Franco Fiori - Poesie

Empio

 

Uomo sazio di vento

navighi agli antipodi della miseria,

cola l’orgoglio

dal tuo cuore pingue, ivi

cresce il tempio dell’indifferenza,

ove si foggiano i mattoni della superbia,

impermeabile ad altrui dolor

ipocritamente semini favori,

ignaro, la morte ti avrà

e falcerà la tua cupa vita.

Quando morirai

la tua ombra stanca

ti consegnerà

alla solitudine.


Epoca

 

Epoca malata

di vanità ingannevole,

piena di apparente sazietà,

gonfia di noia asfissiante.

Ragazzi armati di bugie,

rabbiosi, pieni di brufoli e di tic,

votati alla caricatura

del fascinoso protagonista,

pretendono senza chiedere.

E si respira odore di muffa

tra uomini tatuati sul petto

approdati su lidi deserti,

complici dell’odio, del sangue.

Donne stanche di allattare,

avvilite mormorano

degli oltraggi sofferti

da mariti distratti

da fumose ambizioni

e miracoli alienanti,

consacrati a rinunciare

di vincere in amore amando.


Ho visto

 

Ho visto cuori ghiacciati

rinchiusi in bolle d’aria

danzare nel mare dell’ego,

trafitti dagli occhi di un bimbo

vittima di chi l’ha dimenticato.

Ho visto farfalle succhiare lacrime,

colorare il giorno e non aver bisogno di abiti,

volare leggere e nascondersi la sera,

contente di avere sole, liberta e fiori,

vivere pochi giorni e poi morire.

Ho visto clochards chiedere un po’ di vita a Parigi

affamati dagli occhi chiusi del mondo,

certezze che si sbriciolano in colpevoli silenzi

e pene che uccidono e corrono troppo veloci

nella rabbia graffiante del vento,

Ho visto giovani generazioni soffrire,

portatori di novità indecifrabili

stigmatizzati da presunti difetti

e da adulti che presumono di sapere già

e stentano a comprendere le loro cicatrici.


 Mariantonietta

 

Madreperla

figlia di Vega,

fulgida gemma,

candida magnolia,

pelle lucida di nylon,

modellata dall’oceano.

Il timone dirige la paranza

spinta dagli alisei

tra i marosi.

Cristallo franto

da lingue maligne,

il gelo, fatale,

fermò le lancette,

e le lacrime del salice

ghiacciarono

nel parco dietro la fontana.

Mariantonietta

guada il fiume sacro,

danza con il male,

con gli ipocriti in prima fila

che battono le mani,

freddi ed eleganti,

inutili senz’anima.

Nessuna bottega

santa ti salverà,

ma l’amore di un puro

legato al silenzio

ti guarderà

con occhi liberi

e ti guarirà.


 

Chi è il puro?

 

Chi è il puro?

Chi provoca l’insonnia dei potenti

per risvegliare in loro l’umanità.

Chi denuncia la sazietà dei ricchi

quando affamano i poveri.

Chi gode del poco, e quel poco lo spezza

con chi non ha nulla.

Chi è disposto a lasciarsi uccidere

per affermare la sovranità degli ultimi.

Chi persuade un omertoso a credere che un mafioso

non è un uomo d’onore, ma uno sporco vigliacco.

Chi non lecca la polvere e consegna la propria coscienza

all’ipocrisia per ottenere consenso.

Chi non vende l’intelletto al potere,

rinunciando così a servire la verità sovvertendola.

Chi guarda il tramonto, una sera d’agosto,

e si innamora della vita.

Chi buca il cielo e scova oltre le nubi il Paradiso.

Chi di ritira sull’eremo, lontano dalle lusinghe,

e non si compiace di essere magnificato.

Chi attraversa il cuore di una donna riluttante

e la conquista con una poesia.

Chi bagna il pennino in una lacrima

e scrive emozioni che toccano l’anima.

Chi percepisce nei battiti d’ali d’una farfalla

il soffio di un bimbo che si corica.

Chi annusa il profumo di un fiore senza coglierlo.

Chi non si abitua al dolore e conforta gli inconsolabili.

Chi piange con gli afflitti del mondo

e non sentenzia parole vuote, tace.

Chi muta il sale in neve.

Chi ha occhi per vedere, chi ha orecchie per ascoltare

e non ingrassa l’ingiustizia.

Chi è convinto che il mare è salato perché raccoglie

le lacrime degli indifesi.

Chi ha il coraggio di cambiare le proprie idee

e non soffoca il soffio vitale degli innocenti.

Chi è disposto a perdere un amico per amore del vero.

