Giancarlo Licitra - Percezioni

Nel silenzio dell’alba

 

Nel silenzio dell’alba, un soffio lieve,
sorge il sole, pennella il cielo di rose,
ogni foglia sussurra il segreto che vive,
e la terra si desta, vibrante di cose.

Ogni stella nell’ombra, un frammento di luce,
tra le valli s’incanta il respiro del vento,
e l’oceano che danza, l’infinito conduce
al mistero profondo, nel suo eterno lamento.

Chiara è la mano che scolpisce il creato,
un disegno divino, perfetto in ogni riga,
e in questa bellezza, dal tempo plasmato,
si nasconde l’eterno, che tutto abbriga.

Noi, fragili testimoni di tanta meraviglia,
contemplando il cielo, col cuore in estasi,
sentiamo in ogni cosa l’amore che brilla,
nel segno del Creatore, viviamo senza ansie.

Ogni fiore che sboccia, ogni monte maestoso,
canta l’eco lontano della sua sapienza,
e in quest’armonia, così dolce e radiosa,
troviamo il riflesso della Sua presenza.

Giancarlo Licitra

 


 

Un desiderio che brucia oltre

 

Una fiamma si accende nell’anima,
un desiderio che brucia oltre il mondo,
silente e potente,
cerca il volto di Dio in ogni cosa.

Non c’è luogo dove non sia presente,
non c’è volto umano che non ne rifletta l’essenza.
In questa passione, il cuore si perde e si ritrova,
in un abbraccio infinito, senza confini.

L’amore per Dio è un grido nel silenzio,
è una sete che niente sazia,
tranne l’incontro con l’Eterno,
che chiama dolcemente nell’intimo.

Ma questo amore non si chiude in sé,
si riversa sul mondo,
nell’uomo che soffre, che spera, che ama.
In ogni sguardo, un riflesso del divino,
in ogni mano tesa, un incontro sacro.

La passione mistica per Dio e l’amore vibrante per l’uomo
sono un’unica corrente,
un solo respiro che unisce terra e cielo,
un’armonia che canta la bellezza del Creato,
e la dignità di ogni vita in una solitudine sonora.

Giancarlo Licitra

 


 

Un frammento di luce

 

Nel cuore pulsante della natura,
si svela la bellezza di un mondo antico,
dove ogni foglia, ogni raggio di sole,
canta l’armonia del creato.

L’uomo, plasmato dalle mani divine,
cammina in questa terra con passo leggero,
portando in sé il riflesso dell’eterno,
un frammento di luce nel buio.

Nei suoi occhi brilla la compassione,
nei suoi gesti l’amore che cura e consola,
perché sa che la vita è un dono prezioso,
e ogni essere, un compagno di viaggio.

Nei rapporti, coltiva la pietas,
una benevolenza che non conosce confini,
che si estende come un viluppo,
abbracciando la sofferenza e la gioia altrui.

In ogni incontro, vede l’altro come se stesso,
in ogni mano tesa, un’opportunità di amore,
e nel sacrificio silenzioso,
trova la vera grandezza dell’essere umano.

Così, nell’intreccio della natura,
dell’uomo e delle relazioni,
si dipinge un quadro che sa di bellezza sacra,
dove l’amore diventa il filo invisibile,
che unisce ogni cuore, ogni anima,
in una danza eterna di benevolenza.

Giancarlo Licitra

 


 

Le ombre di Ibla

 

Capitolo 1: La nebbia del mattino

Ragusa Ibla, fine 1800. Un villaggio arroccato sulla pietra calcarea, avvolto nel silenzio e nelle ombre. I vicoli stretti, serpeggianti tra le case antiche, nascondevano più segreti di quanti i suoi abitanti fossero disposti a confessare. A quest’ora del mattino, la nebbia si sollevava lenta dalle valli, avvolgendo la città come un mantello grigio.

L’ispettore Vincenzo Spada era stato trasferito a Ibla da poco. Proveniva da Palermo, abituato ai casi più complessi della capitale, ma c’era qualcosa in questo villaggio isolato che lo rendeva inquieto. Un mistero più profondo, radicato nelle mura antiche, nei sussurri delle strade deserte. L’atmosfera stessa sembrava avere un’eco di tragedia.

