Giuseppe Raineri

Poesie e Racconti


Disperatamente umani

Genia bastarda
che fa di sé il centro
dell’universo
spiriti egocentrici
condannati a vivere
in comunità bellicose
per sopravvivere.
Ogni generazione ripete
il cammino di chi l’ha preceduta
con passati cristallizzati in lezioni inascoltate
presenti promettenti
futuri fragili.
Piccoli miracoli
senza certezze
nemmeno quella di esistere
in balia del caso
o di una volontà onnipotente
o di una divinità
che ama giocare con l’indeterminazione.
Tristemente vedono
unicamente sé stessi
replicati all’infinito
incapaci di cogliere nell’altro
l’altro.
Motori di infelicità
che si perpetuano
per cecità morali
per morali cieche.
Generatori di dei
figli e padri di sé stessi
ad ogni conquista
confondono conoscenza
con potere illimitato.
Spostano l’ignoranza
un po’ più in là
illudendosi
che poche gocce
valgano il mare intero.

 


 

Guerre e lapidi

Ho invocato e benedetto
la guerra giusta in nome della giusta causa
per pulire il mondo dal male
per vendicare innocenti
perché giustizia sia fatta
e respirare la fragranza della libertà.
Lo sguardo si sofferma
sull’elenco dei nomi impressi nella pietra
a ricordo di eroi.
Calcolo mentalmente su ogni riga
la differenza tra le date incise
e inorridisco.
Mi vergogno di aver gioito per la vittoria.
Non voglio, non posso giudicare il sacrificio
di chi ha spezzato la propria vita per un’idea
perché io possa perdermi in questi pensieri,
arrecando a loro nuova offesa.
Penso con tremore e dolore
a coloro che si sono arresi troppo presto
alla soluzione irrevocabile di chi è forte delle sue ragioni
contro quelle deboli del nemico
per rivestire la violenza di seta e profumi
e addolcire il dolore e la paura, inevitabili
con promesse di un futuro ambiguo
abitato da vecchi che ne avranno uno ma breve
da donne sole e tristi
da figli orfani
e denso e appesantito da rancori inguaribili, circolari.

 


 

Mary la magnifica

(monologo)

Personaggi:
Mary

La scenografia è povera.
Potrebbe bastare una seggiola in paglia, una cesta per i lavori di cucito.

Musica:
Oblivion di Astor Piazzolla

Atto Unico

(Mary cuce svogliata, non ha un’età definita. Una veste lunga fino ai piedi. Calza dei sandali. È pensierosa, incerta. Si ferma ed inizia a parlare, a raccontare)

Era una giornata come tante altre, non c’era nulla di insolito che facesse presagire qualcosa di speciale.
Io non mi sento speciale.
Accudivo casa come era mia abitudine fare tutti i giorni prima di andare al pozzo per prendere l’acqua o alle vasche per lavare i panni come le altre donne.
Quella era anche l’occasione per incontrami con le amiche, mettere il naso fuori di casa, scambiare quattro chiacchiere.
Ero promessa sposa come altre mie coetanee e si fantasticava su quello che dovevamo aspettarci dalla vita coniugale.
Non capivo lo sguardo malizioso, allusivo delle donne già mogli e madri che parlottavano a bassa voce tra di loro e poi ci guardavano ammiccando, lasciando intendere che sapevano cose che non potevamo conoscere.
Invece, alcune delle più giovani tra di noi si pavoneggiavano di saperla lunga.
“lo sai di Rebecca, di Sara?…”
Ero tra quelle, poche, che non sapevano nulla dell’una e dell’altra ed a stento osavano parlare di sé, dei propri sogni.
Cercavo di evitare le domande imbarazzanti.
Mi perdevo nei miei pensieri.
Non potevo farci nulla.
Spesso la mia fantasia mi portava lontano ed in queste situazioni venivo richiamata alla realtà in modo brusco come se fosse sbagliato questo mio assentarmi dal presente.
A me non sembrava di fare del male.

(pausa)

I miei genitori erano molto anziani.
Amavo soprattutto i rari momenti quando mio padre mi narrava la storia del nostro popolo.
Non ho mai saputo né leggere, né scrivere.

