Gianmarco Graziosi - Poesie e Racconti

In viaggio per ritrovarsi

 

Il luogo in cui giungemmo era orrido e scosceso

ed un terribil mostro lo reggeva.

“Vade retro, bestia”, gridò il mio Maestro al Minotauro,

“lui è con me, Dio vuole il nostro viaggio.

Giunti noi siam in questo luogo franoso

per vedere i tormenti eterni.”

Per un ripido sentiero giungemmo ad un fiume

bollente di sangue.

“Che cos’è, Maestro caro?”

“Il Flegetonte, ove son punite le anime violente.

Qui conoscerai chi ha fatto mal ad altra gente”

 

Grazie a Virgilio ripresi sicurezza e mi avventurai in quel luogo spaventoso e buio. Sentivo le urla dei dannati che cercavano di avvicinarsi a me, ma le frecce dei Centauri, i loro guardiani, arrivavano prima. Il mio maestro era rimasto indietro, così vinsi la paura e mi sporsi dal precipizio. Lì scorsi un’anima solitaria che, alla mia vista, cominciò ad urlare. Mi avvicinai per parlarle e mi accorsi che il suo corpo era coperto di ferite sanguinanti. Allora chiesi: “Perché sei qui, spirito dannato, cosa ti è successo?” Dapprima non ricevetti risposta, ma poi mi disse: “Non sai forse che qui sono puniti coloro che hanno commesso violenza contro gli altri?” “Quali terribili azioni ti hanno condannato a soffrire in questo luogo terrificante?” Il dannato abbassò lo sguardo, poi con voce ferma disse: “Per tanti anni sono stato violento con mia moglie: ero geloso di tutto e di tutti, l’accusavo di non rispettarmi e di non prendersi cura di me, la picchiavo selvaggiamente. Un giorno l’ho sentita ridere al telefono e la mia vista si è annebbiata: con chi stava parlando? Perché rideva? Così mi sono lanciato contro di lei e, se non mi fossi fermato in tempo, l’avrei uccisa. Il suo corpo era pieno di lividi, ma dopo averla picchiata mi sentivo bene. Doveva capire chi comanda, a casa nostra!”

A quelle parole rabbrividii, non capivo come quell’anima dannata riuscisse a raccontare tutto questo con freddezza. “Non sei pentito di quello che hai fatto?” “No, mi ha spinto lei a diventare un uomo violento. Doveva pur capire chi comanda, a casa nostra!”

Subito dopo, per l’immenso dolore che provavo ripensando alla sua povera moglie, caddi per terra “come corpo morto cade”.  

 

***

 

Mi trovo dinanzi a una montagna,

sembra impossibile raggiungere la vetta.

Il mio maestro mi rivela “È il Purgatorio”.

Odo canti soavi e soavi inviti alla preghiera.

Da lontano scorgo anime pentite, non c’è da preoccuparsi.

Virgilio è qui con me e qui non ho paura.

 

Dopo aver scalato le balze del Santo Monte [il Purgatorio] e dopo aver conosciuto varie anime pentite, io e il mio Maestro arrivammo alla terza cornice. Da lontano non riuscivo a vedere con chiarezza il luogo, perché era tutto avvolto da una nuvola di fumo che mi irritava fortemente gli occhi. Mi feci guidare da Virgilio, ma nel frattempo sentii delle voci soavi intonare l’Agnus dei, mentre altre pregavano. In quel momento ebbi paura, ma il mio maestro mi disse: “Non temere, siamo tra quegli iracondi che in vita si sono pentiti”. C’era troppo fumo e quindi mi ritrovai a camminare da solo, avevo perso la mia guida. Anche le anime purganti durante le loro preghiere si scontravano, perché non riuscivano a vedere dove fossero, ma nonostante tutto continuavano a cantare e chiedevano a Dio misericordia. Nel momento in cui pensai di aver superato il forte dolore agli occhi, mi si avvicinò uno spirito. Piangeva, ma voleva lo stesso parlarmi. Questa volta non mi spaventai, ero tra coloro che un giorno avrebbero visto la luce di Dio. “Quando tornerai tra i viventi, ti prego di portare le mie scuse ad una persona”, mi disse dolcemente. Sbalordito gli risposi: “Perché mi dici questo? E a chi ti riferisci?” “È da tanto che aspetto questo momento…Il tuo aspetto mi rivela che sei destinato a tornare sulla Terra, perciò trova la mia donna e parla con lei. In questo luogo otterrò il perdono di Dio per i miei peccati, ma voglio scusarmi anche con lei…Da qui non posso farlo.” Ancora più sorpreso gli chiesi: “Cosa è successo con la tua donna?”. E lui: “Ora che sono qui ho capito che con lei ho sbagliato tutto: non avrei dovuto umiliarla facendola sentire sempre inadeguata. Ogni volta che uscivamo le dicevo che il suo vestito era sbagliato, che lei era brutta e non capiva niente. Invece era così bella e intelligente, ero io a sentirmi inadeguato. Con lei mi arrabbiavo sempre e a volte la mia ira si trasformava in violenza fisica. Vedevo che soffriva, ma non facevo niente per cambiare, era più forte di me. Io l’amavo, o meglio credevo di amarla, ma solo qui ho compreso che quello non era amore”. Al pianto disperato di quell’anima sofferente, mi avvicinai per confortarla e le dissi: “È importante che tu abbia capito che lei ha sofferto molto e che ti sia pentito. Ti prometto che cercherò la tua donna, spero che tu riesca a raggiungere presto la Grandezza Divina”

