Giuseppina Ganci
Racconti e Poesie
Il papavero che cantava alla luna
C’era una volta, su un grandissimo prato verde, ai piedi di una grande montagna, uno stupendo papavero rosso di nome Rubino, che ogni sera amava cantare alla Luna.
Era affascinato da quell’immensa sfera così chiara, così rotonda e così lontana, che sembrava emanare una Rubino fievole ma persistente, che aveva il potere magico di incantare tutti e, addirittura, di far innamorare la gente che la guardava.
Al papavero rosso, piaceva molto allungare il suo lungo stelo verso quella palla grigiastra gigantesca, che a volte cambiava forma e se ne vedeva solo uno spicchio, e poco dopo riappariva nella sua totale pienezza. E muovendo lievemente i suoi petali rossi vellutati, intonava ogni notte una canzone diversa, dedicandola alla Luna che adorava e così allietava anche tutti gli animaletti notturni che le facevano compagnia nelle calde sere d’estate.
Le cicale, le formiche, i ragnetti, le splendide lucciole, tutti i suoi amici, si riunivano ogni sera attorno al papavero per ascoltare quelle melodie favolose che riuscivano ad incantarli e a farli sognare.
Tutte le sue canzoni parlavano d’amore, perché lo splendido papavero rosso era innamorato della luccicante Luna. Ebbene sì, il papavero sognante ed estatico, amava quella sfera lontana che rischiarava le loro notti buie.
Ma ovviamente quello era un amore impossibile, perché Rubino non avrebbe mai potuto raggiungere la Luna, e la Luna non avrebbe mai potuto raggiungere Rubino, e di conseguenza quello sarebbe rimasto per sempre un amore irrealizzabile.
Ma il papavero non si arrendeva e ogni notte, imperterrito, cantava alla sua adorata Luna.
Una sera, un piccolo ragnetto di nome Chichì, si arrampicò lungo lo stelo del papavero rosso e gli chiese:
“Rubino, perché continui a dedicare le tue bellissime canzoni alla Luna che è così lontana e non potrà mai sentirti?”
Il papavero sorrise, chinando il suo stelo verso Chichì. Poi rispose:
“Vedo, caro Chichì, che tu non sei mai stato innamorato.”
Il ragnetto fece segno di non con la testa.
“Infatti” riprese Rubino. “Altrimenti sapresti che chi ama è disposto a tutto per amore, anche ad amare senza speranza.”
Il ragnetto non sembrava capire. Con le sue otto zampette si mosse lungo lo stelo di Rubino, mormorando:
“Spiegami, per favore, non so cosa vuoi dire.”
Rubino sospirò e girò nuovamente i suoi petali verso la Luna, rimirandola con un sospiro.
“Non sempre quando si è innamorati si viene ricambiati, Chichì, ma non per questo si smette di amare.”
Il ragnetto si grattò la sommità del capo, pensieroso.
“Io non lo so se potrei provare mai qualcosa del genere” rispose. “Forse, se la mia ragnetta non mi amasse, non la amerei neanche io.”
“Quello non è amore” asserì Rubino. “Quella è convenienza: ti voglio bene, solo perché tu mi vuoi bene. Ma quando si è veramente innamorati, anche se l’altro non ricambia i tuoi sentimenti, tu non smetti di amare. I sentimenti veri non possono essere controllati o contenuti. I sentimenti veri viaggiano da soli, e, nel mio caso, arrivano fino alla mia dolce Luna, che non sa che la amo, ma io la amo lo stesso.”
In quel momento passava di lì una splendida farfalla fatata, dalle magnifiche ali variopinte di azzurro, celeste e blu, che sentendo i discorsi di Chichì e Rubino, si commosse. Si avvicinò al papavero svolazzandogli accanto e disse, sbattendo leggiadramente le sue ali:
“Ho ascoltato le vostre chiacchiere mentre passavo da queste parti e il mio cuore si è intenerito.”
Rubino e Chichì si girarono a guardare la magnifica farfalla che svolazzava intorno a loro, mandando scintille iridescenti, incantati dal suo volteggiare leggero.
