ULTIMO SENTIERO
Vago tra cinguettati sentieri odoranti di vite invisibili.
Le parole dei maestri curano la mia sindrome
della clessidra senza sosta.
Poggiano una rosa secca
sulla gabbia del mio corpo che non spicca!
Le voluttà si consumano in abbagli
e le promesse pascolano in frescure d’asili ombrosi.
Una fanciulla incede tra daini e caprioli,
mi porge l’onda di Maxwell di rubino
tra i laser rossi di mela senza peccato.
Mi instilla scienza a velocità elettromagnetica.
Poi raccoglie una manciata di bacche
e ne fa un rosario con scaglie di corteccia…..
Mi ridà, con un cenno d’intesa, il dono della preghiera.
Mi prende la mano: io perso in spirali d’Archimede,
nei cospetti di cui vedo solo orme e vestigia:
forme così volatili ma invasive,
sciamano a drappi d’operose api elette,
nel beato delirio
in un imbrunire d’upupa e di mani ramose.
In una bozza infantile, ma definitiva
di premiati cenacoli d’energia:
Bellatrix, Rigel, Alcor, la “volta” innesca
ricca d’oscurità e musiche celtiche;
mi vestono d’onde di gravità e seta di luce
di quell’amore fatto di “frattali” tuberosi.
Un corvo da una cima secca si ravviva,
turba l’aria con lenti flussi che da ocra si fa tumida,
mi vede intubato in fughe che piegano le forme:
la bimba gli porge il suo braccio a ramo d’ulivo
e poi cado in quest’ora afosa e nutrita
in un letto di foglie che liberano la mia anima.
TIME INDEPENDENT
Correva L’anno 1990,
nell’aspre colline chiosate di rovi:
Calabria il tuo ondoso tempo “d’arsenico
e vecchi merletti………” Mi strugge!
Donne sbocciavano nei corpi ad anfora
su terrazzi e attici umettati da cieli azzurri.
Un neo bianco nel cielo in moto regolare: venere,
era acclamata dai geghege di grilli e floating di libidine
intrecciate a formule nell’uomo alla deriva di trepidazioni:
bandiere frustate dalle teorie di Heisenberg
assieme a ormoni della mia gioventù solitaria,
desiderosa dei “saperi” e di seni d’arancia.
Frattali di monti spinavano promontori
scrivendo giochi antichi,
pulsanti nella mia anima
fatta d’impalpabili acque saline
mosse a refrain di spiritual dal cuore.
Sui rivieraschi dalle cento lune,
veniva gettato seme a spume senza un senso di sazietà
nell’antro scuro di un pensare adolescente,
a fantasiosi volti ramati di damigelle
dalle caviglie odorose di cocco.
Il mio nucleo d’amore si perse nelle distanze siderali,
mentre la meccanica quantistica seminava
ciò che sarebbe divenuto il tronco dai rami frusciati,
nell’alto di geodetiche perfette….
e particelle morte di vibrante instabilità.
E ora, mentre imbrunisco: foglia dallo spazio ricurvo
in un fischiettare di brevi afflati d’un unico trasalire infinito,
si fondono le sinfonie di Borodin al “Principe Igor”
con i ponti che portano a varchi di Rosen;
pianto e riso si mescolano in un siero agrodolce
che tatua la mia memoria scoscesa
con attrattori di Lorenz.
I tuoi occhi ora, mi portano atroci notizie
nel candore di Loto
dai petali al macero del grembo terroso……..
Ma io ebbro di sentimento e di furore epico
mi smorzo, felice, come un crepuscolo di grano rosso:
saggezze dei maestri al riverbero d’imbuti della storia
accordano liriche alla dignità del sapere.
L’agonia è così mesta, che ogni insuccesso
è già solo una fittizia doglia!
A SBRINA RAVAGLIA
Il nome gallese dal fiume Severn
che involse una principessa.
E nell’ebraico fiore spinoso ma satollo di virtù.
