L’inferno è l’ironia
Tanto soffusa e coperta pare questa mia condanna paranormale
E se volevate farmi fermare
Ora più che mai ho passi da camminare
Una penna la mia spada
Con l’inchiostro di sarcasmo
Se i caratteri leggono ironia
Vuol dir che in fondo non è mia dannazione
Vorrei esser libero da ogni prigione
Ma due tra tempo e psichiatria
Ancor rimangono in religione
Della pazza sanguinante testa mia
Tutto ciò che ho visto e ho fatto
Era per i demoni miei custodi
Che da uno o d’altro canto
Prego miseri figli d’ ispirazioni
Incognita
Dimmi com’è
Senza di te
Un po’ tutto blu
Solo da me
E le rondini non volano mai da sole
Chissà te dove sei mio piccolo fiore
Le canzoni sono fatte per essere cantate
E questa la regalo
All’incognita delle mie giornate
E questa la regalo
Al sorriso delle mie serate
Bilingue
Choices are made by those who can’t wait
And so I share my pain
With a cloud over my head
And blood through my veins
Aspetto un barlume di luce
Di fronte un volto allucinato
Mi guarda con sguardo truce
La pazzia è finita, l’umore è crollato
Estate morta
È caldo
Così caldo che anche il colore del cielo
Si è sciolto
I miei pensieri si rincorrono
Come i cavalli di una giostra
Galoppanti nel loro tragitto immobile
Chissà se in questa scatola di una mente
Riuscirò mai a mettere la parola
Serenità
Non dico felicità
Perché questa svanisce
Come l’acqua sotto i raggi del sole
Ma serenità
Maestosa e delicata
Come lo stelo di un fiore
La lezione del malato
Ma quanto è bello questo mondo!
Disse il malato tutto torto,
Lui che più non aveva un orto,
Idiota lo era solo in quanto contorto!
Prese una pipa senza tabacco
Ed iniziò a leggere il suo almanacco,
Che non aveva nulla scritto dentro,
Il suo inchiostro la pioggia, il maltempo,
Così tutti quei professoroni,
Tutti quei cantanti senza più canzoni,
Non potevano dirgli nulla, I palestrati
Non avevano da sottrargli alcuna fanciulla!
Aprite bene le orecchie, audite!
Ecco a voi la sua perla di saggezza:
“Ricordate il passato, dimenticate il presente,
Seminate dolcezza e pacate le urla”.
“Se poi la tenerezza vi accarezzerà il cuore,
Vi renderà una persona migliore,
Allora sarete già in cima, senza timore,
Sopra la gelida vetta di chi non sente grida.”
“Ascoltate miei cari, ascoltate per bene,
Il suicidio non sarà più tagliarsi le vene,
Ma cambiare ogni secondo, ogni momento,
Poiché non muore mai chi ride lo stesso”.
Nessuno però capì quelle parole.
Quel giorno era troppo bello, guardate,
Che sole!
Quella notte era troppo breve, guardate,
Che vita!
Quella in cui ascoltare fa troppa fatica…
Petrolio
Tutti quanti bramano e cercano petrolio,
Tanto che, senza colore, ha ottenuto
Nome e valore del metallo più pregiato: l’oro.
Lui che si vede così appiccicoso,
Non capisce lo strambo gioco
Della possessione e dominazione,
Perché si concede senza scopo.
E così il magnate di turno, a denti stretti,
Petto in fuori e piedi fermi, si fa avanti,
Si fa largo tra gli schietti, e ficca insegna
Sul giacimento, in quel mare senza cielo.
Ora però, da osservatore, oso pur dire,
Non è più amore ciò che si fa,
Rispetto a ciò che uno può sentire?
Quest’olio di pietra, è assillante o sottile?
Ditemi voi cosa ne ricavate dal racconto,
È più gentile conquistare e far nostro,
Oppure aggrapparsi e mai mollare?
A me, ottuso e bigotto, non serve pensare,
La mia arrogante onestà mi fa schierare,
Sempre dalla parte di chi più può bruciare!
Infatti, lontano dalle piattaforme grigie,
Cupe e poco estetiche, un pazzo piromane
Osserva sognante la situazione e geme,
Lui che, il petrolio, lo vuole solo accendere.
E che festa per il folle sarebbe!
Scintille e fiamme ed esplosioni e faville,
Lui che desiderava dar fuoco all’acqua,
Non chiedeva proprietà, ma di sconfiggere
L’oscurità.
Però, questi punti di vista son linee,
Concetti geometrici, senza capo né fine,
Intanto il monopolio è giustificato, il petrolio
Amerà invariato, il piromane rimarrà dimenticato.
Ti senti speciale?