Era un martedì di novembre quando il suo ufficio ricevette una chiamata dalla nobile famiglia Balsamo. La giovane figlia del barone, Elena, era scomparsa senza lasciare traccia.

Il barone Balsamo, uno degli uomini più potenti e influenti della zona, aveva ricevuto una lettera anonima. Le parole erano state scritte in una calligrafia disordinata, quasi tremante: “L’agnello sacrificale è pronto. Preparatevi per la verità nascosta nelle ombre della cattedrale.”

Spada, affiancato dal fido sergente Russo, si diresse subito alla villa. Il palazzo Balsamo, sepolto da secoli di storia, si ergeva maestoso ma ormai decadente. Le voci su quella famiglia erano tante, e nessuna troppo lusinghiera. Corruzione, debiti nascosti e oscuri patti con la nobiltà di altre terre. Ma la scomparsa di Elena era diversa. C’era un senso di ritualità, di sacrificio.

Arrivarono alla villa poco prima che il sole sorgesse. Un cielo plumbeo, senza stelle, li accolse. Il barone li ricevette con il volto pallido e le mani tremanti. Spada notò subito l’eccessivo nervosismo dell’uomo, come se fosse più preoccupato per la lettera che per la sorte della figlia.

“Qualcuno vuole distruggermi,” disse il barone, offrendo a Spada il foglio spiegazzato. “Vogliono portare alla luce segreti che non devono essere rivelati.”

Spada lesse la lettera attentamente, la frase finale lo colpì come una coltellata: “La verità nascosta nelle ombre della cattedrale.”

La cattedrale di San Giorgio era il simbolo di Ibla, un capolavoro del barocco, ma anche un luogo pieno di leggende. Si diceva che sotto di essa si nascondessero passaggi segreti, cripte antiche e stanze dimenticate dove si svolgevano riti proibiti. L’ispettore sapeva che doveva cominciare proprio da lì.

Capitolo 2: Le cripte segrete

La cattedrale era quasi deserta quando Spada e Russo vi arrivarono. Solo il custode, un vecchio con gli occhi stanchi e il volto segnato dal tempo, era presente.

“State cercando qualcosa, ispettore?” domandò l’uomo, con un sorriso sghembo. “Qui tutti cercano, ma non trovano mai nulla.”

Spada ignorò la provocazione e chiese se ci fossero antichi passaggi sotterranei. Il custode lo osservò attentamente, come a pesare se potesse fidarsi. Dopo un lungo silenzio, annuì e li guidò verso una scala nascosta dietro l’altare maggiore. La scala scendeva nel buio, e l’aria diventava fredda e umida a ogni passo.

Le cripte sotto la cattedrale erano vecchie quanto la città stessa, labirinti di pietra che conservavano storie dimenticate. Ma tra quei corridoi, qualcosa non andava. Spada sentiva un rumore distante, quasi impercettibile: un sussurro. Era come se qualcuno stesse spiando, osservando ogni loro mossa.

Improvvisamente, Russo inciampò su qualcosa. Si chinò e sollevò un medaglione dorato. Su di esso era inciso un simbolo che Spada riconobbe subito: una rosa nera, il marchio di una setta segreta che si diceva operasse a Ibla da secoli. Si diceva che questi uomini si riunissero nelle cripte per compiere riti oscuri, sacrifici umani per ottenere potere e ricchezze.

L’ispettore era sempre stato scettico su tali leggende, ma ora, con Elena scomparsa e quel medaglione tra le mani, la storia prendeva una piega inquietante. Si rese conto che la verità poteva essere più spaventosa delle leggende.

Capitolo 3: Il sacrificio

Le indagini condussero Spada e Russo a un’antica confraternita, un gruppo di uomini potenti e influenti che avevano legami con la nobiltà locale. La ricerca di Elena sembrava intrecciarsi con questi rituali, e la notte del sabato successivo sarebbe stato il culmine di tutto. La data del rituale più importante.

Nel frattempo, Spada ricevette un’altra lettera anonima: “La rosa nera fiorirà sotto la luna nuova. Non c’è redenzione senza sacrificio.”

