Giuseppe Costabile - Poesie

Assenza

In giorni contrastanti,

rimescolando sangue e linfa,

grido al mondo la mia essenza:

quattr’ossa nevrotiche d’uomo.

E non basta il mirto o il ginepro

a dar sapore alla mia vita,

vivido carcere di periferia.

Ricordo le tue mani

quando posavano sul mio petto

come velluto bianco nel cuore.

Or riposa il mio spirito giovanile

come un timido fuoco tra la cenere.


Attesa

 

Tenero è il canto

del ciliegio fiorito

quando dischiude

il bianco fiore alla vita.

E’ la primavera dei miei sentimenti

e lontane sono le nubi

cariche di tenebra.

Sul ciglio della porta

attendo il tuo ritorno

mentre il mio cuore tace

come un viandante

che passeggia, solo,

all’imbrunire.


Chiedilo al gallo

 

Chiedilo al gallo

se il Cristo è risorto

o se fu Pietro a rinnegarlo.

Lui saprà darti spiegazioni,

quando nel cuore della notte

il suo canto risponderà

alle tue domande più segrete.

 

Chiedilo al gallo,

alla sua cresta appuntita,

ai suoi lunghi bargigli rossi

se la notte si nutre di desideri proibiti

o se l’alba sopisce i pensieri più tristi.

 

Chiedilo al gallo

che fa ritorno al pollaio

se il nuovo giorno porterà con sé

un grande amore,

un velo su cui stendere

le labbra socchiuse degli innamorati.


Il tuo cuore è un eremo

 

T’amo mia Musa

come il mare che culla

incessante e fedele la battigia.

T’amo perché sei dolce

come le sinuose pose delle colline;

t’amo perché sei eterea

come le sabbiose dune del deserto;

t’amo perché sei fiera

come le montuose vette del nord.

Il tuo cuore è un eremo

silente, pacificato, immortale.

Meravigliosa creatura

fa che io possa abitare

questo tuo incensato tabernacolo,

bagnare le mie dita

nell’acqua santa della tua sacra effigie.


Nel bosco

Nel panico del bosco

riecheggia il mito

che ha sembianze

di chiome e di foglie morte.

 

Il satiro mesce

il suo sangue nelle coppe

come animalesca apoteosi dell’estasi.

 

L’uomo nudo brama la terra

come sua vergine sacrificale.

 

Giocano le ninfe

nell’ebbrezza totale.


Psicosi

Strofe poetiche

di un rosso scarlatto

vibrano sulle mie labbra.

Furiosi pensieri

come serpenti

avvolgono il mio corpo.

Miele velenoso

è il morso

della mia mente,

uno spasmo che

torce il ventre

e le ginocchia piega.

Non so dire

da quali universi

piombi il male.

Io sono un cavallo brado

che corre per la vita

senza una meta.


Sepolcro

Sotto un sasso riposa,

come un fiore sul sepolcro,

l’eterna voce della solitudine.

 

Come un pescatore, il Tempo

imbriglia con le sue reti

i giorni della fatal quiete.

 

Terra natia, raccontami le notti

in cui feci ritorno alla tua carne,

di quando le spoglie mortali

lasciai al loro canto.


Chitarra

 

 

E’ il mese di Maggio
e le lucciole tornano
con i loro bagliori.

 

Lunghe giornate
passate in solitudine
ad ascoltare
il rintocco delle campane.

 

E’ il mese di Maria,
l’inizio di una nuova allegria.
Ma il mio cuore
è spento,
non si dà pace.

 

O chitarra,
mia unica compagna,
il tuo suono mi riporta
alle passate stagioni,
quando ancor dolce
era il verso dell’usignolo.

 

Non so dirti perché t’amo.

 

Forse perché le tue corde,
riecheggiando nella mia mente,
dei tristi affanni
mi dan sollievo.

 

O forse perché tu,
compagna fedele,
niente chiedi
ma grande è la tua parola.

 

Le mie mani scivolano
e le tue corde vibrano
sotto l’ardente ritmo
della melodia.

 

O mia chitarra,
tu che hai fatto di me
un celibe apostolo della trascendenza,
rendi sereno il mio respiro,
nutrilo di gioia
e di profumi sopraffini.
Non stancarti delle mie carezze,
delle mie serenate
e dei miei vezzi.
Non illudermi,
né di giorno né di notte,
ma fa che io possa vivere
ogni volta
il tuo lieve ed eterno canto.


Il Mare

Distesa azzurra

che va verso l’infinito,

culla natia dell’umana gente,

sale della terra.

 

Dalle tue acque

nacque Venere,

per la tua ira

t’appellaron Nettuno

e del confine antico

delle colonne d’Ercole

le tue gesta il Poeta cantò.

 

Dimmi, o mare,

quante navi

solcano il tuo passo

e quanti marinai

sfidano il tuo corso?

Sei forse tu il padrone

del destin di ogni viaggio?

O son le stelle

che ti accompagnano

a decider del nostro passaggio?

 

Tu che hai fatto

del Pescatore

la pietra del Cristo,

tu che hai reso immortal

il naufragar dell’Ulisse,

tu che a Colombo regalasti

le terre delle nuove Indie,

dimmi,

qual è il segreto dell’onda

che s’infrange e risacca

senza sosta?

E’ forse il quotidian

logorio dell’uomo

che si affanna senza fine?

O è forse, dunque,

il metodico confluir

della vita nella morte?

 

Non ti chiedo altro

se non un battito d’ali

sul tuo ventre piatto.


Luna

 

 

O Luna, stanotte
mi sei apparsa
con il tuo sfolgorante
volto di giada
e d’oro prezioso.

 

Nel tuo vessillo
il volto di un monaco,
dedito ad una mistica
lieve e sublime,
io rivedo.

 

Lo scrigno che tu disveli
è pieno di gioie luccicanti
e di versi segreti.

 

E non basterebbe l’arguzia 
di un abile matematico
a contar le grazie
che ai passanti tu offri.
Né tanto meno
il sottile discorso di un retore
potrebbe lusingarti
e superarti in misericordia.

 

O mia dolce Luna,
che risplendi sul mio volto
e che togli il fiato
a chi ti ascolta,
donami la saggezza,
l’intelletto e la sapienza,
assicura al mio cuore
e alla mia mente
le chiavi che conducono
alla fortezza.