Le nuove processioni
Nella stagione estiva,
quando la giornata
è offuscata,
non proprio di sole pieno,
non proprio da mare,
masse d’umani,
prevalentemente d’oriente,
si muovono sulla strada,
di fronte a casa mia,
in direzione del mega
centro commerciale.
Celeri all’andata,
lenti al ritorno,
appesantiti dagli
acquisti.
Manca il prete,
ma pare proprio
una processione.
L’ultimo sguardo
Per anni
del tuo ultimo sguardo
ho serbato geloso
ricordo.
Brillava,
era vivo.
Solo dagli angoli
sorgeva
il velo
della malinconia.
Ma non vi era
ne paura
ne disperazione.
Come se, docile,
ti apprestassi
alla fine.
Uno strano risveglio
Mi sono svegliato stamani e nel momento di levarmi in piedi, io si è allontanato da me. Mi guardo, come estraneo a me stesso. Lui, il mio me, continua a fare le sue cose, i soliti comportamenti, i soliti discorsi, le solite arrabbiature. Ma io non lo comprendo più.
Allora mi avvicino a lui, gli sussurro dolcemente alle orecchie: “Ma che fai, che dici, per cosa ti arrabbi?”. Come nei trionfi romani, dove un servo, dietro all’imperatore sulla biga, gli sussurrava “Memento mori”. Ma lui, il mio me, non può sentirmi, sono come un fantasma per lui.
Lo guardo allora come fosse un bambino irrequieto, e gli sto dietro con pazienza perché non si faccia troppo male. Lo sorveglio, cerco di prevedere i pericoli in cui si potrebbe cacciare, se riesco gli scanso la pietra dove potrebbe inciampare. Lo curo.
E poi penso al suo passato, alla sua storia. Giro nel suo passato come si visita una città antica. Tutto è in rovina. Ma la vita che vi è stata ancora risuona. Si, lì il foro dove quella volta ascoltai e parlai e ottenni fama… si, lì il teatro, vi vidi delle cose e provai delle emozioni… si, il lupanare… Ah si, quella volta volevo questo e dimostrare quella cosa a quella persona, lo ho ottenuto / non l’ho ottenuto, ho fatto male a quel tempo / ho fatto bene, ho sbagliato / ho avuto ragione. Lì c’è stato dolore, là c’è stata gioia, lì qualcosa che ancora oggi non riesco a dire. Ma tutto ciò non esiste più. Desueto, anzi defunto.
C’è un cielo splendido fuori. Bisognerebbe cogliere quel raggio di sole. Oggi no, il mio me ha preso i suoi impegni, ha delle faccende da sbrigare. Ancora un po’ di pazienza, domani vedremo.
La mente, il cuore e il corpo
C’era un tempo in cui imputavo agli altri le colpe e con veemenza li accusavo. Li accusavo del fatto che la mia mente, il mio cuore e il mio corpo non andavano per niente d’accordo. Pensavo, a quel tempo, che dovessero andare d’accordo naturalmente e che fosse stato qualcuno a perturbare questo ordine naturale. Solo dopo mi accorsi che erano lupi latranti dentro di me, ognuno bramoso di avere il predominio, e che il mio destino, come quello di tutti, non era altro che quello di accordarli.
Smarrimento
Era arrivato in quella piccola piazza camminando in preda a pensieri tormentosi. Una questione lo occupava. Una questione che pareva senza via d’uscita. Poi l’eleganza di una bifora catturò il suo sguardo. Guardò il resto. Era tutto così piccolo, ma le colonnine dei portici, lo slancio delle bifore verso il cielo, l’armonia del tutto, creavano un mondo conchiuso ma infinito. Per un attimo vi si perse. Senti come se si stesse dissolvendo e il suo corpo si espandesse e penetrasse, come una pianta con le sue radici, in quelle case e nei loro ornamenti gentili. Cosa fra le cose. Senza pensiero.
Alla destra del padre
Strano, pensò, ricordarsi ora, alla sua età, di quel particolare: aveva imparato a leggere a 5 anni, prima di andare a scuola, per gioco a bordo della “Bianchina” che il padre guidava con lui al suo fianco, alla sua destra. Sorrise, fra sé e sé: oggi non sarebbe possibile che un bambino di 5 anni sieda in macchina alla destra del padre. Il gioco funzionava così: durante il viaggio il padre leggeva i cartelli stradali e pubblicitari e lui li ripeteva, ottenendo o meno il plauso paterno. In breve divenne un bravo lettore. Strano, si disse, perché si ricordava di essere stato un bambino piuttosto ombroso, ma lì alla destra del padre era sicuro e pronto alla risposta. “Il Figlio siede alla destra del Padre”, quante volte aveva sentito questa frase, solo ora la gustava.
