RISERVE INDIANE
Negli ampi circoli dell’ossido di carbonio
Vagano aspirando, flettendo, asciugandosi
Il sudore
E sarà così nei tempi biblici che si danno
Stretti nella morsa della corsa inutile
Priva di odore.
Buca, buca con acqua, caduta, caduta con dolore,
astio represso che esce, nuvola di gas tossico,
avvolgente, asfissiante, per niente dirimente,
richieste di scalpi di “yenkees” travestiti,
di “marines” pervertiti, di oscuri ed oscuranti
accattanti gloria effimera e morbide poltrone.
Ma il gas ristagna, impregna le stanze, scalfisce
I volti, lenisce il dolore, insinua sospetto, distrugge
Il rispetto.
Inizia la danza, impalpabile danza, che sbuccia i colori,
che alza pallori, e vagano onde, si scontrano,
si stracciano nell’aria, le sciabole tinnano
e non si ripongono.
Come un sempre ripetuto, mai scalfito,
mai attutito, si spende la riserva indiana,
si consuma nell’ineluttabile rigurgito
di un se che ancora non conosce,
ma vorrebbe diverso.
L’OSCURO BATTITO DEL SILENZIO
Sciami di onde retrattili si perdono,
nel mare della notte,
voci oscure ed oscuranti si alternano
sovra i passi felpati, su aride terre,
sull’ignoto della tenebra ferita
da angusti raggi lunari.
Scarponi chiodati battono, librando
nell’aere secche ondate di suono
che mimano lente inespresse una
flebile nenia di perdono.
Ombre si stagliano gracili
sui pallidi riverberi,
e scardinano nell’empia in naturalezza,
la magia di un eterno in spazi liberi.
Avanzano come piccole orde
le sagome orrende,
con ali di ferro,
Si abbassano, si alzano, come onde.
Si tiene compresso
L’urlo tremendo della notte,
che aspetta piegata ed offesa
l’ultimo grido di morte.
UN MALEDETTO
Il poeta è un maledetto
la cenere la porta il vento.
Il fiato che si lascia
dietro
puzza di vino,
carne salata
sotto ermetico vetro.
E maledice
la presenza che non vuole
da un posto strano
che non sai situare.
Il poeta è un maledetto
che lascia tracce
anche sul tuo letto.
VERSIONE PAILLETTES
Come un filo spezzato, riannodo
strizzo l=occhio al passato.
Viro, scattando in avanti
prendo a pugni gli accidenti
accendo ceri ai miscredenti.
Scendo scandendo ritmi raffazzonati
perché i miei clichè si sono strappati.
Urlo, navigo e mi rimescolo
e pesto pesto pesto.
Questione seria o semiseria,
ho rovesciato l=armadio
quasi quasi mi metto la stola del curato.
Vado avanti scattando, ansimando,
chiedo scusa a Tirammolla
l=ho doppiato ho toppato.
Volo, volo volo
hei Superman fatti da parte.
Spengo la TV
ma cazzo io non l=avevo mai accesa!!
Sudo, odore o disonore
pare una questione ascellare-stagionale,
ma è ma cos=è, sarà naturale
stare fare dire GULP; HASTA LA VISTA, BANG BANG
Ecco, volare è………………………………….
Soffia un vento rabbioso dentro di me
vorrei spaccare il mondo
se servisse per poterti respirare.
Mi sdraio sul letto
e controllo l’aria che esce e rientra
ossigeno per andare avanti
E’ un’esercizio vitale
per acquistare la calma
che serve ad aspettarti.
OUTLET
Chiusi rigorosamente nell’artificiale
avanzano nuovi cavalieri dannunziani,
sfondano con costanza e perizia
il vacuo limitare legale.
It’s beautiful!
Come pellegrini senza fardello
hanno giacche leggere ove pongono carte pesanti,
seguono una traccia ideale
disegnata dal grande fratello.
It’s beautiful!
Fremono nel gorgo dell’ansia
pregustano meraviglie e visioni,
si eccitano stanchi e condizionati
in vista dell’ultima corsia.
It’s beautiful!
Shopping nel borgo il borgo dello shopping,
shopping nella natura la natura nello shopping,
la pieve dello shopping lo shopping nella pieve,
shopping nella tradizione shopping nella storia,
tra cultura e shopping shopping e cultura,
shopping shopping shopping shopping………..
La civiltà contadina e lo shopping.
Unguanno portai la bianchina a fa i ferri novi,
quest’anno mi sono fatto un’Armani all’outlet.
Hei scusa sai dove stà Nello il lattaio?
Vende quel modello di Rolex ad un prezzo mai visto!
BOOH!!
IT’S BEAUTIFUL!
MELASTREGATA
Dolce come miele fresco al mattino
prelevato dal favo nel bosco
presentasti la faccia e il sorriso
nonostante lo schermo che sbarra.
Un piacere che solito non è
mi entrava furioso e gentile
consegnandomi ad una tastiera
in speranza di sentire il te.
Troppo presto per dire
per dire e per fare
chissà
ma lentamente dolcemente.