Lo leggevo un giorno solo, con la mano sul mento,
Io cipresso che tocca mongolfiere di nubi che parlano agli amanti,
con il cuore fattosi mela morsa
da becchi di chi si nutre della mia vita che va e viene nel vento……
Ti ho vista e salutata piena di dolcezza e umiltà,
un giorno che pareva qualunque e si fece unico, per chi non lo cerca ma lo vuole,
in uno sfondo uggioso di Vigevano al di qua di pareti in pietra cotta dal sole
e sprazzi di raggere di cobalto sulla città.
Tu venuta a portare calore e a trasformare l’informe mio animo,
sottile pallido un po’ perso, in un ago immerso in forze nobili
fatte di campi d’energie segrete,
a segnare i carri eterni delle stelle
dominatrici di luce al traino della volta
che si tuffa nelle correnti gravitazionali e flash di comete
Sono la tua pelle ramata e i tuoi occhi, frutto di chimiche estrose
preludio alle tue parole flautate;
il tuo profilo è scolpito in anfore etrusche adorate,
trovate da ricercatori impazienti d’ogni sussurro
della madre terra, carezzata da mani callose.
Il mio pensiero spazia: veliero dalla prua con uno spettro in ronda
vira, imbarda, rolla: traccia scie di bussole incantate cerca la sponda:
vorrei che tu mi proteggessi dal sarà,
in questa scuola che fu fiore di provincia e ora è una storia che non si racconta…….
Cercami
quando si fa amara l’anima per la quiete che stalla,
tra i tafani che raccontano di sepolcri e di storie senza autore.
Chiamami dalla torre del tuo castello cinto di lauri e gioie in aritmia:
tu orchidea di primavera, dalle virtù scritte nei petali
in vene di prosa in poesia.
Mi s’appresa l’ora fuori dal tempo;
non so se ti proteggerò da chi infamerà più il tuo candore.
Tu dai vita e senso al mio incantato film a nastro,
butterato di discromie:
io involontario Ettore contro “l’Achille senza tallone…………colpito nel sacro”,
mi sento un fregio barocco su scalcinate antologie,
….Eppure credetti nel pensiero solenne pieno di certezza…………
Curve e traiettorie nel piano di Cartesio, formule d’uomini eccelsi come Porlezza.
Scrivi tu, forse anche per me che vago bipolare: mi esalto e poi mi nego,
con la movenza di chi scioglie dai fermagli tribali i suoi capelli color avena,
una pagina che da bianca si chiosa in un ristoro algico…..te ne prego!
Potessi allontanare le ombre del passato e del futuro che non c’è, ma trema
dalle porte mal chiuse degl’alti eldoradi di rumore cordiglio……..
Si diradino da te le negatività, tu da loro sii mai invaghita:
sono sembianze opache…Che si tramutino in corvi e volino lontano
con il loro artiglio;
dissolvano pure in una nube che bagna i minuti afosi e poi scema……
e tornino le luci nella tua iride infinita!!
Tamburi il tuo sorriso d’avorio bianco su un piano etereo
il silenzio fatto da due fiamme ardenti:
il miracolo delle telepatiche, intrecciate menti
Patrizia di Brescia (Teologa e donna di temperanza)
Il tuo volto sereno e temperante
sfida il buio sulla terra.
Quando questo viene a tediarci: ti guardiamo fiduciosi!
Metronomo il tuo corpo d’ondulati canti al Signore…..
Piante d’arbusti incantati,
energica gemma di diamante
t’offrono una primavera senza miti
tra mani di foglie lanceolate.
Ma forte di speranze savie non te ne curi!
Cresce in perla dura una certezza
di luce dei tuoi due amori:
Dio nell’azzurro d’un giugno incordato/teso
a chitarra tra monti, nelle chiare mattine
per ipotesi di suoni ceruli alla maestà dei prescelti
e il tuo uomo che accanto a te,
divina che sei, dal cuore amico
e di voce ritmata dal swing dei grandi esploratori,
che conta i petali del tempo …….
Tra le nenie del m’ama, non m’ama….
Ma son i tuoi labili, tenui raggiri
che gli fanno battere di tamburo il cuore per sempre!