Il sabato notte, Spada si nascose nei pressi della cattedrale. Il silenzio era assoluto, tranne per il battito del suo cuore che accelerava con ogni minuto che passava. Le ombre lunghe proiettate dalla luna si muovevano come spettri sulle pareti. Fu allora che vide una figura incappucciata scivolare tra le colonne.

La figura portava Elena, legata e imbavagliata. La giovane sembrava esausta, priva di forze. Spada intervenne, affrontando il misterioso incappucciato. Dopo una breve lotta, riuscì a disarmarlo, ma quando tolse il cappuccio, il volto che gli apparve davanti era quello del barone Balsamo.

Il barone, col volto pallido e gli occhi colmi di follia, sussurrò: “Era l’unico modo per preservare il mio potere. Il sacrificio è necessario, è stato così per secoli.”

Capitolo 4: La verità nelle ombre

La verità emerse nei giorni successivi: la famiglia Balsamo, discendente da una lunga linea di nobili, era legata a una setta segreta che praticava riti di sacrificio per mantenere la loro posizione di potere. Elena doveva essere la vittima del prossimo rito.

Grazie all’intervento di Spada, il culto fu smascherato, ma le ombre che si nascondevano nelle cripte di Ibla non scomparvero mai del tutto. La città continuava a vivere sotto la cappa del mistero, ma per il momento, il sacrificio era stato evitato. Tuttavia, Vincenzo Spada sapeva che a Ragusa Ibla, le ombre avevano sempre l’ultima parola.

Capitolo 5: I segreti del barone

Mentre il barone Balsamo veniva arrestato, Spada si trovava di fronte a un dilemma morale. Nonostante la confessione, c’erano ancora molte domande senza risposta. Perché proprio Elena? E soprattutto, chi altro era coinvolto? Il barone sembrava essere solo una pedina, un uomo disperato che cercava di preservare il proprio potere. Ma chi muoveva davvero i fili di questo oscuro gioco?

Nelle settimane seguenti, la tensione in città era palpabile. L’arresto di una figura così potente come il barone aveva scosso la nobiltà locale, ma anche il popolo. Ragusa Ibla, con le sue viuzze in cui il sole sembrava non entrare mai del tutto, nascondeva ancora segreti più profondi, e Spada non poteva ignorare i sussurri che correvano tra le case: “C’è qualcun altro dietro tutto questo.”

Una mattina, il sergente Russo si presentò nell’ufficio di Spada con una notizia inquietante. Durante l’interrogatorio, il barone aveva fatto un nome. “Don Mariano Licata.”

Don Mariano era una figura rispettata, conosciuta per la sua generosità e per la sua influenza sulla comunità ecclesiastica e politica. Ma c’era sempre stata un’aura di mistero attorno a lui. La sua famiglia era antica quanto quella dei Balsamo, e alcune voci lo collegavano a traffici segreti che si estendevano ben oltre i confini di Ragusa Ibla.

Spada decise di indagare, ma sapeva che muoversi contro Don Mariano sarebbe stato rischioso. Se il barone era stato solo un esecutore, Don Mariano poteva essere il burattinaio, colui che tirava le fila di una rete più ampia e pericolosa.

Capitolo 6: Il giardino proibito

Seguendo una traccia che lo portava fuori dal cuore del paese, Spada e Russo giunsero a Villa Licata, una tenuta nascosta tra gli ulivi secolari. Il giardino, ben curato e circondato da alte mura, sembrava un’oasi di pace. Ma qualcosa non tornava. Le voci dicevano che lì, nelle notti senza luna, si svolgevano incontri segreti tra figure di spicco della nobiltà, e che il giardino era stato teatro di eventi oscuri.

Si avvicinarono cautamente, attraversando il cancello arrugginito che cigolava sotto la leggera brezza autunnale. La villa sembrava deserta, ma quando giunsero nel cuore del giardino, trovarono una piccola cappella abbandonata. Russo indicò una porta nascosta tra le piante rampicanti: un ingresso verso un sotterraneo.