La terrà cominciò a battere i denti.

Le anime esultarono: per una di loro

era giunto il momento dell’ascesa.

Io che non capivo fui accecato

da una luce abbagliante

che per un momento mi privò della vista.

 

***

 

O Altissimo, il mio viaggio è quasi compiuto,

i tuoi angeli sono degni di essere con te.

Questa donna che mi affianca

sta per farmi entrare nel regno della Beatitudine Eterna.

Ora sì che sono al sicuro.

Ora che sono al tuo fianco

nulla potrà intimorirmi più.

 

Accanto a Beatrice, che mi avrebbe accompagnato dall’Altissimo, c’era un’altra donna, che per i suoi capelli dorati sembrava un angelo. Inizialmente non riuscivo a capire bene chi fosse, i soavi canti degli angeli mi distraevano. Lei mi prese la mano e io le chiesi di rivelarsi. “Scoprirai tra poco chi sono”, mi rispose. Poi scomparve.

Adesso che non c’era più Virgilio, la mia nuova guida era Beatrice. Gli angeli ci facevano compagnia, così cominciai a cantare con loro. Mi avvicinai sempre di più per venerare Colui che aveva voluto questo mio viaggio. Dopo aver intonato un canto di lode a Dio, continuai a camminare alla ricerca delle anime che avevano la fortuna di gioire nella Salvezza Divina, sotto lo sguardo luminoso di Beatrice. Non appena ci trovammo nel Cielo di Venere, mi voltai e vidi la donna con i capelli d’oro di prima affiancata da un uomo. Mi sembrava di averlo già visto. Si avvicinarono…Lui mi chiese: “Non mi riconosci? Dopo che ci siamo incontrati sul Santo Monte sono riuscito a raggiungere la Salvezza Divina. Ricordi quello che ti avevo raccontato?” Annuii. “La donna dai capelli dorati che affiancava la divina Beatrice è la donna che amo. Appena arrivato qui le ho chiesto perdono per tutta la sofferenza che le avevo causato in vita. Avrei voluto farlo sulla Terra, ma non ci sono riuscito. Adesso la mia beatitudine è completa.” La donna accanto a lui sorrideva luminosa perché sarebbero stati sempre insieme nel regno dell’Eterna Salvezza a contemplare la Luce Divina.

Lei era accanto a lui, piangeva, non sapevo se per rabbia oppure per felicità, ma so soltanto che resteranno per sempre insieme nel regno dell’eterna salvezza, governati dal cielo di Venere che gli permette di ammirare la luce divina.


 

Sognando l’equilibrio

Conversazione notturna con il Dalai Lama

 

Era un giorno come gli altri e come tutte le mattine andai a scuola. Non sarebbe stata una giornata piacevole, avevo una verifica e materie piuttosto pesanti.

All’arrivo dell’insegnante di italiano ero quasi rassegnato, si preannunciava la solita lezione di grammatica…non avevo proprio voglia di seguirla! Ma c’era una sorpresa: per quel giorno niente verbi né complementi, avremmo parlato del Dalai Lama, il monaco buddista che rappresenta la più alta autorità spirituale del Buddismo Tibetano, una delle religioni più antiche e diffuse al mondo. Appena lei pronunciò questo nome, i miei occhi si illuminarono: fin dalle scuole medie avevo sentito parlare di questo personaggio, uno dei più importanti al mondo, e mi ero incuriosito. Mi era forse piaciuta la sua storia? Non particolarmente… Mi aveva affascinato la sua vita? Nemmeno tanto! La cosa mi aveva colpito quando ero più piccolo -e che continuava ad incuriosirmi tuttora!- erano le sue riflessioni.

Proprio per questo seguii la lezione con grande interesse, anche perché la professoressa era davvero coinvolta in quello che stava spiegando. Per prima cosa ci illustrò la vita del grande saggio, poi passammo al suo pensiero. A colpirmi particolarmente furono le sue riflessioni su un concetto molto particolare, l’EQUILIBRIO. Quante volte si usa questa parola nella vita di tutti i giorni! A scuola, a casa, con gli amici…praticamente sempre.

