Giuseppe Vitaliano Purita
Poesie
Un passo da controra
ghermisce gli ultimi disinganni
sui miei pensieri
stesi ai davanzali.
Un abbraccio caduto di spalle
riprende a salire
sulle crinoline del cielo
un filo di coralli
un camminare latino
siede al tuo animo
retroflesso di carezze a distanza.
Sugli ultimi calanchi della sera
rendo evanescente, vaporoso
la conta dei miei anni,
in un abbrivio stanco
o forse cortesemente in fuga
dai richiami notturni
di una vita in contumacia apprensione
per un gesto mai dato.
L’insonnia stabilisce il gorgoglio
del suo guarapo spugnoso
mette in moto la spola inappellabile del ritorno
del rimandato e mai compiuto.
L’insonnia si aggira come scirocco monotono
tace febbrile, sorda,
materiale probatorio per aggiudicarsi
la primizia di un crimine sordido
a solitudini di vite
in una tela d’umanità
che non abbiamo dipinto noi.
Un alito di antichi rovi
sui vigneti
al vento approssimarsi.
Ti colgo come rosa interrata
il tuo sguardo
simulacro di viaggi
che mi vede salutarti
dalla parte sbagliata.
Un cerchio di voci
come laterizio d’un caseggiato
in filigrana di riluttanza
all’apparire di un’ombra.
Di soppiatto raggi di sole
sgusciano dalle tue mani
come bivalve adescate
sulla riva del torrente.
Ma non sei partita con un vaporetto
per una trota a bastimento ripieno
perché il tuo amore se ne sta lì
come un fermacarte a scrivere lettere d’amore.
Calibrare la malinconia
quando la culatta del fucile
è ripiena di sguardi in frantumi
al mirino della vita
è come attraversare un binario
che brulica di gambe scomposte.
Mirare l’inclinazione della luce
in un pomeriggio d’inverno
è un esercizio d’ammirazione
per chi resta a vegliare
sulle scommesse perdute.
Una presa d’amore
al tocco dell’architetto sulla viola
su una nota di bassotubo.
Marezzate di luci fendono
l’ambrato dei tuoi angoli alla bocca
e sto come nuvola appesa in cielo
fermaglio di smarrite fughe
schiocchi di pioggia
sulle ligure del tempo.
Ti ho aspettato ogni giorno
con il passato che ti stringe ai fianchi
sotto un cielo satinato di stelle.
Ti ho aspettato per giorni
mentre bevevo il miele amaro
che spegne l’arsura della distanza,
quella infinita che non si può misurare
ma che s’increspa
come un ghigno secco alla vita
e li slaccia fra sapori tatuati di gelso.
Sorellina,
la tua altalena bascula
tra preghiere e inginocchiatoi
in un giardino in fioritura di volo.
Vedo il verde dei tuoi occhi
in un tramonto indifferibile,
sprimacciato, in difformità di agio
al risveglio di un Dio
sopito al tuo cuore
ma pronto sul predellino della tua vita
a sussurrarti distrattamente
tra nuvole e cielo
un nugolo di abbracci rappresi.