Spada spinse la porta e scesero lungo una scalinata stretta. La puzza di umidità e di muffa li avvolse subito. Quando arrivarono in fondo, trovarono una stanza circolare illuminata da candele consumate. Al centro, un altare di pietra grezza. Su di esso, una serie di Capitolo 6: Il giardino proibito-

Al centro della stanza, un altare di pietra grezza portava simboli antichi, sconosciuti persino a Spada, che aveva studiato le religioni occulte nelle sue precedenti indagini a Palermo. Intorno all’altare, giacevano resti di rituali: candele consumate, strane incisioni sul pavimento e, sul muro opposto, un disegno inquietante di una rosa nera intrecciata con un serpente.

Russo, visibilmente turbato, si fece avanti e trovò un piccolo medaglione, simile a quello che avevano scoperto sotto la cattedrale. Ma questo portava un nuovo dettaglio: una scritta in latino, “Non omnis moriar” — non morirò del tutto. L’inquietudine di Spada crebbe: chiunque fossero queste persone, credevano di possedere un potere che andava oltre la morte stessa.

Mentre osservavano con attenzione i dettagli della stanza, un rumore proveniente da sopra li costrinse a fuggire. Chiunque fosse a capo di questa setta, sapeva che Spada era ormai sulle loro tracce.

Capitolo 7: Le ombre del castello di Donnafugata

Pochi giorni dopo, Spada ricevette una lettera senza firma. Era scritta su carta pregiata e riportava un solo, criptico messaggio: “Se vuoi conoscere la verità, vieni al castello di Donnafugata. Lì, il labirinto nasconde più di un segreto.”

Il castello di Donnafugata, una magnifica dimora appartenente alla nobile famiglia Arezzo, si trovava nelle campagne, non lontano da Ragusa Ibla. La residenza era famosa per il suo immenso parco e, soprattutto, per il labirinto di pietra al suo interno. Si diceva che il labirinto fosse stato costruito per intrappolare i nemici dei baroni, ma altre storie parlavano di anime perdute, di chi entrava e non trovava mai più la via d’uscita.

Spada si preparò a incontrare il mistero che l’aspettava. Arrivato al castello con Russo al tramonto, notò subito l’atmosfera inquietante che avvolgeva il luogo. L’immenso edificio, con le sue torri e balconi barocchi, sembrava scrutare ogni loro passo. Il vento soffiava tra i cipressi, creando un sussurro costante, come se gli spiriti della storia volessero metterli in guardia.

Il labirinto era esattamente come lo avevano descritto: un groviglio di alte siepi e muri di pietra che sembravano crescere senza fine. Spada e Russo iniziarono a camminare tra i sentieri tortuosi, seguendo la mappa lasciata nella lettera. Il tramonto rendeva l’ambiente ancora più spettrale, con lunghe ombre che si allungavano sulle pareti del castello.

Dopo diversi minuti, arrivarono al centro del labirinto. Qui, un’imponente statua raffigurante una donna incappucciata, con il volto rivolto verso il cielo, dominava la scena. Ai piedi della statua, Spada trovò una botola nascosta tra l’erba alta. Senza esitare, la aprirono e scesero all’interno di una cripta sotterranea.

Le pareti erano rivestite di antichi affreschi, che rappresentavano scene di sacrifici e strani riti. Al centro della cripta, una grande tavola in pietra, simile a un altare, era coperta di simboli simili a quelli trovati nella villa di Don Mariano. Sopra l’altare, una vecchia pergamena, consunta e quasi illeggibile, recava una mappa del sottosuolo del castello e delle sue connessioni con altri luoghi sacri della zona, compresa la cattedrale di San Giorgio.

Improvvisamente, una voce risuonò nell’oscurità della cripta. “Sei arrivato fin qui, ispettore. Ma non sei il primo a cercare la verità, né sarai l’ultimo.”

Spada si voltò di scatto. Un uomo emerse dalle ombre: Don Mariano Licata. Era accompagnato da altri due uomini, incappucciati. “Hai scoperto più di quanto avresti dovuto. Ma ora è tempo che tu scelga: la tua vita o la tua lealtà alla giustizia.”

Capitolo 8: Il patto col buio

Spada non esitò. Estrasse la pistola e la puntò contro Don Mariano, ma l’uomo, con un sorriso calmo e sprezzante, alzò le mani in segno di resa. “Non si può fermare ciò che è stato messo in moto da secoli, ispettore. Il potere che cerchiamo è antico quanto le pietre di Ibla. E tu sei solo un altro ostacolo da superare.”