Purtroppo il tempo sembrava volare e ben presto la campanella suonò, lasciandomi con un grosso punto interrogativo: che cosa intendeva esattamente il saggio quando parlava di equilibrio?

 

Tornai a casa piuttosto triste ma allo stesso tempo deciso a saperne di più. Volevo scoprire a tutti i costi il reale significato di questa parola. Fu così che passai il pomeriggio rileggendo gli appunti presi a lezione e cercando notizie ovunque, fino a che non mi imbattei in una delle sue citazioni. Parlava proprio di equilibrio! Cercai di capire il più possibile cosa volesse dire, ma da solo era impossibile, così decisi di aspettare il giorno successivo per chiedere chiarimenti alla professoressa.

Rimasi per tutta la sera con un pensiero fisso, fino a quando non mi accadde qualcosa di veramente strano.

Come sempre guardai un po’ di televisione, poi andai a letto. Presi subito sonno, ma ad un tratto mi sembrò di vedere tutto bianco, come se fossi immerso in una nuvola. “Sono in paradiso?”, pensai. In lontananza intravidi una persona, all’apparenza piuttosto anziana. Un po’ mi spaventai, perché pensavo potesse essere mio nonno che avevo perduto qualche anno prima. Da vicino mi accorsi che non era lui, era invece…indovinate chi? Il Dalai Lama!

Lo riconobbi prima di tutto dal suo abbigliamento da monaco orientale e poi dai suoi occhi a mandorla, anzi dal suo sguardo magnetico, che emanava serenità. Ero così emozionato che non riuscivo nemmeno a parlare, fino a quando non fu lui a rivolgermi la parola, con dolcezza. Mi salutò con un rapido inchino e mi invitò ad accomodarmi sopra un morbido tappeto. Immediatamente mi sentii a mio agio e da quel momento iniziammo una lunga chiacchierata. Era come se stessi parlando con un nonno, un saggio nonno, che con affetto mi stava dando dei consigli di vita. Ne avevo proprio bisogno, come tutti gli adolescenti che, come me, sono alla ricerca di sicurezze. E chi meglio di uno dei più grandi saggi al mondo poteva darmene?

Come prima cosa gli chiesi: “Maestro, una domanda mi tormenta: che cos’è l’equilibrio?”.

Lui mi rispose con un sorriso luminoso: “È uno stato in cui non c’è nessun eccesso, nel bene o nel male. Qualsiasi eccesso ci allontana dallo stato di benessere: se ci pensi bene, l’eccesso di bene rende la vita noiosa, l’eccesso di male la rende insostenibile. Esiste un equilibrio delle cose secondo cui ciascun elemento è al proprio posto: tutto sopravvive perché ha il suo equilibrio, anche l’uomo. Purtroppo molti lo hanno perso.”

Le sue parole mi parevano un po’ enigmatiche, ma continuai lo stesso ad ascoltarlo, fissando i suoi occhi magnetici. “Ricorda, figliolo: l’equilibrio interiore è fondamentale nella vita degli uomini, altrimenti é molto probabile che le loro vite e quelle dei loro figli saranno infelici e brevi, perché un’esistenza priva di felicità si consuma più rapidamente di un’altra. Non contano gli anni che si vivono, conta come li si vive, e se lo si fa coltivando l’equilibrio interiore, allora la più breve delle vite sembrerà eterna.”.

Questo concetto mi lasciò sbalordito. “Ecco un vero saggio”, pensai, “Ho bisogno però che mi spieghi esattamente che cosa intende per equilibrio interiore.”. Come se mi avesse letto nel pensiero, continuò: “Non a caso ti parlo di equilibrio interiore, che è il bene più prezioso per l’uomo. Esso consiste nel sentirsi in pace con se stessi: anima e mente devono essere in perfetta armonia, in modo che non ci si abbandoni alle passioni e alla schiavitù dei sensi. L’equilibrio per l’uomo nasce dal controllo di se stesso.”

Ero raggiante: finalmente quel concetto diventava più chiaro!

“Ma non pensare, ragazzo, che l’equilibrio interiore sia fine a se stesso: si proietta nei più diversi campi, quotidianamente. Pensa ad esempio all’equilibrio nei rapporti di amicizia, in amore, con i compagni di scuola…Solo vivendo in equilibrio con se stessi si può vivere in equilibrio con gli altri, e con “altri” non intendo solo gli uomini, ma ogni creatura. Uomo e cosmo, infatti, sono profondamente legati in un’armonia universale.”

“Maestro”, intervenni, “le tue parole mi richiamano alla mente altro…Tempo fa ho letto qualcosa su Yin e Yang: c’è qualche relazione con quello che mi hai appena spiegato?”.

