Giovanni Frisulli - Poesie

A mio fratello – 26 Marzo 2017

 

Non so niente di mio fratello morto 

se non che gli ho voluto bene. (D. Pennac)

 

Affacciato a questa mia finestra, tra le grate del cancello

Con il vento tra i capelli, ed il sole sulla faccia

Una penna su di un foglio, che i brutti pensieri scaccia

Qualche riga dedico a te, amato perduto fratello.

 

Vedo il mare, vedo Capri, vedo anche il ciel sereno

Ancora penso a quella volta, quella sera di Settembre

In questo quadro, a tinte duecentesche, e pennellate giottesche

Quando il buio, senza dirlo, ti ha inghiottito in un baleno.

 

Ti cerco, ti penso, ti sento ancora qui vicino

Cerco un modo per bloccare il mio dolore

Il mondo ormai è un filtro, uno di quelli ad un colore

Che aspetta te col pennarello, mio angelo bambino.

 

Ti scrivo due parole, sperando che mi ascolti

Sembra stupido, lo so, ma non so che cosa provo

Entro in camera la notte, apro la porta e non ti trovo

È persa la voce, ma i ricordi tuoi nessuno me li ha tolti.


Reparto – 12 Dicembre 2019

 

Corri, corri, sei in ritardo! Sono già la cinque in punto

Cosa manca alla riunione, forse il foulard o il quaderno

Forse a casa l’hai scordati, ora i capi chi li sente?

 

Sette fischi, si comincia: porta chiusa e zitti tutti

Si fa il segno della croce, due preghiere e poi seduti.

Chi la fa la catechesi? Le Cerbiatte… Due minuti!

 

Quattro punti sono troppi, mentre tre ci sembran pochi

Sì, ma manca l’esperienza, concetto e simbolo son belli

Chiudi gli occhi, metti un voto, tanto chi ci dice niente?

 

Tocca ai Lupi, animazione: fate un ban che ci trucchiamo

Scelgo io, tutti in piedi! Mani avanti e gambe tese

Scioglilingua in africano, tre ragazzi stanno muti.

 

Siamo al campo, giù dal camion e tutti in cerchio,

Tende, pali e costruzioni, scaricate e cominciamo.

Tutti sudati e indaffarati, legature troppo lente.

 

Da rifare, da rifare, con un calcio vanno giù, 

Quattro pali e due cordini, non sapete unirli insieme.

Ah, che belli gli anni d’oro, avevamo gli attributi.

 

In fondo, però, qui mi diverto… Io!

Senza il reparto non si vive, troppo bello.

Anche da aiuto, aiuto, e ancora aiuto capo

Cari ragazzi, vi voglio bene, quasi sempre.


Come un pallone (A Lello) – 20 Gennaio 2020

 

Immagina un campo, immenso e con righe bianche intorno

Dei calciatori, tre arbitri e un pallone. 

I tifosi sugli spalti, chi incoraggia e ti sostiene,

chi in cuor suo invece spera, che tu sbagli quel rigore.

 

Tira in alto, tira in basso, i compagni in sottofondo

Metti bene quel pallone, l’arbitro minaccia di annullarlo.

Faccio spallucce, pianto il mio piede destro

Nel terreno, e conto… Uno, due, tre e quattro indietro.

 

Cos’è dunque la vita, se non un pallone sul dischetto

L’attimo prima di colpire, forte o piano, sopra o sotto

La sfida che pone, l’opportunità di guardarla, prima di decidere.

 

Questo è l’uomo, né più e né meno, forse stupido,

forse conscio della sua forza, o forse un po’ incosciente

ma capace di reagire, sorridendo, a tutte le sconfitte,

anche a quella già scritta, non voluta, ma arrivata.

 

Quindi, che ne faccio di questo pallone? Lo scaravento al centro,

sperando che qualcun altro prenda la decisione per me,

di buttarsi da un lato, o scelgo io, come va, va

se va bene, tutti contenti, se va male… 

 

Mi allontano, torno a centrocampo, braccia al cielo

Un angelo mi ha preso per mano e condotto alla meta

A te, caro amico, che mi hai insegnato che ci si rialza sempre

Questa vita non ti ha sconfitto, semmai ti ha salvato.


Il sogno – 13 Agosto 2016

 

Stanotte ti ho sognata, ma non eri tu

C’era qualcosa di diverso in te, più scuro.

 

Quell’aura che ti brilla intorno era scomparsa.

Volteggiavi avvolta in una nuvola azzurra,

una di quelle che fanno pensare al sole, al giorno

dopo, alla tempesta d’amore che si scatena.

 

Ho sussurrato il tuo nome, sei scomparsa.

 

Ti ho cercata, ma invano, ho speso tutto il mio sogno

A chiamarti, a sforzarmi di guardare più in là dell’orizzonte

Alla fine ti ho trovata, nel più buio e più freddo dei pianeti,

avevi indosso solo una foglia di umiltà

e un cappello di speranza intrecciata ad amore.

