Gianluigi Frittoli - Poesie

ULTIMO SENTIERO

 

Vago tra cinguettati sentieri odoranti di vite invisibili.

Le parole dei maestri curano la mia sindrome

della clessidra senza sosta.

Poggiano una rosa secca

sulla gabbia del mio corpo che non spicca!

Le voluttà si consumano in abbagli

e le promesse pascolano in frescure d’asili ombrosi.

Una fanciulla incede tra daini e caprioli,

mi porge l’onda di Maxwell di rubino

tra i laser rossi di mela senza peccato.

Mi instilla scienza a velocità elettromagnetica.

Poi raccoglie una manciata di bacche

e ne fa un rosario con scaglie di corteccia…..

Mi ridà, con un cenno d’intesa, il dono della preghiera.

Mi prende la mano: io perso in spirali d’Archimede,

nei cospetti di cui vedo solo orme e vestigia:

forme così volatili ma invasive,

sciamano a drappi d’operose api elette,

nel beato delirio

in un imbrunire d’upupa e di mani ramose.

In una bozza infantile, ma definitiva

di premiati cenacoli d’energia:

Bellatrix, Rigel, Alcor, la “volta” innesca

ricca d’oscurità e musiche celtiche;

mi vestono d’onde di gravità e seta di luce

di quell’amore fatto di “frattali” tuberosi.

Un corvo da una cima secca si ravviva,

turba l’aria con lenti flussi che da ocra si fa tumida,

mi vede intubato in fughe che piegano le forme:

la bimba gli porge il suo braccio a ramo d’ulivo

e poi cado in quest’ora afosa e nutrita

in un letto di foglie che liberano la mia anima.


TIME INDEPENDENT

 

Correva L’anno 1990,

nell’aspre colline chiosate di rovi:

Calabria il tuo ondoso tempo “d’arsenico

e vecchi merletti………” Mi strugge!

 

Donne sbocciavano nei corpi ad anfora

su terrazzi e attici umettati da cieli azzurri.

 

Un neo bianco nel cielo in moto regolare: venere,

era acclamata dai geghege di grilli e floating di libidine

intrecciate a formule nell’uomo alla deriva di trepidazioni:

bandiere frustate dalle teorie di Heisenberg

assieme a ormoni della mia gioventù solitaria,

desiderosa dei “saperi” e di seni d’arancia.

 

Frattali di monti spinavano promontori

scrivendo giochi antichi,

pulsanti nella mia anima

fatta d’impalpabili acque saline

                                                 mosse a refrain di spiritual dal cuore.

Sui rivieraschi dalle cento lune,

veniva gettato seme a spume senza un senso di sazietà

nell’antro scuro di un pensare adolescente,

a fantasiosi volti ramati di damigelle

                                                        dalle caviglie odorose di cocco.

 

Il mio nucleo d’amore si perse nelle distanze siderali,

mentre la meccanica quantistica seminava

ciò che sarebbe divenuto il tronco dai rami frusciati,

nell’alto di geodetiche perfette….

e particelle morte di vibrante instabilità.

 

E ora, mentre imbrunisco: foglia dallo spazio ricurvo

in un fischiettare di brevi afflati d’un unico trasalire infinito,

si fondono le sinfonie di Borodin al “Principe Igor”

con i ponti che portano a varchi di Rosen;

pianto e riso si mescolano in un siero agrodolce

che tatua la mia memoria scoscesa

                             con attrattori di Lorenz.

I tuoi occhi ora, mi portano atroci notizie

nel candore di Loto

dai petali al macero del grembo terroso……..

 

Ma io ebbro di sentimento e di furore epico

mi smorzo, felice, come un crepuscolo di grano rosso:

saggezze dei maestri al riverbero d’imbuti della storia

      accordano liriche alla dignità del sapere.

L’agonia è così mesta, che ogni insuccesso

                                          è già solo una fittizia doglia!

 


 

 

A SBRINA RAVAGLIA

 

 

                                            Il nome gallese dal fiume Severn  

                                   che involse una principessa.

                                   E nell’ebraico fiore spinoso ma satollo di virtù.

