Graziano Toscano - Poesie e Racconti

Grazie mamma

 

La mamma è quella donna

Che ti crea e ti fa da amica,

Si immedesima colonna

Per sorregger la fatica.

 

Dal primo momento la guardi e ti vede,

Come chi non ha occhi per persona alcuna;

Dopo un po’ di sgomento sul seno ti siede,

Per te prenderebbe persino la luna.

 

Li sta il miracolo vero e divino,

Un amore profondo e non controllato.

Per chi le sta intorno sei solo un bambino,

Invece per lei sei il suo figlio adorato.

 

Ma Il tempo scorre in fretta ed è tiranno,

E t’accorgi d’esser uomo in un mattino.

Le dici che con te fa sempre danno,

Per poi sentirti dopo un malandrino.

 

Perché la mamma tu la puoi ferire,

Ma era presente quando stavi sveglio;

Quando giocavi invece di dormire,

E stanca morta dava del suo meglio.

 

Ed ora la capisco ed ho due figli,

Comprendo le parole che diceva,

Voleva propinarmi i suoi consigli

Soltanto Perché lei mi proteggeva.

 

E Ancor oggi mi sei accanto

Come fossi calamita,

Sei il mio orgoglio ed il mio vanto;

Grazie mamma per la vita.

 


 

 Amici d’infanzia

 

In questo viaggio che  chiamiamo vita

Ove si nasce, si cresce e s’appassisce,

V’è presente una persona preferita

Che ci sta accanto sempre e mai svanisce.

 

La sua presenza è fondamentale,

È lì con te da quando eri bambino;

Se tutto andava bene oppure male

Lo ritrovavi sempre lì vicino.

 

Gli amici miei d’infanzia quattro sono

Che hanno accompagnato il mio cammino.

Gli trovo accanto adesso che son uomo,

Ma vi eran da quand’ero ragazzino.

 

Uno alto, uno colto, uno bello,

Uno simpatico assai a iosa,

Ognuno di essi è come un fratello

Con cui rifletter di qualsiasi cosa.

 

Lo alto era tranquillo e riservato,

Di primo acchito quasi timidino,

Ma lo ringrazio per ciò che mi ha dato,

Giornate lunghe sino a lo mattino.

 

Lo colto davvero persona squisita,

Lo bello era pieno di qualità ;

Lo primo bravissimo con la matita,

L’altro grand’uomo ed ora è papà.

 

Poi v’è il simpaticone di virtù davvero grande

Che sempre era presente se io c’ero,

Tuttora ancor si narra delle sue scorribande,

A voi quattro va il mio cuore ed il mio grazie più sincero.

 


 

 Un giorno da pescatore

 

Si desta ancor nel sonno e nel torpore

Appena l’alba ha fatto capolino,

Si veste e si prepara il pescatore

Ed esce al primo sole del mattino.

 

Si avvia verso la sua destinazione

Che sia fiume, mare, lago o lo torrente,

E viaggia a piedi o sopra lo barcone

Purché la pesca sia soddisfacente.

 

Si accampa in fronte all’acqua cristallina

E lì prepara lenza, piombi ed ami.

Chinato e con la faccia sbarazzina

Non si distrae nemmeno se lo chiami.

 

Infine sopra l’amo infilza l’esca

Preciso come fosse nu dottore,

Ma non gli va augurata  “buona pesca”

Che porta iella e mette il malumore.

 

Col corpo slancia il braccio e lo proietta,

La lenza come freccia vien scagliata;

Si siede zitto e quieto mentre aspetta

Finché la preda non sarà abboccata.

 

E quando il pesce gusta lo spuntino

È lì che l’uomo si mette in azione,

Ritira il mulinello e il suo bottino;

Sotto controllo tien la situazione

 

E Mentre il cielo piano s’imbrunisce,

intorno si fa buio e d’un sol colore,

Si vede all’orizzonte poi svanisce

E fiero torna a casa il pescatore.

 


 

 Ode agli eroi

 

Vi fu un tempo in cui la terra

Ospitó uomini erranti,

Cavalieri prodi e indomiti in guerra

che rinvenivano dorati manti.

 

Mille le storie scritte e cantate

Che di codesti  narran le gesta,

In loro onore han sonato ballate

Cantastorie e musici durante ogni festa

 

Raccontan novelle di armi e d’amori,

Di principi ignobili e del loro retaggio;

Spinti da oneri e da furenti ardori

Son puri di cuore e con molto coraggio.

