Giuseppe Alberti
Racconti e Poesie
La rupe
Mentre sale dalla scoscesa rupe
la nebbia si dirada,
si allarga fino a sembrare una grande nuvola
che nasconde l’albeggiar del sole, ma,
eccolo che fa capolino,
e con la sua forza riscalda quella nube,
la travolge, e capitola giù
dalla scarpata rischiarando l’orizzonte.
Ci vuole un po’ prima che tutto schiarisca
e faccia splendere tutta la valle.
I raggi del sole sono tanti,
e tanto è il suo calore che emana,
la nebbia non c’è più,
è tornato il sorriso nella valle,
essa ora canta,
si ode il canto del fagiano, dell’upupa,
si ode il tordo zirlare e la starna, quatta quatta,
nascosta fra i cespugli starnazzando,
accompagna la soave musica della vita.
Senza meta
Giro con i miei pensieri nella testa,
sono senza meta.
Sono solo a ricordare e non posso nemmeno imprecare,
nessuno ascolta il mio silenzio perché esso non parla.
I ricordi sono tanti che non sono qui ad elencare,
farebbero troppo male,
ma sarebbe bello potersi scusare.
Ho dato il mio perdono a tutto il mio creato
per essere a mia volta perdonato,
ma non pretendo, perché tanto sono solo
a dar perdono al mio creato.
Non ero preparato a ricevere il dolore che mi è stato dato,
giorni di inferno con il cuore trafitto,
ma il Signore lo ha sanato.
Finalmente un po’ di gioia per la gloria del Signore,
un po’ di pace ritrovata,
ma la via è tanto lunga,
aspettando a cuore aperto che i ricordi possan presto
esser messi lì da una parte e, restar morti senza arte.
All’insegna dell’amore
Sto percorrendo una strada ma non mi sono accorto che è senza uscita, arrivo in fondo e non so più cosa fare, e penso ‘Ho fatto tanta strada, ora mi toccherà farla di nuovo a ritroso’. Mentre farfuglio tra me e me, una signora tutta vestita di bianco, uscendo di casa, mi fa un cenno, mi chiama. Non sono molto convinto non conoscendo la bella signora, ma mi avvicino e, garbatamente:
«Prego signora, dica pure.»
E lei: «Tu sei la terza persona che attraversa questa via senza uscita, non so perché ma gli altri due hanno preferito tornare indietro e pagare lo scotto.»
«Signora cara, ma cosa dice? Quale scotto? Dovrò tornare indietro anche io.»
«Ma no, ma no! Caro signore devi solo rispondere ad un paio di domande che ti farò. Vedrai che accadrà qualcosa di molto bello.» E mentre la donna prepara le sue domande, penso a cosa sia tutta questa storia, restando però molto tranquillo. La mia tranquillità viene notata dalla donna, che si accinge così a farmi la prima domanda:
«Allora, caro Alberto…»
La sorpresa nel sentire il mio nome da una persona mai vista, mai conosciuta, è tale da interferire con la donna che, visto il mio sgomento, prosegue:
«Alberto io so tutto di te, perché il nome che porti, io te l’ho dato e tu non sei qui per caso, ma per un disegno già scritto. Scusami, ma passiamo alla seconda domanda e vorrei che mi rispondessi con sincerità: sei stato bene con i tuoi genitori?»
«Cara signora, o per meglio dire, credo di vivere in un incubo, ma la sua voce mi dà tanta serenità, e credo che vedendo lei io sia passato a miglior vita, credo fermamente che lei sia la mia mamma biologica, altrimenti non mi avrebbe chiamato per nome e, se questa realtà mi porterà ad andare avanti, allora voglio andare avanti.»
Feci un passo, ma non mi portò in nessun posto, tutto diventò oscuro, non riuscii più a vedere nulla intorno a me, ma sentii il mio nome, che qualcuno chiamava:
«Alberto, torna da me, ti prego, non andare via!»
Era un altro timbro di voce, non era quello della signora che pensavo fosse mia madre, era questo il bivio? Tornare o andare avanti? Una grande luce mi abbagliò, e quella luce mi svegliò dal profondo sonno.
Non sapendo cosa fosse successo, e guardando quelle persone attorno al mio letto, spontanea fu la domanda:
«Non ricordo nulla, che cosa è successo? Dove sono? Ricordo di essermi addormentato e di aver fatto un sogno stupendo, credo di aver visto mia madre. Non ricordo molto bene, parlava di un certo scotto da pagare. Cosa avrà significato?»
La giovane donna al mio capezzale:
«Tranquillo caro, sei tornato, ora riposati. Adesso chiamo il medico che ti ha operato.» Non finisce la frase che il medico primario dell’ospedale entra nella stanza e con sua grande gioia apprende del mio risveglio. La donna:
«Dottore: non ricorda nulla.»
«Cara signora, è il fatto traumatico riportato dall’incidente. Ringraziamo fermamente il Signore che ce lo ha restituito.»
«Dottore, lei crede nei miracoli?»
«No, ma visto che suo marito è arrivato qui già morto, ho pensato bene di fare un tentativo, e per me questo è un miracolo. Sa, la scienza in medicina va avanti e in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante, ma oggi debbo dire grazie al Cielo che ha fatto tornare suo marito.»
