Giovanni Capitanio - Poesie

Baciami e ridi

L’amore profondo mi domina

a volte, se ridi

e la terra tutta so che gira

e gira e gira

e gira che ti rigira

a te sola dico: ”Sei bella!”

Tu ridi, non capisci, non ti fidi,

io rido, capisco e rido ancora.

 

Dammi un bacio, o due dammene

o passa la vita intera a baciarmi;

che io possa dire: ”Sei bella!”

che tu possa ridere

e capire

che tutto è talmente serio

che di ridere vien voglia

e di baciarci,

e di baciarci ancora.


Ho sete

Ho sete,

cosa bere?

Non c’è bevanda

non c’è filtro

o distillato

che cheti le labbra.

 

Ho sete

di voci pacate

di sorrisi come carezze,

eppur vuota rimane

la mia coppa.

 

Allora bevo da me,

l’essenza mia,

nell’estate trionfante.

Non mi disseta.

 

Berrei da te, invece

tutte le parole

che hai pronunciato,

fino a inebriarmi

fino a vomitarle

una ad una.


La via più semplice

Intatto per ora nel corpo

nonostante i miei anni

(non ridete vecchi, spero raggiungervi)

ho perso sogni, monete

e amori da figliar famiglia.

 

Ho vissuto a caso

senza meta,

per sentito dire.

E come l’acqua

la via più semplice

anch’io scorrevo…

 

Pare stagnarsi ora, l’anima,

volente spazi agresti

e carezzar di foglie al viso.

 

Mi ritrovo fantasma

pieno di pulsioni,

scrivere per sviare l’occhio

della coscienza,

credermi eterno.

 

La luce è ovunque.


Io m’esalto per un nulla

Perfetta pare la mosca

ai miei occhi nuovi,

solitudine d’insetto

bastante a sé.

 

E il rumore lieve

d’auto ed aeroplani,

m’inclina il cuore,

lo avvolge lento.

 

Oh mio Dio!

Oh meraviglie tutte!

Accorrete, venite

che io m’esalto per un nulla!


A casa tua domani

A casa tua domani

parleremo un poco

e faremo l’amore.

 

Cercherò per te

un fiore di cera

da bruciare di passione.

 

Ti toglierò i vestiti

tu a me

e ti guarderò per intero.

 

Quando poi dirai

tremando di rabbia:

non sono così!

 

Io prenderò coraggio

esploderò fino al pianto

ti bacerò la bocca.

 

Forse uno schiaffo,

“non posso” dirai

andrò via voltandomi.

 

Aspetterò l’indomani

verrò ancora da te

ti lascerai toccare.

 

E poi di nuovo

io e te

nudi per intero.


Come l’occhio di Dio

Ortiche e legno bagnato

sul pontile d’autunno

sfregi sul viso

mani in tasca.

 

Avanza a stento, striscia

vibra d’aria rappresa

di nervi schioccati

di viso cupo.

 

Iddio lo vede, di sfuggita

mica ci fa caso

né Dio a lui

né lui a Dio.

 

S’inchina, sputa, ride

ride e trova buffo ridere

tra le ortiche e il sole basso

tra gli spasmi della tosse.

 

Si ferma, ci pensa

ci ripensa, immobile.

Con le ortiche e le vipere

con i pro e i contro.

 

Si butta! A piè pari!

Si butta e non cade

raccolto come il grano

trebbiato sale.

 

Dall’alto si vede a stento

le mani in tasca

sul pontile e le ortiche

lui medesimo.

 

Ma lui che vede lui

s’accorge, non c’è senso

la pelle pare staccarsi

un fischio alle orecchie, buio.

 

Ortiche e un corpo disteso

felice e morto

blu come l’onda

blu come l’occhio di Dio.


I sorrisi non mi bastano più

M’invogli come istinto,

sovrasti ciò che è lecito,

lo accantoni,

diventa inutile.

 

Il tuo corpo dondola

mia signora, e dondolo io

appoggiato ad un solo pensiero,

zoppico, non vedo altro.

 

Stringerti, baciarti, amarti,

soffocare talvolta.

Io vibro al tuo sguardo,

i sorrisi non mi bastano più.


Il rumore del fuoco

Il fuoco ha un rumore

che non è di legna.

Nemmeno d’anima

che si consuma.

 

Ha un rumore il fuoco

un suono di luce blu arancione,

fatto d’energie attese,

d’esplosioni che non arrivano mai.

 

Tu non mi guardi,

non ne hai bisogno;

tanto se ti volti

io sono lì!

 

E ti guardo invece io,

facendo il rumore del fuoco,

tu che balli, le stelle girano

e dell’universo il centro sei tu.


In quel dì saremo amanti

Non parlo più con voce di pietra,

poiché quel che dico

vale poco in fondo,

quasi nulla.

 

I tuoi seni sul mio braccio,

loro soli,

erano e resteranno

il solo indizio del mondo reale.

 

Il resto è già stato sacrificato,

perso e perduto,

immancabile e doveroso,

falso come gli dei pagani.

 

Non soffrire mia signora dell’angoscia,

che tanto c’è chi soffre per noi

e non lo sa!

 

Non cedere mia signora della delusione,

perchè chi si è arreso

è lì, lo vediamo

…e pare quasi felice.

 

Il mio volto sta vicino al tuo,

in una foto dove entrambi sorridiamo,

e fa ridere pensare

che saremo atomi condannati a vagare.

 

Lì ogni tremore sarà un suono di corno,

le mie braccia quelle del soldato che aspetti,

il mio dolore sarà manna dal cielo.

 

In quel dì saremo amanti,

vecchi e senza doveri,

ameremo la luce degl’occhi nostri,

si involerà verso l’eterno.


Vacuo e sordo

Gli applausi son per me.

Che non ascolto quel che dico.

E mazzi di fiori, lugubri premi

per me che penso troppo.

 

Io reclamo in silenzio,

come i codardi

la mia angoscia quotidiana;

ne rinnovo il giuramento.

 

Per redimermi:

scrivo nudo,

nudo dormo,

nudo nasco.

 

Ogni mia parte

ogni mio singhiozzo

ogni mia parola sprezzante

si ammutolisce.

 

Io chi sono?

Fatiscente botto

in esilio.

 

Innocuo e brutto,

vacuo e sordo,

io sono l’uomo.

 

Sono la connessione

il mezzo

l’incomprensione

e la santità!