Ora che sono sola e vorrei essere lasciata in pace, mentre spesso sono meta di una continua, per quanto discreta, processione di discepoli o semplicemente di curiosi, ripenso a quel giorno e vedo la mia vita come una parabola da figlia a fidanzata, a sposa, a madre, a vedova, a orfana di mio figlio.
Vorrei poter mettere su pergamena i miei pensieri, ma non saprei come farlo.
Potrei dettarli, ma uno scrivano costa troppo ed inoltre non riesco a fidarmi più di nessuno.
In poco tempo sarei sulla bocca di tutti, una vecchia visionaria abbrutita dal dolore, dalla vergogna per un figlio tanto offeso.
Forse potrei chiederlo a qualche suo discepolo.
Circola voce, pie donne del suo seguito me l’hanno confidato, che qualcuno stia meditando di mettere per iscritto la sua vita a memoria perenne, perché non si spenga il ricordo di quanto è successo e non venga travisato da chi non lo ha conosciuto.
Un certo Luca me ne ha letto un’anticipazione.
Pensavo fossero parole di altri, non le avevo riconosciute ed ho letto tutta la delusione negli occhi di chi sperava di suscitare la mia meraviglia.
Certo, erano molto poetiche, le condividevo nell’intimo ma non avrei mai potuto dirle esattamente così.
Salutai mia cugina e per un miracolo che non so spiegarmi provammo una profonda emozione nel riconoscerci entrambe miracolosamente in attesa di un figlio.
In quel preciso istante percepii i primi movimenti del bambino dentro di me.
Ricordo la bellezza, ricordo l’ansia, i dubbi di dividere questa gioia con il mio promesso sposo, ma come l’avrebbe presa?
Non ricordo altro.
Forse ero ispirata da una forza soprannaturale e l’eccitazione e la preoccupazione di quel momento straordinario ne hanno cancellato la memoria.
Forse quelle parole le ho veramente pronunciate, ma proprio non ricordo.
Mi dispiace.

(pausa)

Mi hanno profetizzato con certezza che dalle parole, dai gesti di un uomo della Galilea che ho avuto tra le mie braccia, che ho visto crescere, avrebbero preso vita costruzioni da far invidia al Tempio, opere d’arte che commuovono, che suscitano ammirazione, che lasciano il fiato sospeso.
Non riesco a rendermi conto di come possa essere possibile.
Non riesco a capacitarmi di come possa reggere il peso di tanta responsabilità.
In fondo mi sarei resa disponibile per qualcosa che non riuscivo a capire e per questo sarei beata in eterno.

(pausa)

Non disprezzo, non disdegno la devozione, la stima che mi sono state tributate nel tempo, ma vestivamo poveri panni, la mia vita, la nostra vita era umile ma dignitosa.
Ora trovo la mia figura avvolta in vesti preziose, ricoperta d’oro e di gemme, regina.
Troni e dominazioni non fanno per noi.
Gli onori e lo sfarzo sono retaggi antichi e sorpassati e sono misura del vostro desiderio di onorare ma anche di blandire per placare, distrarre l’ira dei potenti.
Di tutto questo non so onestamente cosa farmene.

(breve pausa)

So quello che state per dirmi.
Anche mio figlio accettò a Betania di essere unto con unguenti preziosi e non dette seguito alle rimostranze dei suoi che avrebbero visto di buon occhio l’uso del danaro corrispondente per i poveri.
Non so esattamente perché l’abbia fatto, ma credo che fosse da intendersi con un significato diverso.
Una specie di anticipazione dell’unzione che è riservata ai defunti e lui lo sarebbe stato di lì a poco.
Penso che invece abbia dato ampia dimostrazione di quanto fosse poco interessato a guadagnarsi lusinghe e favori.

(pausa)