                           Lo leggevo un giorno solo, con la mano sul mento,

                    Io cipresso che tocca mongolfiere di nubi che parlano agli amanti,

con il cuore fattosi mela morsa  

      da becchi di chi si nutre della mia vita che va e viene nel vento……

 

                                                                           Ti ho vista e salutata piena di dolcezza e umiltà,

un giorno che pareva qualunque e si fece unico, per chi non lo cerca ma lo vuole,

        in uno sfondo uggioso di Vigevano al di qua di pareti in pietra cotta dal sole

                                                                                          e sprazzi di raggere di cobalto sulla città.

 

                  Tu venuta a portare calore e a trasformare l’informe mio animo,

       sottile pallido un po’ perso, in un ago immerso in forze nobili

                                                                                                                            fatte di campi d’energie segrete,

                     a segnare i carri eterni delle stelle

                                                                dominatrici di luce al traino della volta

                                                                                che si tuffa nelle correnti gravitazionali e flash di comete

 

                          Sono la tua pelle ramata e i tuoi occhi, frutto di chimiche estrose

                                                               preludio alle tue parole flautate;

                              il tuo profilo è scolpito in anfore etrusche adorate,

                                           trovate da ricercatori impazienti d’ogni sussurro

                                                                 della madre terra, carezzata da mani callose.

 

                             Il mio pensiero spazia: veliero dalla prua con uno spettro in ronda

                         vira, imbarda, rolla: traccia scie di bussole incantate cerca la sponda:

                                                                                   vorrei che tu mi proteggessi dal sarà,

      in questa scuola che fu fiore di provincia e ora è una storia che non si racconta…….

 

                  Cercami

                        quando si fa amara l’anima per la quiete che stalla,

                                                              tra i tafani che raccontano di sepolcri e di storie senza autore.

                                               Chiamami dalla torre del tuo castello cinto di lauri e gioie in aritmia:

                              tu orchidea di primavera, dalle virtù scritte nei petali

                                                                                                                            in vene di prosa in poesia.

                                               Mi s’appresa l’ora fuori dal tempo;

                                                                      non so se ti proteggerò da chi infamerà più il tuo candore.

                                                 Tu dai vita e senso al mio incantato film a nastro,

                                                                                                                                          butterato di discromie:

                 io involontario Ettore contro “l’Achille senza tallone…………colpito nel sacro”,

                                                                                        mi sento un fregio barocco su scalcinate antologie,

                                                        ….Eppure credetti nel pensiero solenne pieno di certezza…………

                              

            Curve e traiettorie nel piano di Cartesio, formule d’uomini eccelsi come Porlezza.    

                     Scrivi tu, forse anche per me che vago bipolare: mi esalto e poi mi nego,

         con la movenza di chi scioglie dai fermagli tribali i suoi capelli color avena,

                            una pagina che da bianca si chiosa in un ristoro algico…..te ne prego!

 

             Potessi allontanare le ombre del passato e del futuro che non c’è, ma trema

                                                       dalle porte mal chiuse degl’alti eldoradi di rumore cordiglio……..

        Si diradino da te le negatività, tu da loro sii mai invaghita:

        sono sembianze opache…Che si tramutino in corvi e volino lontano

                                                                                                                                    con il loro artiglio;

                                   dissolvano pure in una nube che bagna i minuti afosi e poi scema……

                                           e tornino le luci nella tua iride infinita!!

                                           Tamburi il tuo sorriso d’avorio bianco su un piano etereo

                                                                                                     il silenzio fatto da due fiamme ardenti:

                                                                                      il miracolo delle telepatiche, intrecciate menti

 


 

              

Patrizia di Brescia (Teologa e donna di temperanza)

 

Il tuo volto sereno e temperante

sfida il buio sulla terra.

Quando questo viene a tediarci: ti guardiamo fiduciosi!

Metronomo il tuo corpo d’ondulati canti al Signore…..

Piante d’arbusti incantati,

energica gemma di diamante

t’offrono una primavera senza miti

tra mani di foglie lanceolate.

Ma forte di speranze savie non te ne curi!

Cresce in perla dura una certezza

di luce dei tuoi due amori:

Dio nell’azzurro d’un giugno incordato/teso

a chitarra tra monti, nelle chiare mattine

per ipotesi di suoni ceruli alla maestà dei prescelti

e il tuo uomo che accanto a te,

divina che sei, dal cuore amico

e di voce ritmata dal swing dei grandi esploratori,

che conta i petali del tempo …….

