Lina Anna Bertolino - Orizzonti

Quella distratta

Sono una sognatrice,
quella distratta,
che non segue la cronaca
e non capisce la storia.
Di piccole cose autodidatta.
Un’ignorante cronica.
E non ho boria,
non cerco la gloria.
Però sfogati che so ascoltare.
Parlami del tuo sgomento
e dei tuoi problemi.
Gente che urla ce n’è un mare,
che per te non ha un momento
e lancia a raffica anatemi.
Ascolto il cuore più che la voce
perché lo sento parlare meglio.
Ti regalo il mio tempo
che viaggia veloce.
In un attimo un miglio.
Per te sorvolo sopra ogni nembo
perché non ti ceda le sue piogge.
Ti riparerò al caldo della comprensione
quando del tuo dolore nessuno si accorge.
Sono una sognatrice, è chiaro,
senza rimedio né soluzione.
Accoglimi come son fatta
poiché il mio è un valore raro
sostenendoti sopra ogni ragione.
Per te, sì sognatrice,
ma mai quella distratta.

 


 

Fammi vedere come sai piangere

Abituata al silenzio della riservatezza,
Anita mise in vetrina se stessa,
divampando il fuoco ostile della curiosità.
Oh maledetta timidezza!
Tu che regali un’aura da principessa
e tieni nascoste intime verità.
“Fammi vedere come sai piangere!”
Con occhi serpenti, la perfida Violante
mise le mani, come artigli, al collo
e la intinse al fango delle pozzanghere.
Anita non si difese, nemmeno un istante
mentre il suo corpo s’arrese frollo.
L’inviperita sghignazzò sguaiata
e presa di mira la distesa schiena
le inferse un tiro con una taccata,
imbestialita come una iena.
L’ardito tacere al dolore
eccitò il famelico accrescere dell’ira.
Gli occhi di Anita rimasti incolore
indussero, innocenti, un’altra feroce mira.
Ma l’avanzare degli altrui passi
convinse la bulla a dar dipartita,
col sibilo all’orecchio degli smargiassi,
“Con te ancora non è finita…”
Anita si rialzò con dolorosa fatica
e quasi con vergogna arrossì agli sguardi,
facendosi bastare una mano amica.
“Ai miei lividi penserò più tardi”
Così si incamminò con la tracolla
che le pesava, ma meno della paura
e, mescolandosi a testa bassa tra la folla,
di sé stessa non si prese più cura.
Di lì a qualche metro rallentò il suo passo,
dove un’auto travolse una passante.
Tra voci concitate mescolate al chiasso
si fece largo e riconobbe Violante.
Vederla al suolo urlante e sofferente,
spinse Anita a darle importanza.
E scavalcando le inutili chiacchere
di quella inoperosa matassa di gente,
col suo cellulare chiamò l’ambulanza.
“Fammi vedere come sai piangere”
Le sussurrò senza alcuna asprezza.
Lo sguardo incredulo e confuso
stavolta non intimorì la dolce Anita
dall’alto della sua precoce saggezza.
“Per ciò che t’ho fatto, davvero, mi scuso.”
“Ne riparleremo quando sarai guarita”.

 


 

Sei comunque

Nel profondo di ciò che sento,
rivivo nel tuo abbraccio.
L’eternità di un tenero momento.
Nello scatto di una foto
il tuo sorriso mai spento.
M’immergo nei tuoi occhi scuri,
dove trovo conforto.
“Non temere”, tu mi giuri.
E mi lascio nel trasporto
di quel che mi prometti.
Non so spiegarlo ancora,
ma ti avverto a tratti,
in un qualcosa,
che adesso mi rincuora.
E porto via con me il tuo amore,
riconoscendolo tra le tue cose
e i tuoi racconti, le tue storie,
opere delle tue mani laboriose.
M’intingo, come pane nell’olio d’oliva,
dentro a memorie,
che fanno di me figlia bambina
e poi ragazza ribelle, viva.
E come scandinavi fiordi,
che divaricano le rocce,
così s’aprono finestre di ricordi
che prendono forma di gocce
tra le guance segnate.
E sarai il mio sapere
di cose mai imparate.
Ma forse ora sai tutto.
Tutto quello che ti sfuggiva
negli ultimi tuoi giorni.
Di te non porto lutto
perché in me tu resti viva,
anche se so… che non ritorni.

 


 

Consapevolezza

A cos’è servito correre?
Così tanto… e con impazienza.
Quando eravamo giovani
e assetati dalla voglia di arrivare.
Ma dove poi?
Con l’ardore,
sopra ogni cosa,
che rende muto
l’altrui bisogno
di quella pace,
così vetusta e noiosa.

E adesso?
Che tutto sembra sfuggire di mano…
Irrompe mansueta
la consapevolezza
che a nulla è servito correre
senza un fine né una meta.

Avremmo dovuto passeggiarla
questa vita.

Come un corteo in preghiera.
Come un lento da ballare.
O una dolce pennichella,
prima che venga sera.

 


 

Il bozzolo del misoneista

Credi davvero che rischiare non è cauto?
Che squadra vincente non si cambia?
Che camminare non è come andare in auto?
E che un divano è meglio di una spiaggia?
Tu che resti seduto
accovacciato sulla tua routine
e che deleghi qualcuno
a farti anche un check-in…
ti sei mai chiesto
se hai goduto
o ti sei lasciato plagiare dalla pigrizia
e da ciò che hai temuto?
Perché “tutto ha da essere come inizia”?
Ma prova a immaginare
la tua stessa vita.
È vero, non è tanto peggiorata
sulla tua cantilena sbiadita.
Ma neanche migliorata,
mentre noti intorno a te
edifici di futuro.
E tu, come un lacchè,
segui la scia di chi offre il sicuro.
Sbadigliando,
nemmeno ascolti il minimo messaggio.
E criticando,
sottovaluti il consiglio saggio.
Hai recluso la tua donna
dentro la prigione del tuo tedio,
come il collo di un cane legato a una colonna.
Scappa da questo e cerca un rimedio.
Partecipa al mondo fatto da tutti,
dimenticando il tuo nome in cima alla lista.
Perché i tuoi sogni li hai distrutti
nel bozzolo serrato da misoneista.

