Francesco Bruno - Poesie

 Canto alla Luna

Candido astro che dal ciel ci spii, non rabbuiarti nel veder che l’uomo non ti riserva più quell’attenzioni tanto é distratto dal materiale profitto.
Tu che fosti rifugio del perduto senno di colui che per troppo amore dismise la sua veste di impetuoso e furibondo a ripigliarlo su trco venne.
Ché rischiarasti i sublimi versi dell’infelice impavido guerriero che per cotanto naso declamo’ per altro alla sua ignara amata.
Che raccogli i languido sospiri delle coppiette al tuo chiarore appartato e del miagolio dei gatti innamorati ti fai ruffiana.
Non ti pare che con la fantasia si può arrivare dove non è possibile al reale e che l’uomo con la sua tanta protervia non stia coi piedi saldi in terra.


Tempo

Tempo che corri via senza pensieri fermati un istante e voltati a vedere quanti propositi ed intendimenti hai tralasciato tra i reconditi meandri delle genti.
Procedi imperterrito col tuo ritmo cadenzato senza curarti di chi invano si è affannato a realizzare il traguardo sospirato o impassibile ed estasiato si è attardato a rimirare il creato.
Ormai è regola star al passo con i tempi e chi si attarda non avrà futuro, ma correndo avanti con tanta frenesia, non vedi che porti via con te la nostra giovinezza e tutta questa smania di salita non ci fa poi perdere il treno della vita.


Temporale in paese

Da un violento bagliore l’orizzonte é illuminato seguito a breve da un cupo boato. Gli spogli fusti nei campi allineati riverenti s’inchinano ad Eolo furente.
Pian piano il cielo di nuvole s’addensa ciascun s’affretta a ricercare un riparo, torna al suo nido il passero sfamato, miagola un gatto nei pressi di un pollaio.
Al primo scroscio di pioggia sul selciato corre una donna a rimettere il bucato, un contadino rientra dalla stalla con un fascio di legna sulla spalla.
Raccolta la famiglia è al focolare intorno al nonno intendo a raccontare di quei trascorsi giorni che in paese tutto era gaio, semplice e palese.
Fantasticando passan la serata, pian piano la parca cena è consumata, poi s’addormentano nel caldo giaciglio sperando che il domani vada un po’ meglio.


Nostalgia

Fa che io possa un giorno rivedere le tue valli e le tue selve verdi traversate da limpidi rivi di acque sorgive, le distese verdi ove il mio spirito fanciullo vagava libero e felice come un uccello. I tuoi rossi tramonti quando il Sole rosso, come un pallone, parea sprofondare nell’azzurro mare.
Oggi il quotidiano mi porta in altri luoghi più vivi e moderni ma di certo non di te più belli.


La vita e la damigiana

Più ci rifletto e più la vita umana mi viene a paragone con una damigiana, posta a riempire sotto il flusso di una fontana.
In principio benché il riflusso sia continuo e costante, il suo livello si alza lentamente, come in fanciullo impaziente di diventare grande.
Succede a volte che per difetto di natura questa si rompa prima della riempitura. Altra rottura si può verificate per cozze accidentale o se qualcuno decide di spaccare.
Più passa il tempo e più il livello sale e il contenuto comincia a maturare. Se nella stop a mettiamo cose buone il suo colore è limpido e dolce il suo sapore. Se viceversa mettiamo brutte azioni, diventa torbido e aspro di sapore. Poi quando al dunque accelera l’andatura, l’acqua prorompe dall’imbiancatura. E se cerchi poi di recuperare ti accorgi che indietro non si può tornare. Perciò bada bene a ciò che fai e cosa dice la tua parola, uomo ricordato che la vita è una sola.


La Congrega il Venerdì di Passione (antica tradizione del Cilento)

Sorge la Luna nuova c’è grande gioia in paese, sboccia la primavera, il Sole è nell’Ariete.
Fioriscono i ciliegi, il mandorlo é già in fiore, cominciano in loco i riti della settimana di Passione.
Rintocca la campana della Congregazione, chiama tutti a raccolta a visitare i sepolcri.
Si destano i confratelli la testa incappucciata, indossano la mozzetta, don pronti alla chiamata.
S’incrociano due confraternite, si scambiano il saluto, “voi donde ne venite qui siate il benvenuto”.
Entrano nel tempio oscuro cominciano a girare, sette sono i giri che il rito gli fa fare.
“Giorno di lutto é questo”, intona il primo coro “Ti lascerò Giovanni” risponde risponde l’altro a tono.
A un segno convenuto si prostano in ginocchio, recitano il “Miserere” nei pressi del sepolcro.
Dopo di che in coppia prendono la disciplina, s’inchinano devoti e se ne vanno via.