 

Come può un uomo resistere alla vita? Come può?

 

È già ora di alzarmi, ti guardo per l’ultima volta mentre

Esci dalla mia testa, in punta di piedi, per accoccolarti

Nel letto di fianco a me. 

Non potevo chiedere di più alla vita.


L’Arbitro – 21 Dicembre 2011

 

Undici da un lato, undici dall’altro

Fuori, altri venti.

Al centro lui, quello diverso,

quello antipatico, quello che decide.

 

A volte decide bene, altre un po’ meno

Dagli spalti gridano un po’ di tutto,

se solo sapessero, quindici anni e tanta pazzia.

Già, non è facile mettersi lì al centro e dirigere.

 

Lo fa per passione, ha studiato tanto

Giorno e notte su quel maledetto libricino

Che molti criticano, ma non hanno mai letto.

“Che strano”, penso, “ma avrò fatto bene?”

 

Uno, due, tre fischi… è finita!

Qualcuno ha vinto, qualcuno ha perso

Scende nello spogliatoio tra polemiche assurde

Era rigore, era fallo, era da espellere.

 

Correre in quel campo verde, che emozione

Vorrei farlo ancora, ancora e ancora,

l’essere diverso, l’essere accettato, 

il parlare invece di urlare, il capire…

 

Finisce così la mia prima partita, chissà dove arriverò

Ma non m’importa, quel che ho provato in quei minuti mi basta.


La mia Lei – 7 Marzo 2018

 

C’è una cosa nella mia testa, una che mi ronza

Dentro da giorni, mesi, anni, 

perché decide lei, sempre lei?

Cos’ho fatto di sbagliato?

 

Perché mi batte il cuore se l’accarezzo,

e mi sento male quando la lascio?

Quante sere lì a pensarci, 

quante notti a non dormirci.

 

La tocco, mi parla, le parlo

Due dita, tre dita, due mani

Parla sempre più forte.

Adesso piange, strepita, urla.

 

È vero, qualche volta l’ho tradita

Con qualcuna più grande di lei

Altre volte con una più piccola,

dieci, cento, forse mille volte e più.

 

A volte le preferisco quella di un amico,

ce le scambiamo, ce le prestiamo.

Ma alla fine, che volete che vi dica?

La rossa è sempre la mia preferita.


La vita – 11 Settembre 2015

 

E se fosse semplicemente qui, il senso della vita?

L’alzarsi al mattino, il lavoro, lo studio,

una gigantesca catena di montaggio

avanti e indietro, per anni e ancora anni.

 

Per questo siamo vivi, per fare i burattini

Di qualcuno più potente di noi,

che è a sua volta burattino di qualcun altro?

 

No, io voglio essere libero, voglio potermi

Svegliare e dire: “Oggi sono io”

Prendo in mano la mia vita, decido io

Compro una barca, a vela, e parto.

 

Come Lord Franklin, cercherò

Il passaggio a Nord Ovest,

perdendomi nei ghiacci polari.

 

O come Lord Baker andrò,

alla ricerca della mia

perduta principessa turca,

e per sette e ancora sette anni girerò il mondo.

 

Ecco dunque la vita, un alito di vento, 

che scompare e riappare, portandosi dietro

gli anni più belli della gioventù mia.


La memoria più forte della morte (Per don Peppe Diana) – 21 Marzo 2020

 

(Scritta dalla Sq. Aquile del Reparto “Vesuvio” TG1)

 

Toglimi il pane, se vuoi,

toglimi l’aria, ma

non potrai togliermi la Chiesa.

 

Dura è la mia lotta e torno

Con gli occhi stanchi,

a volte, d’aver visto

la Terra che non cambia,

Dio mio, nell’ora

Più oscura sgrana il tuo valore.

 

Vicino al mare, d’autunno,

la tua paura deve innalzare

la sua cascata di spuma.

 

Prendete la notte,

il giorno, e la luna,

vandalizzate delle strade

vi siete presi questo posto

che ormai vi odiano,

ma quando apro gli occhi

e quando li richiudo,

quando i miei passi vanno,

quando tornano i miei passi,

ne risentono.

 

Negami il pane, se vuoi,

toglimi l’aria, ma

non potrai togliermi la Chiesa,

perché io ne morrei.


E se lei… – 10 Aprile 2008

 

È proprio vero quello che si dice: 

il buongiorno più bello è quello sussurrato. 

Avevo amato il suo odore sul cuscino, 

ed ora che non c’è capisco la magia  

di svegliarmi accanto a lei. 

Non credevo si potesse stare male  

Fino al punto da doversi ricercare 

Cercarsi e ritrovarsi,  

ma poi non so per cosa. 

sorridimi addosso, 

come se fosse il nostro ultimo attimo speciale. 