I miracoli, già i miracoli… è evidente che saremmo finiti sull’argomento.
Come rimproverarvi.
In fondo la questione è semplice.
Se credete che sia esso stesso Dio non ha molto senso farsi strane domande, se non ci credete non perdete tempo a cercare risposte che potrebbero spiegare altrimenti quello che è accaduto e come è accaduto. Sarebbe facile, ma non dimostrerebbe nulla di certo.
A Cana mi permisi solo di chiedere un aiuto.
A partire dalla mia richiesta di soccorso e da quello che fece, avete ricamato ipotesi e contro ipotesi.
Nessuno si è chiesto che legame avessimo con gli sposi, con le loro famiglie.
Una risposta a questa domanda potrebbe chiarire la natura del suo intervenire in maniera così eclatante e spettacolare.
Figlio obbediente, suggello della sacralità delle nozze, forzatura ad iniziare la sua azione pubblica prima dei tempi. E poi?
Forse la vita è più semplice di quello che pensate.
Vedete simboli, segni premonitori ovunque, non esagerate con le vostre congetture.
Lui era fatto così, in fondo era semplice e diretto.
Avete mai provato a vivere al fianco di chi nutra una passione forte per un’idea, con la volontà ferrea ed intransigente di realizzarla, costi quel che costi?
Devi amarla profondamente quella persona per tollerare di sentirti essere messa da parte, per accettarne spesso la distanza, la limpidezza tagliente delle parole, degli sguardi che ti dicono che la sua vita non è quella che ti aspettavi, che i suoi fratelli, persino suo padre non sono quelli che conosci.
Allora qualche domanda te la poni, ripensi a quello che ti è successo e ti accorgi che le cose non sono andate come ti aspettavi.
Mi ero quasi illusa che potesse condurre una vita normale, che un giorno si sarebbe affacciato alla porta di casa con gli occhi di un giovane innamorato, che la mia casa sarebbe risuonata delle urla di bambini.

(scuote la testa sconsolata, rassegnata)

Ma era proprio necessario che le cose andassero così per lui e per Giovanni?
Non si poteva salvare questo mondo in modo diverso, meno cruento?

(pausa)

È strano. Non mi ricordo di aver mai detto una parolaccia in vita mia.
Magari il desiderio di farlo, quello sì, di scandalizzare rompendo la consuetudine delle buone maniere.
Comunque, avete fatto tutto voi, da soli.
Mi avete dipinta come una donna tutta di un pezzo, santa fino alle midolla.
I tormenti, i dubbi, le incertezze sono passati in secondo piano, non potevano accordarsi con il mio ruolo.
Invece potevo uscirne pazza
Avrei potuto sottrarmi, rispondere: “No, scusatemi, ma non me la sento!” all’invito di Dio Padre.
Eccome, direte, è quello che fanno migliaia di persone sistematicamente in nome di una fantomatica libertà.
Com’è che lo chiamate?
Libero arbitrio.
Invece no, perché quella parola tanto abusata nasconde semplicemente l’assenza della fede, di una fiducia cieca.
Se gli credessero non si negherebbero.
Non contenti vi siete spinti oltre, molto oltre fino ad imporre dogmi, verità indiscutibili su di me in nome di una logica che non poteva ammettere parti normali, vite sentimentali normali.
Vi sentite più tranquilli? Più ortodossi? Più rispettosi?
Oppure avete solo complicato le cose con un pensiero che dovrebbe avere una sua logica inattaccabile ma che si basa su verità indimostrabili?
Vi state preoccupando troppo di salvaguardare qualcosa che non abbia incrinature, cedimenti strutturali, apparenti incoerenze.
Ma è una logica tutta umana, mentre l’amore che predicava è pura follia e doveva essere il segno che vi avrebbe contraddistinto, fatto rinascere a nuova vita.
Invece, nel suo nome siete stati perfino capaci di uccidere, di giudicare con severità, con una rigidità ed un’intransigenza che sconfina nell’orrore, nella crudeltà. Cose che non gli appartenevano.

(pausa)

Povero Giuseppe mio.
Gli ho voluto veramente bene.
Mi piacque subito quell’uomo, quieto, mansueto, lavoratore, semplice, riservato come lo ero anch’io.
In cuor mio le sue attenzioni mi donavano serenità e infondevano un senso di profonda sicurezza.
Quello che c’è stato tra noi, riguarda noi due soli e parlarne servirebbe ad alimentare polemiche e di rumore ce n’è già fin troppo.

(pausa)

In quei terribili giorni venne da me un uomo, un fariseo influente.
Mi parlò, mi guardò con rispetto mentre altri della sua casta mi riservavano occhiate di sdegno e di riprovazione.
Mi raccontò di un incontro notturno con mio figlio.
Chiese di lui, di noi, di me. Non so se riuscii a soddisfare la sua sete.
Anche gli uomini migliori, quelli onesti, hanno orizzonti limitati come i loro giudizi.
Nicodemo era il suo nome.