Mentre parlava, uno degli uomini incappucciati si mosse verso Russo. Spada fece fuoco, e la pallottola risuonò nella cripta. Gli altri uomini fuggirono nell’oscurità, lasciando Don Mariano prigioniero. Il suo sorriso svanì, ma non la sua aria di sfida. “Non importa cosa farai di me. Non puoi fermare l’inevitabile.”

Il castello di Donnafugata, con i suoi labirinti e segreti, aveva svelato solo una parte del mistero. Ma Spada sapeva che Don Mariano non era l’unico coinvolto. La rete di potere che si estendeva sotto la superficie di Ragusa Ibla era molto più grande di quanto avesse immaginato.

Capitolo 9: Il cerchio si chiude

Con Don Mariano in prigione e le indagini che si espandevano, Spada sentiva di essere sempre più vicino a scoprire l’identità del vero capo di questa setta. Ma il tempo era contro di lui. Ogni giorno, nuovi ostacoli si frapponevano sulla sua strada, e nuove minacce gli giungevano in modo subdolo.

La lettera successiva che ricevette lo avvisava: “Torneremo per il sacrificio finale. E questa volta, nessuno potrà fermarci.” Spada sapeva che l’ultimo capitolo della sua indagine era vicino, ma ciò che non poteva prevedere era fino a che punto questa oscura setta avrebbe spinto il suo gioco mortale.

Le ombre di Ibla si allungavano sempre di più, avvolgendo la città e le sue antiche pietre, mentre il mistero continuava a infittirsi, come il labirinto senza fine che circondava il castello di Donnafugata.

Flashback: Quindici anni prima

Era una calda sera d’estate nella Ragusa Ibla di quindici anni prima, e l’aria era satura dell’odore di fiori d’arancio e pietra riscaldata dal sole. Vincenzo Spada non era ancora l’ispettore consumato che sarebbe diventato, ma un giovane investigatore ambizioso e idealista. Allora, la sua vita era segnata da sogni di giustizia e onore, ma anche dall’incontro con un uomo che avrebbe segnato il suo destino: Don Mariano Licata.

Quella sera, Spada era stato convocato a un elegante ricevimento nella villa dei Licata, in cima a una delle colline che dominavano Ibla. Il giovane Vincenzo, ancora inesperto nelle dinamiche del potere che governavano la Sicilia, aveva accettato l’invito senza troppi pensieri. Era un’occasione per stringere legami utili e per fare carriera in una terra dove le alleanze politiche e familiari erano essenziali quanto il sangue.

Ricordava ogni dettaglio di quella notte come fosse ieri: il giardino della villa illuminato dalle lanterne, il mormorio sommesso degli ospiti, e Don Mariano, con il suo abito nero impeccabile, che si avvicinava con un sorriso accattivante. L’uomo emanava un’aura di autorità, ma anche di mistero. I suoi occhi, penetranti e calcolatori, misero subito Spada a disagio.

“Benvenuto, giovane Spada,” disse Don Mariano, tendendogli la mano con calore. “Sono felice che tu abbia accettato il mio invito.”

Vincenzo annuì, cercando di nascondere la sua inesperienza. “È un onore per me essere qui, signor Licata.”

Don Mariano lo osservò per un istante troppo lungo. “Ibla ha bisogno di uomini giovani come te. Uomini che sappiano quando parlare… e quando restare in silenzio.”

Fu quella frase, pronunciata con un tono quasi paterno, che rimase impressa nella mente di Spada. All’epoca non capì del tutto il significato di quelle parole, ma si sentiva attratto dal potere che quell’uomo emanava. Durante la serata, fu presentato ad altre figure di spicco della nobiltà e della politica siciliana. Sembrava tutto normale, un semplice ricevimento tra i potenti della zona. Ma sotto la superficie, c’era molto di più.

La notte si concluse con una scena che Spada non avrebbe mai dimenticato. Quando gli ospiti cominciarono a lasciare la villa, Don Mariano invitò Spada a fare una passeggiata nel giardino privato. La luna piena illuminava il percorso, e il silenzio era spezzato solo dal fruscio delle foglie mosse dal vento.