 

La speranza l’ho lasciata nel colore dei tuoi occhi 

Verdi, come il prato fuori casa mia 

Avevo gli occhi lucidi, potevo non commuovermi 

Per ciò che hai detto e fatto? 

Vorrei rubarti il cuore e custodirlo in una teca 

E tu?  

Locomotiva di emozioni             

Che fischia e perde nubi di delusioni 

Girandoti di spalle andasti giù per quella strada 

Lo sguardo fisso avanti senza alcun rimorso. 

 

A volte io mi chiedo  

perché mettiamo punti 

Alla fine delle storie che 

vorrebbero una virgola 

Non siamo solamente una pila di scartoffie 

Dimenticate, rovinate, in una scrivania. 

Ma poi l’ho capito, dopo tanto, troppo tempo: 

non si accontenta di chiunque  

chi ha imparato a stare solo. 

Oh anima ribelle, 

fatta non fosti per piacere ad altri 

ma quell’amore tanto ricercato  

non puoi trovarlo altrove che negli occhi miei. 

   

Imparare a stare bene da soli 

È una delle più grandi battaglie della vita 

A volte penso ancora a quelle sere insieme, 

ci provo e ci riprovo a mandare avanti 

il film della mia vita fermo all’intervallo. 

Mi manca tutto della vita insieme a te 

Le finestre spalancate all’alba per 

Far entrare il sole, le risate 

Quando aprivi il libro dei ricordi 

Quei ricordi adesso sono chiusi nel cassetto 

E la chiave l’hai rubata tu. 

 

Ricordati e ricordami 

Che sei qui e che non sei il male. 

Avevo visto in lei affievolirsi 

 l’ultimo sorriso 

E quasi con freddezza 

Portarsi via anche il mio. 

Non avevi voglia d’esser vista  

né riconosciuta 

Cosa dovevi dire agli altri  

se non lo ammettevi prima a te? 

Ora mi domando se la vita mia  

Non è sparita, 

sarà partita, 

insieme a colei che chiamavo 

vita della mia vita. 


Uno strano ritrovamento

 

È una fredda giornata invernale, sono solo a casa e sto cercando qualcosa da fare per ingannare il tempo. Di studiare, non se ne parla proprio, quindi cerco nell’immensa libreria qualcosa di interessante da leggere. Dizionario, Divina Commedia, ancora dizionario, Enciclopedia… Oh, finalmente i romanzi! Mentre prendo un romanzo di Stephen King, il mio scrittore preferito, cadono dei fogli dallo scaffale in alto, quello raggiungibile soltanto con una scala, e che solitamente viene usato per nascondere caramelle o altri oggetti di uso non propriamente quotidiano. Raccolgo i fogli sparsi sul tappeto e, rimettendoli in ordine, mi cade l’occhio sulla prima riga del primo foglio: Manfredi. Tutto normale, penso, sarà qualche contratto o qualche attestato di papà, ma poi leggo un nome che non posso accostare a nessuno della mia famiglia: Silvestro. Silvestro?  Nessuno si chiama così, almeno non che io ricordi… Sicuramente non il nonno, porto il suo stesso nome, e neanche il nonno di mio padre; zii non ne ho da quel ramo della famiglia, quindi chi sarà mai questo Silvestro di cui c’è scritto il nome?

Incuriosito, vado avanti nella lettura, e scopro qualcosa che in vita mia non avrei mai pensato di scoprire: ho avuto un fratello, di nome Silvestro, morto più o meno un anno prima che io nascessi.

Scaravento i fogli in un angolo e scappo via, ho bisogno di pensare, di capire… un fratello, più grande, morto, di cui non ho mai saputo dell’esistenza fino a pochi secondi fa, e se non mi fossero caduti in testa quei fogli forse non l’avrei neanche scoperto. 

Devo assolutamente saperne di più, ritorno vicino la libreria e riprendo a leggere: data di nascita 25 Febbraio 1994, data di morte 14 Agosto 1994, causa del decesso sepsi neonatale, mai sentita.

Cerco un po’ su internet di questa malattia, eccola: Klebsiella, Escherichia Coli, Listeria Monocytogeneses… non ci capisco niente, è arabo per me. Perfetto, chiederò a papà di questa malattia, mantenendomi sul vago, devo cercare di scoprire quante più cose su questo fratello.

Raggruppo i fogli e li rimetto al loro posto, prendo il romanzo di King e mi metto a leggere. Tornano a casa i miei genitori, ma sono troppo immerso nella lettura per accorgermene, così mi alzo soltanto quando è pronta la cena: è il momento giusto per carpire informazioni su questa vicenda. 

“Papà, che cos’è la sepsi neonatale? Oggi ne ha parlato il telegiornale, ma non ha specificato nulla, ha solo detto che si può morire.” “Sì, si può morire, è un’infezione batterica che si sviluppa prevalentemente durante la gravidanza, e poi si manifesta sul bambino tra le 6 ore e le 2 settimane dalla nascita.” “E che sintomi si accusano? Qualcosa tipo respirazione difficoltosa e cose così?” “Tra le altre cose, anche variazioni di temperatura, sia alta che bassa. Ma scusa, tu non hai mai guardato un telegiornale, ti sei seduto sul telecomando e per caso è partito un canale?”