Girasoli folli per te
lo rassicurano in un sincrono si!
Il sole immortale nell’angolo di Platani
da un fash-flash
dalla corteccia bianca e venata,
inquadra il candore del tuo abito di sposa:
castellana cinta di fiori d’arancio
tra le merlature ruvide di torrioni bresciani.
Il sole poi si lancia pazzo di raggi/spada:
moneta di conio metafisico nella sera senza fine….
Poggia al riposo
nelle distese di grano maturo.
Sigillo della tua promessa salita agli astri….
Ti nutre con fiocchi di guizzi boreali
che si fan tuoi capelli……..
Spazi e visioni è la tua Teologia
che trova in ogni cantuccio la bellezza,
quando apre finestre alte su stagioni
ove improvvisamente al cemento,
ai fumi e ai rumori di città,
si fa strada una veranda sul silenzio,
una madreperlata aura di voci
che bisbigliano all’orecchio
estasi e preghiere!
MUSE DEL TORRENTE
Sei nato di gran fretta
e non hai ancora un nome………..
Ti ho battezzato col vento ad un rintocco,
mentre le Muse riposano su giacigli
d’una conifera adusta….
o forse su giganti rosse dai centri vermigli,
nei siderali miliardi di anni e Sirio tra parsec
balzati a onori di sogni d’amore per amanti,
nelle certezze di colori,
nelle magnitudo di zodiaco per affinità di cuori;
sotto Andromeda: ellisse di stelle che pulsa
nelle notti illuminate da cordate d’astri,
che lo Scirocco sussurra di rispecchi.
Esagitato di te,
ti vedo sgusciare: donna caparbia,
nella sua Irlanda d’erba ed efelidi,
dallo speccho d’acqua artificiale al bagno
tra le chiuse verdi e rudi di Azzanello…….
E io beota d’una ritrovata irresponsabilità,
che mi man leva da ogni pensiero rovello
me ne vado fischiando con te un ritornello:
“Summertime……and the livin’ it’s easy!!!!”
GONG E DINAMO DI SOGNI
Ecco il gong di pallida stagione: cipria dall’odore antico.
In controluce mi porta, da una finestra mal chiusa,
i contorni di mia madre: donna fiorita!
Ricordo i profili di monti a guglie verdi
attraccare nuvole a dinamo di sogni in stasi brevi:
mute rinascite di gemme; pesco dai fiori bianchi
tremitare di petali caduti sul mio ventre,
per pulsioni nuove chiuse da ante su rochi tumulti!
Ricordo lingue acquitrinose a serpi
tra tesi di “promenade”
nelle rare salamandre e magici scarabei,
apparire a colpi di vanità della natura.
Ero felice alla ricerca d’un rifugio
quando nel tardo maggio ondate di Libeccio
piegavano arbusti di enotera e di borragine.
M’avvolga ora manto autunnale di memorie tinto,
m’appaghi di silenzi e d’ore in controtempo
un autunno viscoso, fiacchito
dove orologi sbucciano mandarini antichi
e clessidre intubano rami d’un tamarindo caduco.
Offro a chi legge l’avaro mio pensiero sul futuro:
io non so più farne atto di forza!
Chi riesce ritrovi l’odore intermittente del pane
la rinascita in un dove e strofe come denari!
Che le cose non raggiunte
e gli appuntamenti mancati cedano il posto
all’aspro pompelmo che spremo in bocca:
uomo avido di sapori, di solitudine, di soste;
uomo che guarda con rifrattori Copernicani
le carriera di Mercurio, neo d’un sole superbo..
….Il suo messaggio Kafkiano degli Dei!
ARGENTO E FANTASMI
Suonando il Chiaro di Luna di Debussy:
ora posso ricordarti senza tristezza!
S’aprono tempi e glissati
alti su ritratti pensili in minuti
annerati nell’ora cagionevole.
La macchina inquieta del piano
esige “rubati” tra valori di una nota e l’altra.
Eri acqua azzurra in sintonia fluida
con la giovinezza eterna.