Un brindisi scaramantico

Una sera d’estate in bella compagnia, si mangiava e si libava tutt’insieme in allegria, quando uno di noi levatosi dal tavolino,con tono duro e solenne e con in mano un bicchiere di vino intimo':”chi non beve con meno sa da piglia’ Provolino”.
Dovete voi sapere che è nomato Provolino quello ché in paese fa le mansioni di becchino. Al che tutti gli astanti, fatti i dovuti scongiuri, si affrettarono a mandar giù i loro bicchieri di vino.
Certo è che l’uomo ne ha di fantasia pensando di scansare la morte con la scaramanzia. Non la scansarono i re né i ricchi ed i potenti, né vi poterono i Maghi, i preti ed i sapienti. E come disse colui che tra tutti era il più forte la vita non è altro che un correre verso la morte. Però non ti crucciare, vivi come se fosse sempre primavera fiorita, tanto si sa che la morte fa parte della vita.


C’era una volta in Cilento “I guagliuni ru P.50″.

C’era una volta e ora non c’è più, ma quello che una volta c’era sta’ sempre qui nei miei ricordi, nei pensieri miei. È una storia semplice che non ha pretese, di tramandare ai posteri delle grandiose imprese, ma vuole solo narrare, ai suoni quattro lettori, com’era qui la vita quando c’eravamo noi, che forse fu per caso o per somma ordinanza, formano noi la squadra del Club P.50.


I guagliuni tu P.50

Tenevo 15 anni, jucavo ‘miezzo a via, cu Enzo, cu Fuluccio e cu tutta a compagnia.
Appriesso a nu pallone bucato pe ma spina, a guardia che alluccava e nui scappammo via.
‘Ngera chi jeva scauzo e chi cu i pezze in culo, penzava co pallone re addiventa’ qualcuno.
Su forti sti guagliuni talento c’è n’è tanto, perciò fecero a squadra tu club O.50.
Si bravi sti guagliuni battettero pure a prima, ma crescettero ambressa mo non è chiu’ come a prima.
Enzo mo face u Sindaco, Fuluccio a guardia comunale, mo a partita è seria nun se pote chiu’ pazziare.
Ma se chiuro l’uocchi e suonno sto’ ancora ‘miezzo a via, che scatto, tiro e segno i goal da vita mia.
Traduzione:
I ragazzi del P.50
Avevo 15 anni, giocavo in mezzo alla strada, con Enzo, con Raffaele e con tutta la mia compagnia.
Appresso ad un pallone bucato per una spina, la guardia che ci sgridava e noi scappavamo via.
C’era chi andava scalzo e chi con le toppe al culo, pensavamo con il Calcio di diventare famosi.
Sono forti questi ragazzi, talento c’è n’è tanto, perciò fecero la squadra del Club P.50. Sono bravi questi ragazzi battettero pure la prima, ma crebbero in fretta ora non è più come prima.
Enzo è diventato Sindaco, Raffaele la guardia comunale, ora la partita è seria non si può più scherzare.
Ma se chiudo gli occhi e sogno sto’ ancora per la via, che scarto, tiro e segno il goal della vita mia.


Perdifumo

Nello splendido e verde Cilento
Adagiato su di una collina
Vi sta un piccolo e gaio paese
In cui regna la tranquillità.
Circondato da boschi e montagne
Con un’aria di brezza frizzante
Con vedute sul mare antistante
Ché invoglian ciascuno a tornar.
Perdifumo è il suo nome un po’ particolare. Non è metropoli né una capitale, ma soltanto la gioia e spensieratezza per chi vi è nato e vi ha trascorso la giovinezza.
Non dimentica l’antico fontanile dove si recava a riempire il suo “varrile”, né del vecchio lavatoio quando con le amiche si attardava a spettegolar.
I “Caffè” della Piazza principale, ove passava il tempo seduto a un tavolo a giocare, e si adirava come fosse cosa seria se una partita a tressette si perdeva.
Perdifumo è il suo nome originale,
benché piccino è proprio l’ideale per chi stanco da stress da frenesia, vi si rifugia per ritemprar la fantasia.
Le passeggiate e le gite in montagna, a cercar funghi o qualche Castagna, andare a piedi fin sotto l’antenna, cantare in coro con grande ilarità.
Rivive col pensiero quel giorno di festa in cui Maria, in trono s’una barca è portata per le vie, tra una marea di gente che al suo passar si prosta, in segno di devozione o per cercare una grazia.
Perdifumo è il suo nome un po’ particolare, non è metropoli ma è la capitale, per chi è partito per luoghi lontani e ha nostalgia di potervi tornar.