“Dici bene, ragazzo,” continuò il saggio “anche nella filosofia orientale l’armonia ha un ruolo fondamentale: è la sintesi degli opposti e indica una visione della realtà in cui dominano l’ordine e l’equilibrio tra le parti. Nel pensiero cinese, lo Yin e lo Yang sono proprio il simbolo delle coppie di opposti che interagiscono e formano la realtà: lo Yin rappresenta il femminile, lo Yang il maschile. Dalla loro contrapposizione, dunque, nasce l’armonia di fondo delle cose.”

“Mi sembra di capire, quindi, che armonia ed equilibrio siano strettamente collegati, vero?”

“Hai capito benissimo, figliolo, e ti dirò di più: l’armonia è un delicato gioco di opposti in equilibrio, come pensavano gli antichi filosofi greci in un contesto completamente diverso. Questo concetto esprime una visione tipicamente greca della realtà: l’armonia produce ordine, e proprio da qui deriva il termine greco “cosmo”, cioè tutto quello che è ordinato, razionale, armonico. In definitiva, l’armonia come sintesi di opposti indica una visione della realtà in cui dominano l’ordine, l’interazione e l’equilibrio tra le parti.”

“Grazie Maestro, queste parole sono davvero illuminanti!”. Avevo le lacrime agli occhi, ero così felice!

 

Ad un tratto, però, il sogno terminò e mi ritrovai nel mio letto, con la sveglia che squillava insistentemente. Erano le sette e dovevo alzarmi. L’ultima cosa che ricordo di quella conversazione straordinaria furono le parole del grande saggio: “Non illuderti, figliolo, la conquista dell’equilibrio interiore è lunga e faticosa…Una volta conquistato deve essere alimentato, proprio come una piantina: non basta seminarla, bisogna annaffiarla costantemente!”.

E fu così che mi alzai, pronto ad iniziare una nuova giornata con entusiasmo, alla ricerca della strada verso il mio equilibrio. Una cosa avevo capito: per trovare le risposte alle nostre domande non dobbiamo abbandonarci alla frenesia della vita quotidiana, così veloce e piena di distrazioni, ma dobbiamo riflettere con calma, in solitudine…in armonia con noi stessi



IL VIAGGIO DI SENZANOME

Racconto liberamente ispirato alle avventure di Ulisse

 

Ai tempi della guerra di Troia abitavo ad Itaca e appartenevo ad una classe sociale molto povera. Accettavo di svolgere i compiti più umili poiché, per mantenere la mia famiglia, dovevo fare di tutto per guadagnare qualche soldo. Anche se lo Stato ci forniva qualche aiuto economico, noi, come molti altri, non riuscivamo certo a diventare ricchi, ma ci dovevamo accontentare di sbarcare il lunario.

La nostra splendida isola accoglieva schiavi provenienti dai Paesi più diversi, che venivano sfruttati nei campi, nelle miniere, in città. Qui, costretti ai lavori forzati, essi dovevano costruire palazzi molto grandi, strade, templi.

La vita procedeva abbastanza tranquilla, ma noi tutti sentivamo la mancanza del nostro re, il saggio Ulisse, che anni prima era partito per Troia senza aver fatto ancora ritorno. La sua sposa Penelope era scomparsa misteriosamente insieme a suo figlio, e così nessuno regnava su di noi. Il potere era nelle mani di un gruppo di nobili, ma noi tutti attendevamo con ansia di rivedere il nostro amato sovrano.

 

Un giorno, mentre andavo al lavoro, vidi un uomo in catene scendere da una barca, insieme ad altri. Era uno schiavo e cominciò subito a parlare a voce alta con la folla che gli si era raccolta intorno. Ricordo chiaramente quello che diceva: prometteva che avrebbe fatto guadagnare moltissime ricchezze a uno dei cittadini più poveri della città.

Tutti presero a deriderlo, ma io mi avvicinai incuriosito. Per prima cosa gli chiesi il suo nome e lui mi rispose: “Non ti serve conoscere il mio nome, chiamami pure Senzanome”.

Stupito dalle sue parole, volli capirne di più: “Che vuoi dire, buon uomo? Come puoi far diventare ricchi i più poveri e, soprattutto, perché?” – “Fidati di me…Sono ai lavori forzati, ma a breve farò una selezione”, mi rispose con fare misterioso.

Dopo qualche istante, l’uomo venne richiamato all’ordine dalle guardie che, strattonandolo, lo condussero via insieme agli altri schiavi. Una di loro mi ordinò di non parlare mai più con lui perché era pazzo. Ancora più incuriosito, ubbidii e tornai a casa dalla mia famiglia, che non vedevo da un po’.

 

Passarono i giorni, e di quello strano Senzanome non c’erano più tracce. Dopo una settimana, però, mentre andavo in città mi accorsi che qualcuno mi stava dietro con fare sospetto. Era lui. Perché mi stava seguendo? Che cosa voleva da me?