Passano sei mesi prima che Alberto venga dimesso dall’ospedale. Fisicamente sta molto bene, forse un po’ dimagrito, ma tutto sommato pronto per tornare a casa. Il suo stato confusionale però, dopo un po’ di giorni passati in quella casa, che lui non riconosce come sua, lo fa sbroccare, esce fuori di testa, e comincia a dire:
«Dal primo minuto che l’ho vista in ospedale cara signora, ho accettato la sua amicizia, e sono ancora garbato nel dire grazie, ma vede, io non mi riconosco come suo marito, se questa era casa mia, ci dovrebbe pur esser qualcosa che mi faccia ricordare. Qui non c’è nulla di tutto ciò.»
La disperazione della donna fu tale allora da sbattergli in faccia la verità:
«Non ti ricordi cosa eri ma tu sai chi sei ora, e non ricordi che questa casa l’hai progettata tu? La settimana prima del tuo incidente abbiamo traslocato e siamo venuti ad abitare qui, e fu proprio in uno dei viaggi che facevi portando le cose qui che hai avuto l’incidente.»
«Scusami Carla», questo era il nome della donna che rabbrividì nel sentirsi chiamare, sbottando a piangere dall’emozione.
«Carla» – ripetei – «se tu piangi perché ho chiamato il tuo nome allora tu ti chiami proprio Carla, e sono convinto che con il tuo aiuto seguiterò a ricordare, ma sappi che io il tuo nome l’ho detto a caso.»
Questi fatti fecero riflettere l’uomo che così capì che lei era tutt’altro che una sconosciuta, e sicuramente era la persona che poteva aiutarlo a ricordare. Nel passare del tempo la convivenza tra Alberto e Carla andò avanti senza intoppi. Un giorno Carla doveva andare a far compere, lui si offrì di accompagnarla. Era chiara la gioia di Carla, lei prese la sua pandina e partirono. Nel piccolo viaggio, Alberto si accorse che sul cruscotto della macchina c’era una foto che lo ritraeva seduto ad una scrivania con tante carte sopra. La domanda fu spontanea:
«Dove ero?»
Carla pacatamente rispose:
«Nel tuo ufficio», e lui:
«Esiste ancora questo ufficio?»
«Certo Alberto, dopo la spesa, se vuoi, ti ci accompagno.»
Lui cominciò a sentire dei brividi e chiese:
«Come mai non me ne hai parlato prima?» Lei:
«Non so perché non l’ho fatto, forse aspettavo il momento opportuno, che sia questo?»
Si avviarono così in Via Matteotti. Appena imboccata questa strada: Via Matteotti – strada senza uscita, Alberto sussultò:
«Ma qui ci sono stato, giù in fondo c’è la casa traversa che chiude la strada.»
«Urrà!» gridò Carla «Ti sei ricordato!»
«No Carla, l’ho riconosciuta perché in quella porta laggiù in fondo ho visto mia madre.»
«Alberto, amore mio, tu ci sei nato in quella casa, e tua mamma viveva lì, noi vivevamo in quella casa, tu non hai mai voluto lasciarla, così abbiamo deciso che sarebbe diventato il tuo ufficio e che avremmo preso una casa tutta per noi, ma tu hai voluto disegnarla, con l’aiuto di Giacomo, nostro amico, Giacomo è l’ingegnere che l’ha costruita e diretto i lavori, tu sei stato il disegnatore, e l’hai fatta tutta a tuo piacimento.» Mentre parlava, Carla non si accorse che Alberto era svenuto accasciandosi addosso allo sportello del passeggero. Mentre Carla cercava di portare soccorso al suo Alberto, il pandino sbandò e andò a sbattere proprio addosso al muro della casa di Alberto, lei sbatté la testa addosso al vetro della macchina e svenne, mentre Alberto fatalità rinvenne e si rese conto subito dell’accaduto. Intanto il frastuono che aveva causato l’incidente fu sentito dai vicini di casa che accorsero subito in aiuto. Alberto in quella strada era conosciuto, così portarono Carla dentro casa. Fortunatamente era solo un bel bernoccolo. Ripresasi Carla, Alberto la abbracciò forte forte:
«Perdonami amore per aver dubitato di te, ora mi è tutto chiaro, ma quello che ho visto in questa casa è tutto vero, mia mamma mi ha messo alla prova e il buon Gesù mi ha dato una spinta a tornare da te. Sai amore, questa esperienza mi ha fatto capire tante cose: per esempio, ti ricordi Giacomo, il nostro amico, che ha preso in mano il mio progetto e fatto suo, vantandosi di aver fatto un capolavoro? Beh, io l’ho lasciato fare perché credevo nell’amicizia e nel tuo amore.»
«Ma Alberto, cosa stai dicendo? Io ti amo da impazzire, la mia vita è nulla senza di te.»
«Tu lo credi davvero Carla? Allora spiegami come mai in tutto questo tempo Giacomo non si è mai affacciato e men che meno telefonato per un semplice saluto. Cosa ha fatto scaturire il suo diniego nel venirmi a trovare? Sai dirmelo Carla?»
«Hai ragione Alberto, non sono stata sincera con te, ero in procinto di dirti tutto, poi è avvenuto l’incidente e non ho più potuto.»