“E tu chi sei?” chiese Rubino, incuriosito e affascinato da tanta bellezza. “Non ti abbiamo mai vista da queste parti.”
“Io sono la farfalla fatata Emma, e posso realizzare i sogni degli altri, ma non di tutti però! Solo di chi ha un cuore nobile e buono. E tu, Rubino, hai un cuore molto dolce e candido. Ho sentito che sei innamorato della Luna anche se lei non potrà mai ricambiarti. Tuttavia io posso accontentarti. Se tu vuoi, posso trasformare le tue foglie in ali e farti volare fino alla Luna.”
Nel sentire quelle inattese parole, Rubino scosse il suo stelo e le sue foglie per la grande gioia.
“Davvero potresti?” domandò con la sua voce soave, piena di emozione.
“Certo!” rispose Emma. “Chiedimelo ed io ti accontenterò. C’è solo una cosa che devi sapere prima: se volerai fino alla Luna, poi non potrai più tornare indietro.”
Rubino si guardò attorno ancora incredula: tutti i suoi amici aspettavano con ansia che si decidesse a chiedere ciò che aveva sempre ritenuto irrealizzabile, ma molto dispiaciuti perché, se lo avesse fatto, non l’avrebbero più rivisto.
Rubino sospirò. Era pronto a lasciare tutto ciò che conosceva sulla terra per raggiungere la sua adorata Luna, che neppure sapeva della sua esistenza? Era pronto a fare un viaggio così lungo rischiando che, magari, la Luna gli dicesse di non amarlo?
Sì, decise senza neppure esitare. Era pronto a volare da lei e rischiare tutto per amor suo. E se la Luna non avesse ricambiato il suo amore, Rubino avrebbe vagato per sempre nello spazio continuando ad allietare le stelle con le sue canzoni melodiose.
“Sì, Emma” rispose dopo qualche secondo, sicuro di quanto diceva. “Desidero che trasformi le mie foglie in ali, in modo che io possa raggiungere la mia amata Luna!”
Emma acconsentì.
Mentre scuoteva le sue magnifiche ali variopinte, una luce multicolore si diffuse nell’aria e attorno a loro scintillarono piccole gocce di rugiada che volarono fino al papavero e trasformarono le sue foglie in splendide ali.
Staccandosi dal suolo, Rubino iniziò a volteggiare in aria. Incredulo fece immensi ghirigori, stupito lui per primo del fatto che stesse davvero volando.
“Ma guardate!” esclamò felicissimo. “Volo! Sto volando!”
Tutti i suoi amici erano molto contenti per lui e seguirono affascinati il suo volteggiare.
“Vado, amici miei” li salutò dunque Rubino, allontanandosi sempre più. “Vi porterò sempre nel mio cuore!”
Ma le sue parole si persero nel nulla mentre scompariva alla vista degli animaletti che erano rimasti sulla terra a salutarlo, scuotendo le loro zampette in segno di saluto.
Rubino non si voltò neppure indietro, intento com’era a volare verso la sua magnifica Luna. E mentre si avvicinava a quella immensa palla splendente, il cuore gli batteva forte forte.
La Luna notò un lieve movimento alla sua destra, si girò e si trovò davanti lo splendido papavero che ogni notte cantava per lei.
Stupito per quella improvvisa apparizione inaspettata, gli fece un enorme sorriso.
“Caro papavero!” esclamò la Luna, “Che ci fai tu qui?” chiese poi. “Ho ascoltato tutte le canzoni che mi hai dedicato, ma pensavo che non ci saremmo mai incontrati. Eravamo troppo ontani. Come hai fatto a raggiungermi?”
Rubino diventò ancora più rosso del suo colore naturale. Adesso che si trovava davanti alla sua adorata Luna, l’emozione era così forte da togliergli anche le parole, oltre al fiato.
“Ecco…” balbettò infine il papavero, imbarazzato. “E’ stata la farfalla fatata Emma a trasformare le mie foglie in ali, per far sì che io potessi finalmente raggiungerti. Ogni notte cantavo per te, per dimostrarti tutto il mio amore, ma anche io credevo che non ci saremmo mai incontrati. Adesso il mio sogno si è avverato, e se tu vorrai, ora staremo insieme per sempre” concluse il papavero rosso, guardando commosso la Luna, che adesso, vista da vicino, era ancora più bella.