Chi cambia la storia con il bene e non con le armi.

Chi chiude i serbatoi della rabbia ai ladri di pace.

Chi la sera prima d’addormentarsi guarda le proprie mani

e non le trova sporche di sangue.


Adamo

 

Nella selva Dio disse all’uomo: “Sei turbato!

Presto, non esitare, rispondimi, chi ti ha ingannato?”

Adamo: “La donna che Tu mi hai messo accanto”.

L’Eterno: “Così, ti sei lasciato sedurre dall’avversario?

Hai mangiato il desiderabile e rotto l’incanto.

Hai infranto l’armonia dell’infinito, illuso dal falsario,

da scellerato adesso perderai il Paradiso,

hai violato l’alleanza, il patto d’amore di chi ama,

e il tralcio vitale dell’innocenza hai reciso,

servendo il male, hai saziato il vuoto e la brama.

La posta in palio era l’immortale della vita,

possedevi tutto, per aggiungere un po’ di polvere

sulla bilancia, l’hai buttata via e tradita.

La donna che ti ho dato, era un aiuto,

ma come stolto ti sei addormentato,

e a chi divide da sempre hai creduto.

Non ti bastava essere il primo del creato,

volevi primeggiare ed essere uguale a Me,

prima del sole, prima del cielo, prima del mare,

avevi dato il nome a tutti gli animali ed eri il re,

ma possedere l’universo era niente per amare.

Tedio e notte, ora, sono sorelle nemiche,

e sudore, malanni, solitudine le tue fatiche.

Lontano dalla luce, dall’amore e dal Mio volto sarai

e il gelido mantello della morte sul capo stenderai.

E tu donna che ti sei intrattenuta con il serpente

con grande dolore e sofferenza partorirai,

hai creduto alla voce di chi separa e mente,

l’uomo ti dominerà, ma a lui non ti sottometterai.

L’accesso ai frutti dell’Eden e all’albero della vita

sarà dalla folgorante spada dei cherubini proibita.

Adesso masticherete piangendo spine e tormenti

e l’alito del vento peserà le vostre anime dolenti”.


Oh morte

 

Un viavai d’alme

rassegnate a patir,

meste accorrono in lacrime

pel nudo viale,

recano il vano saluto

all’inerme donna

coricata sull’atro manto.

Pallida giace in silenzio,

attorno a crisantemi

e nastri violacei.

Il dolore straziante di taluni

contrasta con la resa d’altri,

e il pianto dei figli copre

la prece di pie oranti.

Spesso la morte rapisce gli eroi

e rinvia l’ora dei mediocri, dei vili,

sottrae inesorabile l’elogio alla platea

per umiliare la mera vita.


Disumano

 

Occhi e pugni chiusi

per chi implora

compassione.

Il cuore del disumano

non ha battiti,

è un orologio fermo

che chiude il varco

ad ogni supplica.

Con crudeltà,

spegne il sussurro

del misero,

e con inesorabile

malvagità

soffoca i gemiti

del debole,

inutile piangere,

non si commuoverà.

Il suo petto

è un nido di vipere,

tesse pensieri

velenosi e assassini.

Anima buia,

sudicia,

vomita fango,

strozza

ogni palpito,

ogni grido

innocente

nel torbido

della palude,

senza farti risalire.

Nutre disprezzo

per il leale

e lo colpisce

alle spalle.

Finto,

capzioso

con il giusto,

infido e doppio

con il mite.

Desolato morirà

aggrappato al nulla,

la sua esistenza

vuota ed insignificante

vagherà

tra le dune del deserto

assieme a sciacalli

e scorpioni.


La barca

 

Il Dio nascosto, prese il largo con la barca,

rapì le anime rotte al fragore del mare

e ordinò l’impetuoso viaggio,

per approdare al riparo e non soccombere

tra i terribili sorrisi spenti dei beffardi,

senza bussola ne segnò, ugualmente, la direzione

e tra i mari lontani con vento di burrasca

non permise all’imbarcazione che affondasse

tra le vertiginose spire del male.

Condusse il legno per la giusta rotta

e non la lasciò impigliare nei torbidi

fondali, vinta dai vortici del vizio.

Con la sua rete pescò alla destra gli afflitti,

perché entrassero in possesso del Regno,

li volle con sé poveri ed umili

e li sfamò di Spirito puro.

Con la lampada illuminò i giusti

E denunciò l’opera nascosta dei malvagi

dal cuore grasso e dalla bocca unta di burro.