«Lo credo bene, ma hai lasciato passare oltre sei mesi per arrivare a dirmelo proprio oggi. Questo piccolo incidente ha riportato alla luce la mia memoria. Carla, per me sei stata un’amica, una moglie, un’amante, e tutto questo perché ti amo, e ancora ti amo nonostante tutto. Tu credi che io non sapessi della tua storia con Giacomo? Ho pensato persino di uccidervi e, mentre pensavo a come farlo, quel fatidico giorno ho avuto l’incidente, ma purtroppo ho ancora qualche strappo di memoria al riguardo.»
«Alberto, se vuoi posso dirti qualcosa in proposito se ti fa piacere, ma credo che non ti piacerà ascoltare tutta la verità.»
«Ok Carla, dimmi tutto.»
«Prima cosa, io e Giacomo non avevamo una vera relazione, ma è vero che c’è stato qualche piccolo flirt con qualche bacio, ma niente altro, lui era troppo insistente e quando ci consegnò le chiavi della casa, la mia gioia era arrivata alle stelle, tanto che lui capì il mio entusiasmo ma io non capii te che non accennasti nemmeno un urrà! Il mattino seguente lui, Giacomo, si prese la libertà di venire a trovarmi, ero sola perché tu eri andato nell’altra ala di casa, dove avevamo allestito il tuo ufficio, come ben sai avevamo diviso la casa e avevamo fatto due entrate, quando Giacomo bussò alla porta sapeva già che tu non c’eri perché ti aveva visto attraversare il pianerottolo per andare in ufficio.»
Giacomo:
«Ciao Carla, oggi è un bel giorno per tutti, specialmente per me: ieri sera ho visto tutto il tuo entusiasmo per la casa. A proposito: a quando il trasloco?»
«Non so ancora, Alberto ha avuto una nuova commessa per una casetta in campagna di un suo amico, lo impegnerà un po’ e credo che non avrà il tempo per prenotare il camion per il trasloco, allora forse deciderà di farlo da solo.»
«Carla, io ci posso parlare, sarei felice di dargli una mano.»
«No Giacomo, forse sarà meglio che io e te non ci frequentiamo così spesso, dobbiamo evitare per il bene di tutti, tra te e Alberto c’è una bella amicizia, sarebbe un peccato romperla in questo modo.»
«Ho capito Carla, ma posso avere, come si dice, il bacio dell’addio?»
Gli feci un sorriso e lo abbracciai, ma Giacomo mi baciò e se ne andò. Passarono due giorni. Rividi Giacomo che era assieme a te e stavate discutendo, non capivo di cosa. Dopodiché tu Alberto, andasti nel garage e prendesti il fuoristrada, poi veniste tutti e due in casa.»
Alberto la interruppe dicendo:
È vero Carla, stavamo discutendo proprio di quello che tu mi hai appena raccontato, della vostra relazione, ricordo che Giacomo mi disse le stesse cose che hai detto tu. Io mi alterai al solo pensiero che un grande amico come lui potesse farmi una cosa del genere. Mi spiegò però che il tuo cuore mi apparteneva, ma ero arrabbiatissimo e ce l’avevo soprattutto con te che avevi permesso che ciò accadesse. Volle per forza darmi una mano a caricare il fuoristrada con dei pacchi che avevamo già preparato.»
Carla lo interrompe dicendo:
«Alberto, il tuo amico Giacomo si offrì di accompagnarti… ma non tornaste più.»
«Carla, cosa stai dicendo?»
«Che tu sei tornato da me ma Giacomo non ce l’ha fatta».
Alberto scoppiò in lacrime perché quello era il suo intento e pensò di esserci riuscito. Carla lo strinse forte forte riuscendo a calmare il suo impeto di commozione.
Passarono un paio di giorni prima che Alberto si rimettesse un po’, dopodiché volle riallacciare tutto il discorso dell’accaduto, ed il mattino seguente si fece accompagnare da Carla sul luogo dove aveva avuto l’incidente. Lei non era molto d’accordo per non turbare troppo i suoi ricordi, ma acconsentì. Arrivati sul posto, che poi non era molto lontano dalla loro abitazione:
«Ecco, qui è dove è scoppiata la gomma e non sono riuscito a tenere il volante perché discutevo ancora con Giacomo, lui più mi chiedeva scusa e perdono, più io mi agitavo, poi il buio completo».
«Vedi quel muro di cinta?» intervenne Carla.
«Sì»
«Beh, vedi? Più avanti c’è un tratto rifatto»
«Sì»
«E’ lì che sei andato a sbattere. Quando arrivarono i soccorsi, vi portarono subito in ospedale. Giacomo purtroppo ci arrivò cadavere. Non capisco come possa scoppiare una gomma nuova, la scientifica ha dichiarato che la gomma era difettosa e tu non avresti potuto fare niente, in qualunque altro momento sarebbe scoppiata lo stesso.»
Sentendo dire questo Alberto si rasserenò. Volle però dire a Carla:
«Mi ricordo bene quel giorno che Giacomo venne, convinto che io non ci fossi. Lui ha visto me attraverso il vetro del pianerottolo, ma anche io ho visto lui dallo stesso vetro e sono tornato indietro e ho visto proprio il momento in cui vi baciavate. In quel momento il mio cuore andò in frantumi. Feci uno sforzo imponente per non farti capire che sapevo. L’indomani Giacomo venne da me e mi raccontò tutto, dimostrò così di essere un amico ma, non più sincero, e dopo una lunga discussione se ne andò. Rivenne il giorno dopo, quando tu ci hai visti assieme, e sì, devo dire che non mollava mai la presa quando voleva una cosa, come quando fu per il progetto del disegno di questa casa, mi disse: tu la disegni ed io te la costruisco. Quando andò all’Ufficio Catastale, asserì di essere il progettista nonché il costruttore. A me andava bene lo stesso, non volevo intaccare la nostra amicizia, invece lui voleva solo mettersi in mostra, e non solo, appropriarsi anche di mia moglie.»