“Sempre molto simpatico… No, stavo vedendo un film e, cambiando canale per la pubblicità, ho visto il telegiornale. Sai che quando si parla di morte, mi appassiono. Comunque, cambiando discorso, non ho mai mangiato un’insalata peggiore di questa, senza sale e senza olio… Mamma, oggi ti sei proprio superata!” 

Di questa malattia ne so quanto prima, ma poco importa, quello che mi interessa adesso è capire perché nessuno me ne abbia mai parlato. Comincerò le mie ricerche dalla nonna, lei sicuramente saprà qualcosa di questa vicenda. Passa la notte, penso a quello che dovrò chiederle, e arrivo al mattino seguente non proprio riposato. Vado da nonna, mi offre un pezzo di cioccolata come sempre e, tra una parola e l’altra, le chiedo di questo Silvestro. Lei mi guarda strano, capisco che sa qualcosa ma non può dirmelo, allora decido di giocare d’anticipo: “Ho trovato delle carte, so quasi tutto, però voglio sentirmelo dire da qualcuno della famiglia.” Mi dice di sedermi, e comincia a raccontare: “Non mi ricordo bene tutta la storia, però ricordo che ci furono dei problemi perché tua madre fumava e lavorava in laboratorio a contatto con delle sostanze chimiche pericolose, ma non si è mai capito se fosse per colpa di quello che Silvestro nacque malato. Comunque, già si era capito che non poteva sopravvivere a lungo, quindi eravamo rassegnati all’idea di doverlo perdere. Non l’abbiamo mai raccontato perché non è facile parlarne, anche dopo anni, però adesso lo sai anche tu, non dirlo a nessuno.” “Dove è sepolto adesso?” “Al cimitero a Torre, vicino ai nonni.” Saluto la nonna e torno a casa, almeno adesso so qualcosa in più su questo fratello, e intendo fare qualcosa per lui.

Innanzitutto, prendo le chiavi della cappella di famiglia e vado a trovarlo: fino a quel momento ero convinto che in quella cappella ci fossero solo i miei nonni e altri parenti, adesso so che c’è anche mio fratello, prendo dei fiori e li porto, li appoggio vicino e inizio a parlargli, gli dico che ho scoperto tutto per caso e che mi dispiace non averlo scoperto prima, ma nessuno me ne aveva mai parlato e non avrei mai immaginato potesse succedere davvero.

“Sai, fratellino, vorrei tanto fare qualcosa per te, per ricordarti meglio e sentirti più vicino, ma non so cosa. Venirti a trovare ogni giorno sarebbe inutile, portarti i fiori anche. Devo trovare qualcosa di originale per renderti parte della mia vita e non dimenticarti, e farti vedere il mondo attraverso i miei occhi. So che non potrò riportarti in vita, però vorrei sentirti più vicino a me, per quanto possibile. Adesso devo andare, ma ti prometto che la prossima volta ti porterò qualcosa di meraviglioso. Ciao fratellino… a proposito, posso chiamarti fratellino, vero?”

Torno a casa, comincio a pensare a cosa posso fare, ma ogni idea che mi viene in mente la accartoccio e la butto nel cestino immaginario della mia mente, troppe cose stupide che non servirebbero a nulla. Poi, all’improvviso, un’idea: perché non fargli vedere come funziona il mondo, scrivendogli delle lettere in cui parlo di un argomento specifico? Ma no, è morto, non può leggerle mica… aspetta, e se invece di essere morto fosse semplicemente in viaggio in posti sempre diversi, così dovrei spedirgliele ogni volta con un indirizzo diverso; così non starei scrivendo ad un fratellino morto, ma ad uno in perenne viaggio, e che non ho ancora conosciuto perché non è mai tornato a casa. Ecco l’idea che aspettavo, potrebbe essere il modo migliore per ricordarlo, e così non si sentirebbe solo sapendo che c’è qualcuno che lo ama e che si ricorda di lui.

Allora è deciso, gli scriverò una lettera ogni mese, e gliela spedirò ogni volta in posto diverso, magari un posto esotico o una giungla, perché probabilmente gli piacciono le avventure e il sentirsi a contatto con la natura, proprio come me. 