Un velo di rossore coprì le guance della Luna.
“Anche io ho tanto desiderato incontrarti” ammise poi. “E adesso che sei riuscito a raggiungermi, nulla più ci potrà dividere.”
Fu così che la Luna e il papavero Rubino, rimasero insieme per sempre: lui cantava e lei ascoltava incantata quelle melodie appassionate e armoniose, felici, finalmente, di poter stare insieme per sempre.
Gli occhi magici delle stelle
C’era una volta una bambina di nome Estelle.
Era tanto bella e tanto buona, il suo visetto era rotondo, i suoi capelli erano biondi, le sue labbra erano rosee, e i suoi occhi erano di un azzurro molto particolare, un colore indefinito tra cielo e mare; ma la particolarità dei suoi occhi era davvero unica: gli occhi di Estelle, erano magici.
Avevano una strana e specifica forma allungata, che ricordava le mandorle dolci, quelle bianche e tanto buone da mangiare; ma ricordava anche gli occhi dei bambini orientali, con la sola differenza che gli occhi azzurri di Estelle erano fatati e qualunque cosa guardassero, potevano trasformarla in ciò che lei voleva.
Questa particolare forma, dipendeva dal fatto che Estelle non era come tutti gli altri bambini, ma era speciale, lei aveva nel suo corpo, un cromosoma in più, che la rendeva unica. Il cromosoma era una specie di fiocco a forma di X che circolava liberamente dentro di lei, e la faceva diventare così caratteristica.
La piccola Estelle non era una bambina capricciosa, ma ogni tanto non le andava molto di studiare, e per evitare di fare i compiti, fingeva di avere qualche malanno: a volte diceva di avere mal di pancia, a volte affermava di avere mal di testa, a volte ripeteva che le facevano male i piedini. Ogni giorno ce n’era una, perché Estelle era brava ad inventare qualche acciacco per non doversi sorbire qualche compito scolastico noioso che a lei non andava di fare.
Ma la mamma, che la conosceva bene, non credeva molto alle sue scuse, e allora le chiedeva se, per riposarsi un po’, le andasse di bere un bel bicchiere di latte caldo e mangiare qualche buon biscotto i qualche ciambella.
A Estelle piaceva molto mangiare, quindi acconsentiva sempre a quella proposta e, seduta sul comodo divanetto della sua cameretta, giocava con i suoi tanti giocattoli.
Il suo preferito era un pupazzetto di pezza color rosso scuro che aveva avuto sin da piccolina e col quale intavolava tante e belle discussioni immaginarie, trasformandolo, però, di volta in volta, in qualsiasi cosa le suggerisse il gioco del momento.
Il pupazzetto era un cane dalle grandi orecchie penzoloni di nome Omero, che adorava la piccola Estelle, e per amor suo, si lasciava trasformare in ciò che lei desiderava.
A volte Omero diventava un enorme elefante, a volte un piccolo topolino, a volte una bellissima ape, altre un magnifico fiore, a seconda della favola che Estelle inventava.
Era bravissima ad inventare delle fiabe magiche in cui i protagonisti erano i suoi innumerevoli giocattoli.
Ma Estelle aveva anche una gattina molto dolce, tutta striata e dagli splendidi occhi verdi, che si chiamava Serafina; anche lei ogni tanto veniva trasformata in un corvo, o in una rana, o in un canguro, o in qualcos’altro dalla piccola Estelle, che con i suoi occhi magici riusciva sempre a fare degli incantesimi perfetti.
Una volta, giocando con Omero e Serafina, trasformò i due malcapitati in un principe e una principessa. La casetta di Serafina venne trasformata in un bellissimo castello e tutti gli altri giocattoli in cortigiani, cavalieri, cavalli e carrozze.