Luce lunare riflette ora ombre in cerchio:
crepuscolo nel tonfo d’un pozzo tra mobilità.
Una stella/dollaro precaria allo stellato vi cade!
Fatua pira come di metafora debole e leggera.
Sull’ultima nota del componimento
scompare, tra foschie d’ebano,
“Proxima Centauri” seminata nel buoi serpeggiato
tra dorsi dinoccolati di terra e cielo!
Le mie mani dall’avorio inciso ti cercano
tra noccioli e castagni di nature robuste.
Gli anni son secondi oramai nelle cornici di quadri
dove la saggezza è esposta a vecchia “Moira”
in un Ade seducente dal quale,
tra sbuffi viene, forse se ti si brama abbastanza
il tuo prediletto fantasma,
fuori e dentro ogni sogno veggente.
ARABESQUE
Nel passo di Arabesque
il tuo pattinare striscia il ghiaccio
di codici geometrici.
Salti e balli come una principessa
che scrive frasi d’amore in teoremi
nell’acqua di cristallo;
colomba ti muovi in questi secondi infiniti.
Issi le gambe e inarchi la schiena
dal crine protetta.
Albero maestro il busto tira le corde
per una rotta nuova tra le vele lucide:
intrise d’orizzonte e festoni di nuvole,
nate da guizzi
e sparse edere bianco-grigie al solstizio.
Io pallore, non so che pulsare:
vecchia quasar inebetita allo scarroccio,
miro la bussola verso te: donna del nord.
Fiaccole i tuoi striscioni versicolore,
mossi in una danza d’arcobaleni
che sa di giovinezza fiera,
di tecnica che s’imbeve d’arte
e simmetria di forze controllate.
Sventagliano le gambe in rivoluzione,
per volere di Giove in equilibrio di gravità
e folle di lune maestre: Ganimede e Callisto;
allenta le presa che attira…….
Resto, ahimè! Tra la folla sorpresa
di chi non si muove da terra!
AQUILE
Mi sono chiesto perché,
cose impietose e fauste s’intrecciano
nel vivere assiduo senza epilogo.
Come le mie mani hanno retto la polifonia:
chiavi di basso per aguzzi colpi ai fianchi,
mentre scale di violino crescevano d’irrisione.
Qualche trillo d’emblée
scansava agile un colpo
dell’uomo manigoldo: niente di che!
Aquila che imbarda tra stormi di corvi
m’incantavo per bellezze e prodigi.
Ho retto stoccate d’uncino sulla schiena
senza sentire troppa pena.
E se mi chiedi: ”Che senso do alla vita?”
Ti rispondo: “ Solo questa strada da percorrere,
senza valso metro del perdere o vincere,
ma con bilancia di viltà e virtù”.
ALARI
Quando al crepuscolo “anomalia e azimut”
segnano il punto di confusione
tra alba e tramonto: stasi d’aurora,
resto al camino accanto a un ceppo su sfondo nero
ove il fuoco consuma il profilo dei vent’anni miei.
Mi sento vaso fragile tra alari di ferro.
Sento le maree dei rancori
e i giorni incantati d’amori
fissi in foto falbe e fiori secchi,
lasciare spazio al tedio d’un gioco antico,
tra le Ballate di Chopin.
Lo videro spegnersi presto,
in un male rosso sangue.
Lacrime dignitose come rugiada ardita
tra le braccia di George Sand.
Furore epico batte nei Preludi
dalle note fatte “mise” per tavole di colori,
sotto pergolati al respiro della meta-comunicazione.
Guardo la fiamma scalpitare e mi chiedo
se la vita non sia un libro consacrato al destino,
datoci da casualità designate
che scriviamo leggendo,
una pergamena inutile che si può bruciare,
una patacca radiosa per allodole
tra staffette di grilli e cicale che umettano i fossi
o una chance di far capolino
tra i divertissement dell’essere,
fra i flat-flat di “non ti scordar di me”
messi a iosa nel carro dell’Orsa Maggiore!
Che viene e va come una risacca celeste.