«Alberto, amore mio, non ho permesso che accadesse, ti sono stata fedele.»
«No Carla, tu lo hai baciato appassionatamente, e questo a me basta. Ora devo riflettere per capire cosa fare: tu starai qui a casa nuova ed io andrò a casa vecchia, così non dovrò nemmeno fare avanti e indietro per l’ufficio. Ti prego, non mi chiamare, peggioreresti le cose. È vero, devo lavorare, ma devo molto riflettere».
Passano tre settimane nel silenzio assoluto dei due e finalmente Alberto finisce il suo lavoro, si mette in contatto con il suo amico:
«Ciao Andrea, finalmente ho finito il tuo progetto, puoi passare da me, così gli diamo uno sguardo, se c’è qualcosa che non va lo modifichiamo.»
«Ok Alberto, posso passare da te domani pomeriggio se per te va bene, altrimenti dimmi tu.»
«Va bene Andrea, a domani pomeriggio.»
Intanto nella mente di Alberto, liberatosi dall’impegno con Andrea, riaffiorano i recenti ricordi: ‘è vero, Giacomo mi ha confidato tutto pensando che potessi perdonare. Sì, è vero, si può perdonare ma una cosa di questa entità ci vuole un bel po’ prima di riuscire a inghiottirla senza farsi male. Purtroppo ora lui non c’è più e il mio rancore è ancora più forte perché non posso più avere spiegazioni da lui’. Mentre assorto in questi suoi pensieri, squilla il telefono dell’ufficio:
«Pronto»
«Ciao Alberto»
«Carla»
Con voce commossa:
«Perdonami, ma non ce la faccio più, ti prego, torna da me, torna a casa.»
Alberto, sentendo dire ‘torna da me’, ripensa subito al suo risveglio e interrompe Carla:
«Va bene, ma dobbiamo guardarci in faccia e dire tutta la verità.»
«Certo caro, non ci saranno più cose non dette. Quando vuoi ti aspetto.»
«Forse verrò dopodomani, perché domani pomeriggio devo vedere Andrea che viene a studio per il suo progetto.»
«Ok, a presto.»
Resosi conto dell’importanza dell’opera che aveva disegnato sussurrò:
‘Speriamo che ad Andrea piaccia’.
Passò così tutto il pomeriggio e l’intera mattinata del giorno dopo a sistemarsi l’ufficio. Arrivò il pomeriggio e arrivò anche Andrea. Un saluto cordiale come si fa con gli amici e subito a vedere questo benedetto progetto. In un primo momento Andrea non ci fece caso ma, man mano che sfogliavano la mappatura, si accorgeva sempre più della somiglianza con un altro disegno visto due anni prima ‘circa’. Si ricordò quale fosse e disse:
«Ma Alberto, credo che tu ti sia sbagliato nel prendere il disegno.»
«Ma no Andrea, ci ho impiegato quasi un mese per elaborarlo.»
«Scusami Alberto, allora lo hai disegnato celermente, troppo celermente, perché già ce lo avevi in mente questo disegno. Non ti accorgi che questa è casa tua? Ma è successo qualcosa perché a me piace moltissimo. Sai come sarà contento Giacomo, non faticherà neanche molto nel costruirla.»
Alberto sussultò perché si rese conto che Andrea non sapeva dell’accaduto. Gli chiese scusa e lo informò di tutto.
«Mi dispiace Alberto, non sapevo. Ora tutto a posto anche con Carla?»
«Sì e no, ci siamo presi un periodo di riflessione e forse domani vado a trovarla. Per quanto riguarda il disegno te lo rifaccio tutto a mie spese.»
«Ma no! Ma no Alberto! Se tu e tua moglie non avete nulla in contrario ad avere una casa gemella a me piace moltissimo. Troveremo un altro ingegnere per la costruzione.»
Terminati gli ultimi ragguagli, Andrea si congedò da Alberto che, rimasto solo, decise di andare a cena fuori da Ottavio, una di quelle trattorie a conduzione familiare dove si mangia, e si mangia bene.
Arrivato:
«Oh!!! Grandissimo architetto, sono contento di rivedervi. Un tavolo per due?»
«No Ottavio, sono solo, la signora è rimasta a casa.»
«Ohi ohi! Gatta ci cova. Va bene, accomodati qui, ti porto subito il menù. Intanto un po’ di acqua e vino.»
«Grazie Ottavio.»
Era quasi un anno che non andava da Ottavio. La sua mente tornò indietro negli anni ai ricordi con Carla, erano bei ricordi ed era come se gli dispiacesse essere lì da solo. D’istinto prese il suo telefono e chiamò:
«Carla sono da Ottavio. Sai, i ricordi vanno coltivati e non cestinati. Volevo che anche tu potessi ricordare i bei momenti passati in questo locale.»
«Ciao Alberto, grazie per rendermi partecipe dei tuoi pensieri. Sai, anche io ho pensato molto. Se vuoi ti raggiungo.»