Spaventato accelerai il passo, ma lui velocemente mi raggiunse e mi tranquillizzò. Così, visto che la volta prima non avevamo concluso il nostro discorso, decisi di chiedergli di nuovo come fosse possibile per lui far arricchire chi era povero. Immediatamente mi rispose: “Fidati di me: posso farlo perché sono molto di più che un semplice schiavo. Sto cercando qualcuno che mi accompagni in un viaggio straordinario, alla ricerca di un’isola misteriosa e di due persone…Sta solo a te la scelta!”. Pronunciate queste parole, quell’uomo sparì, lasciandomi esterrefatto. Come aveva fatto a liberarsi?  E soprattutto cosa aveva voluto dirmi? Il mistero si infittiva…

 

Tornai alla mia vita faticosa di sempre e per un po’ non pensai più a quel personaggio bizzarro. Mi imbattei più volte negli schiavi che erano giunti insieme a lui sulla spiaggia, ma stranamente di lui non c’era traccia, da nessuna parte. Forse non lavorava più? Oppure era scappato? Non sapevo proprio cosa pensare…

 

Una mattina come tutte le altre mi recai nella piazza principale della città e notai un gruppo di persone vocianti. Tra di loro molti appartenevano alla mia stessa classe sociale. Intravidi allora un mio vecchio amico, Erculio, e gli chiesi cosa stesse succedendo.

“Non lo sai?”, lui mi rispose, “Oggi ci sarà una selezione speciale per decidere chi partirà per un viaggio verso una destinazione sconosciuta. Fortunato chi verrà scelto, perché al suo ritorno sarà un uomo ricchissimo!”.

Così anch’io mi unii a quel gruppo formato da un centinaio di persone. La selezione era molto dura: fummo sottoposti a diverse prove per verificare il nostro coraggio e la nostra capacità di resistere agli sforzi. L’ultima, la più difficile, consisteva nel rimanere su una barca in mezzo alla tempesta; chi non si fosse arreso era davvero pronto a sopportare qualsiasi cosa. Così fummo condotti sulla spiaggia più vicina, dove erano ormeggiati dei piccoli pescherecci. Ci imbarcammo in gruppi e remammo al largo, dove le onde erano spaventosamente alte. Uno ad uno i miei compagni si ritirarono, chiedendo a chi ci aveva guidato fino a lì di tornare a riva su imbarcazioni più sicure, mentre solo in due rimanemmo a lottare contro la burrasca. Eravamo io ed Erculio.

Una vota dimostrato il nostro sangue freddo, fummo riportati a riva e condotti nuovamente in piazza, dove ci aspettava un uomo barbuto con una lunga tunica blu dai bordi dorati per la selezione finale. Non ci potevo credere, era quel Senzanome che avevo già conosciuto! Questa volta non era in catene, ma sembrava un ricco mercante di schiavi.

 

Senzanome ci esaminò attentamente i muscoli e ci pose mille domande, con cui misurare il nostro coraggio e la nostra prontezza di spirito, poi scelse me. “Congratulazioni”, mi disse, “hai la fortuna di accompagnarmi nel mio viaggio. Sarà pieno di pericoli, ma vedrai che ne sarà valsa la pena: quando torneremo sarai uno degli uomini più ricchi di Itaca. Ora va’, prepara le tue cose, partiremo domattina.” – “Sì, ma chi devo ringraziare?” – “Nuovamente ti ripeto che non ti serve sapere il mio nome: continua a chiamarmi Senzanome”.

In quel momento ero davvero felice: non riuscivo a credere di aver superato tutti quegli uomini! Allo stesso tempo, però, mi dispiaceva per il mio amico Erculio, che era uscito sconfitto da quelle prove e si sentiva umiliato agli occhi della sua città.

Nel frattempo la notizia si era diffusa tra tutti gli abitanti di Itaca, che si erano radunati in piazza, dove c’erano anche mia moglie e i miei figli. Spiegai loro l’accaduto e li vidi stupiti ma allo stesso tempo felici per me, perché ero riuscito a prevalere su tutti quegli uomini e avrei guadagnato una grossa ricchezza. Nonostante tutto, però, mia moglie aveva il volto triste e preoccupato: avrebbe sentito la mia mancanza e temeva per la mia vita, visto che il mare era la sua più grande paura.