(pausa)

Un ultimo mio pensiero va ad uno dei suoi discepoli, quello che più ha fatto discutere di sé.
In quella terribile notte, era Pasqua, lo vidi aggirarsi davanti alla casa dove dimoravo con altre donne.
Mi osservava tenendosi lontano, inquieto e severo.
Provai una nausea insopportabile, incontrollabile.
Sentii odore di morte, intenso, e capii che il destino si era compiuto, le sorti di tutti, decise.

(pausa)

Vorrei ringraziare tutti e di cuore, ma non ci riesco.
Provo ancora amarezza, profonda amarezza.
Mi sembra di vedere ancora troppe persone con le stesse idee, gli stessi propositi che hanno animato chi lo ha condannato.
Se ci conosceste bene, come sembrerebbero dimostrare i fiumi di parole pronunciate e scritte che avete speso per noi, dovreste sapere che un bimbo che non muore ingiustamente ci renderebbe più felici di un calice in oro
Prima che i gioielli vorrei poter vedere cuori puri.

(pausa ed il tono si alza)

Temo che non vogliate capire.
Non è venuto per dettare regoline da rispettare e sentirvi così la coscienza a posto con il versamento di un obolo e magari accontentarvi di non aver commesso colpe gravi se non peccati veniali.
Scenderà la pace nei vostri cuori quando la finirete di credere agli inganni che voi stessi avete creato, quando abbatterete i muri di autodifesa, quando la smetterete di pregare inutilmente invocando la grazia per essere migliori standovene arroccati in torri, inaccessibili anche alla stessa grazia.
Non voglio intrattenervi su dispute teologiche, sulla domanda di senso, con il rischio di distogliervi dal vero obiettivo.
Senza che io ne abbia merito, da me è nato un uomo che ha usato parole ed ha vissuto in un modo che hanno suscitato stupore, che io stessa ancora faccio fatica a comprendere appieno.
Però, persino una madre tutta umana sa oltre ogni ragionevole dubbio se ha messo al mondo un ipocrita, un volgare mentitore, o piuttosto un figlio speciale.
In quell’intimo dialogo che nasce nei mesi di convivenza vitale, stretta, indissolubile maturano convinzioni, certezze inspiegabili.
Impressioni, suggestioni, inganni?
Vogliate credere quello che preferite, ma non potrete mai più eludere il suo messaggio.
E questo una madre lo sa.

(si alza rivolgendosi al pubblico sul limite del proscenio)

Io lo so.

(buio in sala)
FINE

 


 

La porta del diavolo (Ol purtù del diaol)

