Giulia Panepinto - Poesie

La  paura di dirti come voglio che sia

 

Che sia febbre e medicina.

Che sia fuoco che brucia, che sia nausea, che sia ricordo e progetto.

Che risucchi, che annienti, che svuoti.  

Che sia l’unica cosa a tenerti in piedi

quando vorresti accasciarti,

sotto il peso della sua stessa forza.

Che sia angoscia. E mancanza. E desiderio.

Che sia acqua salata di un mare in cui hai voglia di annegare.

Che sia dolce fastidio, che sia godimento. Che sia paura del vuoto mentre precipiti.

Che sia la bottiglia vuota di un ubriaco, adrenalina di una corsa a fari spenti.

Che sia aria che ti manca  quando non sai tornare a galla.

Che siano parole inventate, stonate, sbagliate.

Che sia insensato. Che sia assoluto.

E te lo dico così. E mi sembra naturale.

Sono un sognatore, ma un sognatore coraggioso.

Ti guardo. E non sembri avere paura.

Sono un sognatore, ma un sognatore ubriaco.

Mi guarda. E sembra avere sete.

Sono un sognatore, ma un sognatore avventuriero.

Ci guardiamo. E sembriamo compagni di viaggio.


Lenzuola fuori sede

 

I letti disfatti

degli studenti universitari

hanno il sapore

del “non importa”

e la leggerezza

di fiori,

giovani e disordinati.


Fenice

 

Poi paura non fa,

sospesi nel vuoto,

sentire la vita sfuggire.

E’ quasi un tremore,

oserei,

un dispiacere.

E’ un po’ come dire:

“Toh, era così che doveva finire?”.


Bar-lumi

 

Ai banconi dei bar

svuotiamo i bicchieri,

scrutando sul fondo.

Cerchiamo risposte?

La gola: già in fiamme.

Il cuore: di brina.

La mente, offuscata

vi trova il sollievo.

E’ solo un momento

ma al pari del resto

godiamo soltanto

di ciò che è tormento.


Pensieri (s)fumati

 

La mia vita è un pacco di sigarette,

appena comprato.

Ci cerco dentro soddisfazioni,

ma, ad una ad una,

le fumo tutte.

Come le mie occasioni.

Come queste stagioni.

Ho preso il vizio,

delle nuove illusioni.


Sotto una luna come questa

 

Puoi sentirti nuova,

o sempre la stessa.

Puoi ascoltare canzoni,

che raccontino chi volevi essere,

puoi avere nuovi sogni,

nuove fila da tessere.

Può tornare la poesia,

e la tua voglia di scrivere.

Può tornare anche la vita,

se decidi di vivere.


Inverni Interiori

 

Come la pioggia

sulla neve sporca

agli angoli delle strade,

lava via il dolore

delle mie scelte sbagliate

dalle ferite infettate

nei miei pensieri stanchi,

che non so rimarginare.

Come un profumo non mio,

in una stanza

dove l’aria stantia

ristagna,

per le persiane chiuse

che non ho più saputo aprire.

Come un gesto familiare,

arresta

la caduta libera

dei miei sogni indifesi

che avrei voluto salvare

dal mio inverno interiore.

Come una bussola saggia,

riportami,

ti prego,

riportami

nel silenzio assoluto

di quel posto assolato

d’agrumi

e di mare

che mille anni fa

ho inventato per me.


 

Lunedì sera, Leningrad cafè.

 

Non so dire con esattezza se la mia vita ebbe inizio quel giorno di ottobre. Di certo qualcosa prima era successo, durante gli anni della mia infanzia e della mia adolescenza.

Forse fu solo il giorno in cui iniziai a prendere coscienza del fatto che ero viva, ed ero viva da anni, e forse non ci avevo mai fatto caso.

Fu con angoscia, se così si può definire, che mi resi conto di avere conservato dentro di me solo ricordi sfocati di quanto era successo prima, solo attutite percezioni degli avvenimenti, delle relazioni, del susseguirsi degli anni, del colore che doveva aver avuto la mia vita fino ad allora. Certo vi erano delle eccezioni, dei frammenti di ricordi che rimanevano nitidi, che erano riusciti a rimanere a fuoco in mezzo a quella storia non più mia. Ma anche quei frammenti sembravano non appartenere del tutto a me, come se qualcuno me li avesse prestati, per iniziare a scriverci sopra la storia della mia vita che non sentivo più appartenermi. Erano i resti di istantanee,  intrise di ricordi di una vita che credevo di aver vissuto, costruendo nella mente sensazioni che avevo idealizzato e reso eterne, ma di cui non ricordavo il vero sapore. Qualcosa a cui potermi aggrappare, quando sentii sgretolarsi sotto le dita l’illusione di un’esistenza che credevo reale.

Sono cresciuta perdendomi fra le storie e i personaggi dei libri che amavo, una delle poche certezze che avevo, e quel giorno, in ottobre, qualcuno aveva preso il mio personaggio e lo aveva piazzato lì, nel mezzo di un racconto che avevo letto e riletto, ma con cui non avevo nulla a che vedere.

Quando si è bambini la cosa più bella che si possa avere è l’ingenua e pura convinzione che saremo sempre in grado di dare una direzione ai nostri giorni, all’avvenire, a quello che sogniamo di diventare. “Da grande sarò uno scrittore”. “Da grande farò l’astronauta”. “Da grande sarò una ballerina, o sarò forte come papà”. Avrei voluto catturare quel momento in cui ho iniziato ad osservare il mio destino come chi sbircia da fuori dentro le case degli altri. Un misto di indifferenza e nostalgia, quelle sensazioni che non sappiamo dire se facciano male o no.


Nostalgia di una vita non vissuta

Mi è sempre piaciuto soffermarmi a fantasticare su ciò che succede dietro le finestre delle case degli altri. E quando dico altri non intendo la gente che conosco, quella non incuriosisce quasi mai, ma le persone di cui non si sa nulla, quelle di cui non conosco il nome, né la storia, o la forma degli occhi, o i tratti del viso. Quelle di cui non potrei riconoscere il suono della voce, né il profumo.

Da quando ero bambina questa curiosità ha sempre suscitato in me sensazioni contrastanti, molteplici, e che tutt’ora fatico a decifrare e a descrivere. Ma da quel groviglio di emozioni, due su tutte sono venute fuori, durante i vagabondaggi erranti della mia mente indecisa.

La prima sensazione è quella di timore misto ad attrazione, che caratterizza tutto quello che non conosciamo: il desiderio di scoprire l’ignoto, pedinato inevitabilmente dalla paura che una volta scoperchiato il vaso l’eccitazione si sbricioli fino a diventare delusione, aizzata dall’incontro con il banale.

La seconda sensazione, per me più potente ed inspiegabile, è una sorta di malinconia, sfumata da qualcosa che potrei azzardarmi a definire invidia. Non so cosa scateni in me questa emozione, ma ha un retrogusto dolciastro simile a quello che sentiamo, se facciamo attenzione, quando soffriamo. E’ una punta di tristezza, e sembra dirti: “Ciò che accade dietro queste finestre, la risata del bambino che stai ascoltando, il divano del salotto che scorgi appena, la bottiglia di vino su quella mensola, il libro lasciato a metà, lì, su quella libreria… Ecco, tutto questo non è tuo. Lasciati andare alle cose che non sai. Lasciati cullare da questa sensazione di tristezza che non ti sai spiegare.”