanzé.”

Chissà se la mia amica Piratessa capirà che la coda ce l’hanno le persone senza onore, che essendo non potenti, cercano di diventarlo prendendo alle spalle chi merita di far parte della razza umana. A loro la coda non gli si è atrofizzata.

“Poté ora costatare di non essere più il buono di prima, di saper far valere le sue ragioni e, per farla breve, di adoperare alla perfezione lo scudo e la spada che si ritrovò a stringere in mano.

Una sera Tanio incontrò anche l’amore, un’ombra di nome Tania che così com’era già capitato a lui, non era emessa da alcunché. L’avrebbe voluta accanto come sua ombra e avrebbe desiderato che scegliesse lui per proiettarla ovunque, in quanto persona che stimava ed amava, ma purtroppo non fu così e la storia terminò senza il “e vissero felici e contenti”. “

Perché? Ti  chiederai. Ma perché il mondo non è come tu credi ed io mi rendo conto d’aver fallito cercando di farti capire ciò. Tu sei come me: se una cosa non la capisci da sola, è inutile che gli altri te la spieghino. Dovremmo tener conto anche di quelli che portano la coda e costruircene una pure noi, artificiale, oppure vivere in coppia guardandoci a vicenda le spalle potendocele accarezzare e calmare i pruriti.

Dopo aver infranto cuori di nani o d’ombre, tu vai alla carica dei Principi, dai quali, proprio perché sono azzurri, dovresti guardarti bene per il semplice motivo che hai qualcosa da perdere. Non ti chiedo tuttavia di riprovare con me, adesso che non sono più ombra, perché, avendo costatato che tu per me rappresenti ciò che io sono stato, ti farei  del male e lo farei anche a me stesso. Lascio le favole a te e ai bambini anche se il sole picchia già sulle nostre teste, poiché il mio augurio è che tu possa restare sempre nel Mattino.

Vedi, cara amica, nel mattino gli infanti fanno colazione con latte e biscotti, burro e marmellata, e a pranzo, la gente matura mangia pasta, carne o pesce, bevendo birra o vino, dolce, frutta e caffè. Ormai anch’io adulto mi ritrovo seduto a tavola con una gran fame e perciò ho ordinato al cameriere, che ancora non si è rifatto vivo, delle pietanze che spero comunque tu potrai continuare ad assaporare.

Aspettando, comunque mangio qualcosa, ma senza gusto e senza entusiasmo. Come vorrei essere “arrivato” … anche se poi ingrasserei!

Permettimi di darti un consiglio: Tu che sei Tania e non Tanio, resta l’ombra di qualcuno che ti rispetti, ti protegga e ti voglia bene, conoscilo, e fatti servire proprio come si fa con un’ombra, che, in quanto tale non possiede le mani per afferrare e i piedi per camminare. Insomma, il prezioso “lavoro” che il tuo corpo e la tua mente produrranno dovrà rimanere oscuro. E finiscila con la pirateria se non vuoi finire fritta, dopo essere stata infarinata.

Mando i miei baci all’Eva nata dalla mia costola che, vive, lacerando il mio cuore, lontana.

La favola comunque l’avrei voluta finire in questo modo:

“Tanio, da ombra, camminava a malavoglia, come sospinto da una persona, che avanzando con le spalle al sole, così gli imponeva di fare. Ora, invece, da persona, procedeva con viso glorioso in faccia al sole e un’ombra di nome Tania lo seguiva con piacere. Si stimavano vicendevolmente e l’ombra Tania aiutava come poteva Tanio e Tanio serviva scrupolosamente i desideri di Tania.”.

Nella realtà oggi, le ombre come Tania ambiscono a diventare persone, e il più delle volte ci riescono, pur pagando questo traguardo con la sofferenza. Non valutano che, così facendo, vivono nella menzogna e guadagnano un fasullo potere mentre perdono un dono tanto prezioso come l’AMORE.”

Inizio 27/11/1984                                                                                          Fine 19/12/1984