«Ti aspetto.»
E così arrivò il momento della riconciliazione tra Alberto e Carla, che arrivò poco dopo da Ottavio.
La serata proseguì all’insegna dei ricordi e finì con la ritrovata serenità tra i due.
Nei giorni successivi, nel frattempo, Andrea aveva preso un appuntamento con uno studio di costruzione e progettistica interessato alla realizzazione del suo disegno. Il titolare dell’agenzia lo pregò di tornare il giorno dopo perché l’ingegnere al momento non era presente, così Andrea lasciò il suo disegno e andò via. Arrivato a casa chiamò il suo amico Alberto e lo pregò di accompagnarlo l’indomani. Per tutta risposta disse:
«Caro Andrea, avrei piacere di averti qui questa sera a cena, ci sarà una sorpresa che spero ti faccia piacere.»
Andrea:
«Devo portare qualcosa?»
«No no, tutto pronto, devi venire a casa nuova.»
«Bene», e pensò – come mai? – ma non si fece tante domande, tanto la sera avrebbe saputo tutto.
Arrivate le diciannove e trenta, Andrea si incamminò verso casa e, arrivato, suonò. Alberto gli aprì:
«Ciao caro amico, entra e vieni di là.»
Entrati in sala da pranzo Andrea si trovò dinnanzi ad una tavola ben apparecchiata e ben guarnita di ogni grazia di Dio. Stava per dire qualcosa ma non fece in tempo perché sulla porta si stagliò la figura di Carla. Sorpreso, l’abbracciò felicemente. Passarono così una bella serata tutti e tre all’insegna dell’amicizia e dell’amore. L’indomani Alberto e Andrea finalmente, ma ignari, si presentarono all’ufficio dei ‘Progetti ampliati’. Il titolare li accolse gentilmente e li fece accomodare. Nel frattempo arrivò l’ingegnere. Quando Alberto si rese conto di chi fosse svenne. Rianimatosi subito con l’aiuto dei presenti, la domanda fu più che logica:
«Giacomo sei proprio tu?»
«Ciao Alberto, come mai tanta meraviglia? Vedo che stai bene e ringrazio Dio perché dal giorno dell’incidente non faccio altro che pensare a come stavi, non sapendo più niente, non so se Carla poteva sapere del mio trasferimento in un altro ospedale specialistico in ortopedia, ma credo che a questo punto non sapesse nulla.»
«Giacomo scusami, Carla mi ha detto che tu eri giunto cadavere all’ospedale ma sono contento di vederti vivo, grazie a Dio!»
In un connubio di strette di mani e abbracci, si ritrovarono amici come prima. Così Alberto si raccontò di nuovo e Giacomo fu molto felice nell’apprendere tutta la storia, compresa la loro riappacificazione.
Così cominciò a raccontare di sé:
«Vedi Alberto, quando arrivammo all’ospedale in quelle condizioni, si accorsero subito che su di me c’era stata una valutazione sbagliata, quindi mi portarono immediatamente in sala di rianimazione, accorgendosi della mia morte apparente, riuscirono però a rianimarmi ma subito dopo caddi in uno stato di coma, avendo battuto la testa contro il vetro, il contraccolpo fu tale da lesionarmi la colonna vertebrale. Stetti circa quaranta giorni in quelle condizioni, immobile. Quando mi svegliai sentii un sibilo e il medico di guardia accorse subito. Mi avevano legato come un salame, non sentivo più le gambe, le braccia le sentivo ma per come ero legato non mi potevo muovere. Dopo circa quindici minuti, arrivò il chirurgo che mi doveva operare e fu così che io venni slegato, mentre il chirurgo mi diceva:
«Ciao Giacomo, ben tornato tra noi, è chiaro e molto evidente che il buon Gesù ancora non ti vuole, devi sapere però che dobbiamo scannerizzare tutto il tuo corpo in modo da sapere con esattezza cosa fare. Adesso ti farò una iniezione, non sentirai dolore e dormirai ancora un po’.»
Credo sia stata quella iniezione a permettere il mio trasporto ad un altro ospedale. Mi svegliai dopo quattro giorni, seppi così che non potevo più camminare ma tutto il resto era stato rimesso a nuovo. Ora bando alle chiacchiere e veniamo a noi, che di tempo ne abbiamo tanto ancora. Spiegami come mai hai disegnato al tuo amico la tua casa…»
«Sai Giacomo, erano i tempi della mia convalescenza e avevo questa casa in mente, ma il nostro amico Andrea, qui presente, disse che gli piaceva, posso dire il nostro amico vero?»
«Certo, certo Alberto, ormai siamo di casa.»
Così fecero gli ultimi accordi con i dovuti ragguagli, permettendo alla macchina di costruzione di partire.
Tornati nelle rispettive case, Alberto e Andrea si misero a meditare a tanta emozione ricevuta nella mattinata. Nel frattempo Carla rientrò a casa con la spesa fatta e Alberto, avendola sentita, si accinse a darle una mano. La sensibilità di una donna però è tale da accorgersi quando c’è qualcosa di strano:
«Ciao amore, tutto bene con Andrea? Com’è andata dal nuovo ingegnere?»
Alberto si incupì un po’ e per un attimo non le rispose, poi proferì:
«Sai Carla, devo darti una notizia e dal tuo viso scoprirò se per te è bella o brutta.»