Bene, adesso devo solo trovare gli argomenti di cui parlargli, ma non dovrebbe essere difficile…

Il mondo social

“Da qualche anno i VIP si sono trasformati in VIF: very important followers.” (Fiumarella)

 

Silvestro Manfredi

Isola di Hawaii

Capitan Cook

 

23 Gennaio 2019

Caro fratellino,

l’ultima volta ci eravamo lasciati con una promessa, quella che avrei trovato un modo di ricordarti che non fosse soltanto portarti fiori in continuazione, ed oggi ti scrivo questa lettera per dirti che ho trovato il modo. Visto che sei partito per un viaggio lunghissimo in posti lontani e non so quando tornerai, ho deciso di scriverti alcune lettere, per farti capire come funziona il mondo da quando sei partito. In questa prima lettera ti voglio parlare dell’evoluzione del modo di comunicare tra le persone: dunque, devi sapere innanzitutto che scrivere lettere non è più una cosa così usuale ma, non avendo tu un cellulare, è il solo modo che ho per tenermi in contatto con te, quindi mi armo di pazienza, carta e penna e lascio perdere per qualche momento quella tecnologia che ci circonda. Il cellulare te lo ricordi, vero? Quella specie di ferro da stiro senza fili che serve a parlare con le persone, estremamente scomodo da mettere in tasca e da trasportare? Bene, da quando sei partito il cellulare si è evoluto tantissimo, è prima diventato piccolissimo per poi ingrandirsi di nuovo. Ti chiederai per quale motivo sia stato rimpicciolito e poi ingrandito, e la risposta è presto data: dal momento che serviva soltanto per chiamare o mandare brevi messaggi alle persone, non era necessario uno schermo esageratamente grande, erano sufficienti un tastierino numerico e uno schermo su cui digitarli. Si è passati poi al TVfonino, ovvero un telefonino capace di ruotare lo schermo per guardare la TV, e di conseguenza si è utilizzato uno schermo più grande. Questo fino, più o meno, al 2007, quando un certo Steve Jobs, che a te non dice nulla come nome ma a tutto il mondo invece si, decide di mettere in vendita un telefono che rivoluziona il termine stesso “cellulare”: l’iPhone. La prima cosa che noteresti prendendo in mano questo telefono è che non ha tasti, ma è uno schermo intero che utilizza la tecnologia touch, ovvero toccare lo schermo per interagire col telefonino. Ovviamente è cambiato anche il nome, si è passato da cellulare a smartphone, ovvero telefono intelligente, perché in effetti può fare praticamente di tutto, e non solo; man mano che la produzione sforna un nuovo modello, lo schermo si ingrandisce sempre di più, e i nuovi modelli sono quasi impossibili da tenere in tasca, proprio come i primi cellulari. Bisogna dire, però, che non servono soltanto a chiamare, sono diventati praticamente delle console di videogiochi che hanno come ultimo obiettivo quello di chiamare e mandare messaggi. Già, perché se parli con qualcuno che lo ha appena acquistato, non ti dirà che gli serve per telefonare, ma ti dirà ad esempio: “foto eccezionali, schermo grande, posso giocarci per ore senza scaricarlo” e cose così. Nessuno compra più il cellulare per telefonare, sembra che sia la funzione aggiuntiva, tipo optional… quando vai a comprare un cellulare nuovo, il commesso ti elenca tutte le funzioni, Bluetooth, memoria, schermo, quante schede puoi metterci e, solo sotto tortura, ti dice che serve anche per telefonare. Ovviamente, cambiando il modo di usare questo oggetto, è cambiato anche il modo di interagire con le persone. Hai presente le chiacchierate di gruppo che si facevano tempo fa? Scordatele, adesso si usa esclusivamente il mondo virtuale per parlare, scherzare, addirittura fidanzarsi… vuoi sapere come? Semplice, un certo Mark Zuckerberg ha inventato una piattaforma, Facebook, dove le persone possono mettersi in contatto con i propri amici e scambiarsi foto, auguri e ancora di più… pensa che per chiedere le chiavi della macchina a mia sorella devo mandarle un messaggio su Facebook, e sta il più delle volte nella stanza accanto. Però qualcosa di buono in questo social (così si definiscono queste piattaforme perché, a detta degli esperti, servono a socializzare) è che, una volta che hai tra gli amici qualcuno, puoi non doverti ricordare la data del compleanno, tanto ti arriva un avviso il giorno prima, così eviti figuracce. Beh, le date di nascita degli amici più stretti faresti bene a tenerle a mente, però devo dire che è un grande passo in avanti rispetto al segnare la ricorrenza sul calendario. Ti starai chiedendo come funziona Facebook, te lo spiego brevemente: si divide sostanzialmente in tre parti, la parte pubblica, detta Home, la parte semi-privata, detta Bacheca, e la parte privata detta Chat. Come suggeriscono i nomi stessi, l’utente può scegliere il grado di visualizzazione dei propri contenuti, ovvero decidere quali persone possono controllare le foto e i messaggi che scrive. Nella chat soltanto i membri di quella conversazione possono visualizzarli e rispondere, mentre nelle altre due il pubblico è molto più esteso (senza specifiche impostazioni si può permettere a chiunque utilizzi Facebook di osservarti). Sai che molti comici ci scherzano, sui social? Si, perché dicono: “Ma scusa, hai tremila amici su Facebook e non ne trovi uno con cui uscire la sera?” Ecco perché io preferisco definirli antisocial, perché consentono sì di tenerti in contatto con persone che magari non vedi da tanto tempo o che non abitano proprio nella stanza accanto, ma dall’altro lato non consentono di avere quelle relazioni umane che c’erano prima della loro nascita. Ti ho citato Facebook perché è il più utilizzato, ma ce ne sono tantissimi con le stesse funzionalità, hanno solo il nome diverso; ce n’è uno, però, acquisito recentemente dal gruppo di Zuckerberg, che si sta facendo strada rapidamente, e si chiama Instagram: al contrario di Facebook, però, non memorizza date di nascita, onomastici né niente, e non consente neanche di scrivere messaggi senza postare almeno un contenuto digitale, che sia una foto o un video, quindi è ancora meno privato di Facebook. Ultimamente il gruppo di Zuckerberg ha acquisito anche il social di messaggistica più utilizzato al mondo, WhatsApp. Questo, scherzando con la pronuncia inglese: “What’s up?”, ovvero “cosa succede?”, consente di mandare messaggi a qualsiasi persona di cui si abbia il numero senza costi di spedizione, utilizzando la connessione ad internet del proprio telefonino.