 

Da Ulisse che viaggió per lunghi anni,

Mentre Penelope fissava lo portone;

Ad Achille immune a quasi tutti i danni,

Tranne a quelli sopra lo tallone.

 

Gli eroi dei tempi nostri son molto differenti

Rincorron tutto il giorno lo pallone;

Fanno gli attori comici oppure i concorrenti,

Basta apparire alla televisione .

 

Scavando un po’ più a fondo ed attenzione,

Si vede che gli eroi non sono morti;

Si mescolan tra la popolazione,

Paron deboli ma sono li più forti.

 

Persone dalla vita svantaggiate

Che con il mondo contro ce la fanno,

Di gloria non son state mai fregiate,

Son loro i veri eroi ma non lo sanno.

 


 

 A lucia

 

Nel rimirar a fondo lo creato

Dai suoi pianeti a ogni costellazione,

Non v’è dentro lo spazio sconfinato

Bellezza che ti regga il paragone.

 

Lo sguardo tuo è un sorso d’acqua fresca

Dopo una settimana nel deserto.

La pelle tua velluto come pesca,

Sei come un isolotto in mare aperto.

 

La chioma liscia e bionda

Che t’incornicia soave lo viso,

Par di un albero la fronda

Che mira dritta al paradiso.

 

Pensi di esser debole e fragile,

Ma hai la forza dentro di un leone,

Che con un balzo potente ma agile

Sa venir fuori da ogni situazione.

 

Per questo, a me, sei sempre assai piaciuta

Con la tua dolcezza e quello tuo candore,

E penso non t’avessi conosciuta,

Tutt’oggi non saprei cos’è l’amore.

 

Dedicata a lucia di nardo, moglie premurosa e madre fantastica. Con tutto il mio amore e con l’augurio che tu possa vedere in te quelle qualità che io nitidamente distinguo.

 


 

 La famiglia

 

famiglia è nu concetto molto astratto

Che scava sino al fondo dello core,

Si crea basata su un antico patto

In cui si giura sempre eterno amore.

 

Famiglia quando nasci ne hai già una,

E per la vita quella ti rimane;

Ma giocando le tue carte con fortuna,

Puoi avere anche una moglie, un figlio e un cane.

 

La vita è molto dura e assai complessa,

Ma le son grato per ciò che mi ha donato:

Una regina , un principe e una principessa,

Che mi rendon lo più ricco del creato.

 

E  nella giornata passata a travagliare

il pensiero  va perenne a coloro,

Che dentro casa son fissi ad aspettare,

Il ritorno del marito oppur del padre loro.

 

E quando la sera varco l’uscio stremato,

Guardando mia moglie e i bambini contenti,

Capisco che in fondo son fortunato

A poter godere di questi momenti.

 

È ciò in difatti a rendermi felice,

Saper che per qualcuno conto tanto;

Allora questa vita mi si addice,

E tutto si trasforma in un incanto.

 

Famiglia dopotutto vuol dir questo,

Trovarsi nella gioia e nelle pene,

Ma con accanto chi senza pretesto

Ti dica che ti ami e ti vuol bene .

 


 

 Lo rancore

 

Lo rancore è un sentimento burrascoso

Che assai spesso con l’orgoglio va a braccetto;

come un rogo che brucia maestoso,

Ma al principio ardea da un piccolo rametto.

 

Lo rancore è come un fuoco d’artificio, partito non v’è modo di fermarlo;

Ca persino allo più docile di micio

Quando “scatta” non si sa come placarlo.

 

Ci va poco a nutrirlo o alimentarlo,

Basta giusto un po’ di astio nel linguaggio;

Una frase detta male a fomentarlo,

E colpisce pure l’uomo che è più saggio.

 

Pare un morso nello centro dello stomaco

Che sale dritto dritto sino al cranio.

Per questo malumore non v’è farmaco,

Perché è molto più duro del titanio.

 

Ti colpisce dopo una giornata dura

Poi ti scuote tipo pentola a pressione,

E Nascondi dentro te una belva oscura

Che vien fuori come fosse un’esplosione.

 

Ma Un modo ci sarebbe per sfiancarlo,

è un segreto che soltanto a pochi è noto:

“Riprendere l’orgoglio per stiparlo,

Nel cuore dentro l’angolo più ignoto”.

 

Perché v’è qualcosa  ancora più forzuta

ChE può fermare in tronco lo rancore.