«Non mi tenere sulle spine Alberto, dimmi tutto.»
«Non c’è nessun nuovo ingegnere Carla, l’ingegnere è Giacomo: non è affatto trapassato ma è vivo e sta bene, purtroppo però menomato delle gambe, sta su di una sedia a rotelle e lui ci sguazza sopra, ci si muove con grande agilità.»
Carla per un attimo non proferì parola, ma poi disse:
«Alberto caro, sono molto contenta per questa bella notizia, e se ti va, quando ti va, mi porti a trovarlo.»
Le parole di Carla arrivarono all’orecchio di Alberto come una verità nascosta. Decise allora di risponderle:
«Quando vuoi Carla.»
«Bene caro, ora mettiamo a posto la spesa, poi ci facciamo una bella cenetta che tu mi aiuterai a preparare.»
«Ok Carla.»
L’indomani in mattinata Andrea tornò da Giacomo per le ultime direttive del lavoro e per un acconto doveroso. Arrivato, Giacomo lo fece accomodare, ma prima di parlare del lavoro gli fece alcune domande su Carla e Alberto:
«Ascolta Andrea, io e te ci siamo sempre sentiti nominare ma mai presentati, e mi spiace conoscerti in questa condizione, ma purtroppo è andata così.»
«Scusami Giacomo, mi spiace per quello che vi è successo, ho saputo da Alberto dell’incidente mortale, fortunatamente mai avvenuto, con tutti i retroscena tra Carla, tu e Alberto, e posso assicurarti che Alberto non se l’è presa tanto con te ma tanto con sua moglie.»
«Andrea ti interrompo per spezzare una lancia a favore di Carla: la colpa è solo mia perché non ho saputo gestire l’amicizia. Un uomo solo, con tanta amicizia intorno, si sente amato e io è questo che ho sentito da parte di Carla, perciò ho insistito tanto fino ad arrivare al fatidico bacio. Ora mi rendo conto che stavo rompendo la nostra amicizia, ma vedi, dopo tutto quello che ci è successo, il buon Dio ci ha rimesso assieme.»
«È vero, il Signore è grande e dona amore a chi lo cerca.»
Così, dopo gli ultimi ragguagli e sistemazioni di tramezzatura, Andrea si congedò da Giacomo tornando a casa ma tenendo tutto per sé dell’accaduto. Alberto ricevette una chiamata da Giacomo che lo metteva al corrente dei cambiamenti e delle modifiche all’interno del suo disegno, che accettò volentieri perché non somigliasse in tutto alla sua casa. Alberto allora cose l’occasione per dirgli:
«Io e Carla volevamo venirti a trovare, a lei farebbe piacere, tu che ne dici?»
«Sono arci felice di rincontrarvi, anche domani se volete, vi aspetto nel pomeriggio. Avrò più tempo a disposizione.»
Messo giù il telefono, Alberto informò Carla dell’appuntamento con Giacomo. La serata passò spensierata all’insegna dei bei ricordi, ma Alberto era un po’ teso. L’indomani a colazione fecero il punto della situazione. Carla chiese:
«Alberto ieri sera ho fatto caso che eri un po’ teso, come mai?»
«Cara, stavo pensando all’incontro con Giacomo assieme e mi auguro che vada tutto bene, sai non posso più sfogarmi con lui, né tanto meno dirgli della mia brutta intenzione.»
Carla lo fermò:
«Caro Alberto, anche ora sei teso come una corda di violino. Amore mio, rilassati, vedrai: questa sera andrà tutto bene. »
Proseguì:
«Che ne dici se oggi a pranzo andiamo da Ottavio, ci rilassiamo un po’, magari poi il caffè ce lo prendiamo da Giacomo?»
«Va bene Carla, vada per il pranzo da Ottavio.»
Passò così la mattinata nella routine di tutti i giorni, aspettando l’ora di pranzo. Verso le dodici e trenta si avviarono e, arrivati da Ottavio, vennero accolti con grande gioia perché li vide di nuovo assieme. Gli diede subito un tavolo, non poteva mandarli via. Il locale era pieno e quel tavolo, che era quello di servizio della trattoria, era posto vicino ad una finestra ed era un po’ più grande del normale. Ci accomodammo tutti e due e guardammo al di fuori della finestra. Intanto Ottavio ci portò il menù, acqua e vino. Mentre sorseggiavano chi acqua e chi vino, e parlavano ancora dell’incontro con Giacomo, Alberto ebbe un sussulto: guardando fuori dalla finestra ebbe la sensazione di vedere qualcuno che conosceva. Non ci fece caso.
Si disse ‘sarà di passaggio’, ma in men che non si dica la vide entrare nel locale. Non era sola, era accompagnata da un aitante uomo, molto borioso. Al loro ingresso nel locale ci fece caso anche Carla che ebbe come dire ‘mah!!!’ Ci guardammo e scoppiammo in una risata molto frenetica, tant’è che qualcuno si accorse di noi, ma se ne accorsero anche i nuovi entrati, mentre Ottavio gli andava incontro.
«Benvenuti nel mio locale, mi si è liberato proprio un tavolo per due, vicino alla finestra. Prego, accomodatevi.»