Tra le nenie del m’ama, non m’ama….

Ma son i tuoi labili, tenui raggiri

che gli fanno battere di tamburo il cuore per sempre!

Girasoli folli per te

lo rassicurano in un sincrono si!

Il sole immortale nell’angolo di Platani

da un fash-flash

dalla corteccia bianca e venata,

inquadra il candore del tuo abito di sposa:

castellana cinta di fiori d’arancio

tra le merlature ruvide di torrioni bresciani.

Il sole poi si lancia pazzo di raggi/spada:

moneta di conio metafisico nella sera senza fine….

Poggia al riposo

nelle distese di grano maturo.

Sigillo della tua promessa salita agli astri….

Ti nutre con fiocchi di guizzi boreali

che si fan tuoi capelli……..

Spazi e visioni è la tua Teologia

che trova in ogni cantuccio la bellezza,

quando apre finestre alte su stagioni

ove improvvisamente al cemento,

ai fumi e ai rumori di città,

si fa strada una veranda sul silenzio,

una madreperlata aura di voci

che bisbigliano all’orecchio

estasi e preghiere!


MUSE  DEL TORRENTE

 

Sei nato di gran fretta

e non hai ancora un nome………..    

Ti ho battezzato col vento ad un rintocco,

mentre le Muse riposano su giacigli

d’una conifera adusta….

o forse su giganti rosse dai centri vermigli,           

nei siderali miliardi di anni e Sirio tra parsec

balzati a onori di sogni d’amore per amanti,

nelle certezze di colori,

nelle magnitudo di zodiaco per affinità di cuori;

sotto Andromeda: ellisse di stelle che pulsa

nelle notti illuminate da cordate d’astri,

che lo Scirocco sussurra di rispecchi.

Esagitato di te,

ti vedo sgusciare: donna caparbia,

nella sua Irlanda d’erba ed efelidi,

dallo speccho d’acqua artificiale al bagno

tra le chiuse verdi e rudi di Azzanello…….

E io beota d’una ritrovata irresponsabilità,

  che mi man leva da ogni pensiero rovello

me ne vado fischiando con te un ritornello:

   “Summertime……and the livin’ it’s easy!!!!”


GONG E DINAMO DI SOGNI

 

Ecco il gong di pallida stagione: cipria dall’odore antico.

In controluce mi porta, da una finestra mal chiusa,

i contorni di mia madre: donna fiorita!

Ricordo i profili di monti a guglie verdi

attraccare nuvole a dinamo di sogni in stasi brevi:

mute rinascite di gemme; pesco dai fiori bianchi

tremitare di petali caduti sul mio ventre,

per pulsioni nuove chiuse da ante su rochi tumulti!

Ricordo lingue acquitrinose a serpi

tra tesi di “promenade”

nelle rare salamandre e magici scarabei,

apparire a colpi di vanità della natura.

Ero felice alla ricerca d’un rifugio

quando nel tardo maggio ondate di Libeccio

piegavano arbusti di enotera e di borragine.

M’avvolga ora manto autunnale di memorie tinto,

m’appaghi di silenzi e d’ore in controtempo

un autunno  viscoso, fiacchito

dove orologi sbucciano mandarini antichi

e clessidre intubano rami d’un tamarindo caduco.

Offro a chi legge l’avaro mio pensiero sul futuro:

io non so più farne atto di forza!

Chi riesce ritrovi l’odore intermittente del pane

la rinascita in un dove e strofe come denari!

Che le cose non raggiunte

e gli appuntamenti mancati cedano il posto

all’aspro pompelmo che spremo in bocca:

uomo avido di sapori, di solitudine, di soste;

uomo che guarda con rifrattori Copernicani

le carriera di Mercurio, neo d’un sole superbo..

             ….Il suo messaggio Kafkiano degli Dei!


ARGENTO E FANTASMI

 

Suonando il Chiaro di Luna di Debussy:

ora posso ricordarti senza tristezza!

S’aprono tempi e glissati

alti su ritratti pensili in minuti

annerati nell’ora cagionevole.