Con la vela, rigonfia di misericordia,

spinse la prua a tagliare la resistenza dell’ipocrisia,

tra le difficoltà quotidiane e gli spruzzi avvelenati

che avvolgono e strozzano la speranza

nella notte oscura piena di pericoli e abissi.

Con l’albero maestro raccolse le forze,

soffiò sulle vele e sparse al vento l’incenso e la vita,

e il suo alito rianimò gli oppressi dalla polvere

e fece compiere loro cose impensabili.

Con i remi della croce, del dolore, della passione,

tirò fuori dall’oziosa bonaccia

il battito della vita che non si fermò,

ma continuò a palpitare oltre il freddo respiro

davanti al muro nero della morte.

Dai incredulo, scuotiti, non essere vile.

Destati dalla tiepidezza e ardi d’amore !

E Dio si mostrerà nella storia alla tua presenza

dopo che avrai spianato la diffidenza e il dubbio.


Tramonti a Roseto

 

Ai piedi di un gigante che non dorme più,

v’è un borgo dorato sull’Adriatico

impreziosito da rose, tigli e tamarici,

e da donne straordinarie

che nascondono dentro le rughe

le cicatrici della vita senza lamentarsi,

con il cuore sul pontile trafitto dai riflessi della luna.

Inviolabili attimi d’attesa, di speranza

che non s’arrendono al tempo,

e cercano la forza nei piccoli segni.

Occhi che fissano il muro altissimo,

oltre il mare nero, oltre il dolore,

e chiedono alle vele di stringere il vento

e spingere la barca più in là dei sogni,

e riportare i loro marinai agli affetti.

Così nella pineta gli aghi di pino

s’intrecciano con i pensieri segreti

di ragazze innamorate che vogliono il domani ora,

sfidano il vento e gli acquazzoni di marzo,

e smettono di parlare male degli uomini e di Dio.

Nei tramonti a Roseto, a Ferragosto,

i solitari accendono falò di bugie sulla rena,

è l’invito a respingere i tradimenti

e raccontare ai silenzi gli abbandoni

di uomini che s’offrono

a donne invisibili sul lungomare

fino a piegare le palme a terra

per l’urgente bisogno di compagnia,

e di riempire il vuoto affettivo

con baci e carezze, seduti a un caffè.


 L’anima ascolta

 

Il frantoio del tempo

macina carismi emergenti

e teorie filosofali raffinate,

lampade spente puntate

sul Dio ingombrante e il caso,

non rispondenti al dubbio

modellato da formule definite,

e l’anima ascolta contenuta

chi dipana le corde dello Spirito

e stringe nelle sue mani

quel piccolo colossale nulla

che sposta il cosmo tra ciò che è

e quello che deve essere.

Le energie dell’universo

pesano la forza dell’impulso

di presenze enigmatiche

pervadenti l’ordine naturale,

distanze invisibili svelano

l’inizio dei vagiti cosmici,

un flusso di particelle penetranti

nel silenzio surreale della materia

accede al comprensibile

e attraversa destini umani

con atomi di vita nascente

che esplodono di luce.


L’Amato

 

Nella profondità degli abissi

dubbioso cercai l’Amato,

dono d’amore fu ciò che accadde

e più nulla fu come sembrò,

in un piccolo angolo di luce,

all’ultimo respiro di vita

tra le crepe e le ferite

in storie di sabbia, via, lontano,

piovvero bisbigli d’acqua

e resero fecondo il deserto,

apparve nell’esilio infinito

l’ardito agire dell’Eterno.

Eppure in quel vuoto

pieno dell’assenza di Dio,

l’impossibile divenne possibile,

la natura incorruttibile,

opera della stessa mano,

diede vita a nuova creazione

tatuata sulla carne del reietto

in un legame indissolubile.

Voci dentro l’anima vinsero,

cessarono le musiche mortali

nella città dei ciarlieri ciechi,

seguii la luce dell’incontro,

e il sole alla fine benigno

rischiarò le notti più buie.


12 Novembre 2003

 

Perfidi talebani

al canto del muezzin,

supplicano falsi cieli

e attendono improbabili paradisi

con donne senza compassione

ammantate di regole e silenzi

da un dio che non c’è,

allevano figli, fuori dal grembo,

all’odio viscerale

in fiumi melmosi.

Fanatici, nutriti di illusioni,

colpiscono gli angeli a Nasiriyah,

immortali difensori della pace,

un prezzo da pagare

conficcato nella carne

apre piaghe vere e vive.