 

Non chiusi occhio per tutta la notte pensando e ripensando a quel viaggio misterioso, alla mia famiglia, all’amore di mia moglie…In fondo Senzanome non mi aveva dato grandi spiegazioni: dove saremmo andati? Cosa avremmo dovuto affrontare? Ma soprattutto, quando saremmo tornati? Per non parlare del fatto che non sapevo ancora per quale motivo era così importante per lui trovare quell’isola misteriosa…

In preda all’incertezza pensai perfino di rinunciare, ma solo per un secondo: il mio desiderio di avventure e la felicità per aver superato quelle prove così dure prevalsero sui miei timori. Non potevo mollare proprio allora, non potevo deludere quell’uomo! Non sapevo nulla di lui, ma sentivo ugualmente di potermi fidare…

 

La mattina dopo mi svegliai molto presto, nonostante non avessi dormito affatto. Salutai la mia famiglia e andai al porto di Itaca, dove mi aspettava il mio compagno di viaggio. Portai con me una borsa, dove avevo messo tutto il necessario.

Arrivato al porto, vidi una grande imbarcazione ed esclamai: “Questa non è certo la barca di uno schiavo”. Non era grande, ma era la più bella che avessi mai visto; era stupenda! Non appena Senzanome mi vide, mi chiamò, io salii subito e partimmo per la nostra avventura.

Ma avevo sempre in mente la stessa domanda: perché per lui era così importante partire? Non sapevo come chiederglielo fino a che, non so come, lui mi lesse nel pensiero e mi svelò finalmente il motivo di quel viaggio. Mi rivelò commosso che sua moglie e suo figlio erano stati rapiti da un gruppo di sconosciuti, che avevano rubato tutte le sue ricchezze e le avevano nascoste in un’isola misteriosa.

Rimasi sconvolto dalle sue parole: sembrava un uomo così felice, eppure dentro di sé era così triste!

Mi confessò anche che adesso si sentiva sollevato, perché finalmente aveva trovato qualcuno –un amico, mi disse!- che lo avrebbe aiutato nella sua ricerca. E quello ero io!

Subito dopo mi informò che, come prima tappa, ci stavamo dirigendo a Cefalonia, una terra non molto lontana da Itaca. Navigammo per un giorno e una notte e la mattina seguente sbarcammo su quell’isola, bellissima ma deserta. La prima cosa che vedemmo fu un grande tronco con incise queste parole: “Stranieri, non è il caso di fermarvi in queste spiagge, alzate le vostre vele e seguite il soffio di Eolo finché non troverete un approdo più sicuro”.

Il loro senso ci parve oscuro: perché non potevamo fermarci lì? Dove dovevamo andare esattamente?

Riflettemmo attentamente, consultammo le nostre mappe marine e decidemmo di lasciarci guidare dal vento. A tre giorni di navigazione si trovava un’altra isola, Corfù, dove speravamo di trovare la famiglia e le ricchezze di Senzanome.

Il viaggio proseguì liscio come l’olio, il vento ci guidava dolcemente alla nostra meta.

Approdammo facilmente in una baia sabbiosa e, una volta sbarcati, notammo una grande cassa abbandonata. Di corsa ci avvicinammo e il mio compagno, impaziente, la scardinò. Che cosa c’era al suo interno? Monete d’oro, tante monete…poi c’erano gioielli, pietre preziose, piatti e vasellame d’oro…Rimasi a bocca aperta, una tale quantità di ricchezze non l’avevo mai vista!

Egli riconobbe subito il tesoro rubato e, senza pensarci due volte, mi disse che era tutto per me, era la mia ricompensa. A lui non interessava il denaro, voleva solo ritrovare moglie e figlio. Richiudemmo la cassa e, mentre la stavamo trasportando sulla barca, notai un biglietto accartocciato, che recava queste parole: “Alzate le vele, il vero tesoro che cercate è sulla prossima isola…Affrettatevi!”. Di quale isola parlava? Il messaggio sembrava ancora più misterioso del precedente!

Così prendemmo il largo, incerti sul da farsi. Non sapevamo bene dove dirigerci, perciò ci lasciammo guidare anche questa volta dal vento. Senzanome era sempre più triste, ma io non mi scoraggiai. Improvvisamente vidi all’orizzonte un’onda gigantesca che si alzava e, terrorizzato, chiamai il mio compagno che dormiva. Cominciai ad urlare, avevo paura di morire…Lui non si svegliava, mentre l’onda era ormai ad un passo dalla barca. Ad un tratto la travolse e, non so come, io e Senzanome ci ritrovammo nelle stanze di un maestoso palazzo, nel cuore di Itaca.

Come era possibile? Come potevamo essere di nuovo nella isola da cui eravamo partiti?

 

Il mio compagno non parlò e, con il cuore in gola, si precipitò all’ultimo piano del palazzo, dove lo aspettava la sua famiglia. Ma questa non era l’unica sorpresa: anche mia moglie e i miei figli erano lì!