Eravamo girati di spalle e avremmo voluto rimanere così ma io e Carla ci siamo guardati come due complici dicendo ‘scusate le spalle’ mentre ci giravamo verso i dirimpettai. Non avevo parole e Carla era anch’essa ammutolita, il bello è che io non sapevo di lui e Carla non sapeva di lei. Scoppiammo a ridere tutti e quattro per l’inaspettato incontro. È chiaro che dopo la risata il dialogo tra noi scaturì naturalmente:
«Ciao Gioia»
«Ciao Alberto»
E Carla:
«Ciao Renato»
«Ciao Carla».
E quasi all’unisono:
«Come stai?».
Chiamammo Ottavio per far sì che loro si accomodassero alla nostra tavola, visto l’interessamento di tutti, tanto c’era posto. Convenevoli, presentazioni ‘Molto lieto Renato, ex di Carla’, e con un sorriso quasi complice le due ex: ‘Piacere di conoscerti’, ‘Piacere mio’.
È chiaro, si dice che il primo amore non si scorda mai. Così Carla e Renato tornarono a ricordare i vecchi tempi, ma anche Gioia con Alberto lo fecero a spada tratta, ed è come se le coppie si fossero di nuovo invertite. Meno male che arrivò Ottavio a prendere le ordinazioni. Si spense un po’ quell’atmosfera. Fu proprio Ottavio che chiese ad Alberto:
«Sono amici tuoi? Perché io non li ho mai visti da queste parti».
Rispose Renato:
«No, con Alberto ci siamo conosciuti ora, così come Gioia ha conosciuto Carla. In pratica due ex fidanzati hanno conosciuto due ex fidanzate. Ora Carla e Alberto sono sposati e io e Gioia siamo ancora fidanzati, ma contiamo presto di sposarci.»
«Bene ragazzi, la comanda è partita, tra un po’ arriveranno i vostri primi; intanto se volete potete ordinare il secondo.»
Presa l’ordinazione, Ottavio si ritirò in cucina lasciando i quattro alla loro conversazione, mentre gustavano il primo piatto ottimo e abbondante.
Renato spezzò quel silenzio:
«Allora Carla, ci sono figli in arrivo?»
Lei rabbrividì ed arrossì per quella domanda a bruciapelo, che non doveva essere fatta assolutamente, dato che lui l’aveva lasciata proprio per quel motivo, ma Carla gli rispose lo stesso:
«Caro Renato, tra me e Alberto non ci sono segreti e tantomeno di questo genere. Perché non ti fai un esame di coscienza e affermi con tutta sincerità che fra noi due lo sterile sei tu?»
Sentendo questo, Gioia si oscurò in volto, ma seguitò ad ascoltare.
Carla:
«Non ne hai parlato nemmeno a Gioia, vero? Ti sei accomodato in questa tavola con quale intenzione? Forse con quella di screditarmi agli occhi di mio marito? Hai preso un granchio, non sei degno tu per una donna.»
Gioia tolse la parola a Carla:
«Scusami, tu sai tutto allora di Alberto.»
«Certo, noi, ripeto, non abbiamo segreti.»
Allora Gioia fece un atto inconsueto dicendo:
«Alberto sei un uomo fortunato, meriti questa donna.»
Si alzò, salutò tutti e scappò via tra le urla di Renato che gli corse appresso, ma non la raggiunse. Allora tornò indietro, per lo meno doveva delle scuse ad Alberto che, molto pacatamente, gli disse:
«Ora non te la prendere sai, anche io sono sterile e Carla da me non potrà mai avere dei figli, ma prima di sposarci abbiamo deciso che se lo avessimo voluto, lo avremmo adottato. Come mai e perché hai fatto questa sparata?»
«Scusa Alberto, ma sono sempre stato convinto che non fossi io lo sterile, non mi sono mai fatto una visita in tal senso.»
Lo interruppe Carla:
«Io sì, feci tutte le ricerche necessarie, risultò tutto negativo.»
Non avendo più argomenti, visto la figuraccia, disse solo una cosa:
«Alberto scusami, ma Gioia sapeva della tua sterilità?»
«Certo che lo sapeva, quando le dissi questa cosa, decidemmo, da grandi amici, di pensare a noi stessi, malgrado amassi Gioia più di me stesso.»
Renato a testa bassa lasciò il locale. Finito di mangiare, Alberto e Carla, un po’ amareggiati ma tranquilli, si presentarono alla cassa da Ottavio.
«Scusaci caro amico per la bagarre, ma non sapevo che sarebbe andata così. Quanto ti dobbiamo?»
«Niente Alberto, ha pagato tutto quel signore che è andato via.»
«Grazie Ottavio, alla prossima.»
«Alla prossima Alberto, buon pomeriggio.»
Usciti dal locale, un po’ turbati per l’accaduto, presero la macchina dirigendosi verso l’ufficio di Giacomo. Arrivati, Giacomo li accolse con grande affetto e un po’ emozionato:
«Prego, accomodatevi.»
Mentre lo facevano Carla, conoscendo bene Giacomo, gli disse quello che era successo da Ottavio. Venne interrotta dal marito:
«Carla, il passato è passato.»
«E meno male!», rispose Giacomo.
«Sì, meno male, però adesso cara Carla mi devi dire come sono andate le cose in ospedale.»
«D’accordo Giacomo, però tu dopo…»
«Sì, sì, non ti preoccupare…»
Così, Carla cominciò a raccontare la sua storia:
«Eravamo a casa quel fatidico giorno, quando vi ho visti dalla finestra, stavate discutendo di brutto.»