Lo  frena e lo controlla sinché muta,

La cura è solo un pizzico d’amore.

 


 

 Ode all’estate

 

Quattro son le stagioni dell’anno,

Che già da piccolo ti insegnano a scuola.

Dall’inverno glaciale che porta malanno,

All’autunno ove gialla diventa l’aiuola.

 

Poi v’è  primavera e tutto è fiorito

Ed arriva l’estate che è la preferita;

C’è  chi va in spiaggia e si gusta un mojito

Chi monta in bici in discesa od in salita.

 

A quest’ultima dedico la mia ode

Come il canto di un canarino che cinguetta ,

Non c’è altra stagion così degna di lode,

Il mare ed il caldo la rendon perfetta.

 

L’aria profuma di spezie e di rose,

Le scuole son chiuse, i ragazzi fan festa.

Mercanti all’aperto che vendono cose,

Puoi trovar tutto ciò che ti passa per la testa .

 

I porti di mare si affollan di gente

Che parte per mete con climi più miti.

Un bimbo che nuota col suo salvagente,

Due donne conversan di scarpe e vestiti.

 

In radio si suonano balli attraenti

Con musiche dolci da bassi ritmate.

Sono canzoni  molto ricorrenti

Che si ripetono tutta l’estate.

 

Ma tutti ciò che è cominciato

Deve malgrado, ahimè finire.

Però  per fortuna  ad anno passato,

Tutto di nuovo potrà rifiorire.

 


 

 Sommariva del bosco, paese di fiaba.

 

Lo paesello mio è un borgo campagnolo,

Tassellato assai di chiese e di un boschetto;

Guardandolo dall’alto quasi in volo,

Si notan la stazione ed il baretto.

 

Immerso in mezzo al verde v’è chino un pastorello,

Fa brucar alle pecore la fresca erbetta;

Sullo sfondo risalta maestoso il castello,

Simbolo di un’epoca fuggita troppo in fretta.

 

Le casettine variopinte e vivaci,

Presentan balconi lunghi e sgargianti;

Isse si trovano comare loquaci,

Che narrano i fatti degli abitanti.

 

Le strade son quiete ed i negozietti ,

Costeggiano il portico in centro borgata;

A lato si estendono stretti vialetti,

Che van dal comune a una vista fatata.

 

Sulle mura all’esterno vi sono dipinti,

Raccontano in versi una dolce novella;

Ballate di poeti da secoli estinti,

Che cantan del sonno di una povera bella.

 

Nei giorni di festa la piazza è gremita,

Si riempie di banchi di dolci e di mele;

Tutto il paese si accende di vita,

Quando è presente la sagra del miele.

 

E scende fiero il sole sul villaggio,

Un poco si alza il vento e si fa fresco;

Un bel tramonto sfiora il paesaggio,

Creando un tocco magico e fiabesco.

 


 

 I due viticoltori (racconto breve)

 

V’erano una volta due uomini, amici da anni solenni. Uno era assai coscienzioso e lavoratore. Mai sembrava stancarsi di sgobbare che parea quasi un mulo. L’altro invece preferiva prendere qualsiasi scorciatoia per raggiungere i suoi intenti e, lavorare non appariva nei piani.

Avvenne un giorno che si convinsero di diventare viticoltori. Il più produttivo compró un terreno piccolo, ma decisamente fertile. Volle inoltre acquistare le migliori sementi.

Lo più scaltro invece spese la sua pecunia per un terreno dissestato e privo di sali minerali, ma di gigantesche dimensioni. Prese inoltre scarti di sementi per risparmiare. Alla prima potatura delle vigne, i due uomini raccolsero e imbottigliarono. Entrambi vendettero tutto lo vino e lo più scansafatiche aveva guadagnato cinque volte tanto, rispetto dell’amico onesto. Quest’ultimo con il ricavato aveva ampliato il terreno della stessa grandezza del suo compare, il quale aveva investito codesta volta su ottime sementi per aumentare i prezzi ed i guadagni.

Così non fu però, perché, essendo il vino dell’anno prima di pessima qualità, l’annata successiva nessuno lo acquisto, dirottandosi sul “nettare” dell’amico caro.

La morale di questa storiella è che nella vita, ciò che si semina si raccoglie. All’inizio sembrerà magari di vedere premiati i disonesti e vi parrà inesistente la meritocrazia. A lungo andare però, l’impegno e la determinazione saltano fuori, così come salta fuori l’incompetenza e l’inadempienza.