Il milite “Idioto”
Troppi discorsi ragionevoli,
ho la sensazione che non colgano
il punto.
Chiacchiere che girano in tondo,
solidarietà, dolore, proclami
oramai gettati al vento.
Polemiche fra falchi e colombe
che danno allo stomaco
tanto si sente che sono
a vuoto.
Poi un professore dice di stare tranquilli,
che ci saranno ancora morti,
ma che siccome siamo in guerra
e i morti sono meno,
allora stiamo vincendo.
Ed espone i suoi dati:
vedete, dice, ci sono meno morti,
c’è meno potenza.
Vedete, dice, i dati mi confermano.
È, in fondo, l’unica cosa non velleitaria che ho sentito.
Dice una verità agghiacciante:
c’è una guerra,
e chi la conduce
ci dice che siamo, volenti o nolenti, combattenti
e che è scontato che qualcuno di noi morirà.
Dopo ci seppelliranno da eroi.
come il milite ignoto
all’Altare della Patria.
Ma lo era già allora
E, questa volta, il milite
sarà sempre più “idioto”.
Esilio
Ti vedo
affannarti
nel cercare una meta,
ma il tuo cuore è pesante.
Ciò che ti sembra desiderabile e degno
in breve svanisce e diventa vano,
come un miraggio.
Ma l’enigma davanti
è solo l’immagine capovolta
della certezza alle spalle:
tu sai bene
di non aver luogo dove tornare.
Uff! Uff!
A coloro che non capiscono
che il destino della nave
è infrangersi sugli scogli
per aver osato violare
Il mare.
Tornare salvi in porto
è solo rinviare l’esito.
Ai custodi della norma.
Morti viventi,
non siete neanche degni della furia
che vi meritereste.
Per questo vi risparmio
il colpo che solo
vi renderebbe vivi.
Ai politici drogati fino al midollo
di potere,
con il cervello che gli è andato
In pappa negli intrighi,
senza vergogna di quello
che fanno.
Bisognerebbe infilzarli
come fece Ulisse con i Proci.
Ai voraci mangiatori di ostie
sempre pronti ad attaccarsi
ad ogni credo.
Non è questa
vera fede.
Cannibali,
se solo un attimo si guardassero allo specchio,
nel momento in cui compiono il macabro pasto,
andrebbero in frantumi.
Agli intriganti,
che rimestano così
solo la loro radicale sconfitta
che li tormenta da sempre.
Sempiterni Jago.
A chi non capisce,
perché è solo lui a non volerlo.
A chi si crede,
perché nulla sa
della gioia dell’abbandono.
Rimini
Sempre uguale il pranzo della domenica
nelle pensioncine a conduzione familiare,
assiepate fra il lungomare e la ferrovia
in quei anni ’70.
Lasagne e pollo e dolce
o giù di lì.
Più che alberghi
case più grandi dove ospiti gli amici
e poi si fa come si può,
ma sempre in allegria.
Mi vien quasi nostalgia
delle stagioni da cameriere,
quando per la prima volta vidi
un tedesco condire l’insalata con la Fanta
e rubai un bacio alla cameriera
nello stanzino delle colazioni.
L’ospitalità romagnola,
un po’ ruffiana,
ci tenevi a far si che la gente fosse contenta,
il perché mica c’è,
visto che il grosso dei soldi
non arrivava a me.
Ora, certo, tutto è migliorato,
l’aria condizionata e molti altri
fiori all’occhiello,
ma il modello è sempre quello.
Tiene sempre,
è inutile far studi e ricerche.
Per fortuna coi tempi che corrono
o, forse, proprio per quelli.
La verità
Pensiamo che la verità stia nella ricerca dei fatti,
e questa è sicuramente cosa buona,
ma ci accorgiamo che al massimo può essere veridicità.
Pensiamo che la verità sia nei principi di un retto agire,
e anche questa è assolutamente cosa buona,
ma sempre qualcosa sfugge,
enigmatico il male risorge.