“Ulisse, Ulisse mio caro, sei riuscito a trovarci!”, esclamò commossa la moglie del mio amico, mentre lo stringeva in un lungo abbraccio. “Moglie mia carissima, figlio mio amatissimo,” rispose l’uomo “non sapevo dove foste…Dopo la caduta di Troia, tornando ad Itaca mi era stato detto che eravate stati rapiti e portati, insieme a tutte le vostre ricchezze, in un’isola sperduta. Soltanto dopo avervi ritrovato avrei potuto riprendere il mio trono, perciò sono tornato fingendomi uno schiavo e ho scelto quest’uomo che mi accompagnasse nella mia ricerca. Abbiamo navigato per giorni e siamo rientrati in possesso di preziosi tesori, ma di voi nessuna traccia, fino a quando un’onda gigantesca, non so come, ci ha trascinati in questo palazzo…e vi ho trovato!” – “Siamo stati sempre qui, ma per via di un incantesimo tutti credevano che fossimo stati rapiti. Il dio Poseidone, arrabbiato con te perché avevi causato con l’inganno la caduta di Troia, ci ha confinato in queste stanze e ha nascosto le nostre ricchezze su di un’isola sconosciuta. Soltanto se fossi riuscito a trovarle ci avresti liberato!” – “E così è stato, dolce Penelope!”.

Io ero senza parole…in un colpo solo il mio compagno aveva ritrovato il suo bene più prezioso, la sua famiglia, e il suo regno, e io non solo i miei cari, ma anche il mio amatissimo re, il saggio e astuto Ulisse! Come avevo fatto a non riconoscerlo? Scoppiai allora in un’incontenibile risata, per quanto ero felice…

 

…“Gianmarco, la vuoi smettere di ridere? Sono le tre di notte, vorrei dormire, domattina si va a scuola!”, diceva una voce in lontananza…Inizialmente non capivo, ma poi la riconobbi: era la voce di mia sorella, che dormiva in camera con me. Aprii gli occhi e vidi appoggiata sul cuscino l’“Odissea”. Mi ricordai che la sera prima la stavo leggendo, e tutto mi fu chiaro: mi ero addormentato e avevo sognato di viaggiare insieme a Ulisse! La aprii e -che sorpresa!- vi trovai in mezzo un’antica moneta d’oro…era una di quelle del tesoro che avevamo trovato nel forziere!! Allora chiusi nuovamente gli occhi e mi riaddormentai sorridendo, sperando di incontrare nuovamente il mio compagno di avventure…



PER AMORE DELLA VERITA’

 