Come fosse possibile che credenze ataviche e primitive potessero ancora trovare spazio nei racconti di miei contemporanei era per me un mistero incomprensibile.
Invece, sebbene attenuate, vivevano nella memoria delle persone leggende che davano per vero, o almeno per possibile, che intorno ad un antico arco solitario piazzato poco discosto dal traffico e unico rimasuglio di ben altra struttura, si dovessero percepire effluvi mefitici prima di un temporale e rilevare presenze diaboliche.
Faceva tenerezza la solitudine di quelle pietre quasi d’ostacolo al via vai intenso delle auto.
Questo fu il motivo che mi spinse ad accettare l’incarico di redigere un breve saggio, con l’invito a non calcare troppo la mano con toni che potessero sconfinare in facile ironia nei confronti di suggestive e folcloristiche tradizioni popolari.
Visti i tempi di carestia lavorativa non c’era ragione di fare gli schizzinosi e ogni iniziativa era da cogliere al volo.
Mi misi al lavoro rovistando tra le memorie, gli scritti e le testimonianze che riuscii a raccogliere con poco e distratto impegno nelle biblioteche pubbliche.
Tutto il materiale raccolto deponeva a favore di spiegazioni che non lasciavano spazio alle fantasiose leggende che invece si tramandavano stancamente di generazione in generazione.
Niente di misterioso, nemmeno le rapide ricostruzioni dalla sera alla mattina, grazie all‘utilizzo di porzioni prefabbricate nella cava di Zandobbio, dopo gli ordini di demolizione di Giovanni Giacomo Tasso deluso dall’opera dell’architetto Sanga, che sembrava avere dichiarato che quanto gli si chiedeva non era nemmeno nei poteri del diavolo.
Poi l’imprevisto, improvviso e inaspettato come un tuono a ciel sereno.
La noia e la calura mi spinsero a rifugiarmi nella Biblioteca Maj per esaminare un vecchio catalogo.
Incappai per un puro caso e quasi con distrazione in un titolo ampolloso di un manoscritto del XVI secolo: “Arcanum Scripta Bergomiensi del notaro Bortolo Gervasoni ad uso dei notabili della città A.D. 1597”.
Il libro era passato di mano in mano come se scottasse, lo testimoniava l’elenco dei suoi possessori, steso con grafie minute e da mani diverse su un foglio piegato in quattro parti e incollato all’interno della controcopertina.
Voltando con cura le pagine ingiallite e ormai fragili per l’umidità capitai sul capitolo “Il porticato del diavolo”.
L’opinione dell’autore stroncava ogni “malsana interpretazione” trascendentale, figlia dell’ignoranza del popolino.
Nessuno aveva potuto dimostrare che nella zona si aggirassero presenze diaboliche e l’odore di zolfo poteva essere ricondotto a semplici esalazioni del terreno prima delle piogge.
A lui pareva più probabile che certe dicerie fossero un artificio della famiglia “dei Tassis” per tenere lontani i malintenzionati dalle loro proprietà.
Dedicava infine poche parole ad alcuni fenomeni ancora irrisolti non potendoli ignorare per onestà intellettuale.
In certe condizioni di luce, in certi non meglio precisati periodi dell’anno si erano manifestati casi di sparizioni insolite: oggetti e anche persone erano scomparse nel nulla attraversando la porta. Occorreva aver pazienza, una spiegazione c’era e la ragione l’avrebbe scoperta.
Preso dalla noia di quegli interminabili giorni, mi ridussi a sperimentare con oggetti di diversa natura ed in diversi momenti della giornata il passaggio attraverso la porta maledetta.
Mi sentivo ridicolo e temevo di non essere passato inosservato in quei forsennati ed inutili andirivieni; nemmeno lo studio di improbabili congiunzioni astrali servirono a produrre gli effetti desiderati.
Finii per arrendermi.
Avevo pagato già un prezzo altissimo sull’altare della mia dignità e lasciai perdere terminando il lavoro con un articolo che mi risultò subito scialbo anche se condito sia da notizie storiche che da leggende.
Dopo un po’ di tempo a risvegliare il mio interesse ci pensò una notizia diffusa in rete apparentemente innocua.
In un piccolo paese della Provenza erano riemersi in documenti del passato i racconti di sparizioni in prossimità di una porta di pietra, ora nel mezzo di piantagioni di lavanda.
Cercai immagini di quel posto e trovai esattamente quello che mi aspettavo.
Era periodo di vacanze, perché non andare in Provenza e prendere contatto con chi aveva diffuso quelle notizie?
Fu così che mi ritrovai in mezzo ad una vasta area verde e lilla davanti ad un portale isolato del tutto identico a quello di Bergamo.
Alle mie spalle si materializzò una voce arrochita dal fumo, non più giovane.
Fare amicizia si rivelò la cosa più naturale e non perdemmo tempo condividendo quello che sapevamo. Il contributo maggiore venne da Patrick che mi presentò un dossier ricchissimo che descriveva l’ubicazione delle stesse porte in molti paesi europei.
Tutto doveva avere avuto origine a Bergamo. Da lì aveva preso piede il servizio postale della famiglia Tasso ed i suoi studi sulle rotte del servizio e la presenza delle porte combaciava alla perfezione.