“Vedi, Vincenzo,” iniziò Don Mariano mentre camminavano, “questa città è antica, e con essa lo sono i segreti che custodisce. La vera giustizia non si trova nei tribunali o nelle aule di governo. No, essa si trova qui, tra le ombre. E tu, mio giovane amico, hai la possibilità di scegliere. Puoi servire la legge… o servire Ibla, e con essa chi la governa davvero.”

Spada si fermò, guardando il volto di Don Mariano alla luce della luna. C’era qualcosa di oscuro nei suoi occhi, qualcosa che Spada non riusciva a definire. “Cosa intende dire, signor Licata?” chiese, cercando di mantenere la calma.

Don Mariano gli sorrise, un sorriso freddo. “Sto dicendo che ogni uomo deve scegliere da che parte stare. La giustizia non è solo bianco o nero, giovane Spada. A volte, per proteggere ciò che amiamo, dobbiamo fare compromessi. La vera forza è capire quando accettare quei compromessi.”

Quella conversazione lasciò Spada con un senso di disagio che non riuscì a scrollarsi di dosso per molto tempo. Non era ancora sicuro di ciò che Don Mariano stesse cercando di dirgli, ma intuiva che l’uomo stesse testando la sua lealtà. E quello fu il primo vero incontro con l’oscurità che governava Ragusa Ibla, un’oscurità che avrebbe impresso il suo marchio su di lui per il resto della sua carriera.

Ritorno al presente

Spada si scosse dal ricordo, tornando alla cripta fredda e buia sotto il castello di Donnafugata. Don Mariano era lì, davanti a lui, e ora il cerchio si stava chiudendo. Quella frase di tanti anni prima riecheggiava ancora nella sua mente: “La vera giustizia si trova tra le ombre.”

Adesso, Spada sapeva cosa significava. Sapeva che Don Mariano non era mai stato semplicemente un uomo di potere, ma il custode di segreti antichi, radicati nel tessuto stesso di Ragusa Ibla. E ora, l’ispettore si trovava di nuovo davanti a una scelta. Ma questa volta, non avrebbe accettato compromessi.

“La tua partita è finita, Don Mariano,” disse Spada con tono fermo. “Questa volta, la giustizia sarà fatta alla luce del sole.”

Don Mariano rise, una risata bassa e gutturale. “Il sole, ispettore? Il sole non splende mai davvero su Ibla. Qui, la vera forza è sempre stata nelle ombre. E tu… tu sei ancora troppo giovane per capirlo.”

Flashforward: Vent’anni dopo

La calda luce del sole del pomeriggio estivo si posava dolcemente su Ragusa Ibla, che sembrava non essere cambiata di una virgola in due decenni. Le sue antiche strade di pietra continuavano a raccontare storie, custodendo segreti mai rivelati. In un angolo appartato della città, tra le mura imponenti della cattedrale di San Giorgio e le case che si affacciavano sulla valle, un uomo camminava con passo lento, ormai lontano dall’ispettore che aveva segnato una svolta nelle indagini sul potere occulto della città.

Vincenzo Spada, ormai in pensione, portava i segni del tempo sul viso, ma i suoi occhi conservavano ancora quella scintilla di determinazione. Era tornato a Ragusa Ibla, come ogni anno da quando aveva lasciato la polizia, per rivisitare quei luoghi che gli avevano cambiato la vita. Le sue mani si stringevano dietro la schiena mentre attraversava Piazza Duomo, la mente assediata da ricordi sbiaditi e da una domanda che non lo aveva mai lasciato: Aveva davvero messo fine a quell’oscura vicenda, o qualcosa continuava a sfuggirgli?

Il nome di Don Mariano Licata era ormai dimenticato dalla maggior parte della gente del posto. Dopo il processo e la condanna, il vecchio barone era morto in prigione. Ma non c’era mai stata una vera conclusione per quella storia. Anche se Spada aveva portato alla luce una parte della setta e dei loro piani, non tutte le persone coinvolte erano state identificate, e non tutte le verità erano state svelate.