Forse questo è il social meno social di tutti, perché consente di comunicare solo con le persone delle quali hai il numero di telefono, quindi significa che dovresti conoscere tutti personalmente per avere il loro numero, però è utilissimo per organizzare appuntamenti e riunioni senza dover chiamare ogni singola persona. L’ultimo social di cui ti voglio parlare, molti non lo definiscono social, nonostante abbia tutte le caratteristiche per esserlo: YouTube. Le caratteristiche base di un social sono: possibilità di pubblicare qualcosa, restare in contatto con le persone, e YouTube le ha… non è visto come social perché viene utilizzato prevalentemente per pubblicare video e guadagnare soldi dalle visualizzazioni, però il suo utilizzo consente a molti artisti di farsi conoscere meglio e vedere come reagiscono gli utenti ai cambiamenti: non di rado i cantanti, prima di pubblicare un album di canzoni inedite, ne pubblicano una su YouTube per vedere se piace. Peccato che venga scambiato spesso con un luogo in cui offendere le persone senza motivo (coloro che lo fanno vengono definiti Haters, ovvero Odiatori, sono persone che scrivono soltanto offese a prescindere dal soggetto al quale sono rivolte), oppure un mezzo per scaricare canzoni illegalmente (ascoltarle sulla piattaforma si può, scaricarle sul proprio computer per ascoltarle in seguito è illegale, altrimenti gli album in CD o vinile non sarebbero più in vendita). 

Sai, ti ci vorrei proprio vedere su Facebook, probabilmente avresti più amici di me; non che ci voglia molto, però saresti sicuramente più fotogenico e più social, chissà… adesso che sei un po’ più informato sul mondo moderno e sul nostro modo di interagire e approcciarci, che ne diresti di iscriverti anche tu? Attendo con ansia la tua richiesta di amicizia, sarò ben lieto di accettarla.

Il tuo fratellone

Giovanni 

 

  1. Alla fine di ogni lettera ti lascerò una canzone, un pensiero o qualsiasi altra cosa mi venga in mente sul tema trattato, per farti capire quanto questi temi siano attuali. Per la dipendenza dai social ho scelto una canzone di una band che si chiama “Tre allegri ragazzi morti” dal titolo “Persi nel telefono”.

Prima erano in cinque a scrivere canzoni che cantavano tutti
Adesso tutti quanti scrivono canzoni che qualcuno canterà
La sai la novità?

Che siamo tutti uguali e tutti un po’ diversi
Tutti in fondo persi dentro al telefono

Metti in moto adesso il genio che c’è in te
Che cos’hai da perdere?
Ridi forte questo è il tuo quartiere
Non sarai mica tu a fare la figura dello stronzo?

Non è come dici conosco le radici del mio divertimento
So da dove vengo e quanti soldi spendo e quanti ne perderò
È che non basta mai

Metti in moto adesso il genio che c’è in te
Che cos’hai da perdere?
Apri le braccia è il tempo giusto per provare
A fare come gli uccelli e andarsene lontano

E poi si aprono e poi si chiudono
A modo mio

Prima erano in cinque a scrivere canzoni che cantavano tutti
Adesso tutti quanti scrivono canzoni che canterai

La musica parlata

“Questa malattia che chiamano rap – un certo tipo di pulsazioni ritmiche che vanno, mentre qualche idiota sociopatico erutta rime da scuola elementare.” (Sinatra Jr.)

