Giuseppe Moscato - Poesie

*

Acqua scivolosa

su grotte basse

dove striminziti steli

dominano le vive pietre della cavità,

dove nefasti segni di lumi

accendono macchine paurose

nel terrore del fulmine,

che apre nuovi varchi sulla strada provinciale,

dove tutti accorrono sognanti a vagare nei lori soli

e a scoprire le loro spiagge,

mentre gocce di luce scivolano fuori da fasci animati

che sciolgono mani impigliate alle loro stesse dita;

e trovai querce fuori dai loro tronchi

che libere germogliavano in terre aspre,

rendendo dolci e morbidi i loro frutti.


*

Finalmente a

Piè pari.

Raggiunta la foce

Non vedo la forza,

togliendo i bivacchi

niente è normale.

Giulivo e spettrale,

Furtivo e frugale

Arrivo nei cuori

Riemergo dal naso.

Nell’occhio ti ho visto

Ho visto la fila,

Di immagini forti

Sul labbro pendente.


*

Flussi immediati colpiscono

Forze decadenti

Nel misero campo di grano.

Formulare fiori incestuosi

Per la continuità della specie.

Vermi occulti nel ramo d’acciaio

E palloni volanti nel cielo fantoccio.

Ma chi è?

Perché hai disturbato la mia quiete?

Perché hai svelato i miei viaggi latenti?

E quando finirà di girare,

questa enorme ruota panoramica?



IL VERSO.

 

In senso diverso

In cuore riverso,

che riaffiora nei versi

di sensibile penna…

DI-VERSO

nella notte sei arso

ma riscuoti lo sdegno

di un artefice verso

nello schermo riflesso…

RI-VERSO

Nei pianeti riemersi

Di un poetico verso

Nel patetico scoglio

Di un amante riemerso.

In versi da bere

In un calice perso,

in un cuore sospetto

di una vita di fonte.

Ma non toglierti l’ombra

Che ti crea un aspetto.

Non toglierti i versi

Che ti creano diversa

Ma riversa la penna

In un calice d’oro

Nella persa speranza,

Nell’inversa maniera


*

In un finto piovoso giorno d’aprile

Ricerco le carte giocando d’azzardo

Recante è la fine che vive sommersa

Nel cedere il passo alla vena fittizia;

sinuosa è la forza nel muscolo sobrio

morente è la vergine che suona sontuosa

ma resta vischiosa e sorprende le menti

i lamenti di cenere che restano accesi;

il cuore non piange la propria fattezza

nel sogno non vive la scaltra furbizia

ed è bello rientrare nel covo funesto

quand’esso risorge in un morbido crine;

la stolta amarezza rimane nel buio

vegliando le sorti dell’ultimo uomo,

crollando giocoso in un mare di tango

riemergo saccente e cruento dal fango …


*

Non credo nel puro,

non vedo la parte,

non nasco di nuovo,

non muovo montagne.

Non cresco dal vuoto,

non piango le morti,

non venero cristi,

non gioco d’azzardo.

Non voglio padroni

Ne caldi vacanze,

non voglio… Signori!

le rosse poltrone.

Ma solo dei fogli..

Dei fogli… in grandissime stanze.

Stanze vuote da riempire.

Stanze fredde da scaldare.

Stanze figlie dei miei gesti.

Stanze figlie dei miei suoni

Stanze figlie dei miei figli.


*

Personaggi stolti

Nell’assurdo teatro;

perché il costruire distrugge?

Perché la vecchiaia ti stupra?

E infiniti motori immobili

Rischiano infermità mentale

Che avvolgendo ingranaggi futili

Perdono il controllo e bucano marmi.

Viscide dita sfiorano le mie pupille

Costrette a schiudersi per non essere accecate

Dalle rotture della terra

Dalle macerie brucianti di mondi

Costruiti per essere distrutti.


*

Quel rosso rubino brillante d’un vino

Trabocca e ritocca l’amaro palato

Colora la mente truccando la vista

Colora la gente di sangue fumante.

Quel rosso rubino brillante d’un vino

Protrae e ritrae le azioni passate

D’un corpo gonfiato di crude passioni

Affogate in arterie violate e rinchiuse.

Ma il rosso rubino brillante d’un vino

Ricrea la forza d’un cieco superbo

Che ride di tutti sul punto di morte

e chiede al palato l’ennesi sorte.


*

Su foglie secche dormirei,

sognando il fuoco  del piacere.

Su foglie secche morirei

Provando l’aspra delusione.

Su foglie secche guarirei

Restando all’ombra di un bastone.

Su foglie secche guarderei

Il sol levante e il suo calore.

Su verdi prati cercherei

Il giusto senso del sermone.

Su verdi prati crollerei

Lasciando tutto al cuore perso.

Su verdi prati leggerei

Il nome mio su qualche verso.

Su verdi prati brucerei

Nei vizi folli di un amplesso.

Riesco a crescer dal fango

Giocando a carte con la vita.

Riesco a rider del tuo rango

Che non ha certo via d’uscita.

Rimango spesso nei miei sogni

Rimango spesso nei miei suoni

Non cerco gioie ne dolori

Ma solo un atto di volontà.


*

Sul tuo verbo

Il lembo di un altare

Avvolto, ristretto, riverso.

Riverso nel limbo

Di un cielo tuonante,

Che stringe i suoi denti

Mordendo una chiglia.

Violento, sperduto

Seduto su un ramo

Riemerso, festoso

Nell’aria rossastra.

Portali ammiccanti

Nei vuoti statali,

Nei piccoli nani

La voce fa sangue.

Sul torpido campo

Il giudice dorme

Sognando il processo

In un cuore pompante.