Serafina era davvero bella nel suo abito celeste con tanti pizzi e merletti, e Omero sembrava veramente un principe nel suo vestito azzurro e bianco, con gli stivaloni luccicanti e il cappello piumato.
Nella storia che Estelle inventò, Serafina e Omero erano molto innamorati e si volevano sposare, ma uno stregone cattivo, che in realtà era un gufetto di peluche di nome Gigio, glielo voleva impedire perché era lui che amava la dolce e bella Serafina.
Così il principe Omero, armato di spada, di coraggio e di tanto amore, doveva andare a sfidare lo stregone cattivo e portare in salvo la bella Serafina tenuta prigioniera nella torre più alta del castello.
Quando la mamma di Estelle entrò nella cameretta della bambina e trovò la stanza trasformata in una magica fiaba, rimase allibita per lo stupore.
Cos’era capace di creare quella sua magica figlia!, si disse la donna, che dal primo momento che aveva tenuto in braccio quell’esserino inerme e delicato, aveva provato un amore immenso ed infinito. Si era subito innamorata dei suoi occhi a mandorla dal colore azzurro così particolare, del suo visino tondo tondo e delle sue labbra rosee che le sorridevano con dolcezza. E il fatto che fosse così unica, in tutto e per tutto, con il suo cromosoma in più, la rendeva felicemente orgogliosa di lei.
Estelle non era diversa da nessun’altra bambina, anzi, era simile a tutte le altre, pur avendo delle peculiarità tutte sue che la rendevano incomparabile.
“Estelle, ma cos’hai combinato!” esclamò allora la donna, guardando quel pandemonio con aria critica e pensierosa. “Guarda la tua stanza! L’hai trasformata in un circo! E la povera Serafina, rinchiusa dentro la torre! E il povero Omero, trasformato in un principe! E lo sventurato gufetto trasformato in uno stregone!” continuò la donna, scuotendo la testa con aria severa. “Invece di fare i compiti, ecco cosa fa la mia Estelle! Inventa storie!”
Estelle era mortificata per quei rimproveri, ma a lei veniva così facile inventare storie e creare personaggi nuovi; studiare l’annoiava, non le sembrava importante, tanto quanto lo era invece inventare nuove avventure.
“Mi dispiace, mammina!” borbottò la piccola con il visino triste, a testa china. “Prometto che non lo farò più” l’assicurò, tentando un debole sorriso e sollevando i suoi dolcissimi occhi a mandorla verso la madre che adorava.
La donna, che sapeva bene quanto piacesse ad Estelle inventare storie magiche, non se la sentì di impedirle di fare ciò che più le riusciva meglio. Così prese una decisione. Avrebbero preso un accordo, sua figlia e lei; avrebbe permesso ad Estelle di continuare ad inventare le sue storie, se lei avesse promesso di studiare almeno un’ora al giorno.
“Okay, Estelle” disse dunque, accondiscendente ma decisa. “Ti permetterò di continuare a trasformare i tuoi giocattoli e la tua gattina in ciò che vuoi e di inventarti tutte le storie che vuoi, solo se mi prometti che studierai almeno un’ora al giorno d’ora in poi, fino alla fine della scuola.”
Estelle parve pensierosa. Stava riflettendo sul da farsi. In effetti quella promessa poteva benissimo farla; un’ora di studio in cambio delle sue magie, le sembrò un giusto compromesso. E in più, avrebbe accontentato anche la madre, che sarebbe stata ben lieta di vederla studiare un po’.
Annuendo vistosamente e facendo ondeggiare i suoi serici capelli biondi, disse dolcemente ma con sicurezza, portandosi solennemente la mano sul cuore:
“Prometto, mammina! D’ora in poi, inventerò le mie storie e farò le mie magie solo dopo aver studiato.”
La mamma ne fu contenta, ma aveva ancora una impegno da proporle, così disse:
“E prometti di non inventarti più mal di pancia, mal di testa, o qualsiasi altro dolore pur di non fare i compiti?”
Estelle arrossì per quelle bugie che la mamma aveva tranquillamente smascherato.
“Prometto, mamma!”
“Bene, da ora in poi potrai sempre rifugiarti nel tuo mondo magico, ma solo dopo aver fatto i compiti!”