«Sì Carla, io e Alberto discutevamo della nostra storia. Lui era molto nervoso; allora, per non lasciarlo solo, mi infilai in macchina e lui partì. Si seguitava ancora a discutere, poi, ad un certo punto, uno scoppio e si fece buio.»
«Ecco, io venni avvisata dai carabinieri che c’era stato un incidente. Corsi subito. C’era tanta folla ma riuscii a passare lo stesso. I carabinieri non volevano farmi vedere, ma quando dissi ‘sono la moglie,’ mi fecero passare e vidi Alberto riverso sul volante. Tu eri dall’altro lato con l’airbag ancora gonfio sul tuo petto. Non ho potuto vedere bene perché arrivò la prima ambulanza e portarono via prima te. Arrivò subito dopo l’altra, portando via Alberto. Non mi fecero salire con lui, così presi la macchina e venni in ospedale. Arrivata, chiesi subito notizie e il medico del pronto soccorso mi informò che il primo infortunato arrivò già morto, e l’altro non era messo bene. Disperata attesi ore ed ore prima che qualcuno mi desse notizie. Arrivò un medico che mi disse:
‘Attenda. Ancora un poco di pazienza, verrà il primario che lo ha operato a darle notizie’.
Dopo circa quindici minuti arrivò:
‘Cara signora, per il momento gli abbiamo salvato la vita, ma è entrato in coma e non sappiamo quando si sveglierà. Lo sterno è stato trattenuto schiacciato dal pignone del volante, facendolo rimanere con poca aria per troppo tempo. Abbiamo fatto del nostro meglio’.
‘Ma lo posso vedere solo un momento?’.
‘Domani sarà un po’ riposato e gli potrà parlare. Certo non avrà risposta da lui, ma lei gli parli in continuazione, ricordandogli anche le vostre gite, i vostri entusiasmi, insomma gli parli di tutto. La sua mente sa ascoltare e in questi casi potrebbe essere una benedizione’.
‘Grazie dottore’.
Andai da Alberto, lo vidi, ma non ce la feci a guardarlo in quello stato. Tornai a casa distrutta pensando che tu non c’eri più, e Alberto in quelle condizioni. Mi sono dovuta fare coraggio e pregare il Signore che almeno lui me lo restituisse. Ho parlato da sola per circa quaranta giorni, a volte anche imprecando un po’ e alzando la voce ogni tanto. Il resto caro Giacomo lo sai. Io non sapevo di te e ne sono veramente felice.»
«Carla, Carla, Alberto, ascoltate ora me. Non è retorica, la mia caparbietà e insistenza nel volere a tutti i costi baciarti, ci ha portato a tutto questo disastro. Mi dispiace, non volevo che succedesse, non ho saputo valutare il tesoro che avevo accanto: l’amicizia vostra, e mi sono lasciato trasportare dall’impeto dell’amore nei confronti tuoi Carla, donna sempre calma, pacata, sincera, mi sono fatto prendere dal sentimento di volere anche per me un po’ del tuo amore, non accorgendomi però che già lo avevo sotto forma di vera amicizia e, aggiungo, speriamo di non aver fatto altri danni rovinando tutto.»
Alberto allora prese la parola:
«Ascolta Giacomo, quando vi vidi abbracciati e vi stavate baciando, il sangue mi è andato al cervello e qui non ci sono scuse da fare, c’è una realtà vista vivere, perciò il mio risentimento è stato più che legittimo. Detto questo, ora posso anche io dire che la colpa dell’avvenuto incidente è solo mia, mi sono fatto prendere dalle paturnie, nervi, e quant’altro; e quanto è successo, credo che ci legherà ancora di più nelle nostre vite».
«Certo, e sarà così – rispose Giacomo – E per sigillare l’avvenuta riconciliazione, ora facciamo un bel brindisi con un buon prosecco doc.»
Passarono un paio di mesi, Giacomo avvisò Alberto che avrebbe dato inizio alla costruzione della casa di Andrea.
Lo pregò di raggiungerlo nel suo ufficio per alcune delucidazioni e per dirgli anche che era molto fiero di affidargli la direzione lavori del cantiere. Alberto fu molto contento di questa decisione e accettò l’incarico. Mentre si parlava del più e del meno Alberto chiese chi fosse il proprietario del suo ufficio, e Giacomo rispose:
«E’ di un piccolo imprenditore che fa restauri edili e anche questo fa parte del discorso che volevo farti. Tu dovrai lavorare e dirigere i lavori con gli operai di questo imprenditore. Sono persone perbene, vedrai che ti ci troverai bene.»
Così Andrea venne messo al corrente di tutto e ne fu molto felice.
Dopo un anno e mezzo circa di duro lavoro, Giacomo e Alberto consegnarono la casa ad Andrea che, con piena soddisfazione, lì abbracciò.
E visto che le cose erano andate tutte bene, Alberto e Giacomo decisero di rilevare la piccola impresa e farla propria. Il proprietario rimase a capo dei suoi operai, Alberto restò direttore nonché disegnatore e Giacomo progettista costruttore. Lavorarono così per molti anni in armonia, sincerità e fedeltà, credendo che la fede nel Signore li avesse riuniti proprio all’insegna di quell’amore universale.
Amate, amate Dio e il prossimo come voi stessi, non c’è niente di più grande dell’amore.