 

Silvestro Manfredi

Isola di Saint Paul

Pribilof Island,

Alaska

 

25 Febbraio 2019

Caro fratellino,

innanzitutto, buon compleanno, oggi diventi un anno più saggio e arrivi a quota 25. Ti ho fatto un bellissimo regalo, te lo invio insieme a questa lettera sperando ti piaccia e, se non dovesse piacerti, avresti una scusa per venire qui a cambiarlo. Chissà come stai passando questo compleanno, da noi solitamente si va a mangiare una pizza tutti insieme, o si va a prendere una birra dopo mangiato, si sta in compagnia. Sai, un paio di anni fa ho festeggiato un compleanno a casa, giocava l’Inter in Coppa Italia contro la Juve e non avevo nessuna intenzione di scendere, visto che all’andata avevamo perso 3-0 e ci sarebbe servita una super rimonta per passare il turno. A casa ci sono tutti, dai tifosi interisti a quelli juventini, chiaramente tranquilli perché tanto: “questa Inter non vincerà mai”. Pronti via e la Juve prende il primo gol: “Vabbè, uno non fa niente.” Inizia il secondo tempo e arriva il secondo gol, gli juventini cominciano a sudare freddo e non toccano più la pizza che avidamente stavano mangiando pensando di essere già qualificati e, a qualche minuto dalla fine, arriva anche il terzo gol… non immagini neanche la scena, ho perso la voce quella sera! Andiamo ai tempi supplementari e poi ai rigori, dove cominciano le macumbe per farli sbagliare… niente da dire, la macumba più potente è quella juventina, l’Inter sbaglia un rigore e perde la partita. Ci consoleremo a Maggio, quando perderanno la finale.

Comunque, oggi non volevo parlarti di calcio, bensì di musica, e in particolar modo del cambiamento che questa ha subito nel corso degli anni. Non ti citerò i musicisti classici tipo Beethoven o Mozart, quelli sono ormai per una ristretta cerchia di appassionati, meno del 10% della popolazione italiana; no, la cosa che mi preoccupa è che la musica, così come la intendi tu e come la concepisco io, sta quasi sparendo, sovrastata da un genere strano, il rap. Nacque quasi per gioco negli anni ‘70 in America, dove un certo DJ Hollywood, durante le serate in discoteca, intratteneva il pubblico raccontando aneddoti in rima andando a tempo con la musica. Molti lo imitarono negli anni seguenti ma, trattandosi di improvvisazione, nessun discografico pensò di incidere queste canzoni per venderle. Per vedere davvero il successo del rap americano bisogna aspettare il 1986, quando i Run-DMC pubblicano l’album “Raising Hell”, classificando il genere però come Hip-Hop. Col tempo si sono poi sviluppate tutte le varie derivazioni di questo genere, quindi nascono il Gangsta-Rap con Dr. Dre, Eazy-E e Snoop Dogg, il Rap-Rock e tanti altri che non conosco. Ti dico anche che molti di questi rapper (non me la sento di definirli cantanti, poi ti dirò il perché) parlano di temi non propriamente adatti al pubblico che li ascolta, tipo droga e alcol, ma fortunatamente non tutti sono così; l’unico rapper del quale ho ascoltato qualche canzone si chiama Eminem, ma soltanto perché sono rimasto affascinato dal suo modo di parlare velocemente, quasi non si capisce cosa stia dicendo e, se non conosci bene l’inglese, non lo capisci lo stesso. Come ben saprai, per scrivere una canzone non ci vuole molto, scegli un tema, ci metti dentro un paio di rime, componi la melodia e il gioco è fatto; analizziamo adesso pezzo per pezzo queste caratteristiche: la scelta del tema è forse la parte più complicata, poiché devi trovare qualcosa che sia attuale e che coinvolga quante più persone possibile, per esempio l’amore è un tema sempre attuale, e i cantanti che ne scrivono sono destinati ad avere successo. Prendo una canzone di un qualsiasi cantante, per esempio Marco Masini, e parla d’amore, ovviamente non tutte le sue canzoni, altrimenti sarebbe monotono e ripetitivo… prendo una “canzone” rap, ho una buona probabilità di sceglierne una, dall’immenso calderone ricolmo di questo genere, che parla di droga, liberalizzazione delle droghe, alcol e temi così. Certo, posso anche prenderne una che parla d’amore, ma quante ne potrò mai trovare? Di certo non al primo colpo: è un po’ come dire: “In un sacchetto ci sono cento palline, di cui ottanta nere, diciotto bianche e due verdi. Che probabilità ho al primo tentativo di prenderne una verde?” Detta così potrebbe sembrare che il mio sia un odio profondo verso il rap, invece no! Io non odio né il rap, né le persone che lo fanno, né tantomeno chi lo ascolta. Seconda parte, le rime: sono cresciuto studiando Dante, con le sue dolci rime e le sue idilliache allitterazioni (Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare, o ancora Vedi nostra città quant’ella gira; vedi li nostri scanni sì ripieni, che poca gente più ci si disira), la mia idea di rima è questa, se la rapporto alle canzoni potrei citare Baglioni, Battisti o De André; canzone rap degli ultimi tempi, il cantante si chiama Young Signorino, titolo della canzone “Dolce droga”, il testo fa così: 

Mhh, ma che buona
Questa dolce droga (bu, bu)
Mhh, ma che buona (bu, bu)
Questa dolce droga (ya, ya)
Mhh, ma che buona
Questa dolce droga (bu, bu)”

 

Adesso non voglio dire che tutti i cantanti rap scrivono queste frasi da terza elementare, per esempio c’è Eminem che scrive:

Look, if you had one shot, one opportunity 
To seize everything you ever wanted 
One moment 
Would you capture it or just let it slip?”