All’ultimo filo di sole

rinviene la Stella Polare

nella sabbia impazzita

e nel dolore tra le macerie

i rigagnoli sanguinanti

lasciati nell’ombra del varco

aperto nel muro babelico,

l’annuncio liberante

dà la forza di superare l’inferno

nel labirinto del terrore

che lotta con anime di carta,

abomini del presente

ove solo il Dio vero basta.


Amore d’amare sei

 

Anche se ammantassi

la luce del tuo corpo

l’impetuosa voluttà

non estinguerebbe

la voglia di sentirti mia,

e cirri pallidi non oscureranno

l’armonia sinuosa

delle dune femminili

da baciare e da carezzare.

Amore d’amare sei,

un sogno che il vento porta via

nella profondità dei versi

dove immortale corri.

Fascinosa donna che baci la bocca,

hai chiamato con gemiti

chi ti ha risposto,

tu rugiada primaverile

posata sulle foglie

nutri il grembo materno

voglioso di miele di rovo

e dopo la pioggia

attraversi l’arcobaleno,

cammini smarrita

inesorabile verso l’eternità,

inebriata dal prima e dal dopo,

passi accanto a chi ha in mente

la tua immagine, sorgente

immortale e lieta seduzione

rimani tatuata nel mio cuore.


L’amore

 

Avvolge il pudore nel fuoco

il mero ornamento d’amore,

roveto che brucia l’arbusto fioco

e scalda i midolli nudi di calore.

 

La passione corrode i temerari,

volontà di realizzare un sogno

e conservare paradisi cari

in un prezioso scrigno.

 

La tenerezza secerne l’acre goccia

e invita l’aurora ad aspettare,

nettare che si succhia dalla roccia,

zampillo ardente e impeto d’amare.


 

Rosalis

 

Bagliori di luce lasciati

come gigli candidi

riposano il respiro

sulla neve dell’esistenza.

Rosalis stella che dura,

rincorri il tempo disperso

dal vento d’autunno

che spinge altrove

le foglie affaticate, arrugginite.

Luccicano d’orgoglio

nel silenzio dei silenzi

i tuoi occhi neri,

illuminano le notti

con radiosi zaffiri.

Tenera niña,

dilata il tuo cuore

all’irragionevole

fluire dell’amore

e svela il volto

al desiderio

che anela l’altro

senza paura di guardare

dentro di te.


Carlo

 

Un viavai d’alme

rassegnate a patire

meste accorrono in lacrime

per il nudo viale,

recano il vano saluto

all’inerte uomo

coricato sull’antro manto.

Pallido giace silente,

attorno crisantemi

e nastri violacei.

Il dolore straziante di taluni

contrasta con la resa d’altri,

il pianto dei figli copre

la prece di pie oranti.

La morte rapisce gli eroi

e rinvia l’ora dei vili,

inesorabile sottrae l’elogio

alla platea mediocre

per umiliare la vita.


Solo

 

Solo in cerca

di orridi precipizi

nella verminaia fetida

del peccato

con la divisa

del pragmatismo

indebolito

da bocconi di piacere

velenosi.

La noia

arrugginirà la vite,

e il palmento

girerà e macinerà

ogni giorno

lo stesso frumento

nell’indifferenza

della penombra.

Dissoluto,

pervaso da rovine

e tenebre infernali

in animo ribelle,

assetato trangugerai

una coppa amara

colma di fiele,

vivrai in eterno i tormenti

della disperazione

nel gelo

per trovare

la fonte del male.


Sospesi

 

Vite sospese

in città dimenticate

attendono di migrare

verso altre latitudini,

un’ossessione

alla portata di tutti,

scalda le anime

e non chiede l’elemosina

alla luce del dolore

ma resta in piedi

anche se più fragile,

si trova con la sabbia

tra le dita sporche

che spezzano il cerchio

in simboli originali

attraverso gli occhi di Dio

che hanno formato la terra

perfetta e senza confini.


Vincent

 

Inquietudini estreme

nascondono i precipizi

e suscitano nostalgie lontane

nel labirinto interiore

della casa di Vincent

ove nascono dalla bottiglia

miseria, vomito

e speranze smarrite,

un fiammifero, un piccolo

lurido fiammifero per accendere

il paradiso di Goa.

La vecchia foto ingiallita

sul comò evoca

verità intramontabili

di vite in cordata

tra acrobatici ricordi

al culmine della disperazione

in memorie ferite.

Consapevolezza dolente

di recidere la corda

e lasciarsi cadere giù

negli abissi della vita,

grido che si sente

tra dubbi legittimi

e risposte spinte dal vento

nella casa di Vincent,

armati di eschimo e pugno chiuso

in minuti lunghi come anni

ascoltando Bob Dylan.