La macchina inquieta del piano

esige “rubati” tra valori di una nota e l’altra.

Eri acqua azzurra in sintonia fluida

con la giovinezza eterna.

Luce lunare riflette ora ombre in cerchio:

crepuscolo nel tonfo d’un pozzo tra mobilità.

Una stella/dollaro precaria allo stellato vi cade!

Fatua pira come di metafora debole e leggera.

Sull’ultima nota del componimento

scompare, tra foschie d’ebano,

“Proxima Centauri” seminata nel buoi serpeggiato

tra dorsi dinoccolati di terra e cielo!

Le mie mani dall’avorio inciso ti cercano

tra noccioli e castagni di nature robuste.

Gli anni son secondi oramai nelle cornici di quadri

dove la saggezza è esposta a vecchia “Moira”

in un Ade seducente dal quale,

tra sbuffi viene, forse se ti si brama abbastanza

                                        il tuo prediletto fantasma,

fuori e dentro ogni sogno veggente.


ARABESQUE

 

Nel passo di Arabesque

il tuo pattinare striscia il ghiaccio

di codici geometrici.

Salti e balli come una principessa

che scrive frasi d’amore in teoremi

nell’acqua di cristallo;

colomba ti muovi in questi secondi infiniti.

Issi le gambe e inarchi la schiena

dal crine protetta.

Albero maestro il busto tira le corde

per una rotta nuova tra le vele lucide:

intrise d’orizzonte e festoni di nuvole,

nate da guizzi

e sparse edere bianco-grigie al solstizio.

Io pallore, non so che pulsare:

vecchia quasar inebetita allo scarroccio,

miro la bussola verso te: donna del nord.

Fiaccole i tuoi striscioni versicolore,

mossi in una danza d’arcobaleni

che sa di giovinezza fiera,

di tecnica che s’imbeve d’arte

e simmetria di forze controllate.

Sventagliano le gambe in rivoluzione,

per volere di Giove in equilibrio di gravità

e folle di lune maestre: Ganimede e Callisto;

allenta le presa che attira…….

Resto, ahimè! Tra la folla sorpresa

di chi non si muove da terra!


AQUILE

 

 

Mi sono chiesto perché,

cose impietose e fauste s’intrecciano

nel vivere assiduo senza epilogo.

Come le mie mani hanno retto la polifonia:

chiavi di basso per aguzzi colpi ai fianchi,

mentre scale di violino crescevano d’irrisione.

                    Qualche trillo d’emblée

scansava agile un colpo

dell’uomo manigoldo: niente di che!

Aquila che imbarda tra stormi di corvi

m’incantavo per bellezze e prodigi.

Ho retto stoccate d’uncino sulla schiena

                 senza sentire troppa pena.

E se mi chiedi: ”Che senso do alla vita?”

Ti rispondo: “ Solo questa strada da percorrere,

senza valso metro del perdere o vincere,

ma con bilancia di viltà e virtù”.


ALARI

 

Quando al crepuscolo “anomalia e azimut”

segnano il punto di confusione

tra alba e tramonto: stasi d’aurora,

resto al camino accanto a un ceppo su sfondo nero

ove il fuoco consuma il profilo dei vent’anni miei.

Mi sento vaso fragile tra alari di ferro.

Sento le maree dei rancori

e i giorni incantati d’amori

fissi in foto falbe e fiori secchi,

lasciare spazio al tedio d’un gioco antico,

tra le Ballate di Chopin.

Lo videro spegnersi presto,

in un male rosso sangue.

Lacrime dignitose come rugiada ardita

tra le braccia di George Sand.

Furore epico batte nei Preludi

dalle note fatte “mise” per tavole di colori,

sotto pergolati al respiro della meta-comunicazione.

Guardo la fiamma scalpitare e mi chiedo

se la vita non sia un libro consacrato al destino,

datoci da casualità designate

che scriviamo leggendo,

una pergamena inutile che si può bruciare,

una patacca radiosa per allodole

tra staffette di grilli e cicale che umettano i fossi

o una chance di far capolino

tra i divertissement dell’essere,

fra i flat-flat di “non ti scordar di me”

messi a iosa nel carro dell’Orsa Maggiore!

Che viene e va come una risacca celeste.