Meglio star soli,
Che in una bufera di stelle,
Meglio la calma,
Che accontentar chi s’offende
Meglio la pace,
Al fiume notturno che scende
Non s’è spento in me nessun fuoco
Ma il sangue si rimargina,
Senza continuar ad accoltellarlo,
Senza sporcare della vita la pagina,
Possiamo provare un altro gioco?
Solo una volta qualcosa di vero,
Qualcosa di lucente, di sincero,
Qualcosa che mi faccia sorridere sul serio.
Chiamavo vermi chi odiavo,
M’almen loro sotto terra concimano,
Noi non siamo animali,
Se lo fossimo, saremmo normali,
Siam sassi lanciati contro fanali,
Da fanciulli dispettosi e casinari.
Mille volte ho sentito parlare,
Lo sputo del serpente,
Gente, gente, il mondo è pieno di gente,
Però in quanti son rimasti persone?
E poi i tori tornano agnelli,
Quando dimenticano di avere le corna,
Sarà tutta colpa della folla,
In cui si perdono senno e cervelli.
Io nemmeno chiedo più nulla,
La mia oasi l’ho trovata,
La battaglia l’ho già scelta,
La pomata l’ho spalmata,
Volevo dir qualcosa per voi,
Così persi tra la folla,
Tutti felici di tristezze,
Ubriachi di lamentevoli amarezze.
Non son diverso, io poetastro,
Non faccio altro che cantarci,
Non son giudice di alcun misfatto,
Sono forse ancor più matto,
Ma dovremmo preoccuparci?
La domanda è un poco sciocca,
Perché non facciamo altro,
Fosse nuovo stare male,
Saresti almeno un po’ speciale.
La donna loto
Quella donna è un fiore di loto,
Adagiato lungo ninfee di velluto,
Il suo seme oscilla nel vuoto,
Fino a raggiungere un cuore chiuso.
Non serve chiave, né forcina,
Non è con la forza o con l’astuzia,
È il calore della melodiosa voce
Incastonato nella sua fanciullina.
Ma le sue forme sono eleganti
Mature, come fragole a primavera,
Senza api impollina passanti
E in loro dischiude la fame terrena.
Così chi ha passato troppo tempo
In quel giardino bello e acceso,
Dimentica nome, spazio e se stesso,
Senza guardarsi avanti, cadendo all’indietro.
Ma nessun abbraccio lo accoglierà,
E cadrà sul solito polveroso parcheggio,
Offeso e deluso, per carità, ma in realtà
Non c’è cattiveria, solo comoda ovvietà.
Perché nessuno ci pensa,
Ma pensa una pianta?
O l’intenzione è in quello che fa?
Beh, io sono qui, mie cari amici,
Per raccontarvi la verità.
Dentro la chioma d’oro e d’alloro,
Si nasconde un labirinto nato per caso,
Come se un bambino, unendo puntini,
Con la sua penna l’avesse creato:
Tra linea dritta e curva contorta,
Si era divertito così tanto,
Che a mano libera aveva continuato,
E ancora adesso quel pastrocchio
Non è né sensato, né terminato!
Ma soprattutto in quella nuvoletta,
In quella nuvoletta nella sua testa,
Il fiore di loto s’inebriava da solo,
Dimenticandosi del suo stesso passato,
Ricominciando puntualmente d’accapo.
Ma le sue foglie vellutate,
Si son poggiate sopra un mare di sangue,
Troppo sensibile quella carne,
Troppo ossessiva, con troppe domande.
E questa breve, tenera storia,
Si conclude senza morale,
Il fiore di loto è stato inghiottito
Da rovi pulsanti,
Cresciuti
Nell’affetto, negli eritrociti, e nel sale.
Serenata del disinteresse
Amor che amar non posso,
Lontano desirar perdona,
Da esigente sarei un mostro,
Da ignorato son persona.
Ma bussando al cuore rotto,
Al suon battuto di vita certa,
Tra le crepe mi son accorto,
Che la speranza mi diserta!
Tesso e apprezzo la bellezza,
Nobiltà ed Intelligenza,
Che sia del corpo o nella testa.
Ma non ho l’anima d’incastrare,
Un tassello ormai strappato,
Né al troppo pieno, né al tutto bucato!
Il giullare senza iocus
Muse amate del Parnaso,
Parole alate del più sommo,
Moira genitrice del caso,
I frutti vostri sempre colgo!
Ma la gloria conveniente,
Non assaggerò, perdente,
Io canto la mediocrità,
Mai mediocritas vanto.
Oggi solo si gareggia
A toccare il nono cielo,
Senza piedi sul terreno!
Io Talenti non ne tengo,
Cammino goffo e lento,
Nella melma mi diverto.