E mi piace esser li e ascoltarti
e far apparire parole per te
cominciare a scoprirti pian piano
e vedere che la gioia c=è.
E non dimenticare di fare piano
di assaporare quel che viene da me
come faccio con pezzetti di mela
che mi arrivano e tengo per me.
LA RIVOLTA DEI MORTI PRESUNTI
Come un risveglio,
un travagliato risveglio
con le ossa rotte
da un lungo sonno,
con stilettate di incubi
e bocca amara.
Perire, nello strazio
di un simile mattino?
O vivere spernacchiando
ad uno specchio
che ti rimanda
l=immagine di un morto presunto?
INCONTRI DI FINE STAGIONE
Paziente, tesse la sua tela
nell=angolo oscuro
un ragno.
Paziente.
Non si accorge di te
che vaghi nella stanza.
DINO
Io Dino. io…..io…….io Dino…………………..Diiiiiiiiiiiiiiiiiiiinooooooooooooooooo.
Proprio così, mia madre ebbe l’idea di chiamarmi così………….così………….cosììììììììì.
Ed io adesso mi chiamo, ma non mi trovo, mi pare a tratti di sentirmi………..come una volta, di riassaporare il mio corpo, di comunicare con le mie mani, i miei piedi, la mia faccia…………………………………ma poi li perdo, e non so più cosa fanno, dove vanno dove sono.
Ma quando rare volte esco sul terrazzino e mi bagno con la luce del sole, e il calore scalda la mia testa………………………allora ci sono attimi in cui mi sembra di tornare indietro, quando queste mie povere ossa erano in comunione con la natura. Si è vero io ero, oppure non ero e come cosa mi immergevo, facevo parte.
L’acqua era mia amica, gli alberi mi conoscevano, e spesso pareva che lo stormir delle fronde fosse una parola per me; mi parlavano si, mi dicevano tante cose, un sacco di cose, e anche i sassi, i sassi, i sassi del torrente. Quelli erano i miei migliori amici, io li prendevo in mano, li guardavo, li carezzavo, e poi li sentivo, li sentivo, li sentivo E giocavano con mesti pazzerelloni; io cercavo di alzarli in piedi, come totem, ma loro Tummmmmm tutummmmmmmm ricadevano continuamente, ed io li a riprovare a riprovare, a parlare con loro; e quando riuscivo a farne stare uno in piedi, allora sembrava che mi guardasse e dicesse “Grazie amico, grazie di avermi permesso di vedere il mondo da questa prospettiva”.
Una volta, adesso ricordo, son caduto nel torrente, su su nella montagna, dove l’acqua è pura, ma anche fredda, come di ghiaccio. Son caduto ricordo bene e non riuscivo a rialzarmi, l’acqua mi scendeva addosso fredda, ma io non la sentivo, o meglio sentivo che era mia, e lei sentiva che ero suo e non c’era dolore non c’era dolore.
Ecco mi tornano tante cose in questa testa, devo profittare di questo momento, devo Cristo riassaporarmi gustarmi.
C’era una lampada accesa sopra quel balcone, quando scesi dalla montagna e mi trovai di colpo davanti alle case, a tutte quelle case, alle case che quando sono insieme, tutte insieme le chiamano “paese”. Io alzai gli occhi così d’istinto, attratto da quella piccola fioca luce, l’unica luce, l’unico segno; alzai gli occhi e lì lo sguardo si perse , si fermò si si si fermòcome quando un’abbaglio improvviso rende ciechi e con la voglia di rivedere di rivedere di rivedere di rivedere…………………………… Ecco quelbalcone non era vuoto no non era vuoto.
C’era una figura di donna si una donna ma una figura che io non potevo immaginare lì , in quel posto in quella campagna o paese o paese di campagna. Ecco mi pareva si tutt’auntratto mi pareva di essere di nuovo a Genova , a Genova dove alle finestre ai balconi eh si mi chiamavano, mi strizzavano l’occhio mi mostravano la coscia; e io le adoravo le salutavo mandavo baci a destra e a manca a tutte a tutte……………e poi coglievo un fiore si perché erano fiori fiori bellissimi fiori.
Ma che c’entra Genova con questa campagna con questo balcone, che c’entraaaaaaaaaaaaa
Eppure se vedo lei lì accanto alla luce fioca al balcone eppure mi pare che sia una donna che cerca pure lei qualcosa un qualcosa. Ah nooooo nooooooo non vuole i miei denari in cambio del suo fiore,ma pure ha voglia di qualcosa o di tutto non mi sbaglio è nitido il suo sguardo che chiede.
E adesso che ricordo, come allora mi viene da pensare che son tutte donne tutte donne tutte uguali e tutte hanno voglia della vita del soffio del gusto della vita, e chi è costretta a chiamarti dalla finestra a Genova eppure lo fa con passione e ti chiede anche il soffio della vita oltre ai maledetti denari e somiglia a lei lì in attesa di un soffio un soffio di vita qualsiasi qualsiasi.
Volevo fare un gesto, un rumore perché posasse il suo sguardo su di me, ma non lo feci
Presi le mie gambe che non volevano e le costrinsi a muoversi.