Trad. “Guarda, se tu avessi un colpo, una possibilità di afferrare tutto ciò che hai sempre desiderato, un momento, lo cattureresti o lo lasceresti scivolare via?”

Quindi non faccio di tutta l’erba un fascio, ma ti porto esempi concreti di canzoni improponibili e altre che, nonostante non apprezzi il genere, non posso fare a meno di ammirare. 

Arriviamo adesso alla nota dolente del discorso: la melodia. Sicuramente avrai sentito parlare degli strumenti musicali, non te li devo spiegare io, perciò saprai sicuramente che il metodo più veloce, e più normale, è quello di prendere una chitarra, un pianoforte o un altro strumento e comporre la melodia, registrandola poi in studio e combinandola con il testo cantato. Bene, tutto questo nel rap viene bypassato dai computer: già, oramai esistono dei software che simulano gli strumenti o li eliminano del tutto, mettendo in loop un motivetto preregistrato (una specie di batteria in sottofondo) sul quale poi il rapper decanta le proprie rime. Ed ecco il motivo per cui, qualche rigo fa, ti dicevo che non posso definirli cantanti: il cantante, appunto, canta con accompagnamento di strumenti reali, e non si limita a suoni preregistrati comandati da una console di un DJ o da un pad, altrimenti anche chi fa karaoke potrebbe essere definito cantante. Ti ripeto, non sono contro il genere, anzi, ben venga che i ragazzi si appassionino alla musica, ma almeno ascoltassero musica normale, senza parolacce o inni alla droga. E dire che in Italia c’è il maggior numero di cantautori al mondo, persone che scrivono poesie e poi ci mettono una musica d’accompagnamento, penso per esempio a De André, che ha raccontato la storia di una prostituta in maniera leggera e semplice, o ai Pooh con “Pierre” che hanno toccato il tema dell’omosessualità in un periodo in cui era tabù anche soltanto pensarci, e potrei andare avanti per ore a citare mostri sacri della musica italiana, ma non lo farò perché so che non ti interesserebbe… d’altronde sei in un posto super esotico, cosa te ne dovrebbe mai importare della musica italiana o del mio rapporto conflittuale con il rap?

Sto per concludere la mia lettera, la seconda che ti spedisco, pensa che non so neanche se ti è arrivata la prima e se ti arriverà questa, o magari se ti arriveranno in ordine inverso. 

Ti lascio con questa promessa, che nella prossima lettera parlerò di qualcosa di meno allegro, ma molto interessante.

Ciao Fratellino,

Giovanni.

 

  1. Come canzone avrei potuto scegliere un qualsiasi testo di un cantante decerebrato moderno, ma sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa, dopo quello che ti ho scritto. Ho scelto invece un testo impegnato, di un rapper americano di nome Ice Cube, dal titolo “It was a good day”. Essendo estremamente lunga, te ne scrivo alcune parti, non la canzone intera.

(Ovviamente sto scherzando, leggi il testo e capirai il perché del mio astio verso il rap).

 

Traduzione:

Devo fermarmi, il semaforo è rosso. 
Guardo nello specchietto retrovisore. 
Nessun poliziotto in vista. 
Tutto è ok. 
Kim mi chiama sul cercapersone. 
Quella tipa riesce a sc****e 
per una notte intera. 

Quei bastardi di poliziotti 
non mi hanno neppure fermato. 
Ieri quegli idioti hanno 
cercato di spararmi addosso, 
ma oggi un’auto di pattuglia mi è 
passata accanto come se niente fosse. 

Ho lasciato casa dei miei amici 
con le tasche piene di soldi. 
Sono passato a prendere quella 
ragazza che cerco di sc*****i 
fin dalle scuole superiori. 
Stranamente, io mi sono fatto una 
birra e lei si è fumata uno spinello. 

Sono caduto nelle sue braccia
L’ho tirato fuori 
e gliel’ho infilato dentro. 
E continuavo a spingere 
più a fondo, più a fondo, 
così a fondo che alla fine lei è svenuta.

Sono ubriaco fradicio 
ma non mi viene da vomitare. 
Sono a metà strada da casa ed il mio 
cercapersone continua a squillare. 
Oggi non ho neppure 
dovuto usare il mio mitra. 
Devo ammetterlo, 
è stata una bella giornata.