Vent’anni dopo, quei segreti sembravano ancora serpeggiare sotto la superficie della città, come radici che crescono invisibili sotto la terra. Negli anni successivi alla sua pensione, Spada aveva seguito altre tracce, parlato con vecchi amici e consultato i documenti dell’indagine, ma ogni volta si era scontrato con un muro di silenzio. Forse il potere oscuro di Ibla non era mai stato del tutto distrutto, ma semplicemente si era ritirato, aspettando il momento giusto per tornare.

Mentre Spada si avvicinava al castello di Donnafugata, la sua mente tornò agli eventi che si erano consumati sotto quelle mura. La cripta sotterranea, l’altare di pietra, le parole di Don Mariano: “Non puoi fermare l’inevitabile.” Quelle parole lo tormentavano ancora.

Quasi come un richiamo del destino, Spada si fermò davanti all’ingresso del castello. Le mura del labirinto di pietra, ora coperte di edera e muschio, sembravano invitarlo a entrare, come se qualcosa aspettasse ancora di essere scoperto. Decise di entrare, un ultimo tentativo di cercare le risposte che lo avevano eluso per tutta la vita.

Il labirinto non era cambiato: i sentieri stretti e tortuosi, le alte siepi che bloccavano la vista, le ombre che si allungavano. E mentre camminava, una strana sensazione di déjà-vu lo invase. Dopo minuti che sembravano ore, arrivò nuovamente al centro, dove una volta c’era la statua della donna incappucciata. Ma adesso, qualcosa era cambiato.

Al posto della statua, un giovane uomo in abiti eleganti lo stava aspettando, il volto nascosto in parte da un cappello a tesa larga. “Ispettore Spada,” disse l’uomo con un sorriso enigmatico, “o forse dovrei dire… Vincenzo. È passato molto tempo, ma sapevo che saresti tornato.”

Spada lo fissò, cercando di capire chi fosse. Il suo volto era nuovo, ma c’era qualcosa di disturbante in quell’espressione, un’aria di familiarità che non riusciva a spiegare. “Chi sei?” chiese Spada, con la voce resa roca dall’età.

L’uomo sollevò il cappello, rivelando un volto giovane ma sinistramente familiare. “Sono parte di ciò che hai cercato di distruggere vent’anni fa. Ma non puoi fermare ciò che vive nell’ombra. Le radici di Ibla sono profonde, ispettore. E la nostra opera… non è mai finita.”

Spada sentì un brivido lungo la schiena. In quel momento capì che il ciclo non si era mai veramente concluso. La setta, o ciò che ne restava, aveva trovato un nuovo erede. Un nuovo capo. E la battaglia che pensava di aver vinto era solo l’inizio di una guerra più lunga e più oscura.

L’uomo si voltò e scomparve tra le ombre del labirinto, lasciando Spada solo, con il peso di una vita dedicata a combattere un nemico che non poteva essere sconfitto. Guardando le ombre che si allungavano sopra di lui, capì finalmente le parole di Don Mariano: Il sole non splende mai davvero su Ibla.

Conclusione

Vincenzo Spada uscì dal labirinto con il cuore pesante. Sapeva che la battaglia contro le ombre di Ragusa Ibla non era mai davvero finita. Non c’era gloria nel suo lavoro, né la certezza di aver salvato la città da quel potere antico che aveva radici più profonde di quanto potesse immaginare. Vent’anni dopo, Spada era stanco, ma anche consapevole di una verità amara: alcune forze non possono essere sconfitte. Possono solo essere contenute, per un certo tempo, fino a quando qualcun altro non sarà pronto a sfidarle.

Mentre si allontanava dal castello di Donnafugata, il sole stava tramontando, e le ombre della sera si allungavano su Ragusa Ibla, avvolgendola in un manto silenzioso. Spada guardò la città per un’ultima volta, sapendo che la sua eredità sarebbe stata raccolta da altri. Qualcuno, in futuro, avrebbe dovuto affrontare di nuovo il male che si nascondeva tra le pietre antiche di Ibla. Ma per lui, la storia era finita. Aveva fatto tutto ciò che poteva.

Non esisteva una fine definitiva, solo un ciclo che si ripeteva, di generazione in generazione, tra le luci e le ombre di quella terra misteriosa. Spada si era battuto con coraggio, ma sapeva che il tempo aveva vinto. Ora, toccava ad altri affrontare il buio.

Giancarlo Licitra