L’estate stava arrivando, ma nonostante tutto ogni mattina dovevo andare a scuola. Ero particolarmente felice nell’ultimo periodo, sentivo già il vento caldo, ma soprattutto l’atmosfera della nuova stagione che ormai stava portando tanta felicità per noi studenti. I professori però continuavano a svolgere il loro lavoro, il mese di maggio, mese di verifiche, ultime interrogazioni è tuttora il mese più odiato da uno studente.  Nonostante ciò però ricordo ancora, a distanza di un anno, un incontro particolare che si è svolto negli ultimi giorni di scuola; la tematica principale era l’amore. Le ragazze erano tutte felici, quale ragazza non vuole sentir parlare d’amore, mentre la maggior parte dei ragazzi un po’ meno. Io invece potevo ritenermi interessato, ma non esultante. Nonostante tutto però è l’unico incontro che non dimenticherò, è stata affrontata la tematica come piace a me. Sono stati nominati poeti, ma anche filosofi che nessuno conosceva approfonditamente. Nelle ultime ore che separavano il mese di maggio da quello di giugno, però, l’amore era sempre tra i miei pensieri. Amore di… Amore per… Non so spiegarlo neanche io. L’ultimo giorno di scuola affrontai le ultime cinque ore, aspettavo solo il mare, non vedevo l’ora di andarci tutte le mattine tra sole, libertà e niente materie da studiare. Dopo aver passato, insieme ai miei amici, una giornata molto stancante nel momento in cui stavo per varcare la soglia di casa sentivo che stava accadendo qualcosa. Vidi che mia sorella era un po’strana. Dopo aver fatto la doccia, sul mio letto c’era una busta di media grandezza. Non esitai ad aspettare… All’interno c’era un piccolo foglietto di carta in cui c’era scritto:” Amore di…Amore per… Questo amore vuole farti scoprire la terra dei tuoi amati filosofi”. Non sapevo cosa dire, rimasi senza parole. Per prima cosa ringraziai i miei genitori che alcuni secondi dopo mi dissero che sarei andato in Grecia insieme alla mia migliore amica, anche lei innamorata dei viaggi. Esultai… Chiamai subito la mia amica; anche lei era molto felice e non vedeva l’ora di partire. Il biglietto era prenotato per il mese di luglio e attendevo con ansia l’arrivo di quel giorno. Durante i giorni che precedevano la partenza, continuavo la mia solita routine; mare, mare, mare. Nonostante ciò giugno ci lasciò velocemente, i miei amici erano molto tristi poiché con il passare dei giorni anche l’estate ci lasciava. Io invece continuavo a esultare aspettando che il giorno del volo arrivasse. Il 10 luglio, mi svegliai molto presto; non so se la causa era l’ansia oppure la paura di perdere l’aereo. Chiamai subito la mia migliore amica per accertarmi che si fosse svegliata e poi cominciai a ricontrollare la valigia. All’interno avevo messo tutto quello che occorreva, ma anche qualche libro per continuare la mia lettura sulla mia tematica preferita. L ’aeroporto era lontano, ma la mia mente era già lì. Salutai i miei genitori, presi il mio libro e subito dopo alcune ore eravamo nella città che più amo.  Per prima cosa lasciammo le valigie in hotel e subito dopo siamo corsi alla ricerca dei posti più belli. Per prima visitammo l’Acropoli di Atene. Il mio desiderio è stato esaudito dato che sono riuscito a scoprire quello che nella mia mente immaginavo da anni e anni. Nei giorni successivi abbiamo sempre visitato musei, acropoli, agorà. Il mio viaggio non è stato solo di cultura, ma determinati luoghi dovevo scoprirli assolutamente. Mancava solo il mare che da tanti giorni non vedevo. Ricordo l’acqua cristallina, la spiaggia e il calore delle persone del posto. Questa vacanza, giorno per giorno, mi piaceva sempre di più, ma l’ultimo giorno era ormai arrivato. Io e la mia amica ci affrettammo ad acquistare gli ultimi souvenir per le nostre famiglie. Nel momento in cui avevamo concluso il nostro programma abbiamo deciso di andare in giro per Atene per visitare gli ultimi monumenti della città. Ricordo ancora oggi un piccolo dettaglio che notai su una porta di legno. La frase era “ο νόμος είναι ίδιος για όλους”. Notai questo particolare poichè in nessun posto c’era una scritta. Dato che né io né la mia amica capivamo il greco abbiamo subito chiesto la traduzione della frase. Un cittadino ci ha subito risposto che c’era scritto “La legge è uguale per tutti”. Capii subito che era un tribunale e subito dopo capii anche il pandemonio che proveniva dall’interno. Curiosi di capire meglio entrammo… In pochi secondi vidi la persona che da sempre ho immaginato attraverso i suoi libri. Non potevo credere di essere tornato nell’avanti cristo. Era proprio Platone, la persona seduta alla terza fila. Invitai la mia amica a darmi uno schiaffo, per capire meglio se era un sogno o meno. Subito dopo qualche minuto fummo messi agli angoli. Stava entrando un detenuto da giustiziare… Le porte si aprirono e un uomo con la barba camminava lentamente senza farsi vedere. Vidi che Platone versava qualche lacrima e nella mia mente pensai subito al suo fedele amico Socrate. Era proprio lui che doveva presentare un arringa per difendersi dalle accuse di corrompere i giovani e di non riconoscere gli dei della città. In realtà conoscevo i suoi insegnamenti e non capivo il motivo della frase all’esterno se poi all’interno stavano per giustiziare un filosofo così vero e fedele ai suoi insegnamenti. La sentenza iniziò e le testimonianze cominciarono, cercavo sempre di vedere Platone che rimaneva in silenzio e alcune volte scuoteva la testa. Nonostante ciò Socrate pronunciò una frase che ancora oggi ricordo: “E ’ormai venuta l’ora di andare io a morire e voi a vivere: ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, è oscuro a tutti, tranne che a Dio”. Lì capii che voleva morire, non voleva restare. Sapeva di avere ragione, ma i sofisti hanno il potere di portare un uomo alla rassegnazione…

Socrate morì e io non riuscivo a scoprire la verità. Il mio amore verso la filosofia stava per tramontare fino a quando Platone si avvicinò per chiedermi qualcosa. Era da solo, ormai il suo amico era morto; voleva congratularsi con me. Avevo parlato dinanzi ad un pubblico, avevo esposto il mio amore verso la verità, ma nonostante tutto non ero riuscito a convincere. Subito dopo il filosofo mi spiegò i vari motivi del processo, ma notai il suo malcontento nei confronti della giustizia, ma soprattutto verso la repubblica di Atene. Mi disse: “Ho notato nel momento in cui seogni cosa, bisogna che tu da ora in poi sostieni ciò che è vero, ciò che è reale. Non farti abbindolare dalle belle parole, scoprirai che sono tutte cose effimere”…

E’stato proprio quel momento che mi ha fatto capire che sono innamorato della verità, ma sono riuscito a scoprirlo solo ed esclusivamente tramite una sentenza. Sembrerà strano ma è l’unico insegnamento reale che ho appreso da Platone, oltre quelli che immagino tramite la lettura. Ho capito che la domanda a cui dovevo una risposta era proprio quella che nei giorni precedenti al viaggio mi tormentava.

Bisogna amare, amarsi, ma soprattutto amare ciò che è vero.