Crediamo che la verità sia nell’avere un principio unico,
una chiave che delucida il mondo,
che ne garantisca il perfetto funzionamento,
e questo parte bene, ma poi
diventa fonte di piccole e grandi guerre
e inutili sofferenze.
La verità, nella sua essenza,
non ha a che fare con la “ratio”,
casomai con il “grund”, il fondamento.
Lì la verità è muta,
tace.
L’idolo
Che fatica,
cara amica,
la conquista dell’idolo.
Ti pareva
la soluzione di tutti i problemi,
ma neanche questo
è bastato
a quietare l’animo tuo
ancora non nato.
Fili di tela di ragno
Null’altro che distogliere
lo sguardo
da ciò che è troppo
crudo.
Null’altro che tessere
una tela di bava di ragno
per camminare sui suoi fili
e non cadere nel vuoto.
Null’altro che invocare
idoli sordi.
La dea speranza,
tace,
beffarda.
Il dono
Ma che bella ragazza,
che elegante figura!
Chissà se saprà
usarla bene,
senza pensare
che le appartiene
o si farà fuorviare
da questo dono.
Le ragioni del corpo
La sua bellezza,
come spesso accade
al contrario di quel che si crede,
non le era stata di buon viatico.
Il suo corpo ne era
martoriato.
Elogio alla “femme cougar”
Mi sei simpatica
“femme cougar”.
Che tu sia giovane
o anche più su.
Che tu sia bella,
carina
O anche no,
È il tuo piglio
che attrae.
Il sesso è sesso,
si dice.
Ma che tu sia
Nella parte della moglie fedele
o in quella della spigliata che ci sa fare,
Sempre della parola d’amore
senti la mancanza.
La parola d’amore
Fosse detta
anche per gioco,
fosse detta
anche nella forma dell’indecenza.
Perché quel che conta
non è il predicato
ma quel “sei unica”
che lì è significato.
La Porsche
Inchioda in doppia fila,
la Porsche, tutto ad un tratto
sul lungomare.
Ne esce lei, perfettamente agghindata,
e, furiosa, sbatte la portiera.
Lui la rincorre
E alza la voce.
Oh che accesa discussione!
Che ridere…
Si, si…
Ci scapperà la scopata,
quella arrabbiata.
La cercano,
entrambi.
Mica sempre,
si marcia a coccole!
Ma saranno così limpidi, dopo,
per farci sopra una risata?
Mi sa di no.
Lei dirà alle amiche che lui è un bastardo,
lui agli amici ancora peggio.
La gente non si fa mica male con quello che fa,
ma con le stronzate che dopo ci dice sopra.
Neo paganesimi
Si è detto che Dio è morto e che, allora, gli uomini fossero liberi.
Ah, ma avessi mai incontrato un vero ateo da allora!
Sembra l’uomo affetto dal bisogno di credere,
di credersi.
E, allora, perso il riferimento a יְהֹוָה,
Il Nome, inconoscibile e incomprensibile,
ognuno prende qualche insignificante parola
e ci costruisce sopra il suo credo,
e la fa diventare randello
con cui separare bene e male,
buoni e cattivi,
eletti o pària.
Piango
Piango
sulle piccole ottusità umane
in grado di produrre grandi disastri.
Piango sui genitori
che non si accorgono dell’appello dei figli
perché troppo presi
dal non voler vedere.
Piango sui disguidi ricorrenti
fra gli uomini e le donne
perché troppo presi
dal volerla avere vinta.
Piango su le cose perdute
che apprezzi solo
quando sono totalmente sparite.
Piango sulle persone
ridotte a essere oggetti di consumo,
esse stesse merce fra la merce.
Piango su te,
ti aspettavo e sei venuta,
ma ugualmente non c’eri.
Piango sull’impossibilità
di esprimere appieno
quel che il cuore di un essere dice.
Perché appena detto
subito svanisce,
come un mandala tibetano,
e tentare di fermarlo
è stupido e vano.
Della necessaria intimità
Se cogli
di te un’intima verità,
in qualunque modo ciò avvenga,
trattala come un seme prezioso.
Curalo.
Da essa nascerà un albero
che poi darà i suoi frutti
che poi potranno essere messi nel modo.
Se ti affretterai a commerciare il seme,
come ora tutti invitano a fare,
lo brucerai.
Dovrai allora ricominciare,
ma il tempo dell’Uomo
è finito
e un giorno ricominciare
non sarà più possibile.