Estelle, felice, si alzò dal comodo divanetto e corse ad abbracciare la madre, che la strinse tra le sue braccia con amore.
“E adesso, dopo aver riportato la tua stanza allo stato naturale, prendi il libro di matematica e inizia a studiare” ordinò la donna.
In men che non si dica, facendo scintillare i suoi occhi magici, Estelle riportò tutto alla normalità.
Lo stregone cattivo tornò ad essere un gufetto di peluche; il principe tornò ad essere il suo adorato cagnolino di pezza Omero e la principessa tornò ad essere la sua adorata gattina Serafina.
Estelle iniziò a leggere il libro di matematica, ma con tutti quei numeri le girava la testa. Allora prese il libro di scienze, ma con tutte quelle formule e quegli esperimenti, le tornò il mal di pancia. Poi prese il libro di storia, ma con tutte quelle date da ricordare e quegli avvenimenti, le venne il torcicollo. Allora prese il libro di geografia, ma con tutti quei paesi, quelle città e quei luoghi le venne la nausea.
Oh, ma che disperazione!, pensò Estelle, scuotendo la sua bella testolina bionda. Non sarò mai capace di mantenere la promessa fatta alla mamma!, si disse, sconsolata.
Pensierosa e triste, camminò avanti e indietro per la stanzetta, mentre tutti i suoi giocattoli non sapevano come consolarla.
Quale materia poteva mai piacere ad Estelle?, si chiesero. Aveva scartato tutti i libri di tutte le materie, quindi, cosa mai avrebbe potuto attirare la sua attenzione e interessarla veramente?
A Serafina venne in mente un’idea.
“Estelle mia cara” disse poi, “magari se prendessi in mano il libro di italiano, se ti mettessi a studiare la grammatica, se imparassi a scrivere bene, magari” suggerì dunque, “potresti provare a scrivere tutte le storie che ti inventi? Così potresti far conoscere anche a tutti gli altri bambini del mondo, tutto ciò che sei capace di inventare con la tua fantasia e con i tuoi occhi magici.”
Estelle rifletté a lungo sulla proposta di Serafina, considerando tutte le varie possibilità di quell’idea. Poi esclamò, entusiasta:
“Ma che meraviglioso suggerimento che mi hai dato, Serafina! E’ un’idea eccellente! Mi metto subito a studiare, così ben presto potrò iniziare a scrivere e rendere così partecipi delle mie storie, anche tutti gli altri bambini.”
Estelle prese il libro di italiano e rimase tutto il pomeriggio a studiare.
Quando la mamma venne a chiamarla per la cena, sua figlia stava ancora studiando, e lei ne fu molto felice; Estelle stava mantenendo la sua promessa, e la donna non aveva dubbi che sarebbe stato così. Estelle era una bambina molto giudiziosa, capace e volenterosa, che sarebbe riuscita a realizzare tutti i suoi desideri e i suoi sogni con la forza della sua volontà.
Da quella volta, Estelle studiò tutti i giorni, per parecchie ore al giorno, con impegno e volontà, finché fu abbastanza brava da poter iniziare a scrivere i suoi racconti.
Ciò che scriveva era magico, così come i suoi occhi e riusciva ad incantare ogni bambino che leggeva quelle storie meravigliose.
Fu così che Estelle divenne una bravissima scrittrice, idolo di tutti i bambini del mondo; ma la cosa più importante fu che Estelle era riuscita a realizzare il suo sogno: quello di creare storie emozionanti che dai suoi occhi magici, divenivano realtà e incantavano gli altri.
Inebriarti
Vorrei potessi sentire il mio profumo
anche da così lontano.
Inebriarti dolcemente
dell’aroma speziato e sensuale
che emana la mia pelle.
Sapore dal gusto unico,
invitante,
provocante.
Vorrei potesse restare nelle tue narici
quel profumo che hai amato,
che ti ha eccitato,
che ha preso la tua mente.
Vorrei poterti abbracciare ancora una volta,
solo per farti sentire
di nuovo il mio profumo.