Le pietre delle porte erano uguali dappertutto: marmo bianco di Zandobbio.
Inoltre, tutte le porte condividevano lo stesso orientamento rispetto al movimento del sole.
A Bergamo non ci avevo fatto caso con precisione ma era ragionevole che non facesse eccezione.
Tutto questo non poteva essere frutto di una coincidenza o della casualità.
Le sorprese non finivano qui.
Mi invitò a notte fonda promettendomi uno spettacolo particolare.
Quando la luce lunare disegnò una scia argentea attraverso la porta, le pareti interne si colorarono di un giallo-verde simile ai segni delle ore fosforescenti degli orologi.
Questo era dovuto ad una pietra incassata nel marmo ai due lati del passaggio e di cui mi mostrò un frammento.
Adesso iniziava la parte difficile.
Dove avremmo potuto ottenere informazioni importanti se non negli archivi della famiglia Tasso?
Ritornammo in Italia insieme, ma non mi dilungherò sulle ricerche impegnative che affrontammo per arrivare ad una scoperta sensazionale.
Nella villa dei Tasso in zona Celadina, dove era situata la prima porta, non c’era traccia di documenti che potessero venirci in aiuto.
Grazie al buon senso di Patrick, che mi subissò di domande sulle residenze, sulla storia della famiglia in cerca di possibili tracce, trasferimmo le nostre indagini nel paese d’origine dei Tasso a Cornello.
Qui i documenti non mancavano; l’esame attento di libri, registri, lettere avrebbero richiesto tempi non prevedibili.
Mi procurai tramite conoscenze le autorizzazioni necessarie e iniziammo a spulciare tutto il materiale.
I registri di viaggio per il recapito della posta annotavano con precisione maniacale tutti gli spostamenti con ore di arrivo e partenza, cambio dei cavalli, soste, i nomi di eventuali viaggiatori durante il percorso ad eccezione di alcune destinazioni che si ripetevano con regolarità.
I tempi di percorrenza non venivano registrati e non a caso corrispondevano con le località dove esistevano o erano esistite le famose porte.
Nell’osservare meglio la struttura in legno della biblioteca incappai in alcune pareti divisorie intarsiate troppo più larghe del normale e nella parte meno accessibile, posizionata molto in alto; bastò una lieve pressione per estrarne un volume che era a metà tra un libro ed una scatola in legno.
Sembrava a prima vista una raccolta di minerali, ma i nostri occhi esperti capirono subito la natura del contenuto. Ad ogni pietra era associata una località scritta a rovescio e leggibile con uno specchio. Un ritrovato abbastanza ingenuo che si proponeva forse lo scopo di creare qualche difficoltà agli ingenui ed ai curiosi.
Più difficile fu decifrare le istruzioni d’uso.
Non credevamo ai nostri occhi!
Ogni pietra della scatola, in più repliche, aveva una corrispondenza con una simile incastonata in una delle porte.
Occorreva avere a disposizione quella della porta di partenza e quella di arrivo e…
Sottraemmo non visti alcuni esemplari delle pietre e riponemmo al suo posto la scatola.
Ci separammo per provare una esperimento paradossale, io a Bergamo e Patrick in Provenza in collegamento telefonico. Lui appiccicò due frammenti diversi per origine e destinazione ad un bastoncino ed attese il mio segnale per lanciarlo attraverso la sua porta.
Un minuscolo lampo di luce verdognola precedette la comparsa da me dell’oggetto.
L’urlo che mi uscì spontaneo gli comunicò la riuscita della prova.
Senza dirmi nulla delle sue intenzioni fece l’esperimento su di sé: attraversò la porta con il corredo di due frammenti e me lo ritrovai davanti.
Fortunatamente nessuno era nelle vicinanze per assistere al fenomeno.
Il documento riportava anche le istruzioni su dove procurarsi quella pietra in una miniera abbandonata vicina alla cava e che i Tasso non si sa come avevano scoperto e sulle operazioni per “caricare” le pietre che attiravano i fulmini ed in modo incomprensibile memorizzavano le coordinate del luogo dove venivano colpite dalla saetta.
Una sola pietra non “accendeva” il viaggio, le sue dimensioni non erano importanti, ne bastava un solo frammento.
Questo spiegava l’assenza di orari di alcuni viaggi particolarmente critici del servizio postale e forse anche gli elogi sulla qualità e la celerità di certi servizi.
Nulla si diceva su come gestissero persone e carrozze, forse quei documenti erano andati persi o giacevano chissà dove.
Una sola destinazione non sembrava corrispondere ad un posto particolare, quella con la sigla “Nihil” e al riguardo non c’erano note che ne spiegassero il significato.
Patrick, che era un inguaribile curioso, mi confessò che voleva provare anche la misteriosa destinazione.
Ricordo ancora il suo sguardo, le raccomandazioni, gli ultimi accordi.
Prese le due pietre, attraversò la porta e scomparve.
Di lui non ho notizie da mesi, ma l’amicizia, la solidarietà che ci lega mi obbliga a seguirne le tracce ed a raggiungerlo ovunque si trovi.
Lascio queste istruzioni a chiunque voglia condividere la nostra stessa curiosità e pensi che possa esserci ancora spazio all’imprevedibile.