 


 

Viola

Viola va in giro con l’aurora,
mentre il vento svolazza la sua chioma,
trasporta i rifiuti già di buon’ora.
Ha appeso in soffitta il suo diploma.
Se la incontri sorride e si muove lesta
fra i vicoli ancora in penombra,
prima che il sole sbadiglia e si desta.
Col mezzo si ferma, raccoglie e poi sgombra.
Come un soldato fa il suo dovere
prima che ognuno si renda conto
che a poco è servito il suo lauto sapere.
Come un’eroina di un racconto,
la osservo e vorrei poterla abbracciare,
grata di come affronta la vita,
con quelle qualità ormai così rare.
Una tenerezza infonde infinita
mentre umilmente pulisce il quartiere,
ingrato e spilorcio di complimenti.
“Grazie Viola” di dirti ho il piacere,
da dietro il balcone. Ma tu non lo senti.

 


 

L’importanza di un regalo

Cos’era un regalo?
Qualcosa che t’assomiglia.
Il ricordo di un momento.
Un’istantanea,
teneramente ingiallita.
L’esplosione della meraviglia.
La frenesia tra le dita
nel districar l’incarto.
Come quasi a raccogliere
un cuore dal petto,
senza mai fermarlo.
Ma che ferma il tempo,
quando lo sguardo indugia
su quel dono e ripensa…

Cos’è un regalo?
Se non una busta.
Così compri ciò che vuoi…

Ma io voglio ciò che vuoi tu!

Perché un regalo
è ciò che t’è piaciuto per me,
scelto dai tuoi occhi,
per me così importanti,
per me così cari.

 


 

L’oscuro

Vorrei poterti dire che fai male…
E a te farebbe piacere.
Per quanto della vita tu sia il sale,
per me, puoi anche rimanere.
E più rimani, più mi immunizzo.
La psiche, da sé, trova sempre rimedio.
Malgrado tutto, cicatrizzo
e controllo il tuo assedio,
in tutte le volte che m’invadi,
sostenendo chi mi ha demolita.
Sei fatta di miseri e bassi gradi
per risalire sull’amore per la vita.
Puoi infierire quando piango.
Ma le mie lacrime t’annegheranno,
come in una pozza di fango,
fino al mio ultimo compleanno.
Farò su te una grande vittoria,
anche se tenti di piegarmi.
Fra me e te non c’è storia,
per affrontarti ho le mie armi.
E ti attraverserò, anche nella nebbia,
che osa accecare il mio percorso.
Sarò Ostinazione e sarò Superbia,
anche quando il fiato sarà corto.
Ma non mi avrai, è cosa sicura.
Ormai conosco ogni tua intenzione.
Anche se i tuoi segnali possono far paura,
anche se ti fai chiamare… Depressione.

 


 

Buona notte casa mia

Buona notte casa mia,
ai tuoi balconi sulla piazza
e alle tende a fantasia.
Alla pietra che ti corazza
così antica e così vissuta
come quei sacchi contenitori
fatti di ruvida tela juta.
Buona notte alle nasse dei pescatori
che hanno servito il vitto del giorno.
Buona notte casa mia
e al sole che t’ha irradiato attorno.
Alla piccola scrivania
su cui la penna confida il suo dire.
Buona notte a tutti i pensieri
che sogni possano divenire.
Buona notte a un altro ieri
perché diventi un ricordo soave.
Buona notte casa mia
ad ogni mattone, ad ogni tua trave.
Buona notte alla malinconia
del plaid lasciato sulla poltrona
come un servo mai ringraziato.
Alla sveglietta che all’ora suona
per dare al sonno il consueto commiato.
Alla finestra che sporge sul mare
mentre s’appanna di tramontana
che col suo refolo fa tremare.
Buona notte alla luce della piantana,
quando la scura tenebra avanza.
E poi smorzarsi con un “Così sia”
di una preghiera che sa di speranza.
Perciò… buona notte casa mia.

 


 

Rimane il vento

Vorrei che sapesse ancora di te
questo tuo foulard,
dove ci affondo il viso.
Le sensazioni sfiorano
e talvolta fanno male.
Come temporali che tribolano l’anima.
Passerà, dicono.
Sì, passerà. Forse.
Intanto, indugia il dolore
ricordandomi che non è il momento.
Piango.
E sembra placarsi per un po’.
Ti chiamo.
E mentre dò voce al tuo nome
sento qualcosa che mi acquieta.
Mi confonde e mi incoraggia.
Forse sei tu, a modo tuo, oramai.
Cosa sarai e come ti riconoscerò?
Mi conosci da sempre,
mentre tu, sei il mio sempre.
Eppure adesso dovrò trovarti,
nei rimedi palliativi,
perché tali sembrano
finchè non persuadono.
Intanto, mentre osservo il mare,
vorrei vederti spuntare,
mentre ci passeggi accanto.
Alzerai la testa e mi sorriderai
mandandomi un bacio con le labbra.
Come facevi tu,
quando mi accompagnavi
fintanto che non sparivo.
Inutile aspettare.
Rimane il vento
che, intanto, alita lento
sul mare.